L'ultima salita
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Anteprima del libro
L'ultima salita - Agnese Molteni
Farm
Capitolo 1
La gara
E’ domenica pomeriggio: il sole di giugno, alto nel cielo terso, senza nuvole, dà il benvenuto a tanti ragazzini che, come ogni domenica, si stanno radunando per la loro gara.
I vari gazebo spuntano come funghi ai lati delle strade, per offrire un po’ di riparo dalla canicola ai piccoli atleti e ai loro accompagnatori.
Ovunque ci sono biciclette e bambini che, belli con le loro divise colorate, si apprestano ad indossare scarpe, guanti, casco ed effettuare qualche giro del circuito per individuare punti critici, passaggi pericolosi, salite e discese. Ma devono aspettare che il percorso venga definitivamente chiuso alle automobili: allenatori e genitori faticano a tener testa alla loro impazienza. La voglia di inforcare la bici e pedalare è tanta, così tanta che né il caldo, che oggi si fa davvero sentire, né le lunghe ore di attesa che dovranno trascorrere in mezzo a una folla di persone che sta crescendo come un’onda sempre più grossa, né l’ansia di saper soddisfare le aspettative dei team e delle famiglie riescono a frenare. Sono bambini, e nei bambini nulla viene calcolato o ragionato o programmato. I bambini fanno quello che hanno voglia di fare: pedalano perché si divertono, perché desiderano muoversi giocando scherzando improvvisando, gareggiano perché arrivare primi o ultimi non importa, fa parte del gioco e il gioco deve avere come unica regola quella di stare insieme con una dose di incoscienza di spontaneità di innocenza che da adulti si perde.
Finalmente il circuito viene chiuso al traffico. Sull’asfalto bollente iniziano a sfrecciare le due ruote: rosse, bianche, blu, verdi, gialle; piccole e grandi, lente o veloci, qualcuna anche contromano, mentre la gente si fa sempre più numerosa. Ovunque ci sono borsoni, biciclette, pompe, sedie, sgabelli e tante, tante persone di ogni età. C’è chi cammina e chi è già stanco e si siede, chi chiacchiera e chi cerca riparo dal sole dove i gazebo o qualche albero o qualche muro offrono un po’ di ombra.
Elena si guarda intorno spaesata; non le è mai piaciuto stare in mezzo a tanta gente, la confusione eccessiva la disorienta. Si gira da una parte all’altra, con gli occhi cerca istintivamente Lele, ma il ragazzo ha fatto in fretta: per terra ci sono le sue scarpe da ginnastica, buttate a caso una da una parte e una dall’altra, dal borsone aperto fuoriescono la tuta con le maniche rovesciate e i pantaloni, anche quelli con una gamba rovesciata; da brava e scrupolosa mamma qual è, Elena raccoglie e ripiega il tutto, accorgendosi che casco, guanti, scarpe da corsa non sono più nella borsa: Lele è già sulla bicicletta, è filato via come un razzo senza che lei avesse il tempo di accorgersene.
Ciao, mamma! Faccio altri due giri!
.
All’udire la voce la donna alza il capo e scorge a malapena, fra tante biciclette che passano e tante persone che si muovono da ogni parte, la maglietta grigio- blu del figlio che sfreccia via veloce. Non ha nemmeno il tempo di fare un saluto o una raccomandazione, che Lele non si vede più.
La testa le fa male e quel posto non è certo il migliore per trovare sollievo. Francesco chissà dov’è: di sicuro sarà andato con qualche altro papà ad ispezionare il percorso. Qualche volta ci è andata anche lei, nelle precedenti domeniche, ma oggi no, non è la giornata adatta: il caldo le voci gli schiamazzi e tutta quella gente che brulica davanti dietro e da ogni lato come in un immenso formicaio le danno un senso di oppressione che sembra soffocarla.
Tutto a posto, Elena?
.
