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Corriere dello Spirito
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E-book214 pagine2 ore

Corriere dello Spirito

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La scrittura è in ritardo sulla lettura così come l’interpretazione è in anticipo sul plagio. […] Disdire l’appuntamento e adire l’incontro, disfare la scritturazione e addire l’opera, la scrittura di Adamo di Compagnia addice, mostra l’opera. Gli articoli non ingiungono l’ordine di lettura. Un articolo determinativo è la ricognizione nella petizione di lettura, un articolo indeterminativo è la cognizione della ripetizione della lettura. Lettura non articolata, non congiunta al titolo attestato, non la competizione dell’aver digià letto, o non ancor letto, la lettura che fa testo, con l’indice legato al dito, lettori che si leccano le dita.
LinguaItaliano
Data di uscita12 nov 2013
ISBN9788868559007
Corriere dello Spirito

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    Anteprima del libro

    Corriere dello Spirito - Adamo Di Compagnia

    PREFAZIONE

    Giusto in tempo. Se lo scrivente è nel topos allora il leggente è nel nomos. Il sillogismo del luogo di scrittura ripone il lettore nel territorio scritturato. Il luogo di scrittura, il topos, stampato nei margini di pagine dattilografate e riversato in più copie rimarginate, orienta, con l’ausilio di un indice, la traccia della lettura. Il segnalibro è vigile, alla vigilia della lettura il segno piroetta con la memoria, ha voce in capitolo. Il titolo manovra le dita che sostengono il volume cartaceo e nell’indirizzo medio l’interpretazione riconosce la via da seguire. Ovvia e consegue il senso comune che, da sinistra a destra, dall’alto verso il basso, il punto fermo del capoverso, cede l’assenso al retto leggere. Il nomos del leggente, corretto, non insegue la macchia tipografica, esegue un esercizio da abbecedario e sfoglia le pagine. I margini esfoliati nella congiunzione del rigo precedente e nell’opposizione del capoverso, subentrano, nel leggente, alla scorsa e la successione di parole forma il senso di marcia, il senso comune, con le note a piè di pagina e privo di appunti. Il leggente è nella successione, nella conseguenza del senso comprovato. Sarebbe riprovevole oltrepassare il limite di velocità e adombrare le parole nel riflesso del morfema primo. Alla prova della lettura, il leggente in luogo dello scrivente, occupa il territorio della scrittura e avoca la figura di scritturato. Lo scritturato non sottintende, dalla prova della lettura risulta la scrittura comprovata. Consulta le note a piè di pagina e, dal senso comune riscontrato, si delinea in qualità di scritturato. La riga di scrittura segnata con il dito delinea il contrassegno dello scritturato. Il topos fa posto al nomos. Il topos agisce, nella modalità della composizione, e il nomos reagisce, con l’attributo del posto spettante, del posto che rispetta il senso comune, l’assegnazione di un consenso. Il topos insegna il nomos. Il nomos è riposto nell’azione della scrittura. Un’azione che non può divenire altro, nel topos dello scrivente, che scritturazione. Il nomos è scritturato. Il nomos designa il topos. Il suddetto aderirebbe al già scritto se non trascurasse una premessa, l’entimema scritturato non esegue il sillogismo, difetta di una premessa: la scrittura è fuori luogo. Nel suddetto, lo scrivente è lo scrittore e il leggente è il lettore, il senso comune risulta dalla composizione delle ore, dal morfema terminale – il senso della misura – e nell’inequivocabile interpretazione – il senso critico – la voce, sottovoce, del lettore perequa l’invocazione, sottintesa, dello scrittore. Il senso è compiuto, lo scrittore ha evocato il lettore, il lettore ha vocalizzato lo scrittore e l’invocazione orienta, orizzonta, elegge il lettore a eletto, lo scrittore a descrittore. Il senso comune convoca il senso del dovere. L’eletto e il descrittore non hanno tempo da perdere, l’imposizione del tempo dà alla scrittura la forma di un’azione – a tempo perso. A questo punto dovrei riporre a piè pagina una nota ove concettualizzare l’azione, ma la prefazione inerisce all’opera di Adamo di Compagnia e sarebbe intraluogo, esoluogo, evadere al margine del fuori luogo. Giusto in tempo. Lo scrivente mette in opera, opera la scrittura. Disconosce l’azione dello scrivere e opera la scrittura. Giusto in tempo non è la puntualità ad un appuntamento. Il descrittore e l’eletto potrebbero nell’assenza di una premessa, appuntare l’ora e il luogo del punto di ritrovo e comporre il topos con il nomos nella scritturazione che, dipoi, connoterebbero come scritturata. Lo scrivente opera l’incontro. La scrittura è in ritardo sulla lettura così come l’interpretazione è in anticipo sul plagio. La scrittura incontra il leggente nella eco del nomos. Prendendo in prestito una sensazionale locuzione dello scrivente – Adamo di Compagnia, il leggente opera l’eco-nomos. Nel fuori luogo della scrittura, il leggente riverbera il nome oltre l’anonimato, è nell’eco-nomos. Dall’omonimia del lettore nell’evocazione dell’eletto, secondo il rito prescritto dall’interpretazione, all’anonimato nella eco, il riverbero del nomos nella eco, disorientante. La scrittura incontra lo scrivente nella distopia. L’azione del descrittore espone l’opera della scrittura, lo scrivente, al futuro inimmaginabile, nell’immagine in dispregio dell’allucinazione, dell’allucinazione che riprende la percezione in introcezione nauseante, vomitevole in esterocezione. L’utopia della scritturazione mirante il fuori luogo della scrittura è irrealizzabile, è un pleonasmo. La distopia è il fuori luogo che non guarda al futuro per oltrepassare i margini della pagina, è il fuori luogo all’interno della pagina vergine, il fuori luogo che dà adito ai margini come exo-luogo, lo scrivente macchierebbe il dito con un fuori mano. La distopia dello scrivente è fuori luogo nell’azione della scrittura, l’eco-nomos è fuori luogo nella vocazione dell’eletto. Aduso ad Adamo di Compagnia sarebbe l’estemporaneo. Disdire l’appuntamento e adire l’incontro, disfare la scritturazione e addire l’opera, la scrittura di Adamo di Compagnia addice, mostra l’opera. Gli articoli non ingiungono l’ordine di lettura. Un articolo determinativo è la ricognizione nella petizione di lettura, un articolo indeterminativo è la cognizione della ripetizione della lettura. Lettura non articolata, non congiunta al titolo attestato, non la competizione dell’aver digià letto, o non ancor letto, la lettura che fa testo, con l’indice legato al dito, lettori che si leccano le dita. Giusto in tempo, come leggente ho incontrato l’opera di Adamo di Compagnia, per comodità di linguaggio abuso del di partitivo e genitivo, l’opera non è sottoscritta; ho incontrato l’opera. Giusto in tempo posso dire innanzi l’opera, che la scrittura è inazione, che la scrittura è anonima. Giusto in tempo potrò rileggere la prefazione, in un futuro distopico e con un’evocazione echeggiante l’anonimato.

