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La stoltezza della specie
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La stoltezza della specie
E-book243 pagine2 ore

La stoltezza della specie

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Info su questo ebook

L’angosciante e stolta rovina di una famiglia.
LinguaItaliano
Data di uscita12 set 2011
ISBN9788866182276
La stoltezza della specie

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    La stoltezza della specie - Bruno Colombo

    85

    1

    Curvo sotto il peso degli anni trascorsi, l’uomo era immerso nei pensieri che ultimamente lo avevano afflitto e in quegli istanti si sentì schiacciato dalle colpe che gravavano sulla sua anima.

    Doveva riconoscere i suoi tanti errori, il male che aveva fatto ai suoi figli e alle figlie che un giorno aveva così tanto amato, incapace comunque di trovare un solo pensiero che avesse potuto ancora farlo desistere dal proposito di togliersi la vita.

    Era lì con gli occhi arrossati, pieni di lacrime, quasi incapace di ripercorrere quel lungo tempo, quegli anni che lui e la moglie Silvia avevano condiviso in una serie di errori che alla fine, proprio in quei momenti, gli stava torturando il cuore.

    Stefano Bianchi si asciugò le lacrime con il dorso della mano, si sfregò un paio di volte la punta del naso a patata e rimase con i suoi occhi azzurri fissi nel nulla sulla superficie della scrivania dello studio.

    Aveva il morale a terra, depresso come non lo era mai stato in vita sua.

    Si passò la mano tra i pochi capelli ingrigiti dal tempo ed ebbe un fremito.

    In un lampo rivide i volti dei suoi tre figli: Andrea, Gianni e Paolo.

    Lo stavano chiamando tendendogli le loro mani, quasi come se avessero avuto bisogno del suo aiuto, qualcosa che non aveva mai fatto nei loro confronti.

    Eppure adesso loro erano là, sorridenti pronti a perdonarlo se soltanto lui avesse mostrato benevolenza e avesse allungato la mano verso le loro.

    Le immagini sbiadirono lentamente per lasciare il posto ai volti delle tre figlie: Maria, Eleonora e Sofia.

    Anche loro lo stavano chiamando, gli tendevano le mani, proprio come avevano fatto i fratelli, sorridendogli felici.

    Stefano Bianchi si scosse da quel torpore in cui era precipitato, si asciugò gli occhi cercando di riprendersi e, ritrovata la grinta di sempre, con rinnovato entusiasmo alzò la mano verso di loro.

    So bene cosa volete, non crediate di commuovermi con le vostre solite moine perché io non mi lascerò incastrare da nessuno di voi, mettetevelo bene in testa urlò nel nulla.

    Con ognuno di loro si era sempre comportato in quel modo.

    Era sempre stato insensibile, sordo al loro richiamo, in ogni momento della loro vita.

    Stefano Bianchi attese un’improbabile risposta ma tese ancora le orecchie come se comunque avesse voluto sperare.

    Guardò deluso e malinconico la pistola che aveva sotto gli occhi sulla scrivania e udì ancora quella voce.

    "Fallo, deciditi. Adesso o mai più.

    Che cosa aspetti?

    Loro non ti perdoneranno mai, lo sai bene. Non puoi pretendere che, dopo quello che hai fatto, tornino da te supplicandoti affinché tu non ti uccida.

    Lo sai, lo sai molto bene. Lo hai sempre saputo."

    Gli occhi azzurri e profondi dell’anziano uomo si fissarono sulla forma invitante della pistola.

    La guardò per lunghi interminabili minuti.

    Gli sembrò un desiderio irrinunciabile, come se fosse la sola cosa che desiderasse in quei momenti.

    Fallo, deciditi. Adesso o mai più.

    Stefano Bianchi allungò la mano verso l’arma.

    Ripensò in un attimo ai suoi ottantacinque anni di vita, ma non gli sembrarono tanti.

    Se avesse potuto farlo e se non avesse avuto tutti quei rimorsi che gli stavano lacerando l’anima, avrebbe sicuramente premuto il grilletto della pistola.

    Allungò ancora la mano magra, ingiallita dalle troppe sigarette fumate e sfiorò il calcio della pistola, l’accarezzò come se fosse stata una preziosa reliquia, roteò i suoi occhi verso l’alto, alzò l’arma e la puntò alla tempia.

    In quell’attimo però qualcosa lo indusse a fermarsi.

    I volti dei figli e delle figlie erano ancora davanti ai suoi occhi.

    Ti perdoniamo, non farlo.

    Sentì le loro voci. Erano vicine, come se loro fossero stati ancora con lui, nella sua casa, come alcune volte aveva desiderato.

    Ti perdoniamo, non farlo.

    Eleonora, la figlia minore, una donna di cinquant’anni, gli andò ancor più vicino, fissò i suoi occhi azzurri in quelli identici del padre, si asciugò una lacrima che le corse giù lungo la guancia rosea.

    "Tu hai distrutto la nostra vita, ci hai fatto del male.