La voce è quella dell’amica Beatrice, la mamma di Michele. Elena, talmente stordita dal fiume di gente che le gira intorno e così assorta nel pensare a Lele, non si è nemmeno accorta della sua presenza, né di quella delle altre mamme che, sotto al gazebo della U. C. VIS, sistemano sedie e borsoni raccontandosi il pranzo veloce di mezzogiorno e lamentandosi del disordine dei figli. La donna alza il capo, saluta indistintamente i presenti e risponde con un sommesso Tutto a posto
, che non lascia spazio ad ulteriori repliche.
Si lascia cadere di peso sulla sedia. Fra poco rientrerà Lele con gli altri ragazzi e dovrà cedergliela.
E infatti eccoli, i bambini!
Mamma, metti a posto la bici?
.
Mentre dice così, Lele ha già ceduto il manubrio alla madre, toglie in un lampo casco, guanti e scarpe sistemandoli alla rinfusa nella borsa e sta già ridacchiando contento con i suoi compagni. Un sorso d’acqua fresca dalla borraccia, una spruzzatina sulla fronte sudata e sulle guance rosse e si accomoda sulla sedia che Elena ha prontamente lasciato libera.
La donna guarda l’orologio: mancano ancora cinquanta minuti all’inizio della prima gara e suo figlio correrà nella quinta, cioè, se tutto va bene e non ci saranno intoppi, non prima di due ore abbondanti. Si incammina senza seguire una particolare direzione, scansando gli ostacoli che continuamente i piedi incontrano. Istintivamente, ma inconsciamente, cerca di allontanarsi dai troppi rumori di questa domenica pomeriggio; attraversa la strada, oltrepassa una transenna, imbocca una via laterale e, passo dopo passo, si trova in una piazzetta chiusa da portoni di vecchie corti. Il chiasso si è fatto distante, avverte quel miscuglio di voci suoni richiami che ormai è un tutto indistinto, un brusio informe. Finalmente un po’ di pace! Si siede all’ombra, su un muretto che sostiene un pilastro, riguarda l’orologio ed appoggia la testa all’indietro. Ad occhi chiusi, pensa che è lì per fare il tifo al suo piccolo atleta. Chi l’avrebbe mai detto! Lei, che da sempre odia lo sport, che da bambina ha vissuto nelle ore di educazione fisica l’umiliazione di essere la più imbranata della classe, quella che saltava come un sacco di patate, quella che con quel fisico un po’ goffo arrivava sempre ultima, quella che, pur robusta, aveva meno forza della più mingherlina del gruppo, ora passa le sue domeniche a seguire una squadra di ciclismo e, beffa del destino, ad applaudire un figlio che si classifica fra i primi e si diverte pure a fare sport. Il fluire dei suoi pensieri si arresta: lei, Elena Gardani, è la mamma di un campione in erba, che ha voluto ad ogni costo cominciare a praticare questo sport e ama avere la sua mamma a tifare per lui. Già, perché lei non si trattiene certo dall’incitarlo ad ogni passaggio e lui, Gabriele Vanuzzi – Lele per gli amici – dal palco della premiazione incrocia ogni volta gli occhi della madre e, in quel momento, c’è tra i due una complicità che va oltre ogni considerazione buona o cattiva, che supera ogni sentimento e che solo loro conoscono. Non la conosce il padre, che pure è amante all’eccesso dello sport e tremendamente orgoglioso di quel figlio; non la conosce l’allenatore, che pure lo prepara, lo segue, lo incita, lo elogia; non la conoscono i suoi compagni, che pure condividono con lui la fatica della corsa e la gioia del piazzamento.
Il suono del cellulare riporta bruscamente Elena alla realtà:
Elena, dove sei finita?
.
E’ Francesco, che sta cercando la moglie e la informa che le gare sono finalmente cominciate.
Io vado a seguire la corsa, vieni tu qui da Lele?
.
Arrivo subito!
.
