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Fino all’ultimo respiro
Fino all’ultimo respiro
Fino all’ultimo respiro
E-book308 pagine4 ore

Fino all’ultimo respiro

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Info su questo ebook

“Fino all’ultimo respiro” è un romanzo corale con al centro i due protagonisti, Fabrizio e Maria Grazia, che cominciano la loro storia ad inizio degli anni settanta in un liceo di una periferia sud di Roma. L’amore tra i due è unico e speciale, fino a quando...
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2012
ISBN9788867516063
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    Anteprima del libro

    Fino all’ultimo respiro - Claudio Pace

    L’Ospedale

    I

    Dopo le periferie e le borgate, oltre ettari di prati incolti dove i pastori portano il proprio gregge c’è Spinaceto, un ideale ponte tra Roma e Pomezia. Situato a sud del Grande Raccordo Anulare, da cui dista circa un km, è delimitata a nord e a ovest da via di mezzo camino, a est dalla via Pontina.

    Il termine Spinaceto appare storicamente già dal 1536 per indicare una tenuta confinante con quella di Decima. Il piano regolatore generale ne decreta la nascita ufficiale nel 1965.

    Il progetto, nato dalle spinte utopistiche urbane è molto interessante: le case sono situate ai lati delle due strade principali e tutti i negozi al centro di esse, divise da lunghi ed ecologici viali alberati.

    E’ caratterizzata da alcuni grandi palazzi di otto piani che si sviluppano lungo i due viali principali: viale dei caduti per la Resistenza e viale dei caduti nella guerra di Liberazione.

    Alla fine degli anni ’60, vengono consegnate le chiavi di casa ad un drappello di persone, pionieri di quella fetta di terra dell’agro pontino, bonificata nel ventennio da paludi e zanzare.

    Sebbene previsto dal piano regolatore, mancano quasi del tutto spazi culturali quali cinema e musei.

    Doveva essere un quartiere modello, simbolo di nuove espressioni architettoniche, ma nulla di questo viene realizzato.

    D’altronde si sa: progettisti ed architetti di case popolari non passano neanche per sbaglio in questi luoghi, figuriamoci se ci vanno ad abitare.

    Come tutte le periferie, diventa subito un dormitorio. L’unica eccezione è l’enorme quantità di verde. Oltre i viali alberati esistono distese di prati dove i ragazzi giocano a pallone e le mamme raccolgono la cicoria.

    Per il resto regna sovrano il silenzio dentro ed intorno al quartiere. Una bolla invisibile che circoscrive l’intera zona.

    Ma il peggio è la notte: si rimane svegli e concentrati ad ascoltare il rumore di una macchina. Spesso diventa interminabile il tempo che intercorre nel passaggio dal rumore del motore di un’auto al successivo.

    Una prigione senza sbarre, nessun punto di aggregazione che non sia la chiesa o i campi di calcio.

    I negozi, si fa per dire, sono baracche di lamiera dove c’è chi vende il pane e gli affettati o articoli per la scuola. Solo un’edicola troneggiava al centro del serpentone, unico simbolo di appartenenza alla città.

    In ognuno c’è la paura di rimanere emarginati, per questo è più facile fare conoscenze: è un modo per sentirsi meno soli. Si entra nelle case dei vicini per guardare gli appartamenti appena consegnati, ancora odoranti di vernice fresca.

    Si chiedono e si danno consigli. C’è la voglia di trovare dei punti fermi, degli interessi comuni. Il senso di solidarietà è forte quando nasce un quartiere.

    Ci si comporta come in seguito ad una emergenza: i medesimi disagi diventano il primo punto di aggregazione.

    Insieme è più facile risolvere i problemi comuni.

    Tutti si sentono in verità come i pionieri del Far West: l’unica vera differenza è che oggi i cavalli sono quelli delle macchine.

    Le conoscenze avvengono in poco tempo. In un quartiere chiuso e periferico s’incontrano sempre le stesse persone e questo solleva soprattutto le mamme, liberate dalle proprie ansie e angosce protettive verso i propri figli.

    Ladri, rapinatori e stupratori hanno altro da fare che frequentare quei posti. Se tra loro ci abita qualcuno certamente va a lavorare fuori zona.

    I palazzi sono suddivisi in otto lotti, tutti di otto piani.

    Le famiglie sono per lo più modeste e monoreddito; nella quasi totalità lavorano solo gli uomini. Provengono da ogni zona di Roma: chi è sfollato, chi abita in baracche, chi in case di periferie con spazi più piccoli.

