Le conseguenze dell'attrazione: Harmony Collezione
Di Julia James
5/5
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Info su questo ebook
Anche se un ignobile ricatto ha costretto Vito a mettere fine alle infuocate notti con Eloise, lui non riesce a dimenticarla. Per questo sfida la sorte e cede un'ultima volta a quel desiderio che lo divora. Quello che non sa è che questa decisione potrebbe costargli molto cara.
Julia James
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Le conseguenze dell'attrazione - Julia James
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1
La melodia si diffuse nell'aria, innalzandosi in un ultimo crescendo prima di spegnersi nel silenzio. I mormorii sommessi dei convenuti si zittirono quando il celebrante alzò le mani e cominciò a pronunciare le parole del sacramento antico di secoli.
A Vito batteva forte il cuore nel petto. Emozionato, si voltò verso la donna che gli stava al fianco.
Con un abito bianco, il viso coperto dal velo, la sposa era in attesa che lui pronunciasse le parole che li avrebbero uniti per sempre nel matrimonio...
Eloise bevve un sorso di champagne mentre si guardava intorno nel salone dell'albergo, uno dei più famosi della Promenade des Anglais di Nizza.
Il salone era gremito di ospiti ingioiellate in abito da sera, accompagnate da uomini in smoking. Ma nessun altro uomo poteva essere paragonato a quello che era con lei. Perché era semplicemente... l'esemplare maschile dal fascino più devastante che avesse mai visto, e ogni volta che lo guardava il polso accelerava il battito. Come stava succedendo anche in quel momento.
Concentrò lo sguardo sul suo fisico elegante, alto, nello smoking cucito a mano, i tratti del volto decisi. Con gli occhi gli accarezzò la pelle abbronzata, il sorriso pronto sulle labbra ben delineate mentre si esprimeva in francese, lingua che parlava correttamente come l'inglese e la sua lingua nativa, l'italiano, con altri invitati.
Come al solito lo stomaco ebbe una contrazione.
Sono proprio io a essere qui con lui? O sto sognando?
Talvolta credeva di sognare perché le ultime settimane erano state un turbinio frenetico tra le braccia dell'uomo che aveva accanto e per il quale aveva perso la testa.
I ricordi, reali e vividi, le balzarono alla mente...
Stava correndo verso il gate d'imbarco, dopo che gli altoparlanti dell'aeroporto avevano già annunciato l'ultima chiamata per il suo volo. Era la sua prima vacanza da secoli, che si era ritagliata prima di cercare un altro impiego come babysitter. Il precedente era giunto al termine quando i gemelli avevano cominciato a frequentare la scuola.
Per un poco avrebbero sentito la sua mancanza, ma ben presto si sarebbero abituati alla sua assenza, rifletté Eloise, com'era capitato a lei con una successione di bambinaie e di ragazze alla pari quando era piccola. Sua madre mancava di senso materno ed Eloise era dovuta venirne a patti, così come con il fatto di essere nata fem-mina. Suo padre, di fronte all'ostinato rifiuto della moglie di avere altri figli, negandogli il maschio che sperava, le aveva abbandonate entrambe per cercare una nuova moglie che gli avrebbe dato i figli che desiderava.
Eloise abbozzò una smorfia al pensiero di suo padre che l'aveva abbandonata per la nuova famiglia, senza più avere parte nella sua infanzia.
È per questo che ho deciso di fare la babysitter?, si chiedeva talvolta. Per dare affetto ai bambini che non ne ricevono dai loro genitori com'è successo a me?
Le piaceva il suo lavoro, anche se sua madre non l'aveva mai accettato e non capiva per quale motivo la figlia avrebbe voluto che suo padre fosse rimasto con loro. Il punto di vista di sua madre era del tutto diverso.
«I padri non sono necessari, Eloise. Le donne sono in grado di gestire una maternità da sole. E non è solo questo. Gli uomini ti illudono, quindi non si deve mai dipendere da loro. Meglio allevare un figlio da sole.»
Eloise si era imposta di non ribattere che, per la verità, lei era stata cresciuta da babysitter, non da sua madre...
Ma per me non sarà così... e non mi sceglierò mai un uomo che mi abbandonerà!
