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8 marzo - Storie di donne
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E-book208 pagine3 ore

8 marzo - Storie di donne

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Info su questo ebook

I proventi di questo ebook andranno totalmente all’Associazione onlus Franca Cassola Pasquali, una bella realtà che opera sul nostro territorio soprattutto a sostegno della Senologia di Tortona.

Otto racconti che hanno per protagoniste altrettante donne. Persone comuni, come lo sono di solito i personaggi delle mie storie, che vivono delle situazioni particolari e che si ritrovano a dover compiere delle scelte, capaci, nel bene e nel male, di condizionare la loro vita.

Sono donne ben diverse l’una dall’altra, sia per età che per estrazione sociale, sia per le problematiche del loro vivere che per il modo in cui ognuna le affronta, ma in egual modo ricche di sentimenti e di quella sensibilità speciale che caratterizza l’animo femminile.

E’ diversa anche l’atmosfera che si respira nei vari racconti, in alcuni triste se non addirittura tragica, in altri più lieve e persino venata di ironia e di umorismo. E anche lo stile si adatta al contenuto.

Ho raccolto i racconti accostandoli a due a due, puntando su un aspetto, che, in qualche modo, accomuna le protagoniste.

Filomena e Altea. Essere prigioniere del marito e della casa può risultare orrendo, oppure qualcosa a cui non si vuole rinunciare. Tutto dipende dalla situazione personale.

Pinuccia e Teresa. La condizione di suocera non è facile, specie se col marito della propria figlia esiste un feeling decisamente scarso.

Anna e Carmela. Un figlio può costituire un problema se se lo si desidera intensamente e ci viene negato, ma anche se una gravidanza inaspettata arriva ad aggiungere difficoltà a una situazione familiare già non facile.

Silvana e Angela. Entrambe le protagoniste si rivolgono a una persona cara, la madre e la figlia, e traggono dal loro ottimismo, dalla loro positività, coraggio e speranza.
LinguaItaliano
Data di uscita22 feb 2016
ISBN9788892557284
8 marzo - Storie di donne

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    8 marzo - Storie di donne - Silvana Sanna

    Silvana Sanna

    8 MARZO

    Storie di donne

    … un po’ tristi, un po’ allegre

    Marzo 20016

    La copertina è di Gianluigi Corte

     Un ringraziamento speciale a:

    Adriana, Anna, Anna Maria, Daria, Dealma, Emily, Francesca, Giusy, Laura, Loredana, Maria Grazia, Marialuisa, Mariangela, Patrizia, Silvia, Simona, Stefania, Viviana, che gentilmente mi hanno permesso di usare il loro volto per la copertina.

    La proprietà di questo eBook è dell’autrice e sono vietati,

    in qualunque forma,

    la riproduzione e l’uso anche solo parziali del contenuto

    Otto racconti che hanno per protagoniste altrettante donne. Persone comuni, come lo sono di solito i personaggi delle mie storie, che vivono delle situazioni particolari e che si ritrovano a dover compiere delle scelte, capaci, nel bene e nel male, di condizionare la loro vita.

    Sono donne ben diverse l’una dall’altra, sia per età che per estrazione sociale, sia per le problematiche del loro vivere che per il modo in cui ognuna le affronta, ma in egual modo ricche di sentimenti e di quella sensibilità speciale che caratterizza l’animo femminile.

    E’ diversa anche l’atmosfera che si respira nei vari racconti, in alcuni triste se non addirittura tragica, in altri più lieve e persino venata di ironia e di umorismo. E anche lo stile si adatta al contenuto.

    Ho raccolto i racconti accostandoli a due a due, puntando su un aspetto, che, in qualche modo, accomuna le protagoniste.

    Filomena e Altea. Essere prigioniere del marito e della casa può risultare orrendo, oppure qualcosa a cui non si vuole rinunciare. Tutto dipende dalla situazione personale.

    Pinuccia e Teresa. La condizione di suocera non è facile, specie se col marito della propria figlia esiste un feeling decisamente scarso.

