Giusto ed ingiusto
Di Gianni Pesce
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Anteprima del libro
Giusto ed ingiusto - Gianni Pesce
PREFAZIONE
Ricordo che mio padre, fin da quando ero bambino, mi raccontava, fin dove poteva, i vari accadimenti nei quali era quotidianamente coinvolto, cercando di spiegare quale fosse il filo conduttore ideale che cercava di seguire nello svolgimento del suo lavoro. Funzionario di polizia per circa trent'anni si è trovato ad attraversare, come tanti suoi colleghi, periodi diversi e significativi della storia della nostra Repubblica. Come spiega egli stesso, ha potuto trovare nel lavoro forti motivazioni etiche, nella convinzione che il fondamento di qualsiasi consorzio umano, qualunque esso sia , consista nell'elaborazione delle leggi che regolino la convivenza e nel loro rispetto, senza il quale può esistere solo un'alternativa: la prevalenza del più forte, del prepotente sul più debole.
Le vicende narrate sono basate su fatti realmente accaduti, sebbene i nomi dei protagonisti e dei luoghi siano volutamente travisati, ma il libro consiste soprattutto nell'aver messo nero su bianco sensazioni, considerazioni, impressioni di chi ha conosciuto persone e situazioni molto diverse e le ha sapute guardare con occhi di uomo, prima che di poliziotto, senza la pretesa esclusiva di giudicare, ma cercando di cogliere i chiaroscuri dell'esistenza, che ha sempre interpretato in modo intenso, impegnandosi al massimo in tutte le attività che si è trovato a svolgere, cercandone sempre il significato profondo e dandone un'interpretazione romantica. Questo gli ha offerto il lavoro che ha scelto e che oggi mi trovo a mia volta ad affrontare
Arrivato a Cagliari nel lontano 1969 si fermerà in Sardegna, catturato dal fascino di questa terra ove verrà seguito dalla giovane moglie e costituirà la sua famiglia e qui svolgerà tutta la sua vita professionale che però spesso travalicherà i confini della regione e dello stesso Stato.
Gli avvenimenti descritti si riferiscono ai primi anni della carriere, dal '69 al '76, periodo in cui dovrà confrontarsi con una realtà nuova e per buona parte avversa, una mentalità locale sconosciuta e particolare ( che presto imparerà a comprendere ed interpretare, apprezzandone i tratti più peculiari), i rischi connessi alla professione ma soprattutto l'ostilità di parte degli apparati di potere, non troppo propensi ad accettare il principio che la legge non ha dignità se non è uguale per tutti, proprio quegli apparati che avrebbero dovuto difenderlo, approvarlo, aiutarlo.
Sono cresciuto avendo negli occhi e nel cuore l'esempio di una persona che, per aver creduto in una società basata sulla giustizia e sull'eguaglianza di fronte alla legge, ha ricevuto più avversità che elogi nonché sistematici tentativi di boicottaggio da parte delle stesse strutture a cui apparteneva. E' la storia di un uomo che ha sempre disprezzato la logica della carriera basata sul servilismo, a scapito di valori quali la lealtà, la correttezza, l'onorare la parola data, la coerenza con le proprie idee, carriera che nel nostro paese è tanto più veloce e prestigiosa quanto meno si dà fastidio
. Ma, a quanto mi ha sempre detto, ne è valsa la pena: l'importante, secondo lui, è il risultato che si raggiunge, il contributo offerto al consorzio umano con il quale si è a contatto, senza piegarsi a logiche di potere, qualsiasi sia la conseguenza. E' questa l'eredità, forse un po' troppo pesante, che mi ha trasmesso, ora che mi trovo ad esercitare la stessa professione.
Carlo Pesce
VERBUM BONI VIRI
Prese la cosa di punta Mari, quando Mistretta , il capo della Squadra Mobile, incontratolo nel corridoio che dava sul cortile della questura, gli riferì che, per ordine del questore, avrebbe dovuto dichiarare in arresto il pastore che, nel corso della notte, era stato fermato dall’equipaggio di un’auto in perlustrazione nelle campagne ad una ventina di chilometri dalla città: nella sua sacca di pelle era stata rinvenuta una cartuccia da caccia cal 12 a pallettoni.
L’uomo era stato condotto in ufficio e Mari, giovane vicecommissario di turno, era stato strappato al sonno del giusto per occuparsi del caso.
