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Un principe tra le mie braccia (eLit): eLit
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E-book164 pagine2 ore

Un principe tra le mie braccia (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Se non avete mai sentito parlare del Principato di Ambria tuffatevi in questa imperdibile serie. Amori, intrighi, passioni sotto un cielo azzurro come uno zaffiro e un mare verde smeraldo.



Janis Davos ha in mente solo una cosa: la vendetta! Il suo caro marito, l'uomo che comunque ama nonostante tutto, Mykal Marten, l'ha fatta rinchiudere in prigione e ora che lei è uscita ha intenzione di ritrovarlo e chiedergli il divorzio. Ma quando i due si rivedono Janis capisce che non è il momento. Dovrà essere sua moglie ancora per un po'.
LinguaItaliano
Data di uscita29 set 2017
ISBN9788858975794
Un principe tra le mie braccia (eLit): eLit
Autore

Raye Morgan

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Un principe tra le mie braccia (eLit) - Raye Morgan

    successivo.

    1

    «Guarda.»

    Mykal Marten allontanò leggermente le mani chiuse a coppa l'una sull'altra. Posata sul palmo aveva la farfalla più bella che Janis Davos avesse mai visto. In un ricamo rosa e argento le ali brillarono vibrando alla luce calda del sole.

    «Sta' attento!» lo pregò lei d'impulso. «Non farle del male.»

    Lui le lanciò uno sguardo interrogativo, come chiedendosi perché il suo primo pensiero fosse stato quello. «Non le farei mai del male» le chiarì con la voce roca per l'emozione. «Volevo solo che la vedessi. È così bella, così preziosa...» La voce gli si addolcì e lei lo sentì a malapena. «Mi ricorda te.»

    Con il cuore in gola, Janis sollevò lo sguardo in quello blu cristallo di lui. «Oh, Mykal» sussurrò con gli occhi lucidi. Lo scrutò intensamente sperando di leggergli la sincerità sul viso. Aveva detto sul serio? Nella vita Janis di bugie ne aveva sentite così tante che quasi temeva di credergli. Ma poi rise per la felicità.

    Spaventata dal suono improvviso, la farfalla si librò in un volo incerto sopra le loro teste, sempre più in alto finché, avvolta dalla brezza del mare aperto, non divenne che un puntino luminoso stagliato contro il cielo blu.

    La osservarono finché non sparì del tutto, quindi lei gli si appoggiò contro l'incavo del braccio. «La verità è questa, Mykal» sospirò. «Quella farfalla era il mio cuore e tu gli hai ridato la libertà» Sollevò gli occhi nei suoi sperando di trovarci riflessi i propri sentimenti, quasi temendo di restare delusa. «Non sapevo che la vita potesse essere così» considerò in tutta semplicità.

    Con un sorriso lui la strinse a sé, avvolgendola tra le braccia forti. «Nemmeno io» le confidò piano. «Non sapevo che cosa fosse l'amore finché non sei arrivata tu.»

    La baciò teneramente sulle labbra, toccandole la lingua con la punta della propria e gustando ogni sfumatura del suo sapore. «Promettimi che non ci faremo scappare questa cosa dalle dita come succede agli altri» le mormorò. «Promettimi che non dimenticheremo mai questa giornata e quello che proviamo.»

    «Te lo prometto» assicurò lei sollevandosi verso di lui per avere di più. «Non solo. Ti prometto che sarà anche meglio di così.»

    Sarà anche meglio di così. Anche meglio.

    Per quanto si sforzasse di annientarle, quelle parole le echeggiavano nella mente come una beffa. In ogni caso era stato prima, ormai era tutto diverso. Come si commemorava la fine di una storia d'amore?

    Non si commemorava. Si cercava solo di sopravviverle.

    Ed eccola lì, di fronte alla casa della famiglia di Mykal, pronta a firmare e apporre così ufficialmente la parola fine a tutto quello che erano stati l'uno per l'altra solo fino a pochi mesi prima. Si spostò la borsa a tracolla sulla spalla e avvolse le dita intorno alle sbarre della recinzione in ferro battuto che teneva lontani coloro che non appartenevano alla casa.

    Compresa lei, naturalmente. Soprattutto lei.

    Colpa della guerra, come dicevano tutti. Lei stessa si era servita di quella scusa quando aveva sposato Mykal, un uomo che all'epoca conosceva da meno di due mesi. Il loro matrimonio era stato intenso, passionale e non era durato che alcune settimane. Complessivamente, da quando si erano incontrati per la prima volta, non erano trascorsi nemmeno sei mesi, e invece le sembrava un'eternità. Colpa della guerra. Un'intera generazione di ambriani aveva ceduto a impulsi ai quali non avrebbe mai pensato. Ma era stato prima che i tamburi di guerra iniziassero a scandire il ritmo delle loro vite.