    Anna e Carmela. Un figlio può costituire un problema se se lo si desidera intensamente e ci viene negato, ma anche se una gravidanza inaspettata arriva ad aggiungere difficoltà a una situazione familiare già non facile.

    Silvana e Angela. Entrambe le protagoniste si rivolgono a una persona cara, la madre e la figlia, e traggono dal loro ottimismo, dalla loro positività, coraggio e speranza.

    I proventi di questo ebook andranno totalmente all’Associazione onlus Franca Cassola Pasquali, una bella realtà che opera sul nostro territorio soprattutto a sostegno della Senologia di Tortona che fa capo alla dottoressa Maria Grazia Pacquola, donna di straordinarie doti professionali e umane.

    L'Associazione, nata in ricordo della signora della quale porta il nome e che, prima di morire, ha chiesto di fare tutto il possibile per evitare alle donne il suo calvario, nei sedici anni dalla sua fondazione ha dato vita a raccolte fondi, incontri di sensibilizzazione, opuscoli informativi, ha acquistato molti strumenti tecnologici, pagato la psicologa, la dietologa, la genetista, l'epidemiolgo che affiancano la Senologia, sostenendo in modo quasi totale il lavoro di questa a sevizio della gente del territorio che, purtroppo, ha in Piemonte la più alta incidenza di cancro al seno.

    Un impegno splendido, quello dell'Associazione, che merita dunque tutta l'attenzione possibile.

    Grazie di cuore a tutti quelli che hanno acquistato questo ebook, e che, col loro gesto, hanno dato un contributo per un'ottima causa.

    Per sostenere direttamente l’Associazione:

    C. F.: 94020710060

    IBAN: IT38Z0558448190000000022422.

    Silvana Sanna

    Insegnante elementare a riposo con la passione per la scrittura, vive in un piccolo paese di campagna sulle colline del tortonese.

    Da molti anni collabora con due noti settimanali femminili con racconti e romanzi, ha pubblicato in volume il romanzo Sul filo dei ricordi ed è possibile trovare sulle varie piattaforme on-line diversi suoi eBook.

    Per conoscere e contattare l'autrice: https://www.facebook.com/silvana.sanna.56

    Indice

    Filomena - OTTO MARZO

    Altea - DONNA IN PANTOFOLE

    Pinuccia - L'AMANTE SEGRETA

    Teresa - NELLA VALLE DELL'EDEN

    Anna - LA FORZA DI RICOMINCIARE

    Carmela - TUTTO IN UNA VOLTA

    Silvana - L' ABITO DA VIAGGIO

    Angela - IL CORAGGIO DELLA SPERANZA

    Della stessa autrice

    Filomena

    OTTO MARZO

    Quando esco dal centro commerciale è quasi notte, fa freddo e una leggera nebbia rende le luci dei lampioni biancastre e ovattate. Mi sono attardata troppo tra gli scaffali del supermercato per cercare gli articoli meno cari e quelli in offerta, confrontando prezzi, peso e qualità, e le ore sono volate senza che io me ne rendessi conto. Poi, alle casse, la solita coda di fine giornata mi ha rubato altro tempo. Ed ora eccomi qui col cuore in gola al pensiero che Salvo sarà già rientrato e, non trovando la moglie in casa e la cena in tavola, avrà un diavolo per capello.

    Appendo le borse colme di spesa al manubrio della bicicletta, sistemo la più voluminosa sul portapacchi posteriore assicurandola bene con le cinghie elastiche, poi monto in sella e mi metto a pedalare con tutta l'energia della mie gambe ben allenate. Ho cinquantaquattro anni, non sono più una ragazza, ma ho gambe forti e resistenti, il mio mezzo di locomozione è da sempre la bicicletta: che piova o nevichi, io devo pedalare se non voglio farmi la strada a piedi. La mia non è una scelta, mi piacerebbe molto di più potermi muovere in automobile, specie quando, come adesso, sono carica e spingere sui pedali mi costa una bella fatica, ma non ho la patente e, anche se l'avessi, non cambierebbe nulla perché mai potrei avere il bene di possedere una macchina, mentre Salvo non mi permetterebbe comunque di usare la sua, anche se se ne stesse inutilizzata nella rimessa. E per il semplice motivo che lui non ritiene necessario che io possa godere di una qualche comodità.