A quel tempo la Sardegna, terra nella quale in un solo anno si erano verificati, più o meno contemporaneamente, sette sequestri di persona oltre ad un numero difficilmente quantificabile di conflitti a fuoco, omicidi e vendette a catena, tralasciando le semplici rapine e gli abigeati, era al centro dell’attenzione degli organi d’informazione continentali che, superando abbondantemente la realtà, avevano alimentato l’immagine di una landa molto simile al west evocato dalla cinematografia statunitense.
Era per questo che Mari, destinato ad una tranquilla sede continentale, aveva deciso di inoltrare domanda di trasferimento in Sardegna, luogo dal quale apparentemente tutti i funzionari di polizia volevano fuggire, per poter constatare di persona se quello che si diceva corrispondesse a verità.
In fondo non aveva ancora trent’anni e a quell’età la voglia di mettersi alla prova, di vivere qualcosa d’interessante e significativo, di assaporare il gusto dell’avventura è nell’ordine delle cose umane.
Se non adesso, quando? –
Se lo era ripetuto più volte prima di firmare la lettera diretta al capo della polizia.
Giunto a destinazione ed inserito nel novero dei funzionari della locale Squadra Mobile, si era ben presto reso conto che la realtà era parzialmente diversa da quella presentata dai media. Il numero dei reati gravi era certamente rilevante ed il fenomeno del banditismo andava duramente contrastato, ma ne andavano soprattutto comprese le ragioni ancestrali che facevano così drammaticamente collidere l’intimo sentire dell’ambiente pastorale, ancorato ad un mondo omerico disegnato nei millenni per un consorzio umano privo di autorità costituita con quello di uno Stato centrale.
Lo Stato, prima conquistatore e coloniale e poi rivestito dal manto della democrazia, aveva inviato i suoi funzionari, alcuni dei quali avevano compreso subito quale rapida scorciatoia in carriera avrebbe potuto costituire l'alimentare l'immagine di una terra dove ogni muretto a secco nascondesse un feroce bandito.
Il conflitto a fuoco col pastore-bandito
era fatto frequente e non sempre chiarissimo. Sul luogo venivano poi regolarmente rinvenuti fucili e pistole con matricola limata, di misteriosa provenienza.
Il ragazzo non aveva più di vent'anni. Sedeva ingrugnato e contorto sulla panca della cella di sicurezza. Giacca e pantaloni si ricordavano vagamente che un tempo erano stati di velluto scuro. Una coppola bisunta gli annullava la fronte.
Toglietegli le manette e portatemi la sacca. –
Il capopattuglia gli consegnò una sacca di pelle e la cartuccia da caccia che aveva portato al fermo, una Fiocchi
cal 12 a pallettoni.
Dopo qualche domanda senza risposta Mari capì che non era quello il modo.
Portatemelo in ufficio e lasciatemi solo con lui. – - Dottore faccia attenzione. E' peggio di un animale. – - Nessun problema. –
Mari, pur essendo fresco del mestiere, sapeva bene che in genere le cartucce non vanno in giro da sole. E' consuetudine che si accompagnino ad un buon fucile che ne giustifichi il trasporto.
Il fucile però non era stato rinvenuto.
Cercò di prenderla alla larga ma quello, in preda a rabbia e paura, si limitava a periodici mugolii.
Alla fine, mescolando qualche parola d'italiano a molte in dialetto, si decise a qualche risposta.
Da dove viene questa cartuccia? – - Trovata in terra. -
L'avevi nella sacca ed è asciutta. Tra l'erba, con l'umidità della notte, si sarebbe bagnata. -
Nessuna risposta.
Senti. Voglio ritrovare il fucile che avevi con te. Ti propongo un patto: se trovo il fucile ti denuncerò in stato di libertà per porto abusivo. – - Voi continentali non avete parola. Tutti uguali! – - Sbagliato. – - Tutti uguali! –
Fidati. Non te ne pentirai. –
Sembrava tosto ma in fondo era solo un ragazzo impaurito e cominciò presto a
sgretolarsi.
Se ti faccio ritrovare il fucile mi lasci libero? – - Si, ma dovrò denunziarti ed avrai un processo. –
Va bene. –
Tenendo fede a quanto detto il ragazzo, portato sul posto da Mari, dopo essersi intrufolato a mo' di cinghiale tra lentischio e cisto, trasse fuori e consegnò un vecchio Franchi semiautomatico.
Ma a cosa ti serviva? –
Pericoloso vivere in campagna. Le bestie vanno difese. –
Tornati in questura, tra lo stupore del personale di servizio che non ricordava altri episodi di similare collaborazione da parte di pastori fermati, Mari affidò il ragazzo al sottufficiale di turno per le formalità di rito e l'arma alla " scientifica.
