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Giusto ed ingiusto
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E-book182 pagine2 ore

Giusto ed ingiusto

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Il giovane funzionario della polizia italiana Gianni Mari chiede di essere trasferito in Sardegna. Molte saranno le sorprese e la strada sara' in salita. Imparero' che spesso il giusto e' spesso una maschera che copre l'ingiusto.
LinguaItaliano
Data di uscita24 apr 2020
ISBN9788831666299
Giusto ed ingiusto

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    Anteprima del libro

    Giusto ed ingiusto - Gianni Pesce

    PREFAZIONE

    Ri­cor­do che mio pa­dre, fin da quan­do ero bam­bi­no, mi rac­con­ta­va, fin do­ve po­te­va, i va­ri ac­ca­di­men­ti nei qua­li era quo­ti­dia­na­men­te coin­vol­to, cer­can­do di spie­ga­re qua­le fos­se il fi­lo con­dut­to­re idea­le che cer­ca­va di se­gui­re nel­lo svol­gi­men­to del suo la­vo­ro. Fun­zio­na­rio di po­li­zia per cir­ca trent'an­ni si è tro­va­to ad at­tra­ver­sa­re, co­me tan­ti suoi col­le­ghi, pe­rio­di di­ver­si e si­gni­fi­ca­ti­vi del­la sto­ria del­la no­stra Re­pub­bli­ca. Co­me spie­ga egli stes­so, ha po­tu­to tro­va­re nel la­vo­ro for­ti mo­ti­va­zio­ni eti­che, nel­la con­vin­zio­ne che il fon­da­men­to di qual­sia­si con­sor­zio uma­no, qua­lun­que es­so sia , con­si­sta nell'ela­bo­ra­zio­ne del­le leg­gi che re­go­li­no la con­vi­ven­za e nel lo­ro ri­spet­to, sen­za il qua­le può esi­ste­re so­lo un'al­ter­na­ti­va: la pre­va­len­za del più for­te, del pre­po­ten­te sul più de­bo­le.

    Le vi­cen­de nar­ra­te so­no ba­sa­te su fat­ti real­men­te ac­ca­du­ti, seb­be­ne i no­mi dei pro­ta­go­ni­sti e dei luo­ghi sia­no vo­lu­ta­men­te tra­vi­sa­ti, ma il li­bro con­si­ste so­prat­tut­to nell'aver mes­so ne­ro su bian­co sen­sa­zio­ni, con­si­de­ra­zio­ni, im­pres­sio­ni di chi ha co­no­sciu­to per­so­ne e si­tua­zio­ni mol­to di­ver­se e le ha sa­pu­te guar­da­re con oc­chi di uo­mo, pri­ma che di po­li­ziot­to, sen­za la pre­te­sa esclu­si­va di giu­di­ca­re, ma cer­can­do di co­glie­re i chia­ro­scu­ri dell'esi­sten­za, che ha sem­pre in­ter­pre­ta­to in mo­do in­ten­so, im­pe­gnan­do­si al mas­si­mo in tut­te le at­ti­vi­tà che si è tro­va­to a svol­ge­re, cer­can­do­ne sem­pre il si­gni­fi­ca­to pro­fon­do e dan­do­ne un'in­ter­pre­ta­zio­ne ro­man­ti­ca. Que­sto gli ha of­fer­to il la­vo­ro che ha scel­to e che og­gi mi tro­vo a mia vol­ta ad af­fron­ta­re

    Ar­ri­va­to a Ca­glia­ri nel lon­ta­no 1969 si fer­me­rà in Sar­de­gna, cat­tu­ra­to dal fa­sci­no di que­sta ter­ra ove ver­rà se­gui­to dal­la gio­va­ne mo­glie e co­sti­tui­rà la sua fa­mi­glia e qui svol­ge­rà tut­ta la sua vi­ta pro­fes­sio­na­le che pe­rò spes­so tra­va­li­che­rà i con­fi­ni del­la re­gio­ne e del­lo stes­so Sta­to.