    Sono quasi tutti originari del centro sud ed hanno vissuto la loro adolescenza a cavallo della seconda guerra mondiale tra stenti e paura.

    Nei palazzi si intrecciano i vari dialetti e spesso le conoscenze ed i contatti avvengono per appartenenza alla stessa regione di provenienza.

    Privacy è solo una parola in inglese. Le mamme entrano ed escono di casa in casa, anche all’ora di pranzo.

    I ragazzi spesso si trovano a mangiare nel tavolo con accanto tre o quattro signore intente a scambiare i loro pettegolezzi.

    Ma l’invasione vera e propria avviene di pomeriggio, quando oramai le faccende domestiche sono espletate.

    Gruppi di matrone con gambe fine e fianchi larghi, tra una fetta di ciambellone ed una tazza di caffè, riescono a sparlare di tutte le assenti, senza sapere che lo stesso stanno facendo le non presenti con loro in un’altra casa.

    Complimenti e parole positive per i presenti, critiche feroci per chi non c’è.

    Da sempre è la stessa ricetta di sopravvivenza alla monotona e sempre uguale vita quotidiana.

    In estate il quartiere diventa un deserto, poche famiglie rimangono a patire l’afa e a sentire i grilli.

    I ragazzi e le madri vanno a trascorrere i tre mesi di vacanze scolastiche nel paese dei nonni: chi in Abruzzo, chi in Calabria, chi in Campania e così via.

    Sotto il solleone rimangono solo i mariti che continuano a lavorare fino ad agosto, quando, finalmente, prendono la macchina e si ricongiungono con il resto della famiglia.

    Come nei paesi, il giorno più importante della settimana è la domenica.

    Gli uomini formano vari gruppi sotto i palazzi, appoggiati alle ringhiere che delimitano i giardini. Parlano sempre dei soliti argomenti: calcio, politica, calcoli per arrivare all’agognata pensione, motori e donne. Non sempre seguono quest’ordine.

    Qualcuno racconta barzellette sconce e d’improbabili performance sessuali.

    Continuamente accendono sigarette e buttano i mozziconi in strada. Chi non fuma è una mosca bianca.

    Per i ragazzi la principale attività è quella di rimorchiare: alcune loro coetanee ci stanno subito, altre rifiutano aspettando quello giusto, altre ancora fuggono arrossendo in volto agli approcci, in genere poco eleganti.

    Chi tra loro non è ancora interessato all’altro sesso, prende esempio dai propri padri formando dei capannelli dove gli argomenti sono: calcio, motori, programmi visti in televisione e barzellette sconce. Non sempre seguono quest’ordine.

    Le donne vanno a messa e poi tornano in fretta a casa.

    C’è da continuare la cottura del sugo, lasciato bollire a fuoco lento per ore. Dal vano dell’ascensore e dalle rampe delle scale si mischiano i vari odori di preparati importanti, tipico della domenica.

    Vengono preparati cannelloni, lasagne, fettuccine o gnocchi di patate.

    Ogni domenica si assiste all’identico rito, una sacralità ripetuta e costante, l’evento settimanale di ogni famiglia.

    La tovaglia, ancora profumata di bucato di sapone di marsiglia, viene dapprima srotolata per poi adagiarsi sul tavolo.

    Per l’occasione si mangia in sala da pranzo: si apparecchia con posate, bicchieri e piatti utilizzati solo per quel giorno.

    Dopo l’abbondante primo c’è il secondo a base di carne (pollo o fettine di vitello) con contorno di verdure di stagione. A seguire frutta e dolce (crostata o ciambellone).

    Si termina con il caffè corretto alla sambuca.

    A fine pasto le mogli e le figlie sparecchiano e lavano i piatti.

    Riassestata al meglio la casa, si danno appuntamento da una di loro per ricamare e cucire con le bocche.

    Ore a parlar di tutto meno che di se stesse.

    Tra un ciarlare e l’altro arriva il calar della sera, momento nel quale si rientra nelle proprie abitazioni per preparare la cena.

    Qualcuna propone gli avanzi del pranzo, altre cucinano ancora: carne ed insalata di stagione, frutta e dolce.

    Gli uomini rimangono a casa ad ascoltare alla radio tutto il calcio minuto per minuto. La voce dallo studio centrale è quella di Roberto Bortoluzzi, i collegamenti con le partite più importanti sono scandite dalle inconfondibili voci di Enrico Ameri e Sandro Ciotti.