    Del resto quante cose Salvo non mi concede! Tante, troppe! Ma soprattutto mi nega la cosa più importante per una donna: il rispetto e un poco di libertà.

    Arrivo sotto il portone sudata fradicia, ho pedalato come una pazza nell'illusione di riuscire ad arrivare prima di lui ed evitare una delle sue solite sfuriate. Ma temo proprio che la faticaccia sia stata inutile.

    Abitiamo in una strada del centro storico a quest'ora ancora molto animata e mentre cerco la chiave per aprire il portone che conduce al cortile interno e sistemare la bicicletta nel garage, vengo abbordata da un ragazzino con una grossa cesta appesa al braccio:

    - Eccole i fiori per la sua festa, signora – mi dice porgendomi un mazzetto di mimosa – solo un euro – aggiunge poi.

    Già, è l'otto marzo, la festa della donna. Anche al centro commerciale gli addobbi e i cartelli di auguri, il tutto rigorosamente in giallo, si sprecavano. Così mostro al ragazzino il tralcio di mimosa che ho ricevuto in dono all'uscita del supermercato.

    - Ce l'ho già – gli dico in modo sbrigativo preparandomi mentalmente ad arginare una petulante ostinazione. Invece lui non insiste, come mi sarei aspettata. E' piccolo e minuto, quasi ancora un bambino, e porta una giacchetta un po' troppo leggera. Se ne sta lì, zitto, in piedi accanto a me e mi fissa con due occhi chiari tagliati un po' all'ingiù nei quali leggo una nota di delusione che mi fa intenerire. Così prendo il mazzetto che mi porge e gli allungo il suo euro.

    - Grazie, auguri e buona festa – mi dice con un bel sorriso prima di fare dietrofront e scappare via.

    Buona festa! Mi verrebbe persino da ridere, vista la mia situazione. E poi siamo a sera e la festa è ormai praticamente finita. Una festa che, comunque, non mi riguarda, anzi non mi ha mai riguardata. Sono una donna, ma io non ho nulla da spartire con le altre donne, e, soprattutto, non ho proprio niente da festeggiare.

    Mentre arranco lungo le scale con le borse in mano, vengo raggiunta da Pietro, il marito di Susanna. Sono i giovani inquilini del terzo piano e abitano proprio nell'appartamento sopra il nostro. Sono sposati da appena qualche mese e chiaramente molto innamorati

    - Salve, signora Mena – mi dice il giovanotto levandomi la borsa più grande dalle mani – stasera è proprio carica!

    - Era giorno di offerte e ne ho approfittato – gli rispondo.

    Gli sono grata per la sua gentilezza, è davvero un caro ragazzo, Pietro, e io a volte mi scopro ad essere invidiosa di sua moglie. E non perché abbia trent'anni meno di me. Sebbene non ci sia tra noi una grande confidenza (per necessità ho dovuto rinnegare la mia indole socievole e non ho mai fatto amicizia coi vicini), sono certa che suo marito la renda felice. A volte arrivano fino a me le loro risate e un suono di musica allegra accompagnato dal rumore inconfondibile di piedi giovani che ballano ritmi indiavolati. Un pomeriggio, incontrandomi nell'ingresso, Susanna si è persino scusata:

    - Ieri sera abbiamo fatto baccano fino a tardi - mi ha detto – sono venuti degli amici a trovarci e abbiamo tirato nottata. E magari abbiamo disturbato. Per quanto ci capiterà spesso di dar fastidio, a me e a Pietro piace da matti ballare e alla sera, se non c'è nulla di interessante alla televisione, ci scateniamo. Anche se siamo solo io e lui – ha aggiunto.

    - Non si preoccupi – l'ho rassicurata – mio marito dopo cena va sempre a farsi la partita al bar e non rientra prima di mezzanotte e a me non date proprio alcun fastidio.