    Gli av­ve­ni­men­ti de­scrit­ti si ri­fe­ri­sco­no ai pri­mi an­ni del­la car­rie­re, dal '69 al '76, pe­rio­do in cui do­vrà con­fron­tar­si con una real­tà nuo­va e per buo­na par­te av­ver­sa, una men­ta­li­tà lo­ca­le sco­no­sciu­ta e par­ti­co­la­re ( che pre­sto im­pa­re­rà a com­pren­de­re ed in­ter­pre­ta­re, ap­prez­zan­do­ne i trat­ti più pe­cu­lia­ri), i ri­schi con­nes­si al­la pro­fes­sio­ne ma so­prat­tut­to l'osti­li­tà di par­te de­gli ap­pa­ra­ti di po­te­re, non trop­po pro­pen­si ad ac­cet­ta­re il prin­ci­pio che la leg­ge non ha di­gni­tà se non è ugua­le per tut­ti, pro­prio que­gli ap­pa­ra­ti che avreb­be­ro do­vu­to di­fen­der­lo, ap­pro­var­lo, aiu­tar­lo.

    So­no cre­sciu­to aven­do ne­gli oc­chi e nel cuo­re l'esem­pio di una per­so­na che, per aver cre­du­to in una so­cie­tà ba­sa­ta sul­la giu­sti­zia e sull'egua­glian­za di fron­te al­la leg­ge, ha ri­ce­vu­to più av­ver­si­tà che elo­gi non­ché si­ste­ma­ti­ci ten­ta­ti­vi di boi­cot­tag­gio da par­te del­le stes­se strut­tu­re a cui ap­par­te­ne­va. E' la sto­ria di un uo­mo che ha sem­pre di­sprez­za­to la lo­gi­ca del­la car­rie­ra ba­sa­ta sul ser­vi­li­smo, a sca­pi­to di va­lo­ri qua­li la leal­tà, la cor­ret­tez­za, l'ono­ra­re la pa­ro­la da­ta, la coe­ren­za con le pro­prie idee, car­rie­ra che nel no­stro pae­se è tan­to più ve­lo­ce e pre­sti­gio­sa quan­to me­no si dà fa­sti­dio. Ma, a quan­to mi ha sem­pre det­to, ne è val­sa la pe­na: l'im­por­tan­te, se­con­do lui, è il ri­sul­ta­to che si rag­giun­ge, il con­tri­bu­to of­fer­to al con­sor­zio uma­no con il qua­le si è a con­tat­to, sen­za pie­gar­si a lo­gi­che di po­te­re, qual­sia­si sia la con­se­guen­za. E' que­sta l'ere­di­tà, for­se un po' trop­po pe­san­te, che mi ha tra­smes­so, ora che mi tro­vo ad eser­ci­ta­re la stes­sa pro­fes­sio­ne.

    Car­lo Pe­sce

    VERBUM BONI VIRI

    Pre­se la co­sa di pun­ta Ma­ri, quan­do Mi­stret­ta , il ca­po del­la Squa­dra Mo­bi­le, in­con­tra­to­lo nel cor­ri­do­io che da­va sul cor­ti­le del­la que­stu­ra, gli ri­fe­rì che, per or­di­ne del que­sto­re, avreb­be do­vu­to di­chia­ra­re in ar­re­sto il pa­sto­re che, nel cor­so del­la not­te, era sta­to fer­ma­to dall’equi­pag­gio di un’au­to in per­lu­stra­zio­ne nel­le cam­pa­gne ad una ven­ti­na di chi­lo­me­tri dal­la cit­tà: nel­la sua sac­ca di pel­le era sta­ta rin­ve­nu­ta una car­tuc­cia da cac­cia cal 12 a pal­let­to­ni.

    L’uo­mo era sta­to con­dot­to in uf­fi­cio e Ma­ri, gio­va­ne vi­ce­com­mis­sa­rio di tur­no, era sta­to strap­pa­to al son­no del giu­sto per oc­cu­par­si del ca­so.