    La trepidazione, la febbrile attesa e la speranza di sentire un radiocronista intervenire per il gol della propria squadra del cuore, sono emozioni uniche che puntualmente si ripropongono ogni domenica.

    Persone incollate alla radiolina con vicino la schedina del totocalcio. In quei novanta minuti che è il tempo di una partita, le mogli potrebbero portarsi gli amanti in camera da letto senza che i mariti abbiano da risentirsi.

    Ad ogni cambiamento di risultato si gioisce perché la meta è più vicina o ci si avvilisce perché l’obiettivo si allontana.

    Tutti a sperare nel tredici milionario: un sogno, un rito settimanale per un cambiamento della propria anonima esistenza che mai accadrà.

    Dopo aver visto in TV la domenica sportiva, si va a letto con la consapevolezza che le luci della domenica sono oramai spente.

    In breve tutto intorno si ammanta di silenzio.

    Il giorno dopo è lunedì.

    Fabrizio quattordici anni, figlio unico, ora vive in una casa enorme per i suoi ancor adolescenti occhi. Possiede una stanza tutta per lui, grande come l’intera abitazione da dove proviene prima di arrivare a Spinaceto.

    Assapora questa nuova realtà come la realizzazione di un sogno, come un sovrano che ha acquisito nuovi possedimenti. I suoi sensi percepiscono solo sensazioni piacevoli ed eccitanti: alla sua età il senso critico e le difficoltà che può incontrare un ragazzo in un quartiere così periferico non lo toccano.

    Quando si proviene da ambienti nei quali le condizioni di vita sono decisamente peggiori, avere cento metri di casa senza l’umidità, con i riscaldamenti, l’acqua calda, l’ascensore, la cantina, i balconi, le serrande ed addirittura due bagni, basta ed avanza.

    Tutto il resto non conta.

    La sua stanza è spaziosa. I genitori gli hanno acquistato una scrivania in finto noce, sopra la quale c’è una lampada metallica grigia. La poltroncina è nera, da ufficio, con un pulsante che ne regola l’altezza. Ha un proprio armadio, quasi del tutto vuoto per la verità, di color panna con decori di legno chiaro. Le stesse tonalità del letto. Le pareti sono tappezzate da carta di color turchese chiaro, forniti direttamente dalla ditta di costruzioni.

    Gli arredi sono inseriti a caso, certamente provengono da occasioni o saldi, ma anche questo per lui non ha importanza.

    Si gode la nuova realtà, anche se il posto che ha abitato è ancora vivo nella sua mente. In questi suoi pensieri chi le ritorna in mente è Annarella, una tredicenne vicina di casa del quartiere appena lasciato, che gli si è proposta apertamente.

    Mentre lei passa, Fabrizio vuole mettersi in mostra ed effettua una manovra in bicicletta molto azzardata. Cade, proprio ai suoi piedi.

    Lei ride in maniera fragorosa. Ti è piaciuta il volo che ho fatto?.

    No, mi piaci tu!, replica lei.

    Lui non si aspetta una risposta di questo tipo, è chiaramente impreparato, ma è sempre Annarella a prendere l’iniziativa.

    Gli dà un bacio sulle labbra e poi fugge sorridendo.

    Purtroppo da lì a pochi giorni Fabrizio parte in vacanza, va al paese dei suoi nonni e da lì direttamente a Spinaceto. In quel quartiere non torna più

    Annarella rimane solo un dolcissimo sogno che torna ogni sera a ricordargli il suo primo sussulto provato per una ragazza.

    Non l’avrebbe più rivista.

    Domani è il primo giorno di scuola. E’ comprensibile il suo stato d’animo: non riesce a prendere sonno, si gira continuamente da una parte all’altra del letto. L’attesa si trasforma in ansia. Tante domande suoi professori e sui nuovi compagni di classe che per la prima volta non sono solo maschietti.

    Chissà, magari c’è anche la ragazza giusta per lui.

    Il liceo Scientifico è all’interno del quartiere. Ovviamente è di nuova costruzione. La sua vita, come quella degli altri ragazzi, si sarebbe consumata per i prossimi anni nel raggio di poche centinaia di metri, in un recinto senza staccionate.

    Il primo ottobre del 1970 è per Fabrizio una data speciale: inizia l’avventura scolastica. La scelta del liceo scientifico è stata dettata dai suoi genitori. La madre vuole che diventi medico, il padre, pur senza mai manifestarlo, spera in un futuro da ingegnere.

