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Radici e Sangue
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E-book226 pagine5 ore

Radici e Sangue

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Info su questo ebook

Non siamo in presenza di un romanzo o di racconti i quali, basati su fatti realmente accaduti, presentino i contorni della letteratura di svago, sia pur offrendo interessanti spunti di riflessione. Ora determinati personaggi assumono la loro vera identità, protagonisti e comprimari di una vicenda che ha come sfondo l'intreccio tra politica e criminalità mafiosa. Il velo che copriva realtà nascoste riguardanti il potere politico era già stato sollevato nel libro Radici e Potere. Ma qui la storia assume i contorni della tragedia, con numerosi servitori dello Stato caduti sotto il piombo di Cosa nostra.
LinguaItaliano
Data di uscita21 set 2012
ISBN9788867515615
Radici e Sangue

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    Anteprima del libro

    Radici e Sangue - Gianni Pesce

    Gianni Pesce

    RADICI E SANGUE

    Youcanprint Self – Publishing

    Copyright © 2012

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)

    Tel. 0832.1836509

    Fax. 0832.1836533

    info@youcanprint.it

    www.youcanprint.it

    Titolo | Radici e Sangue

    Autore | Gianni Pesce

    Immagine di copertina | © creative - Fotolia.com

    ISBN | 9788867515615

    Prima edizione digitale 2012

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941

    Prefazione

    Non è facile per me scrivere l’introduzione a questo libro; sono lieto di essere stato scelto sebbene abbia provato a dire a mio padre di affidare questo compito a qualcuno più autorevole di me. A differenza delle precedenti opere infatti non siamo in presenza di un romanzo o di racconti i quali, basati su fatti realmente accaduti, presentino i contorni della letteratura di svago, sia pur offrendo interessanti spunti di riflessione. Ora determinati personaggi assumono la loro vera identità, protagonisti e comprimari di una vicenda che ha come sfondo l’intreccio tra politica e criminalità mafiosa.

    Il velo che copriva realtà nascoste riguardanti il potere politico era già stato sollevato nel libro Radici e Potere. Ma qui la storia assume i contorni della tragedia, con numerosi servitori dello Stato caduti sotto il piombo di Cosa nostra. Non sono un esperto di mafia, la mia conoscenza del fenomeno non va oltre un modesto bagaglio di nozioni formatosi in seguito ad un certo interesse nei confronti dell’argomento; malgrado ciò ho insistito con mio padre affinché stavolta desse un taglio diverso al suo lavoro letterario. Dopo aver letto il libro posso dire che sono contento della scelta fatta; ciò che pensavo prima che questo volume fosse terminato ora lo sostengo con ancora maggior convinzione: le vicende in esso narrate DEVONO venire alla luce, essere conosciute, sia pur a distanza di anni. Non può finire tutto nell’oblio, senza che si conosca una vicenda umana, oltreché professionale, che può rappresentare uno stimolo per una riflessione profonda in un paese che sembra voler ignorare una parte (rilevante) scandalosa e tragica della sua storia, un paese, come dicono alcuni, sotto morfina. Ricordo un cittadino palestinese con cui ero entrato in contatto per motivi professionali. Si parlava della complicata situazione in Medio Oriente e dei motivi che avevano portato al drammatico e tutt’oggi irrisolto conflitto arabo-israeliano. Alla mia esortazione riguardante il lasciarsi alle spalle il passato e guardare avanti lui mi rispose: il presente dipende dal passato, il presente E’ il passato!……. Forse israeliani e palestinesi dovrebbero veramente cercare di scrollarsi di dosso il peso della storia, se vogliono volgere al meglio una situazione difficile e dolorosa come quella che vivono da tanto, troppo tempo. Quella frase però mi è rimasta scolpita nella mente: credo che riferita all’Italia possa avere una valenza particolare. Oggi alcuni frammenti di verità scottanti sono venuti a galla ed il tema delle collusioni tra politica e malavita organizzata, con contorno di omicidi, bombe e uso di qualsiasi mezzo pur di arrivare allo scopo è più che mai attuale. Si sta cercando ad esempio uno spiraglio di luce, di chiarezza circa la famigerata trattativa tra Stato e Cosa nostra, che sarebbe avvenuta agli inizi degli anni ’90. Si è anche verificato uno scontro politico a tal proposito, segno inequivocabile dell’attualità dell’argomento.