    A quel tem­po la Sar­de­gna, ter­ra nel­la qua­le in un so­lo an­no si era­no ve­ri­fi­ca­ti, più o me­no con­tem­po­ra­nea­men­te, set­te se­que­stri di per­so­na ol­tre ad un nu­me­ro dif­fi­cil­men­te quan­ti­fi­ca­bi­le di con­flit­ti a fuo­co, omi­ci­di e ven­det­te a ca­te­na, tra­la­scian­do le sem­pli­ci ra­pi­ne e gli abi­gea­ti, era al cen­tro dell’at­ten­zio­ne de­gli or­ga­ni d’in­for­ma­zio­ne con­ti­nen­ta­li che, su­pe­ran­do ab­bon­dan­te­men­te la real­tà, ave­va­no ali­men­ta­to l’im­ma­gi­ne di una lan­da mol­to si­mi­le al we­st evo­ca­to dal­la ci­ne­ma­to­gra­fia sta­tu­ni­ten­se.

    Era per que­sto che Ma­ri, de­sti­na­to ad una tran­quil­la se­de con­ti­nen­ta­le, ave­va de­ci­so di inol­tra­re do­man­da di tra­sfe­ri­men­to in Sar­de­gna, luo­go dal qua­le ap­pa­ren­te­men­te tut­ti i fun­zio­na­ri di po­li­zia vo­le­va­no fug­gi­re, per po­ter con­sta­ta­re di per­so­na se quel­lo che si di­ce­va cor­ri­spon­des­se a ve­ri­tà.

    In fon­do non ave­va an­co­ra trent’an­ni e a quell’età la vo­glia di met­ter­si al­la pro­va, di vi­ve­re qual­co­sa d’in­te­res­san­te e si­gni­fi­ca­ti­vo, di as­sa­po­ra­re il gu­sto dell’av­ven­tu­ra è nell’or­di­ne del­le co­se uma­ne.

    Se non ades­so, quan­do? –

    Se lo era ri­pe­tu­to più vol­te pri­ma di fir­ma­re la let­te­ra di­ret­ta al ca­po del­la po­li­zia.

    Giun­to a de­sti­na­zio­ne ed in­se­ri­to nel no­ve­ro dei fun­zio­na­ri del­la lo­ca­le Squa­dra Mo­bi­le, si era ben pre­sto re­so con­to che la real­tà era par­zial­men­te di­ver­sa da quel­la pre­sen­ta­ta dai me­dia. Il nu­me­ro dei rea­ti gra­vi era cer­ta­men­te ri­le­van­te ed il fe­no­me­no del ban­di­ti­smo an­da­va du­ra­men­te con­tra­sta­to, ma ne an­da­va­no so­prat­tut­to com­pre­se le ra­gio­ni an­ce­stra­li che fa­ce­va­no co­sì dram­ma­ti­ca­men­te col­li­de­re l’in­ti­mo sen­ti­re dell’am­bien­te pa­sto­ra­le, an­co­ra­to ad un mon­do ome­ri­co di­se­gna­to nei mil­len­ni per un con­sor­zio uma­no pri­vo di au­to­ri­tà co­sti­tui­ta con quel­lo di uno Sta­to cen­tra­le.

    Lo Sta­to, pri­ma con­qui­sta­to­re e co­lo­nia­le e poi ri­ve­sti­to dal man­to del­la de­mo­cra­zia, ave­va in­via­to i suoi fun­zio­na­ri, al­cu­ni dei qua­li ave­va­no com­pre­so su­bi­to qua­le ra­pi­da scor­cia­to­ia in car­rie­ra avreb­be po­tu­to co­sti­tui­re l'ali­men­ta­re l'im­ma­gi­ne di una ter­ra do­ve ogni mu­ret­to a sec­co na­scon­des­se un fe­ro­ce ban­di­to.

    Il con­flit­to a fuo­co col pa­sto­re-ban­di­to era fat­to fre­quen­te e non sem­pre chia­ris­si­mo. Sul luo­go ve­ni­va­no poi re­go­lar­men­te rin­ve­nu­ti fu­ci­li e pi­sto­le con ma­tri­co­la li­ma­ta, di mi­ste­rio­sa pro­ve­nien­za.

