Il treno per la felicità
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Anteprima del libro
Il treno per la felicità - Michael Floris
1
Stavo sorseggiando il mio caffè in Piazza San Carlo in una mattina in cui Torino si era svegliata tra le nuvole autunnali grigie e così fitte. Sentivo le goccioline d'acqua sulla faccia. Finii il mio caffè e feci una passeggiata tra le solite vie del centro: da Piazza San Carlo passavo per Via Roma, sotto quei portici imponenti di granito, poi arrivavo in Piazza Castello, dove trovavo sempre un gruppo di giapponesi che immortalavano quell'immensa Piazza in cui si ergono il Palazzo Reale, il Palazzo Madama e il Palazzo della Regione. Alcune volte mi sedevo lì sulle panchine in legno proprio davanti al Palazzo Reale. Mi godevo il silenzio della sera o il trambusto della mattina. Quando mi stancavo, passavo attorno al Palazzo Madama, e ogni volta, non potevo fare a meno di notare come cambiava in modo brusco il suo stile architettonico. La bellissima facciata che dava su Piazza Castello era in stile barocco, mentre la facciata opposta era di epoca medievale. Entrambe bellissime, ma assai diverse. Quindi, entravo nella lunghissima Via Po, e rimanevo pomeriggi interi a guardare i libri sulle bancarelle, e poi, alla fine, non ne compravo nemmeno uno. Prendevo una delle innumerevoli traverse e raggiungevo il punto in cui mi piaceva stare di più, la Mole Antonelliana. La guardavo, la ammiravo, così imponente che sovrasta il cielo di Torino, posta in una via qualunque, come se fosse un edificio come tanti. Ogni volta che ci passavo di fronte, stavo col naso all'insù, come a salutarla, poi, raggiungevo la casa di mio fratello lì vicino.
In quel periodo, infatti, stavo a casa di mio fratello Guido, perché ero in cerca di un'occupazione. Avevo appena concluso l'università. Tutto il Paese attraversava un periodo di crisi economica e non era facile trovare un impiego su ciò per cui si avesse studiato. I ricercatori facevano i baristi per poter vivere, gli studenti universitari facevano di tutto pur di guadagnare qualche soldo per pagare l'affitto, di solito in arretrato di due o tre mesi. L'Italia era questo al momento.
Io ero ottimista, avevo una laurea in architettura in tasca e aspettavo solo di trovare un buon annuncio per un lavoretto qualsiasi, in attesa di trovare qualcosa per cui avessi studiato.
Mio fratello Guido era quattro anni più grande di me, e lui, invece, aveva avuto fortuna. Andò via di casa subito dopo il diploma, e poco prima di laurearsi, trovò un lavoro come broker in una compagnia di assicurazioni. Al momento, gli andava bene così.
Durante la mia passeggiata, attraversando la strada tra Piazza Castello e Via Roma, notai una ragazza dai capelli neri, alta più o meno quanto me, indossava delle elegantissime scarpe nere lucide con dei tacchi abbastanza alti. Portava un tailleur nero, forse era una segretaria o forse lavorava in banca. Appena la vidi, il mio battito cardiaco si accelerò all'improvviso, sentii le pupille dilatarsi e i miei respiri furono brevi ma veloci, come scanditi da un metronomo. Lei mi guardò un attimo, ma non fece tanto caso e continuò per la sua strada. Dopo che mi passò di fronte, il battito cardiaco ritornò normale, e anche la respirazione. Era come se la presenza di quella ragazza mi avesse prodotto una reazione chimica interna che mi scatenò tutte quelle cose. Girai la testa, per vedere dove andava ma non c'era più. Feci un respiro profondo e continuai a camminare.
Raggiunsi Piazza Castello per scattare una foto col mio smartphone, dopo di che tornai a casa di Guido che mi aspettava per il pranzo.
«Trovato qualcosa?» mi chiese mentre gettava la pasta sul piatto.
«Nulla, neanche oggi» risposi. «Soltanto un annuncio per stagista, ma con esperienza.»
Erano circa due mesi, ormai, che stavo da lui. Mi sentivo un parassita, un verme. Non potevo farci nulla.