La sua vita sarebbe stata diversa da quella di sua madre... su questo era decisa. Le avrebbe dimostrato che si sbagliava. Si sarebbe innamorata di un uomo fantastico che non avrebbe mai respinto i loro bambini, che avrebbero allevato insieme con amore.
Chi fosse quest'uomo, non ne aveva la minima idea. Oh, nel corso dei suoi ventisei anni aveva avuto diversi ragazzi... Senza essere vanitosa, sapeva di essere bella e di attrarre l'attenzione maschile... ma nessuno le aveva mai toccato il cuore. Non ancora.
Ma lo troverò, ne sono sicura! Troverò l'uomo dei miei sogni. L'uomo del quale mi innamorerò.
Mentre correva verso il cancello che si stava chiudendo ringraziò di avere calzato scarpe comode, anche se vecchiotte, di viaggiare il più possibile leggera e di aver indossato una maglietta e dei jeans.
Ma forse le scarpe erano un po' troppo consunte perché all'improvviso perse l'equilibrio. Cadde a terra, il bagaglio a mano che scivolava nell'altra direzione urtando le gambe di un passeggero. Udì un'imprecazione in una lingua straniera, ma non vi fece attenzione. Il dolore era insopportabile ed emise persino un gemito.
«Si sente bene?»
L'accento straniero conferiva alla voce una certa dolcezza e quando, ancora indolenzita, Eloise sollevò il capo gli occhi misero a fuoco un paio di gambe maschili, un tessuto leggero e di classe che aderiva a muscoli sodi.
Alzò un po' di più gli occhi, e il respiro le si bloccò in gola. Fissava quella persona a bocca aperta, non riusciva a fare nient'altro.
Un paio di occhi scuri dalle lunghe ciglia la guardavano con apprensione. «Si è fatta male?»
Aveva cercato di parlare, ma la bocca non collaborava.
«Io...» gracidò. «Sì... sto bene.»
Cercò di rialzarsi ma un paio di braccia robuste la sollevarono senza alcuna difficoltà, come se lei non pesasse niente. Del resto pareva che la gravità fosse del tutto scomparsa. Aveva la strana sensazione di fluttuare a due spanne da terra.
Intorno a loro le persone parlavano, correvano, li sfioravano, ma era come se non esistessero. Lei continuava a fissare l'uomo contro il quale era andato a sbattere il suo bagaglio.
«Sicura di stare bene? Vuole che chiami un medico?»
C'era sempre quella preoccupazione nella sua voce, ma s'intuiva anche una punta di umorismo, come se lui si rendesse conto del modo in cui lei lo stava fissando.
E perché...
Le sorrise ed Eloise sentì precipitare lo stomaco. Quegli occhi fantastici la percorrevano, e lo stomaco precipitò ancora più giù.
«Credo che questo sia il suo bagaglio» le disse porgendoglielo.
«Grazie...» mormorò debolmente Eloise.
«Di nulla» ribatté lui.
Le sorrise di nuovo. Pareva non rendersi conto che lei continuava a fissarlo, abbeverandosi in quegli occhi espressivi, in quella bocca perfettamente delineata aperta in un sorriso.
Deglutì. Stava succedendo qualcosa e lei stava annaspando. Ma non aveva niente a che fare con la caduta o con il fatto che il bagaglio gli fosse andato addosso.
E subito se ne rese conto. «Ma lei, sta bene?» esclamò, il tono contrito. «Il mio borsone l'ha urtata.»
Lui fece un cenno come per lasciar perdere. «Niente... non è stato niente» la rassicurò.
Con quel frammento di cervello ancora funzionante Eloise si rese conto che quel niente era stato pronunciato in italiano, poi registrò che la stava studiando come lei stava facendo con lui. Notò che strizzava leggermente gli occhi, come se volesse prendere nota dei minimi dettagli e ciò che vedeva gli piaceva...
Arrossì e subito notò un bagliore nel suo sguardo. Era un tacito messaggio tra loro che intensificò il suo rossore, rendendola consapevole del proprio corpo e della reazione nell'essere osservata con tale intensità.
Oh mio Dio, cosa mi succede?
Non aveva mai avuto una risposta del genere allo sguardo di un uomo. Ma lui stava parlando di nuovo, così s'impose di rimettere in riga il cervello.
«Mi dica, a che cancello deve andare?»
In ritardo Eloise ricordò ciò che era stato tanto importante per lei fino a qualche minuto prima. Gli occhi schizzarono al tabellone delle partenze su cui lesse: Imbarco chiuso.