La donna sembra essersi improvvisamente ripresa. Stare un po’ sola, lontano dal vortice di rumori cose persone, le ha fatto bene. Del resto, lei è sempre stata così: lasciar cullare i suoi pensieri nell’oceano immenso della mente le dona sollievo. Si alza, sistema i capelli come fanno le donne quando devono incontrare qualcuno e non vogliono mostrarsi in disordine, guarda di nuovo l’orologio, perché questa è una sua piccola mania, e ripercorre a passo spedito la via che la riporterà al circuito. I suoni si fanno sempre più forti e ora anche l’altoparlante si fa sentire, con i commenti all’andamento della prima gara, quella dei bambini più piccoli, che ha già preso il via.
Come andiamo, Lele? Vuoi qualcosa da bere?
.
Il ragazzo non si è nemmeno accorto dell’assenza della madre, preso com’è a ridere e scherzare con i suoi compagni. Si è tolto la maglietta ed ha abbassato le bretelle dei pantaloncini, per alleviare la sensazione di caldo che è davvero fastidiosa.
Già fatto, mamma. Papà mi ha comprato il succo di frutta!
Elena si mette a conversare con gli altri genitori. Si parla del percorso, di quelle tre salite, di cui l’ultima particolarmente insidiosa perché non lascia intravvedere, se non al suo culmine, una curva a gomito molto stretta; ma i ragazzi hanno fatto i loro bravi giri di ricognizione e l’allenatore li ha istruiti su come affrontare ogni punto pericoloso. Elena si fida di Marcello, sa che ai suoi piccoli atleti insegna sempre ad essere prudenti prima che veloci e sa anche che per i bambini lui è un’autorità.
Quell’ora passa in fretta; si sta già concludendo la terza gara. Nessun classificato fra i primi cinque all’arrivo delle due gare precedenti per la U.C. VIS, ma ora Elena, che sta assistendo alla volata finale della gara in corso, sente tutti i giovani atleti della squadra incitare Michele.
Forza Michi, dai, non mollare…. tieni durooooo!
.
E’ Lele che urla adesso:
Secondooo! Michi è arrivato secondo!
.
I bambini saltano dalla gioia, ma arriva Francesco e rimprovera il figlio perché non si è ancora preparato per la gara.
Ancora così sei? Sbrigati, che devi andare alla prova rapporti! Meglio essere fra i primi, almeno parti davanti!
.
Lele non se lo fa ripetere due volte ed Elena, ancora più svelta di lui, è già pronta con la maglietta su cui ha applicato il numero 24 fornito dagli organizzatori, il casco, gli occhiali, i guanti, le scarpe. Portando a mano la bicicletta tirata a lucido, il bambino si avvia coi suoi compagni di gara, mentre Elena fa le ultime raccomandazioni di rito.
Intanto ha preso il via la gara quattro: due atleti sono già in fuga, ma i ciclisti della U.C. VIS che vi prendono parte sono in coda e sembrano faticare a tener dietro al gruppo degli inseguitori.
Elena va su e giù nervosamente; prima della gare di suo figlio è sempre così. L’attesa le mette agitazione, sa che il pericolo è sempre in agguato anche se finora non ha mai assistito, in diverse stagioni nelle quali è stata spettatrice, a nessun incidente serio: solo qualche graffio, al più, ma una volta soltanto, la frattura di un polso per un ragazzino che era caduto urtando con violenza un masso con la mano.
Guarda di nuovo l’orologio, poi si incammina lentamente verso il traguardo, dove prenderà il via la gara. Passa in mezzo a tante persone, risponde distrattamente anche a qualche saluto, senza ben realizzare da chi provenga ed arriva finalmente dove Francesco sta commentando con Marcello l’andamento del giro conclusivo della gara in corso.
Guarda tuo figlio, Elena! Non riesce mai ad avere addosso la maglia come gli altri!
Tuo figlio … quando qualcosa non va come lui vuole, allora Lele è mio figlio
, pensa Elena, e questo pensiero la riporta alla realtà.