«Qui, bisogna fare qualcosa» tuonò Guido.
«Ma cosa? Che cosa?» risposi triste. «Sto pensando di riscrivermi all'università» dissi con un tono di chi non aveva più speranza.
«Un'altra laurea?» rispose Guido. «Vuoi fare la collezione? Devi inventarti qualcosa, la situazione sta diventando insostenibile.»
Uscii dalla cucina provando a pensare ad un'idea geniale, ma non mi venne in mente niente. Passai il pomeriggio navigando tra le onde del web in cerca di un annuncio appetibile, ma niente. Calò la sera ed uscii a prendere una boccata d'aria. Attraversai Corso San Maurizio e passai ai piedi della Mole. Alcuni giorni passavo lì soltanto per ammirare la sua grandezza tra le luci della sera, e stare con lo sguardo incantato rivolto verso la cima, senza pensieri. Poi mi veniva la malinconia.
Mi piaceva Torino, con i suoi portici infiniti. Anche in un giorno di pioggia si poteva star fuori. Si potevano ammirare le vetrine o fermarsi in un bar a bere un caffè. Insomma, potevi passarci il tempo.
In Via Roma un trombettista stava suonando un jazz malinconico, e quella musica conferiva un'atmosfera decisamente romantica ed elegante a quell'ambiente storico, con delle sfumature di malinconica, ma alquanto struggente. Raggiunsi la Carlina, mi sedetti per un po' in una panchina e pensai. Pensai che a Torino mi trovavo bene, e che sarebbe stata una bella idea trasferirmi definitivamente lì. Sempre se avessi trovato un lavoro.
Cominciò a piovere.
Il mattino seguente proposi a Guido di metter su una cover band di pezzi pop/rock. Io suonavo la chitarra da circa dieci anni, lui, invece, aveva preso, pochi anni prima, delle lezioni private di canto. Mi rispose che l'idea non era male, almeno per il momento, e che mi avrebbe aiutato.
Pubblicai in un sito di annunci un avviso con scritto:
"Cantante e chitarrista cercano un batterista e un bassista per una cover band rock a Torino. No perditempo.
Per informazioni chiamare il numero:
321651861 Giovanni ".
Stampai un paio di copie da affiggere per strada. Passò una settimana, ma non chiamò nessuno.
Era sabato sera, Guido uscì con la sua fidanzata Alice, mi chiesero se volessi mangiare una pizza con loro. Risposi di no. Mangiai un boccone a casa e uscii a fare un giro da solo come era mio solito fare. Cercavo sempre di intromettermi poco nella relazione tra Guido e Alice. Loro si preoccupavano tanto per me, perché non avevo amici, ma a me piaceva stare solo, perché mi sentivo in pace con me stesso. Così, scesi in Piazza Vittorio, e come ogni sabato sera era colma di gente e di auto. Nel primo locale che vidi, suonava un sassofonista che intonava Volare di Modugno. Raggiunsi con passo lento la sponda del Po e mi fermai poco prima dei Murazzi. La Gran Madre era illuminata di celeste e si rifletteva sul fiume, come a creare due immagini perfettamente simmetriche. Era uno spettacolo.
Io non avevo una fidanzata, e forse al momento era meglio così. Non avevo soldi, e farmi offrire da bere da qualcuno, men che meno da una donna, non era affatto nelle mie corde. Proprio in quel momento, passò quella ragazza dai capelli neri che avevo visto in Via Roma qualche giorno prima. Stava facendo una foto alla Gran Madre e ammirava, anche lei, il paesaggio. Cercavo di non guardarla, di tenere a freno quella reazione chimica che si stava nuovamente scatenando dentro il mio corpo alla sua presenza. Mi girai come a guardare assorto il fiume, e con la coda dell'occhio cercavo di vedere con discrezione cosa stesse facendo. Ad un certo punto, uscì dal mio campo visivo, e sbuffai perché avrei voluto continuare a guardarla, e a far sviluppare dentro me quella reazione così potente che mi faceva stare bene. Mentre rivolgevo