    Avrei voluto aggiungere che, anzi, mi fa piacere sentire quanto siano affiatati, sapere che c'è gente felice e innamorata. Ma non ne ho avuto il coraggio.

    Pietro stasera regge col braccio un enorme fascio di mimosa legato con un nastro rosso e i tralci delicati, mentre lui sale le scale, ondeggiano dolcemente spandendo un delicato profumo.

    - Adesso mi becco una sgridata da mia moglie – mi dice ridendo – ho un po' esagerato con la mimosa. Ma dovevo farmi perdonare, stamattina non mi è riuscito di trovare il tempo per andare dal fioraio e mandargliela a casa. Così le arriva a festa finita. Ma sono passato anche dal gioielliere e in tasca ho una cosetta che a Susanna piacerà di certo più dei fiori – aggiunge guardandomi con aria di complicità – eccoci qua, lei è arrivata, signora Mena. E tanti auguri anche a lei!

    Pietro appoggia la mia sporta sul pavimento del pianerottolo, poi sale di corsa l'ultima rampa e io mi attardo un attimo davanti alla porta di casa: giusto in tempo per sentire le esclamazioni di Susanna quando apre l'uscio al marito.

    - Ma tu sei matto – gli dice tutta trillante – avrai speso un capitale! E non ho neppure i vasi sufficienti per sistemarla, tutta questa mimosa! E' davvero troppa!

    - Niente è mai troppo per la donna più adorabile del mondo…

    Poi le sue parole si perdono nel rumore della porta che si chiude. E io penso che ci saranno musica e balli stasera. E, magari, una cenetta a lume di candela, e allegria e gioia e amore. Tutte cose che io non conosco.

    Apro la porta e trascino faticosamente all'interno le borse della spesa. All'improvviso tutta la stanchezza della lunga pedalata nell'aria fredda e umida della sera mi piomba addosso e i pochi passi che separano l'ingresso dalla cucina mi sembrano chilometri. La luce in cucina è accesa a anche il televisore, una voce modulata con un accattivante sottofondo musicale reclamizza un prodotto per la casa che pare faccia miracoli con lo sporco incrostato.

    Anche a me servirebbe un miracolo: Salvo è seduto sul divanetto e il suo sguardo, quando mi vede entrare, non promette nulla di buono.

    - Dove diavolo eri finita? Ti eri persa nella nebbia? – mi chiede col tono sarcastico e tagliente di quando è arrabbiato – un uomo lavora tutto il giorno e quando torna a casa il minimo che possa aspettarsi è di trovare la cena pronta e una moglie che gliela metta in tavola. Pretendo troppo forse?

    - Scusa, ho fatto tardi, al supermercato c'erano delle belle offerte e…

    - Al supermercato c'erano delle belle offerte – ripete lui facendomi il verso – te ne sarai andata a spasso in gironzola per negozi, altro che offerte! E avrai trovato quelle pettegole delle tue amiche e vi sarete messe a ciacolare a destra e a manca… bla… bla… bla… - aggiunge facendo un stupido verso con le dita, come per riprodurre l'aprirsi e il chiudersi del becco di un'oca.

    Lo detesto quando fa così. Veramente lo detesto in ogni momento, da tutta la vita, ma quando mi schernisce col chiaro intento di offendermi, di umiliarmi, lo detesto ancora di più.

    - Non ho parlato proprio con nessuno, non ne ho di amiche e tu sai bene il perché – gli dico radunando tutto il mio coraggio.

    Salvo si alza di scatto in piedi, porta il braccio in alto e fa il gesto di colpirmi sul volto col dorso della mano. Si ferma a pochi centimetri dalla mia guancia, poi lascia ricadere il braccio. Non mi colpisce mai veramente, non l'ha mai fatto, ma per me è come se mi picchiasse davvero: quel gesto orribile non fa che sottolineare la violenza di cui sono oggetto ogni giorno da parte sua. Ogni giorno da trentotto anni. Una violenza che non è fisica ma che è forse ancora più terribile, una violenza fatta di disprezzo, di parole offensive, di denaro per la spesa concesso col contagocce, di controllo continuo, di mancanza di libertà e di considerazione, di mancanza d'amore.