    Sia lei che Mykal si erano offerti volontari per compiti di intelligence militare. Entrambi avevano portato a termine un addestramento durissimo e quando poi si erano conosciuti, a lei era sembrato che fossero così affiatati da non poter credere che suo marito fosse potuto crescere in quella... Be', era una villa, no? Non era possibile utilizzare un termine più modesto. Lì ci viveva gente ricca. Molto ricca.

    Lei e Mykal non avevano parlato molto delle rispettive origini, ma lei non si era mai resa conto che anche lui stesse occultando il proprio passato, esattamente come faceva lei. Janis era stata quasi del tutto sicura che lui, a differenza di lei, non appartenesse segretamente a una famiglia mafiosa. Ma allora non ne aveva parlato con nessuno, a eccezione di suo fratello Rolo.

    E così in quel momento si ritrovava davanti al numero civico dove le avevano detto che abitava Mykal, a cercare di trovare il coraggio per raggiungere la porta e chiedere di vederlo. A quel posto lei non apparteneva. Il cuore impazzito le stava ballando la salsa nel petto e le ginocchia le sembravano di gelatina. Aveva una paura nera.

    Ma più di ogni altra cosa temeva il tradimento del proprio cuore. Avrebbe permesso a Mykal di calpestare di nuovo le sue emozioni? Sarebbe stata in grado di conservare viva la propria amarezza, fredda e tagliente, anche dopo averlo guardato in quei suoi incantevoli occhi blu?

    Doveva farlo. Non stava più costruendo la vita di una sola persona. Non poteva più permettersi di seguire il proprio cuore. Due mesi in un campo di prigionia le avevano insegnato a smettere di sognare e a iniziare ad affrontare la realtà, cosa che tendeva a verificarsi quando l'uomo che credevi essere l'amore della tua vita ti consegnava alla polizia segreta.

    Guardò il campanello in ottone riservato ai visitatori e si chiese che cosa avrebbe detto al maggiordomo. Doveva riuscire a entrare per vedere Mykal un'ultima volta.

    Mykal. Il solo pensiero di lui ancora le toglieva il respiro ed era una cosa che doveva controllare. Lui non l'amava più, questo le era perfettamente chiaro. Ma a lei serviva ancora la sua firma su un paio di documenti ufficiali. Dopodiché avrebbe potuto recidere gli ultimi fili che li legavano e andarsene senza più voltarsi indietro.

    Le mani le tremavano. Sarebbe riuscita a tener duro quanto bastava per portare a termine la cosa? Doveva farlo.

    La strada era deserta. Nella penombra si delineavano solo dei mucchi di neve grigia. Era stato un viaggio lungo e faticoso e lei si era affrettata per arrivare prima del calare della notte.

    «E adesso?» mormorò tra sé. «Suono? E se mi rispondono niente visite, che cosa faccio? Gli pianto una grana? Che cosa devo fare?»

    A un tratto, un furgoncino adibito al trasporto malati svoltò nella strada a sirene spiegate. Con un balzo Janis si nascose dietro un cespuglio. Era diretto proprio a quella casa. In qualche modo lo sapeva. E infatti quando voltò verso di essa, i cancelli in ferro iniziarono ad aprirsi.

    Nonostante tutto, era ancora veloce e ingegnosa. Non sapeva se il furgoncino venisse a prendere qualcuno o ce lo portasse, ma quella poteva essere l'unica occasione di entrare in casa senza che nessuno le intimasse l'altolà. Cercando di non dare nell'occhio, si strinse addosso la borsa a tracolla con i documenti e scivolò oltre i cancelli a fianco del furgoncino, stando ben lontana dai punti in cui gli specchietti laterali avrebbero potuto rifletterla. Indossava ancora la tuta blu che le avevano fatto mettere al campo di prigionia e in quel momento ne fu lieta. Chiunque l'avesse intravista, avrebbe creduto che portasse l'uniforme e facesse parte della squadra del furgone. E così avrebbe avuto l'opportunità di trovare Mykal prima che qualcuno la cacciasse fuori a calci.

    Il furgoncino entrò e si fermò lentamente, facendo poi retromarcia verso la grande scalinata. Dalle due ante spalancate dell'ingresso, un domestico stava già scendendo verso il furgone. Janis prese la direzione opposta e nessuno parve notarla poiché l'attenzione di tutti era rivolta al mezzo da cui era sceso in fretta un paramedico che gridava ordini all'autista.

    Era già quasi entrata, quando una voce la fermò.

    «Ehi!»

    Trasalì sollevando gli occhi. Dall'ambulanza un medico la stava guardando. «Senta, signorina» la chiamò. «Può accertarsi che dentro siano pronti a riceverlo?»