Lele è lì, in seconda fila, un piede agganciato, l’altro pronto a spingere e la maglietta mezza arrotolata sul dorso.
Mi raccomando, Lele, metticela tutta! Io mi sposto là in fondo; ogni volta che passi, griderò per te!
Il ragazzo risponde alzando il pollice della mano destra e facendo l’occhiolino.
Tre … due … uno … via!
I piccoli atleti sono partiti e Lele è subito schizzato davanti; pochi secondi ed Elena lo perde di vista, affrettandosi a raggiungere il punto prima indicato al figlio, dove c’è pochissima gente, mentre il marito si dirige verso la salita più dura con gli altri papà.
Dopo pochi minuti il clacson e l’altoparlante dell’ammiraglia apri-corsa annunciano l’arrivo del gruppetto di testa.
Dai Lele, spingi sui pedali! Bravo! Vai così!
.
Elena ora tira fuori tutta la voce che ha per incitare il suo piccolo grande atleta, che sfreccia davanti a lei, in terza posizione nel gruppetto di cinque ciclisti che ha staccato il resto degli inseguitori. Pochissimi istanti ed anche il secondo gruppo è passato, seguito ad una certa distanza da ciclisti che, a gruppetti di due o tre, cercano di recuperare chi li precede. Il rombo della moto di fine-corsa, dietro all’ultimo ragazzino che già dopo una tornata mostra evidenti segni di fatica, segnala che il primo giro è compiuto.
Elena si sente un po’ sollevata. Se è vero, come dice il proverbio, che chi bene inizia è a metà dell’opera, gli altri nove giri andranno bene.
La donna resta lì, nella posizione che si è scelta, che evidentemente non è la più buona se nessun altro spettatore è lì a seguire la corsa. Ma a lei va bene così: può fare tutto il tifo che vuole come vuole, e il suo Lele non avrà difficoltà a sentire la voce della sua mamma.
Al sesto passaggio il ragazzo è sempre terzo, a poche decine di centimetri dai due atleti in testa.
Si vede che ha ancora forza nelle gambe e fiato nei polmoni ed Elena sa che le volate sono la sua specialità. E poi a lei non importa certo che vinca: quel che desidera è vederlo contento. Mentre aspetta il prossimo giro, la sua mente torna alla prima vittoria: il volto di Lele, quel giorno di tre anni prima, era raggiante e, incrociando gli occhi di sua madre, diceva tanta soddisfazione.
Attenzione … ciclisti in arrivo!
.
L’altoparlante riporta Elena alla realtà. Alzata in punta di piedi, cerca con gli occhi il casco azzurro di Lele oltre l’ammiraglia, ma sfrecciano davanti a lei i due corridori con la maglia rosso- blu della PEDALE G. C. S. che tengono dall’inizio la testa della corsa; pochi secondi, e arriva il gruppetto di inseguitori, che hanno anche un po’ recuperato rispetto ai primi; poi, man mano, passano i corridori a due o a tre alla volta, qualcuno isolato … sono in tutto una manciata di secondi, ma per Elena sono un’eternità. Fatica a capire, non riesce bene a rendersi conto : E Lele? Dov’è Lele?
.
Non appena questa domanda si apre un varco nella sua mente confusa e ancora incapace di ragionare, un brivido le attraversa tutto il corpo. Si gira di scatto e, come un automa, comincia a correre verso la zona del traguardo; non vede più nulla attorno a sé, non sente più rumori, ma, mentre i suoi piedi si muovono a velocità folle uno dopo l’altro percepisce, questa sì chiara e distinta come se fosse l’unico suono presente, una frase che le fa gelare il sangue nelle vene e la blocca di colpo.
Un bambino è caduto!
Capitolo 2
A sirene spiegate
Francesco sta guidando a velocità sostenuta in direzione dell’ospedale ed Elena, rigida sul sedile, non ha la forza per proferire parola. Pallida in volto, le