    Non ci hai mai aiutato, ma noi siamo qui per aiutare te, per dimostrarti quanto bene, in fondo ti vogliamo.

    Guarda, c’è anche la mamma."

    Eleonora gli si avvicinò ancor di più e sorridendogli gli indicò il punto della sala in cui c’era la loro madre.

    L’uomo guardò in quella direzione senza vedere nulla.

    "Vostra madre è morta e voi l’avete uccisa.

    Maledetti" le urlò con tutta la rabbia che aveva dentro.

    Ti sbagli papà.

    Cosa dici?

    Tu hai ucciso la mamma, ricordi?

    Stefano Bianchi rimase senza fiato, guardò lontano nell’immenso salone della sua imponente villa cercando il volto della moglie.

    Sono io gli disse con voce soffusa una donna dai lunghi capelli biondi lisci come la seta.

    Lui non riusciva a distogliere lo sguardo da quel volto.

    Silvia, sei proprio tu? le domandò andandole vicino.

    Lei gli sorrise.

    Mi hai fatto molto male, te ne sei reso conto?

    Male? Io ti ho sempre voluto bene le sussurrò Stefano.

    Silvia aveva cinque anni meno di lui, ma il suo viso era ancora senza rughe, i capelli biondi e lisci come quando era giovane, la pelle vellutata e gli occhi azzurri come l’acqua cristallina dei Caraibi.

    Fu in quell’istante che scomparve, prima che potesse parlarle.

    Stefano non capiva, sentiva la confusione che si stava impossessando ancora una volta della sua ormai labile mente.

    Eleonora però gli era ancora accanto.

    Noi tutti abbiamo perdonato anche la mamma e lei ti perdona, così come siamo disposti a fare tutti noi, a patto che tu lo voglia gli disse ancora.

    E di cosa dovrei essere perdonato?

    Non ottenne risposta.

    Si sentì ancora una volta solo.

    Guardò la pistola che invitante lo stava chiamando.

    Ucciditi, ucciditi. Solamente così potrai espiare i tuoi peccati, tutto il male che hai fatto alle persone che ti hanno voluto bene e che tu stoltamente non hai mai voluto accettare.

    L’uomo accarezzò ancora a lungo la pistola.

    2

    Il treno rallentò in prossimità di una curva molto stretta immersa tra gli alti pini marittimi nelle vicinanze del confine con il Lazio, nel momento in cui Eleonora Bianchi attivò la comunicazione del suo cellulare.

    Ciao Sofia dimmi tutto.

    La voce aggraziata della sorella la rendeva sempre di buonumore però in quell’istante capì che doveva essere accaduto ancora qualcosa di spiacevole, come al solito.

    Purtroppo non si sbagliava.

    Ci sta rendendo la vita impossibile iniziò a dire con un tono di voce che era alterato rispetto al solito.

    L’ha fatto di nuovo? domandò timidamente Eleonora.

    Aveva timore di una risposta affermativa anche se sapeva che avrebbe dovuto aspettarselo.

    Purtroppo.

    Ti ha costretta a tenerti lontano da tuo figlio?

    Ha dalla sua parte la legge, ma solo noi sappiamo quanto sia ingiusto.

    Eleonora capì che la sorella maggiore stava piangendo, anche se cercava di fare di tutto per nasconderlo.

    Lo so io e lo sappiamo tutti noi in famiglia, ma ciò non toglie che la legge, a volte, come in questo caso, possa essere ingiusta.

    E’ deprimente, lo capisci?

    Lo so visto che anche con mia figlia è stata la stessa cosa.

    Hai ragione. Quello che avete sofferto tu e la tua povera Rosa è angosciante.

    La verità che nostro padre è un uomo senza cuore, arrogante e disposto a tutto pur di mantenere inalterato nel tempo il suo patrimonio."

    Il treno entrò all’improvviso in una galleria e il segnale si perse.

    Eleonora si lasciò andare sulla poltroncina.

    Era preoccupata, come sempre.

    Tutta la sua vita era stata vissuta all’insegna della preoccupazione, praticamente da quando era nata e così era stato per tutti i suoi fratelli e sorelle.

    La loro famiglia era stata travolta da un vento impetuoso che aveva distrutto ognuno di loro e quella furia aveva il volto dei loro stessi genitori, quelle persone che avrebbero dovuto amarle.

    Il treno uscì dalla galleria dopo una decina di minuti.

    All’orizzonte si vedeva la linea del lago di Bracciano, adagiato nella sua tranquillità, mentre i riflessi del sole al tramonto ne arrossavano il cielo con poche nubi basse e striate.

    Il segnale del telefono fu ancora disponibile ed Eleonora sperò che la sorella la richiamasse, ma non fu così.

    Senza esitare la chiamò lei.

    La voce registrata dell’operatrice telefonica però la deluse.

    Il numero telefonico da lei chiesto è irraggiungibile.

    Chiuse la comunicazione e attese per qualche istante pensando che magari Sofia fosse in un punto senza campo telefonico.