    «Oh.» Le venne quasi da ridere per il sollievo. «Certo. Non c'è problema.»

    «Grazie.»

    Ecco la risposta all'interrogativo. Stavano portando qualcuno. In una casa tanto grande dovevano vivere un sacco di persone.

    Ancora qualche passo e si ritrovò all'interno. Lanciò una rapida occhiata all'ingresso meravigliosamente arredato e alle ampie scale che portavano al secondo piano. Doveva escogitare il modo di trovare Mykal: in una casa tanto grande non sarebbe stato uno scherzo.

    «Sì? Le posso essere d'aiuto?»

    «Oh!»

    Ruotò su se stessa e si trovò di fronte un gentiluomo dall'aspetto distinto e dagli abiti formali. L'avevano beccata. Doveva pensare alla svelta. Non sapeva di preciso che cosa stesse accadendo, quindi era difficile valutare la situazione. Le serviva una storia che calzasse a pennello. Per fortuna, l'addestramento per l'intelligence militare fece il proprio effetto.

    «Sono entrata con il furgoncino per il trasporto infermi» spiegò, ben attenta a non mentire in alcun modo. Lanciò uno sguardo all'ambulanza parcheggiata in retro davanti alle scale. Le porte erano spalancate e stavano scaricando qualcuno su una barella. Era un uomo dall'aspetto... familiare.

    Il cuore le si fermò. Janis vacillò.

    L'uomo sulla barella era Mykal.

    Mykal!, urlò la mente e per la frazione di un secondo vide tutto nero. Mykal era ferito. Tutto l'amore, tutti i sentimenti le si riversarono addosso: la rabbia, il dolore, il tradimento... Ma subito svanirono in un nuvola di fumo. Mykal era ferito. Ogni particella del suo essere pretese che lei andasse da lui.

    Solo che non poteva. Gli vide muovere la testa. E persino annuire in risposta a qualcosa che gli aveva detto un paramedico. Un senso di sollievo le riempì il cuore: almeno era cosciente.

    Già, ma che cosa aveva? Era ferito? Malato? Non avrebbe saputo dirlo, ma sapeva quale doveva essere il suo piano. Le si delineò chiaro nella mente alla velocità di un lampo. Agli occhi degli abitanti della casa sarebbe dovuta sembrare un membro della squadra addetta al trasporto infermi e invece a quelli dei paramedici doveva apparire una del personale in servizio alla villa. Mykal era ferito e per il momento lei avrebbe dovuto fingere di non conoscerlo. Fino a quando non avrebbe avuto l'occasione di vederlo da sola, non poteva permettersi che qualcuno sapesse chi era e per quale motivo si trovava lì. Chissà, magari esisteva anche l'ordine di tenerla lontana.

    La cosa sarebbe stata molto complicata perché al tempo stesso avrebbe dovuto restare fuori del campo visivo di Mykal. Se solo, sollevando lo sguardo, lui l'avesse vista...

    Il pensiero durò la frazione di un secondo. Comportarsi come una della casa che sapeva che cosa fare era la chiave vincente, secondo quello che aveva imparato in addestramento. Si girò verso il maggiordomo e riuscì a rivolgergli un sorriso da vera professionista.

    «Se potesse indicarmi la stanza in cui lo metterete... Vorrei accertarmi che la sistemazione sia confacente ai suoi bisogni.»

    L'uomo esitò un istante e lei credette di vedergli un cenno di sospetto nello sguardo. Ma non disse nulla. Anzi. Indietreggiò, le rivolse un inchino di benvenuto, quindi si girò e le fece strada lungo l'ampia scalinata fino a raggiungere una stanza sul retro.

    «Abbiamo deciso di preparargli una stanza da letto qui al primo piano invece della sua solita suite, in modo da poter evitare le scale» le spiegò e lei annuì approvando dopo aver dato una rapida occhiata all'interno. A quelle parole però non poté fare a meno di chiedersi se fosse su una sedia a rotelle. Era paralizzato? Al pensiero rabbrividì.

    «Mi sembra perfetta» concordò notando il bagno annesso. In fondo era più grande e più bella di ogni appartamento in cui lei avesse abitato e non era che una camera per gli ospiti! «Sono sicura che riusciremo a metterlo a proprio agio qui.»

    Uno dei paramedici che accompagnavano Mykal lanciò un grido e lei congedò il maggiordomo con un gesto. «Credo che la squadra medica necessiti delle sue direttive ora.»

    «Certo.» L'uomo le lanciò uno sguardo perplesso, ma fece come lei gli aveva suggerito e Janis sospirò lasciandosi cadere di peso sul letto e prendendosi il capo tra le mani. Era una cosa incredibile, tanto complessa quanto ogni altro incarico sotto copertura che le avevano affidato. Avrebbe dovuto ridere – di se stessa, per quello che faceva, e

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