    La strada è appena iniziata, una lunga maratona da percorrere per i prossimi dieci anni.

    Forte è il suo disagio ed imbarazzo nell’essere accompagnato da sua madre fino al cancello di entrata.

    La campanella che suona, lo smistamento nell’aula, la scelta dei posti e la conoscenza con Carlo, il suo primo compagno, casuale, di banco.

    Sguardi spaesati e curiosi che sbirciano i nuovi compagni di avventura. La prima professoressa è un’anziana insegnante di italiano latino e storia.

    Durante l’appello si rimane concentrati per ricordare i nomi degli altri alunni.

    Poi la prima lezione di latino: rosa, rosae, rosae, rosam, rosa, rosa, rosae, rosarum, rosis, rosas, rosae, rosis.

    Alla seconda ora c’è sempre la professoressa Calanca. Questa volta si passa a studiare l’Eneide.

    Alla terza per fortuna viene l’insegnante di religione.

    Suona la campanella della ricreazione. Qualcuno già si conosce, probabilmente sono vicini di casa.

    I più intraprendenti cominciano a scambiare qualche parola. Altri, come Fabrizio, sono in disparte e mangiano panini.

    Nell’ultima ora vanno con il professore di ginnastica a visitare la palestra. E’ grande ed accessoriata: ci sono le funi e le pertiche, il quadro svedese, la cavallina, il parquet per giocare a basket e porte per la pallamano.

    Tulli, il nome del professore, dice ai ragazzi di dotarsi durante le ore di educazione fisica di canottiera e pantaloncini di colore giallo verdi da acquistare in un negozio sportivo nei pressi della Fiera di Roma sulla Cristoforo Colombo.

    All’uscita si torna a piedi nelle rispettive case a raccontare il primo giorno di scuola da grandi alle proprie mamme.

    Il liceo, che non ha ancora un nome, è enorme rispetto al numero d’iscritti.

    L’intera struttura presenta una sezione, la A, con solo quattro classi. Manca, ovviamente, il quinto: trattandosi dell’ultimo anno i genitori hanno preferito lasciare i figli nei vecchi licei.

    All’interno, a piano terra, c’è un’ampia sala per assemblee, che viene utilizzata anche per feste durante i periodi di natale e carnevale.

    Fuori, è presente un altro campo di basket più uno di pallavolo. Curiosamente, i ragazzi snobbano quest’ultimo sport, ritenuto adatto solo per le ragazze.

    Passati i primi giorni di ambientamento, la nuova realtà viene in breve tempo deglutita ed assimilata.

    Fabrizio, come tutti gli altri della classe, comincia a fare conoscenza.

    A quell’età i due universi, femminile e maschile, appartengono a due galassie lontanissime: enorme le differenze tra i due sessi. Le ragazze sono fisicamente formate e già pensano da donne.

    I ragazzi sono ancora nell’età dello sviluppo e non hanno ancora abbandonato i giocattoli. Tra di loro si fanno stupidi scherzi goliardici che, non di rado, provocano dolori (lo schiaffo del soldato, tre tre giùgiù)

    E’ naturale il formarsi di due gruppi.

    Per fortuna, a fare da collante, ci pensano Roberto e Adriano. Prodighi nel fare battute e complimenti alle femminucce, rimbalzano così tra i due gruppi, facilitando, di fatto, le iniziali relazioni.

    Al di fuori della scuola, il resto delle giornate scorre in maniera assai simile. Fabrizio trascorre il tempo un po’ sui libri, molto a giocare a pallone nei campi improvvisati con le pietre dentro le buste di plastica a fare da pali.

    Ovunque tanti prati dove poter giocare a pallone, la libertà di poter uscire senza che i genitori stiano in apprensione o con l’ansia.

    Si fanno sfide tra i ragazzi dei vari lotti, ognuno dei quali ha due squadre ufficiali: quella dei grandi (18÷20 anni) e la primavera (14÷17 anni). Gli incontri sono molto sentiti con una cornice di pubblico spesso numeroso.

    Ci si cambia all’aperto. Qualcuno timido cerca di appartarsi, i più vanitosi ne approfittano per mettersi in mostra esibendo il proprio corpo.

    Assistono anche adulti che tifano in maniera becera per la squadra del proprio lotto. Non mancano le prime fidanzate degli improvvisati calciatori, mentre altre cercano di mettersi in mostra per trovare un ragazzo.