    Il ra­gaz­zo non ave­va più di vent'an­ni. Se­de­va in­gru­gna­to e con­tor­to sul­la pan­ca del­la cel­la di si­cu­rez­za. Giac­ca e pan­ta­lo­ni si ri­cor­da­va­no va­ga­men­te che un tem­po era­no sta­ti di vel­lu­to scu­ro. Una cop­po­la bi­sun­ta gli an­nul­la­va la fron­te.

    To­glie­te­gli le ma­net­te e por­ta­te­mi la sac­ca. –

    Il ca­po­pat­tu­glia gli con­se­gnò una sac­ca di pel­le e la car­tuc­cia da cac­cia che ave­va por­ta­to al fer­mo, una Fioc­chi cal 12 a pal­let­to­ni.

    Do­po qual­che do­man­da sen­za ri­spo­sta Ma­ri ca­pì che non era quel­lo il mo­do.

    Por­ta­te­me­lo in uf­fi­cio e la­scia­te­mi so­lo con lui. – - Dot­to­re fac­cia at­ten­zio­ne. E' peg­gio di un ani­ma­le. – - Nes­sun pro­ble­ma. –

    Ma­ri, pur es­sen­do fre­sco del me­stie­re, sa­pe­va be­ne che in ge­ne­re le car­tuc­ce non van­no in gi­ro da so­le. E' con­sue­tu­di­ne che si ac­com­pa­gni­no ad un buon fu­ci­le che ne giu­sti­fi­chi il tra­spor­to.

    Il fu­ci­le pe­rò non era sta­to rin­ve­nu­to.

    Cer­cò di pren­der­la al­la lar­ga ma quel­lo, in pre­da a rab­bia e pau­ra, si li­mi­ta­va a pe­rio­di­ci mu­go­lii.

    Al­la fi­ne, me­sco­lan­do qual­che pa­ro­la d'ita­lia­no a mol­te in dia­let­to, si de­ci­se a qual­che ri­spo­sta.

    Da do­ve vie­ne que­sta car­tuc­cia? – - Tro­va­ta in ter­ra. -

    L'ave­vi nel­la sac­ca ed è asciut­ta. Tra l'er­ba, con l'umi­di­tà del­la not­te, si sa­reb­be ba­gna­ta. -

    Nes­su­na ri­spo­sta.

    Sen­ti. Vo­glio ri­tro­va­re il fu­ci­le che ave­vi con te. Ti pro­pon­go un pat­to: se tro­vo il fu­ci­le ti de­nun­ce­rò in sta­to di li­ber­tà per por­to abu­si­vo. – - Voi con­ti­nen­ta­li non ave­te pa­ro­la. Tut­ti ugua­li! – - Sba­glia­to. – - Tut­ti ugua­li! –

    Fi­da­ti. Non te ne pen­ti­rai. –

    Sem­bra­va to­sto ma in fon­do era so­lo un ra­gaz­zo im­pau­ri­to e co­min­ciò pre­sto a

    sgre­to­lar­si.

    Se ti fac­cio ri­tro­va­re il fu­ci­le mi la­sci li­be­ro? – - Si, ma do­vrò de­nun­ziar­ti ed avrai un pro­ces­so. –

    Va be­ne. –

    Te­nen­do fe­de a quan­to det­to il ra­gaz­zo, por­ta­to sul po­sto da Ma­ri, do­po es­ser­si in­tru­fo­la­to a mo' di cin­ghia­le tra len­ti­schio e ci­sto, tras­se fuo­ri e con­se­gnò un vec­chio Fran­chi se­miau­to­ma­ti­co.

    Ma a co­sa ti ser­vi­va? –

    Pe­ri­co­lo­so vi­ve­re in cam­pa­gna. Le be­stie van­no di­fe­se. –

    Tor­na­ti in que­stu­ra, tra lo stu­po­re del per­so­na­le di ser­vi­zio che non ri­cor­da­va al­tri epi­so­di di si­mi­la­re col­la­bo­ra­zio­ne da par­te di pa­sto­ri fer­ma­ti, Ma­ri af­fi­dò il ra­gaz­zo al sot­tuf­fi­cia­le di tur­no per le for­ma­li­tà di ri­to e l'ar­ma al­la " scien­ti­fi­ca.