    Alessio Sarnataro

    ARTICOLI DETERMINATIVI

    E

    INDETERMINATIVI

    DELLO SPIRITO

    FAVOLA DELL’ALBA

    C’era una volta un principio. Causa di sé. In effetti, il principio sussisteva nel caos. Negli affetti, il principio non aveva impulsi. Il principio immaginava un’estensione nei fatti. Privo di conseguenze, mai in tempo, c’era un principio. Il principio, nel tentativo di mutarsi in verbo: principiare, fiatò il predicato. La predica non poteva esordire dal c’era una volta; fattasi verbo, principiò il c’è due volte. Una volta la causa di sé, due volte la causa neologica, la causa efficiente. Nel due, il principio comprese l’efficienza della parola. Efficienza che nello sputo inficiava la dipendenza del causato. Nel segno dello sputo, il principio intravide il remoto e articolò la prima relazione, il coefficiente. Nella coefficienza la parola divenne in atto e la causa per sé commutò il primo efficiente. Il principio della parola, il discorso, fluiva ai margini della causa di sé e della causa efficiente con il vettore della coefficienza. Il margine limitava il due volte della causa efficiente, il causato efficiente, l’effetto come confine situava in superficie, raddoppiava la causa dipendente in causa efficiente e causa finale. Il principio nel discorso riprese la causa finale e nel finito conchiuse la causa di sé, nel punto che consegna al respiro le chiavi della parola, dopo l’invasione a singhiozzo tra una parola e l’altra. Il principio, a fortiori apprese la causa per sé. La causa per sé commutò il primo efficiente e il fine ultimo. Il principio, oramai nel c’è due volte, ricordò il c’era una volta. Ricordò il discorso e, nel particolare della lettera, rapportò l’ordine alla causa materiale. Nel due volte dell’effetto e del finito, ordinò la congiunzione in una intrinseca materia, la materia delle lettere; per comporre l’effetto e il finito abbisognava di lettere, lettere materiali, efonti combinate e reiterate, reiterate nella combinazione, combinate nella reiterazione. Nell’opposizione fra effetto e finito, la causa materiale adombrava l’eminenza di una causa, non causa di sé, né causa per sé: causa in sé. Causa in sé che il principio rimembrò di aver ascoltato in modalità indeterminativa nelle letture favolistiche al tramonto; causa in sé: essenza dello spirito. Alla causa materiale garbava la corrispondenza, la scrittura delle lettere necessitava di un destinatario e il principio espose la causa formale. La forma in cui ordinare le lettere: la parola. Parola che come causato, avesse l’autorità di richiamare la causa formale e l’istituzione di un ordine cui far corrispondere la combinazione e la reiterazione delle lettere, la comprensione delle cause intrinseche all’effetto e al finito, la materia e la forma. Il principio da causa in sé del c’era una volta, a causa per sé del c’è due volte, è sul punto di scrivere il ci sarà più volte - oramai è in tempo, è nel tempo, la logica del tempo - il ci sarà più e più volte il principio dell’ordine sussistente nel caos divenuto un principio del bianco consistente al caos, l’albescere.