    Un po’ per il contorno, un po’ per l’onore ed il senso di appartenenza, nessuna squadra vuole perdere.

    Per questo, spesso, le partite degenerano prendendo un andamento diverso dal rispetto delle regole. Non di rado si termina con risse alle quali partecipano anche gli spettatori. Quando si riesce a giocare regolarmente sino al termine dell’incontro, la squadra perdente si deve sorbire anche gli sfottò dei vincitori. Naturalmente i contenuti di tali frasi non provengono dal dotto linguaggio dell’accademia della Crusca.

    I ragazzi tornano a casa sudati e stanchi, qualcuno anche con qualche livido. Pochi con la borsa, molti con le buste di plastica, dove sono buttati la maglietta ed i calzoncini.

    Il redaggio di una cultura contadina è ancora presente nelle famiglie. Quasi nessuno si fa il bagno o la doccia: quelle pratiche sono riservate solo di sabato sera o di domenica mattina. Ci si limita a darsi una sciacquata nel lavabo.

    Un breve ripasso per le materie del giorno dopo, cena e di corsa a guardare la televisione: telegiornale, carosello ed il film.

    Alle ventidue a dormire.

    Dopo quasi un mese di scuola, mentre la professoressa Calanca spiega l’Iliade, entra il preside con sei studenti provenienti da Pomezia, cittadina a una ventina di km da Spinaceto.

    Il nome Pomezia deriva dal toponimo di un’antica città volsca o latina, Suessa Pometia, la cui posizione non è stata mai individuata. Il nome potrebbe anche riferirsi alla città dei pomi, frutti, e riconnesso all’immagine della dea romana Pomona, presente anche nello stemma del comune.

    Pomezia si trova nell’Agro romano e si estende a sud di Roma, con ai lati la veduta dei Castelli Romani e del mar Tirreno.

    Anticamente il territorio è a forte vocazione agricola: i boschi di sugheri, olmi e querce si alternano alle dune ricoperte di macchia mediterranea, dalle ginestre ai rovi di mare. Qua e là si aprono le zone paludose.

    La bonifica di epoca fascista cambia radicalmente lo scenario della zona, insieme alla forte industrializzazione che prende piede a Pomezia e dintorni.

    Del territorio di un tempo si conservano una bella fetta costiera ed il bosco della sugherata.

    Oltre a ridisegnare il territorio, il fascismo decide a tavolino l’assetto della Pomezia attuale.

    Essa è una città di fondazione, progettata per filo e per segno secondo uno schema preciso, teoricamente completa ancor prima di aver posizionato le prima fondamenta. Linee semplici e materiali di costruzione rigorosamenti italiani sono ingredienti immancabili.

    La nascita di Pomezia fa seguito, quindi, alla riqualificazione della palude pontina, che dà origine a Latina, Sabaudia, Pontinia, e svariati altri centri rurali minori comunemente appellati come Borghi.

    I primi insediamenti di Pomezia sono inaugurati nel 1939.

    La popolazione iniziale consiste di famiglie coloniche: i primi arrivi sono dalla Romagna, poi dal Veneto e Friuli. I poderi assegnati ai coloni sono comprensivi di un casolare e di un appezzamento di terra coltivabile.

    Nel dopoguerra Pomezia cambia la sua storia diventando un importante centro industriale del Lazio in virtù della sua vicinanza a Roma e dell’inclusione del suo territorio tra le zone beneficiarie delle politiche di sviluppo economico della Cassa del Mezzogiorno.

    I sei ragazzi vengono presentati e fatti accomodare nei banchi ancora vuoti, sono i nuovi compagni della IA: Ezio, Giancarlo, Maurizio, Ennio, Linda e Maria Grazia.

    I nuovi non impiegano molto tempo ad integrarsi. Per arrivare prendono il pullman che da Pomezia va all’Eur. Scendono sulla Pontina all’altezza della scuola. Per gli altri che hanno il Liceo a pochi metri sembra un viaggio enorme. Naturalmente sul viaggio della diligenza, come viene da subito ribattezzato, si sprecano le battute del tipo: avete incontrato gli indiani?, il generale Custer è arrivato?, avete portato le provviste?.

    Ezio è un ragazzone grande e grosso. Non bravo a scuola, eccelle ovviamente a basket, ma la sua particolarità è la bontà che rasenta l’ingenuità che lo fa diventare agli occhi della classe il gigante buono.