    Ho creduto profondamente nell’opportunità che questo libro fosse scritto: il suo valore, a mio avviso, risiede nel rappresentare, al di là di dibattiti, notiziari, giornalisti schierati da questa o quella parte, nonché una buona quantità di saggi letterari, un resoconto in prima persona da parte di chi ha vissuto sulla sua pelle una storia tragica, essendo a conoscenza di fatti che per tanti anni sono rimasti celati. Io sono stato a mio modo consapevole di tutto ciò, perché da sempre mio padre mi ha raccontato quale fosse la realtà del paese e della sua classe politica, al di là delle apparenze. E da sempre mi ha indicato chi era colui che appariva sulla scena impeccabile uomo di Stato, per poi dietro le quinte cambiarsi d’abito ed indossarne uno molto, molto diverso, terrificante.

    Perché queste cose non le hai rese pubbliche prima? è la domanda che gli ho rivolto. La risposta è stata che oggi i tempi sono cambiati. In effetti magistrati e appartenenti alle forze dell’ordine hanno potuto utilizzare i mezzi d’informazione per divulgare le loro storie professionali caratterizzate a volte dal tentativo del potere di fermare la loro azione con conseguenti vendette di vario genere. Siamo, per fortuna, nell’epoca dell’informazione globalizzata favorita da strumenti quali la circolazione di notizie in rete; le possibilità sono di gran lunga maggiori di quelle di un tempo.

    All’epoca ( parliamo dei primi anni ’80) la realtà era diversa.

    Oltre a ciò mio padre ha sempre ritenuto che fin quando si è funzionari dello Stato non si debbano cercare spazi di visibilità, sia pur in buona fede, che non sono propri del ruolo che si è chiamati a svolgere. Ricordo che Renato, un mio collega nonché buon amico, parlandomi un giorno del dirigente del suo ufficio, un vicequestore messo ai margini dalla struttura alla quale apparteneva per via della sua ferrea morale nonché del suo scomodo attivismo, mi riferì una frase che questo funzionario gli aveva detto: Ricordati che in ambito lavorativo c’e’ chi sceglie di diventare qualcuno e chi sceglie di fare qualcosa!……. Ricordo anche la risposta che diedi a Renato: Io penso che ci sia chi SI ILLUDE di diventare qualcuno e chi sceglie di fare qualcosa!….

    Ci siamo trovati d’accordo.

    Ho anche parlato con l’autore del libro del fatto che su questa storia avrebbe potuto tranquillamente scrivere un testo di impronta giornalistica, una sorta di libro-dossier come tanti ne stanno uscendo in questo periodo; mi ha risposto che ama scrivere con lo stile del romanzo, perché ciò gli consente di entrare nella mente dei vari personaggi, cercare di immaginare cosa possano aver pensato, provato, e farli poi parlare.

    Il clima pesantissimo che pervadeva in quegli anni la questura di Palermo era inquinato dalla presenza delle famigerate talpe. Diverse informazioni venivano passate alla cupola da poliziotti collusi, i quali non si mettevano scrupoli, tra le altre cose, nel condannare a morte con il loro doppio gioco alcuni colleghi. Leggendo tutto ciò mi è tornato alla mente un suggestivo parallelo tracciato da mio padre una volta che mi stava raccontando un famoso film di parecchi anni or sono: Blade Runner. La storia, ambientata in un ipotetico futuro, di un cacciatore di replicanti, esseri meccanici simili agli uomini, grazie ad avveniristiche tecnologie, ed utilizzati per svolgere gli stessi compiti. Alcuni si erano ribellati ai loro creatori ed era stato dato incarico al protagonista (un ottimo Harrison Ford) di scovarli ed annientarli, compito difficilissimo vista la perfetta corrispondenza di essi all’umano.

    Chi erano i replicanti all’interno della questura di Palermo?

    Chi era, tra quelli che vedevi ogni giorno, che lavoravano nella tua stanza o in quella a fianco, con i quali condividevi il caffe’ al bar o magari anche una gita domenicale, il traditore, quello con le perfette sembianze del poliziotto che il giorno dopo ti avrebbe pugnalato alle spalle?

    I lettori trarranno le proprie considerazioni. E’ comunque tempo che questa storia venga raccontata. Nel corso dell’inchiesta diversi uomini delle istituzioni sono stati uccisi; alcuni sono famosi ed a loro si rende il giusto e commosso omaggio. Altri, come un funzionario della Squadra mobile di Palermo finito crivellato da duecentosettanta colpi, sono magari presenti in qualcuno dei numerosi film girati sull’argomento mafia, ma non scommetterei che, facendo i loro nomi ad un ragazzo di vent’anni, questi capirebbe di chi sto parlando. Di contro alcune di queste persone sono rimaste più di altre nel cuore dell’autore.