    La breve conversazione l’aveva però agitata poiché sapeva che i guai erano di casa nella loro maledetta famiglia e che una nuova triste situazione stava per degenerare.

    Sofia non avrebbe potuto avvicinarsi al suo amato figlio Claudio, come era accaduto a lei con la figlia e la causa di questa ingiustizia era sempre riconducibile al comportamento del loro padre, ne era assolutamente sicura, ma aveva timore di pensarlo.

    Non era possibile.

    Le loro vite e quelle dei loro figli erano state sempre impossibili a causa di un egoismo bieco, inconcludente e infido, dettato da un odio innato e incomprensibile, qualcosa che andava oltre ogni logica, che si scontrava con la vita stessa, con l’amore che avrebbero dovuto avere.

    Se avessero solamente pensato a vivere diversamente sarebbero stati tutti quanti felici, sarebbe bastato poco, più comprensione, più affetto, invece qualcosa aveva sempre reciso i loro cordoni ombelicali, come se non fossero stati sangue del suo sangue, vita della sua vita.

    Perché?

    Quante volte se lo era chiesto, quante volte aveva sperato che tutto si potesse superare e risolvere, ma non era mai stato così.

    Eleonora fece ancora il numero di telefono di Sofia e attese sperando che stavolta avesse potuto risponderle, ma inutilmente.

    Cercò di pensare positivo, nel limite del possibile, poiché in fondo era solamente una chiamata senza risposta, dovuta a mille motivi, ma quando le giunse il breve messaggio iniziò a preoccuparsi seriamente.

    3

    Doveva assolutamente distruggere quelle lettere e i dati memorizzati nel computer perché si rese conto che stava rischiando di lasciare dietro sé delle prove che avrebbero potuto incriminarla.

    Silvia si spostò lentamente a causa dell’artrite che le aveva procurato per tutto il giorno dei forti dolori e si sedette di fronte alla scrivania su cui stava il computer portatile.

    Ormai era determinata ad agire così, sapendo che i rischi di tenere memorizzati quei documenti e dati compromettenti, avrebbero potuto nuocerle in quel delicato momento.

    Ci aveva pensato a lungo, per dei giorni interi, quasi incapace di decidere, di discernere cosa sarebbe stato meglio fare.

    Non era certamente il senno di poi che l’aveva spronata verso quelle considerazioni, ma l’avidità morbosa di un attaccamento ostinato al suo ego, alla paura di poter commettere qualche errore che avrebbe potuto nuocerle.

    Suo marito Stefano entrò nel salotto in quell’istante.

    Aveva un’aria cupa, gli occhi cerchiati di una persona che ultimamente si era spinta oltre le sue possibilità fisiche, superando dei limiti che gli si erano riversati contro.

    Che intenzioni hai? le domandò preoccupato.

    Ne avevano già parlato per tutto il giorno senza arrivare a un compromesso, ma ora sembrava fosse arrivato il momento di agire.

    Dobbiamo farlo, convincitene.

    Lo credi davvero? le domandò lui.

    Ne sono assolutamente convinta.

    E se avessimo bisogno di quei dati?

    Stefano Bianchi, al contrario della moglie Silvia era sicuro e perciò cercava in tutti i modi di convincerla a fare diversamente.

    Per farne cosa?

    Non saprei, ma io li terrei.

    Silvia non demorse e mostrò la sua determinazione.

    Sono compromettenti e lo sai bene anche tu gli disse con voce suadente.

    Il marito mostrò la sua disapprovazione.

    Non sono d’accordo! esclamò deciso.

    "Vuoi passare i pochi anni che hai ancora da vivere in qualche prigione?

    Adesso che hai ottantacinque anni e io ottanta non possiamo permetterci di vivere male, con tutti gli acciacchi che abbiamo, non ti pare?"

    Lui sembrò un po’ meno aggressivo.

    Forse hai ragione e …

    Forse?

    Hai ragione.

    In fondo non possiamo rischiare di perdere altri soldi per i processi che stanno intentando nei nostri confronti i nostri adorati figli.

    Già.

    Stefano Bianchi non era affatto convinto.

    Dimmi una cosa Silvia: ti sei mai pentita di come abbiamo agito nei loro confronti?

    Lei si era sempre aspettata una domanda così, sorrise sorniona avvicinandosi a lui e mostrò ancora le grinfie di cui una volta era stata dominatrice incontrastata.

    Mai! ribadì con fermezza.

    Poi fissò il marito negli occhi azzurri.

    E tu?

    Mai! rispose con decisione.

    Forse mentì.

    Lui aveva avuto dei rimorsi, si era trascinato per dei lunghi e cupi giorni alla ricerca di un motivo per cui avessero agito così.

    Era comunque sempre stato indeciso e confuso.

    I suoi stati d’animo cambiavano in continuazione, come se avesse sempre inseguito strade che sapeva fossero sbagliate, pur con la determinazione che lo aveva reso spavaldo, cinico ed egoista nei confronti delle sue stesse creature.

    Era come se in lui fossero sempre esistite due persone, una dall’animo

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