«Oh no!» esclamò disperata. «Ho perso il mio volo.»
«Dove era diretta?» le chiese.
«A Parigi...» borbottò.
Uno strano bagliore attraversò lo sguardo dell'uomo che poi, con tono suadente, aggiunse: «Che straordinaria coincidenza. Anch'io sto andando a Parigi».
C'era stata una certa esitazione mentre indicava la propria destinazione? Ma lei non ebbe il tempo di riflettere, perché l'uomo riprese a parlare.
«Poiché è colpa mia se ha perso il volo, deve permettermi di rimediare conducendola dove deve andare.»
Lei lo fissò, la bocca aperta come quella di un pesce. Un pesce che era stato pescato senza il minimo sforzo da un pescatore esperto.
«Ma non posso...» cominciò.
Lui aggrottò le sopracciglia. «Perché no?»
«Perché...»
«Perché non ci conosciamo?» la prese in giro sempre aggrottando un sopracciglio. Poi il viso si aprì in un sorriso devastante. «Ma possiamo rimediare subito.»
Incurvò le labbra in modo tale che lo stomaco di Eloise sussultò.
«Mi chiamo Vito Viscari e sono al suo servizio, signorina... poiché mi ritengo responsabile per averle fatto perdere il volo.»
«Ma non è vero» protestò Eloise. «È stata colpa mia. Sono io che sono scivolata, facendo sì che il mio bagaglio la urtasse.»
Lui alzò una mano come per chiudere l'argomento. «Abbiamo già stabilito che non è successo niente, ma ciò che conta è trovare un medico che la controlli. Abbiamo molto tempo prima che decolli il nostro aereo per Parigi.»
Eloise lo guardò confusa. «Ma non posso cambiare aereo... il mio biglietto non lo consente.»
Di nuovo quel suo sorriso divertito.
«Ma il mio sì. Ho un biglietto valido per diversi voli. Se non ne usufruisco appieno andrà sprecato.»
Eloise lo guardò. Non pareva tipo da preoccuparsi di sprecare del denaro. Lo diceva tutto nel suo aspetto, registrò, dall'abito di sartoria alle scarpe fatte a mano, fino alla ventiquattrore con il monogramma.
Ma lui continuava a parlare, mentre la sospingeva in avanti, guardandola con quell'ammirazione che le fece dimenticare tutto se non l'accelerare del battito del polso e la confusione che aveva in testa.
«Quindi» stava dicendo lui, l'accento italiano che le provocava sensazioni meravigliose, «devo proprio chiamarla solo bella signorina. Benché, se lo facessi, sarebbe solo la verità» mormorò socchiudendo gli occhi.
Lei trasse un profondo respiro. All'improvviso l'aria pareva troppo ricca di ossigeno. «Mi chiamo Eloise...» sussurrò. «Eloise Dean.»
Vito sorrise di nuovo, un sorriso caldo e intimo e lei rimase senza fiato.
«Venga» la incoraggiò, «si fidi di me, signorina Eloise Dean. Mi prenderò cura di lei.»
Eloise alzò gli occhi su di lui. Le sembrava molto alto e affascinante in modo devastante.
Senza riuscire a respirare, le labbra socchiuse, continuava a fissarlo a occhi sbarrati.
«Oh sì» riprese lui, «mi prenderò cura di lei...»
E da quel momento Vito Viscari aveva fatto esattamente questo. Solo in seguito Eloise aveva saputo che Vito non era diretto a Parigi. Avrebbe dovuto recarsi a Bruxelles. Con un sorriso ammaliatore le aveva confidato di aver cambiato destinazione per un motivo soltanto. Per corteggiarla. Con l'intento di riuscirci.
E infatti c'era riuscito, senza il minimo sforzo.
Lei non aveva opposto alcuna resistenza. Anzi, dovette ammettere, si era lasciata condurre a Parigi, la città più romantica del mondo, dall'uomo più fantastico che avesse mai conosciuto, come se si stesse realizzando un sogno.
Ed era stato così anche alcune settimane dopo. Settimane trascorse in una totale confusione, i piedi che pareva non toccassero terra, mentre Vito la conduceva attraverso l'Europa da un albergo lussuoso a un altro, tutti Viscari Hotel, la