    Fu al­lo­ra che in­con­trò Mi­stret­ta.

    Con­gra­tu­la­zio­ni da par­te del que­sto­re. Pro­ce­di all'ar­re­sto e man­da un rap­por­to in pro­cu­ra.

    Non pos­so ar­re­sta­re il ra­gaz­zo. E' lui che mi ha fat­to ri­tro­va­re il fu­ci­le. Ho da­to la mia pa­ro­la. -

    La pa­ro­la ad un ani­ma­le co­me quel­lo non con­ta! -

    La co­sa pren­de­va una brut­ta pie­ga. Non era co­sì che la ve­de­va Ma­ri, con­vin­to che era quel­lo il pun­to di frat­tu­ra che ren­de­va tut­to più dif­fi­ci­le. - Ma c'è un or­di­ne del que­sto­re. il ma­gi­stra­to è già sta­to av­ver­ti­to!- In un at­ti­mo Ma­ri fo­ca­liz­zò qua­li gra­vi con­se­guen­ze avreb­be com­por­ta­to ciò che ave­va de­ci­so di fa­re: la pro­fes­sio­ne nel­la qua­le ave­va ri­po­sto tan­te spe­ran­ze e fon­da­to la sua gio­va­ne fa­mi­glia sa­reb­be an­da­ta in fu­mo.

    Pun­to e a ca­po. - pen­sò.

    Sen­ti Mi­stret­ta. So­no di tur­no ed il ca­so è mio. Ades­so ac­com­pa­gno il pa­sto­re

    fuo­ri e lo ri­la­scio; poi tor­no in uf­fi­cio .

    Que­sto è il mio tes­se­ri­no. Por­ta­lo al que­sto­re. Se lui vuo­le lo fa­rò se­gui­re da una let­te­ra di di­mis­sio­ni. –

    Quel­la mat­ti­na il ra­gaz­zo, che sten­ta­va a cre­der­ci, fu li­be­ro.

    Do­po qual­che ora Ma­ri tor­nò in pos­ses­so del suo tes­se­ri­no.

    POLLICE VERSO

    E’ una co­sa sbal­la­ta! - Non ce la fe­ce Ma­ri a trat­te­ner­si.

    Era sta­to per più di un’ora in si­len­zio. Ave­va cer­ca­to in ogni mo­do di re­pri­me­re il di­sa­gio che gli co­va­va nel­lo sto­ma­co nel ve­de­re na­sce­re, cre­sce­re, met­te­re ma­ni e pie­di, ar­ti­gli e zan­ne quel mo­stro di pro­get­to ope­ra­ti­vo che ri­ce­ve­va il con­tri­bu­to sem­pre più en­tu­sia­sti­co dei suoi quat­tro col­le­ghi.

    Nel­la stan­za del ca­po del­la Mo­bi­le, ove av­ve­ni­va la riu­nio­ne, l’aria era ap­pe­san­ti­ta e re­sa ma­leo­do­ran­te dal fu­mo del­le nu­me­ro­se si­ga­ret­te.

    Mi­stret­ta, ste­sa sul­la scri­va­nia una map­pa del­la cit­tà, ave­va mes­so al cor­ren­te i suoi col­la­bo­ra­to­ri che un in­for­ma­to­re ave­va for­ni­to i par­ti­co­la­ri di una ra­pi­na in pro­get­ta­zio­ne da par­te di no­ti pre­giu­di­ca­ti.

    L’ob­biet­ti­vo era la lo­ca­le fi­lia­le del Ban­co di Na­po­li, si­ta nel­la zo­na com­mer­cia­le del­la cit­tà. Ora, luo­go, gior­no, ar­mi da guer­ra da usa­re, com­po­nen­ti il com­man­do, tut­to era no­to. Pu­re no­to era il luo­go dal qua­le l’azio­ne sa­reb­be par­ti­ta, un ap­par­ta­men­to del vec­chio quar­tie­re nel qua­le era­no na­sco­ste le ar­mi.