Fu allora che incontrò Mistretta.
Congratulazioni da parte del questore. Procedi all'arresto e manda un rapporto in procura.
Non posso arrestare il ragazzo. E' lui che mi ha fatto ritrovare il fucile. Ho dato la mia parola. -
La parola ad un animale come quello non conta! -
La cosa prendeva una brutta piega. Non era così che la vedeva Mari, convinto che era quello il punto di frattura che rendeva tutto più difficile. - Ma c'è un ordine del questore. il magistrato è già stato avvertito!- In un attimo Mari focalizzò quali gravi conseguenze avrebbe comportato ciò che aveva deciso di fare: la professione nella quale aveva riposto tante speranze e fondato la sua giovane famiglia sarebbe andata in fumo.
Punto e a capo. - pensò.
Senti Mistretta. Sono di turno ed il caso è mio. Adesso accompagno il pastore
fuori e lo rilascio; poi torno in ufficio .
Questo è il mio tesserino. Portalo al questore. Se lui vuole lo farò seguire da una lettera di dimissioni. –
Quella mattina il ragazzo, che stentava a crederci, fu libero.
Dopo qualche ora Mari tornò in possesso del suo tesserino.
POLLICE VERSO
E’ una cosa sballata! - Non ce la fece Mari a trattenersi.
Era stato per più di un’ora in silenzio. Aveva cercato in ogni modo di reprimere il disagio che gli covava nello stomaco nel vedere nascere, crescere, mettere mani e piedi, artigli e zanne quel mostro di progetto operativo che riceveva il contributo sempre più entusiastico dei suoi quattro colleghi.
Nella stanza del capo della Mobile, ove avveniva la riunione, l’aria era appesantita e resa maleodorante dal fumo delle numerose sigarette.
Mistretta, stesa sulla scrivania una mappa della città, aveva messo al corrente i suoi collaboratori che un informatore aveva fornito i particolari di una rapina in progettazione da parte di noti pregiudicati.
L’obbiettivo era la locale filiale del Banco di Napoli, sita nella zona commerciale della città. Ora, luogo, giorno, armi da guerra da usare, componenti il commando, tutto era noto. Pure noto era il luogo dal quale l’azione sarebbe partita, un appartamento del vecchio quartiere nel quale erano nascoste le armi.
Il piano: requisire un furgone civile, riempirlo di agenti forniti di armi automatiche, parcheggiarlo nei pressi della banca, attendere che i rapinatori arrivassero, effettuassero la rapina ed uscissero con le armi in pugno. A quel punto gli agenti, approfittando del fattore sorpresa, avrebbero facilmente falciato i cinque malviventi. I risultati sarebbero stati notevoli: azzeramento di pericolosi criminali, stampa, radio e tv in fibrillazione e conseguenti encomi e promozioni.
Alla fine Mari, ultimo arrivato tra i funzionari della Mobile, era esploso.
Non sapevo che per il reato di rapina fosse prevista la pena di morte! Ma anche se così fosse, nessuno ha pensato a quelli che la rapina la subiranno? Nella banca i malviventi potrebbero perdere la testa, uccidere, prendere ostaggi! E i passanti? E i nostri agenti? Un conflitto a fuoco si sa come comincia ma non come finisce! E tutto questo quando sarebbe molto più facile sorprenderli nella casa ove nascondono le armi ed arrestarli per la detenzione.
Le parole ed il tono di Mari, che nessuno si aspettava, ebbero un effetto dirompente.
La stanza cominciò ad ondeggiare violentemente. Mistretta, imbufalito, gettata all’aria la mappa, uscì sbattendo la porta. Mari fu circondato dai colleghi.
Ma con chi stai? Con la polizia o con i delinquenti? –
Se non fanno la rapina cosa gli contestiamo? Soltanto la detenzione abusiva di armi da guerra? –
Per questo reato sono previsti nove anni di reclusione - rispose Mari.
La cosa si stava scaldando sempre più quando tornò il capo della Mobile apparentemente più calmo.
Mari, vai dal questore. Ti vuole parlare.-
Col cuore diviso tra preoccupazione e rabbia Mari salì lentamente le due rampe
di scale che portavano all’empireo questorile. Fu annunziato ed entrò nella vasta sala, riccamente arredata con mobilio d’epoca, tappeti persiani e quadri seicenteschi in fondo alla quale troneggiava l’Autorità.
Il Commendatore, come allora venivano chiamati i questori dai loro dipendenti,
era un