    - Sbrigati a mettere qualcosa in tavola – mi dice con uno sguardo torvo, sedendosi di nuovo.

    Metto sul fuoco, per riscaldarlo, lo spezzatino che ho preparato prima di uscire poi mi affretto a vuotare le sporte della spesa. Mi vengono in mano i due rametti di mimosa, quello che mi hanno regalato al centro commerciale e quello che mi ha dato il ragazzino incontrato sotto casa, e li appoggio sulla credenza.

    - E questa che roba è? – mi chiede mio marito che ha seguito con gli occhi il mio trafficare.

    - Oggi è la festa della donna – gli rispondo cominciando ad apparecchiare la tavola – ma sta' tranquillo la mimosa non mi è costata niente, la regalavano a tutte al centro commerciale – mi affretto a specificare.

    - La festa della donna! Una stupidaggine che avete inventato per spalleggiarvi l'una con l'altra, per gridare al mondo che volete essere emancipate! Per avere la scusa di far bisboccia. Ecco perché la pizzeria all'angolo era piena di donne! E altre ne stavano arrivando. Femmine, stupide femmine. E tu? Tu magari avresti voglia di andartene pure tu in giro a far casino, a proclamare che la donna deve essere libera di fare tutti i suoi porci comodi! Libera di far la svergognata! Il bastone ci vorrebbe, capite solo quello, voi donne. E' pronta questa cena, sì o no?!

    Salvo si alza dal divano per mettersi a tavola, ma prima di sedersi prende i due rametti di mimosa e li butta, facendoli cadere dall'alto, dentro la pattumiera, con un gesto ostentatamente lento, plateale.

    - Qui deve stare la tua mimosa. Nella spazzatura. Insieme alle idee cretine che magari ti ballano per la testa.

    Mi siedo anch'io e mangiamo in silenzio. La televisione continua a sfornare musica e voci allegre, più di una volta viene nominata proprio la ricorrenza che si festeggia quest'oggi.

    - Auguri a tutte le donne! – esclama a un certo punto con enfasi la conduttrice del programma - godetevela tutta fino in fondo, ragazze! Oggi è la nostra festa!

    Oggi è la nostra festa… per lei è una festa di certo, bella, sicura di sé, ricca, osannata dal pubblico, probabilmente priva di problemi e con un uomo adorante che la attende a casa. Per certe è una fortuna essere donna. Per altre è una condanna.

    E' sempre stato così per me fin da bambina: essere nata femmina è stata la mia disgrazia.

    Sono venuta al mondo in un paese della Sicilia, un paese dell'interno piuttosto isolato, chiuso alle novità, abitato da persone dalla mentalità ristretta sempre desiderose di sapere i fatti altrui e impegnate a giudicare e a condannare il minimo sgarro nei riguardi di un modo di vivere regolato dalla tradizione e da una moralità che badava quasi esclusivamente all'esteriorità delle cose. Una moralità assurda che penalizzava soprattutto le donne, prigioniere, fin da bambine, del gretto conformismo e della volontà paterna. Erano gli anni cinquanta, e al paese non era ancora arrivata l'eco di un modo di vivere più moderno e più libero, la donna non aveva ancora scoperto, come avrebbe fatto in seguito, e per fortuna anche al sud, di avere gli stessi diritti dei maschi. Ero la quarta di una nidiata di nove figli, cinque maschi e quattro femmine. Non eravamo poveri, almeno non lo eravamo come certe famiglie disgraziate che pativano la fame, ma di sicuro nemmeno ricchi. Mio padre aveva ereditato dai suoi genitori un discreto podere e il cibo non ci mancava. Ma neppure il lavoro, perché tutti, maschi e femmine, appena eravamo stati in grado di farlo, avevamo dovuto piegare la schiena e lavorare sui campi.

    Mia madre era una donna spenta, distrutta nel fisico dal lavoro e dalle troppe maternità e schiacciata nell'anima dalla prepotenza del marito. Lui era marito,

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