    Il pia­no: re­qui­si­re un fur­go­ne ci­vi­le, riem­pir­lo di agen­ti for­ni­ti di ar­mi au­to­ma­ti­che, par­cheg­giar­lo nei pres­si del­la ban­ca, at­ten­de­re che i ra­pi­na­to­ri ar­ri­vas­se­ro, ef­fet­tuas­se­ro la ra­pi­na ed uscis­se­ro con le ar­mi in pu­gno. A quel pun­to gli agen­ti, ap­pro­fit­tan­do del fat­to­re sor­pre­sa, avreb­be­ro fa­cil­men­te fal­cia­to i cin­que mal­vi­ven­ti. I ri­sul­ta­ti sa­reb­be­ro sta­ti no­te­vo­li: az­ze­ra­men­to di pe­ri­co­lo­si cri­mi­na­li, stam­pa, ra­dio e tv in fi­bril­la­zio­ne e con­se­guen­ti en­co­mi e pro­mo­zio­ni.

    Al­la fi­ne Ma­ri, ul­ti­mo ar­ri­va­to tra i fun­zio­na­ri del­la Mo­bi­le, era esplo­so.

    Non sa­pe­vo che per il rea­to di ra­pi­na fos­se pre­vi­sta la pe­na di mor­te! Ma an­che se co­sì fos­se, nes­su­no ha pen­sa­to a quel­li che la ra­pi­na la su­bi­ran­no? Nel­la ban­ca i mal­vi­ven­ti po­treb­be­ro per­de­re la te­sta, uc­ci­de­re, pren­de­re ostag­gi! E i pas­san­ti? E i no­stri agen­ti? Un con­flit­to a fuo­co si sa co­me co­min­cia ma non co­me fi­ni­sce! E tut­to que­sto quan­do sa­reb­be mol­to più fa­ci­le sor­pren­der­li nel­la ca­sa ove na­scon­do­no le ar­mi ed ar­re­star­li per la de­ten­zio­ne.

    Le pa­ro­le ed il to­no di Ma­ri, che nes­su­no si aspet­ta­va, eb­be­ro un ef­fet­to di­rom­pen­te.

    La stan­za co­min­ciò ad on­deg­gia­re vio­len­te­men­te. Mi­stret­ta, im­bu­fa­li­to, get­ta­ta all’aria la map­pa, uscì sbat­ten­do la por­ta. Ma­ri fu cir­con­da­to dai col­le­ghi.

    Ma con chi stai? Con la po­li­zia o con i de­lin­quen­ti? –

    Se non fan­no la ra­pi­na co­sa gli con­te­stia­mo? Sol­tan­to la de­ten­zio­ne abu­si­va di ar­mi da guer­ra? –

    Per que­sto rea­to so­no pre­vi­sti no­ve an­ni di re­clu­sio­ne - ri­spo­se Ma­ri.

    La co­sa si sta­va scal­dan­do sem­pre più quan­do tor­nò il ca­po del­la Mo­bi­le ap­pa­ren­te­men­te più cal­mo.

    Ma­ri, vai dal que­sto­re. Ti vuo­le par­la­re.-

    Col cuo­re di­vi­so tra pre­oc­cu­pa­zio­ne e rab­bia Ma­ri sa­lì len­ta­men­te le due ram­pe

    di sca­le che por­ta­va­no all’em­pi­reo que­sto­ri­le. Fu an­nun­zia­to ed en­trò nel­la va­sta sa­la, ric­ca­men­te ar­re­da­ta con mo­bi­lio d’epo­ca, tap­pe­ti per­sia­ni e qua­dri sei­cen­te­schi in fon­do al­la qua­le tro­neg­gia­va l’Au­to­ri­tà.

    Il Com­men­da­to­re, co­me al­lo­ra ve­ni­va­no chia­ma­ti i que­sto­ri dai lo­ro di­pen­den­ti,

    era un

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