    Nel mio coltivo la speranza che questo libro possa rappresentare un tributo nei confronti di tutti i servitori dello Stato che hanno fatto il proprio dovere fino in fondo lontano dai riflettori, per poi pagarne le conseguenze, a volte estreme.

    Carlo Pesce

    Nota dell’autore.

    Ho riflettuto a lungo prima di scrivere questo libro, sommerso dall’onda dei drammatici ricordi legati ad una complicata e amara indagine che mi ha portato a lavorare, fianco a fianco, con persone di eccezionale valore alcune delle quali hanno pagato con la vita il loro impegno. Il dubbio nasceva dal fatto che, nonostante sia trascorso più di un quarto di secolo da ciò che è accaduto, il rivelare alcuni particolari relativi a persone, luoghi o dinamiche d’azione potrebbe ancora oggi costituire un pericolo non tanto per me quanto per altri soggetti coinvolti nell’inchiesta. So infatti quanto sia persistente e micidiale la memoria di organizzazioni quali Cosa nostra e di chi con lei è stato per certo sodale, scambiando favori e delitti in un mercato dell’orrore che, a quanto ne so, ha pochi paragoni.

    Detto questo mi sento in dovere di avvertire il lettore che questa volta il racconto, sempre basato su avvenimenti effettivamente vissuti, si dipana in un necessario intreccio in cui alla realtà si assomma il parziale uso di pseudonimi, una piccola dose di fantasia e qualche indispensabile cortina fumogena che impedisca il filtrare di informazioni tuttora cariche di notevole potenziale distruttivo. Quanto ai capitoli in corsivo, pur confortati da notizie riservate, sono ovviamente immaginati. Per necessità più strettamente letterarie il commissario Mari continuerà ad essere Mari, mentre il senatore Aldebaran riacquisterà il suo vero nome. Alcuni contorni del quadro saranno parzialmente ombreggiati. Quasi tutti gli altri personaggi conserveranno la loro effettiva identità.

    Radici e sangue

    I

    Quell’anno a Palermo l’estate ce la stava mettendo proprio tutta. L’aria, immobile a causa della persistente alta pressione, era gonfia di calore sottratto al sole che ormai da tempo aveva cancellato dal cielo ogni forma di nuvolaglia. Sotto quella cappa di afa era difficoltoso persino il respiro.

    Nel suo ufficio, in una delle stanze interne della questura, il funzionario sedeva dietro la scrivania ingombra di ben ordinati fascicoli. Quello dell’ordine nelle cose, nella memoria, nel metodo era un suo pallino, parallelo a quello dell’eleganza nel vestire e nel comportarsi, che ne faceva un poliziotto del tutto particolare.

    Quella volta però molte cose lo mettevano a disagio. Da giorni non tornava a casa. Notizie appena sussurrate, giunte da vie traverse e non confermate, riferivano di pericoli che si addensavano su di lui. Voci, sospetti, sensazioni forse infondate che però lo avevano indotto per il momento ad una maggiore cautela nell’esporsi. Era per questo che aveva preferito la relativa, presunta sicurezza che sembravano offrirgli le mura della questura, sebbene fosse consapevole che anche lì erano penetrati da tempo i tentacoli di Cosa nostra. D’altra parte aveva molto lavoro da svolgere: sistemare e catalogare tutti gli appunti dei riscontri trovati nel suo ultimo viaggio in Svizzera, completare, per quanto possibile, gli elenchi del misterioso, risorto ed apparentemente insondabile Ordine dei cavalieri del Santo Sepolcro, cercare nelle migliaia dei documenti in suo possesso relazioni, legami, interessi comuni, complicità, parallelismi tra personaggi politici ed amministrativi e criminalità mafiosa, in un quadro che prendeva sempre più consistenza. A rendere più pesante la giornata lo colpivano a tratti le stilettate del ricordo dell’amico, ucciso appena pochi giorni prima, che aveva collaborato nell’indagine culminata con l’arresto dei cugini Nino ed Ignazio Salvo.

    Beppe era stato atteso a Porticello, dove ogni tanto si recava con la fidanzata, da due assassini che lo avevano crivellato di colpi, in mezzo alla folla. Chissà per quanto tempo, pensava, quei maledetti erano rimasti lì, pazientemente, all’agguato! O forse qualcuno li aveva avvertiti, qualcuno che doveva essere molto, molto vicino alla vittima designata, che magari poco prima gli aveva stretto la mano, lo aveva salutato con apparente, falsa cordialità mandandolo incontro alla morte. Quello era il clima in cui si era costretti a vivere, perfino all’interno dello stesso ufficio, fatto di ambiguità, incertezze, isolamento, dubbi!