    Spesso viene preso anche in giro, ma nessuno si ricorda di averlo mai visto usare le mani.

    Per questo motivo la classe intera rimane dispiaciuta nell’appurare che, pur promosso al secondo anno, non prosegue gli studi in quanto va ad aiutare la famiglia a gestire un bar nel centro di Pomezia.

    Giancarlo ha capelli ricci, neri e pelle scura. Non poteva che essere ribattezzato er negro. Tanto bravo nelle attività sportive quanto scarso in qualunque materia scolastica. Bocciato alla fine dell’anno scolastico, non torna più al liceo.

    Maurizio, biondo ed occhi verdi, genio in matematica, attivista fascista, partecipa spesso a scontri nel centro di Roma con estremisti di sinistra, accompagnato da persone più grandi di lui.

    Ennio, sempre perennemente con la frangetta, pelle chiara e piena di lentiggini, al contrario di Maurizio è negato per le materie scientifiche ma bravo in latino e storia. Classico esempio di scelta scolastica sbagliata.

    Linda e Maria Grazia sono nella fila centrale, al terzo banco. La prima ha origine campane e conserva ancora un accento che non lascia dubbi sulla sua provenienza.

    Ha capelli lunghi, lisci e sottili, di colore castano scuro. Gli occhi sono neri e la pelle sembra perennemente abbronzata per quanto è scura. E’ magrissima.

    La seconda ha origine friulane da parte della mamma.

    Suo nonno, infatti, come altre famiglie del nord, viene ad accrescere e popolare l’estesa zona che da Pomezia arriva fino a Latina.

    I suoi geni nordici si manifestano con il classico fenotipo con occhi azzurri e capelli quasi biondi.

    E’ meno magra di Linda, le gambe sono lunghe ed affusolate e le mani sembrano quelle di una pianista.

    Anche una piccola imperfezione del canino destro, leggermente sporgente, sui di lei non è un difetto, anzi la rende ancora più affascinante.

    Una caratteristica peculiare di Maria Grazia è il suo modo di parlare, sempre con toni pacati e misurati, senza inflessioni dialettali.

    Ha un senso leggero della vita che la porta ad ironizzare anche su se stessa.

    Ma ciò che la rende unica sono la dolcezza dei suoi occhi ed il suo sorriso timido e composto, ma allo stesso tempo intrigante.

    Fin dal momento del suo arrivo, Fabrizio si perde quasi subito dentro quegli occhi color cielo.

    Per la prima volta sente un malessere allo stomaco, uno scombussolamento nuovo, bello ma non controllabile, le tempie che pulsano, le scosse ogni volta che le è vicino.

    Qualcosa sta nascendo dentro di lui, qualcosa che prende corpo e forma.

    L’amore arriva senza chiamata, all’improvviso. Arriva e basta e non ci si può far nulla, se non lasciare che ti percorra per intero.

    L’amore si è materializzato ed ha un nome: Maria Grazia.

    La immagina in ogni suo momento: nella sua stanza mentre studia, in cucina quando mangia e soprattutto come trascorre le sue giornate.

    E’ il suo ultimo pensiero quando si addormenta ed il suo primo al momento del risveglio.

    Solo il vederla ogni mattina a scuola basta a fargli passare una felice mattinata. Mentre l’insegnante di turno spiega la lezione, lui spesso posa i suoi occhi su di lei, cercando di celare lo sguardo al resto della classe.

    Durante le ricreazioni o nei momenti di buco, a volte, riesce a scambiarci delle frasi. Poco, troppo poco per conoscerla meglio e per poterle manifestare il suo sentimento.

    Lei è fidanzata con Marco, un ragazzo di Pomezia che lavora in un centro interventi auto di vario tipo: meccanica, cambio gomme, verniciatura ed altro.

    Il padre di Maria Grazia, Adolfo, possiede una vecchia 1100 bianca ed è uno dei clienti più assidui.

    A volte Marco riporta la macchina riparata direttamente a casa di Adolfo ed è così che ha modo di conoscere Maria Grazia. In seguito la invita e da lì a poco si mettono insieme.

    Lui ha 19 anni ed uno stipendio sicuro a fine mese. La passa a prendere ogni pomeriggio dopo che lei finisce i compiti. Vanno al cinema, a volte al mare di Tor Vajanica, spesso si fermano fuori il bar Il Gabbiano a Pomezia con gli altri amici del

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