    Un’altra morte violenta si era aggiunta a quella di Beppe, pochi giorni dopo: quella del pregiudicato Marino, su cui gravava il sospetto di essere uno dei killer che avevano operato a Porticello. Sua era l’auto, ritrovata poi bruciata, a bordo della quale il gruppo di fuoco si era allontanato dal luogo del delitto. L’uomo, trattenuto per una notte in questura e rilasciato la mattina successiva, era stato poi rinvenuto, ucciso a bastonate e con l’esofago sfondato, sul litorale di Sant’Erasmo ove abitava la sua famiglia.

    A questo rimuginare interiore si aggiungeva il disagio creato dal caldo insopportabile. Il sudore gli aveva appiccicato addosso camicia e colletto. Non si cambiava da giorni e, senza togliersi l’abito, aveva addirittura dormito sul divanetto dell’ufficio.

    - Non può andare avanti così! – pensò – Debbo tornare almeno un attimo a casa, fare una doccia, cambiarmi, portare qui un po’ di biancheria pulita. Farò in fretta, pochi minuti. –

    Alzò la cornetta del telefono e formò il numero della sua abitazione. La voce preoccupata della moglie gli diede una stretta al cuore.

    - Vengo adesso. Prepara un po’ di biancheria pulita, qualche camicia, il vestito di lino chiaro, qualche asciugamano. In fretta, però. Mi faccio una doccia e torno in ufficio. –

    - Ma quando finirà questa storia? Non è vita questa! –

    - Tutto tornerà a posto, – cercò di rassicurarla lui. – E’ un momento difficile, ma passerà presto. Sta tranquilla. –

    - Tra quanto sarai qui? –

    - Venti minuti al massimo. –

    - Ti faccio trovare tutto pronto. Sii prudente, ti prego. –

    - A presto. Ti voglio bene. –

    Riagganciò e tornò a sistemare nei cassetti quanto aveva sulla scrivania. Tutto, in sua assenza, doveva essere sotto chiave.

    - Roberto! - chiamò a voce alta, tanto da essere udito nella stanza accanto.

    L’agente, poco dopo, si affacciò alla porta con aria interrogativa. Vestiva in borghese, jeans e camicia chiara con maniche corte, rimboccate. Di corporatura asciutta e sportiva, un folto rigoglio di capelli ricci, biondi e ribelli, gli incorniciava il viso nel mezzo del quale un importante ed affilato naso divideva gli occhi, dolci e sinceri. Sebbene fosse già stato trasferito a Roma, in ferie ed in attesa di matrimonio, aveva voluto spontaneamente rientrare in servizio per partecipare alle indagini sull’uccisione di Beppe Montana, che era stato il suo capo, nella sezione catturandi della squadra mobile.

    - Dì a Natale di preparare la vettura. Avverti anche Giovanni. Facciamo un salto a casa. Debbo lavarmi un po’ e prendere qualcosa di pulito da indossare. Non ne posso più di quest’afa maledetta. Sono in un bagno di sudore. Digli: dieci minuti e scendiamo. –

    - Bene. Io sono pronto e aspetto in cortile. – E, nell’uscire, si sistemò meglio la pesante Beretta che portava infilata senza fondina nella cintola, assicurandosi di avere, nella tasca posteriore, i due caricatori di riserva.

    Il funzionario riprese il suo lavoro di sistemazione metodica, maledicendo il vecchio ventilatore che aveva pensato bene di dare le dimissioni, dopo aver lavorato senza sosta per ore ed ore, dal momento che la boccola nella quale girava l’asse della ventola si era fusa ed aveva bloccato il meccanismo. Nero e massiccio, era stato recuperato da un rigattiere e, sebbene, data l'anzianità, fosse stato costruito per una tensione a 125 volts, aveva funzionato come un turbine anche con la tensione attuale a 220, ma alla fine si era arreso all'inevitabile.

    Fu allora che il telefono prese a squillare. Lo lasciò fare per qualche secondo, poi rispose.

    - Ciao, Gianni, che tempo fa in Sardegna? Qui è al calor bianco. Cosa mi dici? - ascoltò per una ventina di secondi, poi - Sì. Anche qui mi sono pervenute mezze voci, del tipo di quelle che sono arrivate a te dal tuo Seneca. Sono forse infondate ma, come dici tu, meglio essere prudenti. Sono giorni che non vado a casa. D’altra parte bisogna pur vivere. Starò attento. Il viaggio in

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