    SVENDITA TOTALE

    Il negozio giuridico apre i battenti al pubblico, dispone il ritmo dell’offerta e secondo il primo accordo della scala nervosa acquisisce la domanda: che cosa è in saldo? Il listino, l’habitus è scontato, il prezzo dell’abitudine deriva dall’etimo di ricoprirsi di vesti per investire il corpo in un periodo ove il risparmio della nudità è una dilapidante modalità della caconomia. Il capo per essere registrato nel libro mastro e stornato dal listino, necessita di un verso, verso una consueta data feriale, posteriore alla successione festiva, il retaggio dello sconto segna il capoverso. Gli usufruttuari accorrono in massa, e disposti in teoria, la teoria per uno, acquistano. Sotto la spinta dell’optare disconoscono l’economia e inquinano la valuta dell’abitudine, un’azione che protratta nei giorni seguenti, sarà registrata come valutazione. Il pregio dell’abitudine consegue l’acquisizione di uno spazio condotto, il farsi largo a spallate detrae l’interesse dall’unità di misura dell’habitus, le spalle su cui indorsare le vesti, e la decurtazione dona una nuova abilità all’usufruttuario, l’abilità di dichiarare come sia aduso all’acquisto. La tratta del capoverso prosegue la data feriale concedendole una continuità analoga alla serie festiva. In vetrina il quotidiano descritto in percentuale di una stagione, in vetrina il manichino ammantato come percentuale di un corpo. L’esercizio spalleggiato è provato in uno spogliatoio, sfilato dinanzi e di lato ad uno o più specchi ad altezza d’uomo medio, dimostrato da uno scontrino fiscale e imbustato con tanto di marchio impresso, leggere e compiacersi della confezione. Approvato. Eppoi riprovato, alla seconda posa indosso della veste succede la lacerazione. Il corpo, riprovevole, esegue uno scarto, maldestro. Con un tiro mancino si porta una mano sul capo. Senza verso, controverso violenta il cuoio capelluto. Con un diavolo per capello, avvicina la mano furiosa, la manesca, ai globi oculari, testimoni il più delle volte attendibili quando ingentiliti dalle lacrime. E la visione, pur senza disdegnarle, non disegna l’imprecazione, la bestemmia o il maledetto, informa le linee dei capelli sul profilo di una parola: liquidazione. Il corpo rende soma un’espressione emotiva e avverte il rodio del fegato. Altri capelli cadono, i nostalgici del cuoio capelluto, disadattati al manesco, si adagiano al suolo nello stampo del manifesto pubblicitario: La liquidazione veste. L’abitudine ha lacerato il corpo, l’habitus ha indennizzato il corpo della nudità. Svestito, osserva l’epidermide e se ne appaga, svestito ammira i dettagli piliferi, svestito si sente denudato e allora si riveste con la lacerazione, la lacerazione delle vesti, la lacerazione delle abitudini, la lacerazione dell’epidermide. Desueto, saldo, impugna l’accordo delle parti: il corpo totalmente svenduto, denudato, soddisfatto o rimborsato, a saldo della ragione, fa assegnamento sulla compravendita dello spirito, la buonuscita dello spirito, a prezzo intero.

    OFFERTA SPECIALE

    Una massaia, non-in-dividuale, chiude la propria dimora. Sale le scale e al penultimo pianerottolo si ritrova sul solaio (nel gergo inquilinato) o, per fissare il piano dell’immagine, sulla terrazza del caseggiato. L’ambiente è plumbeo e inclinato. La donna sostiene l’equilibrio del proprio corpo con la collaborazione della mano sinistra e di un corrimano. Al limite dell’asta abbandona il contatto e scorre sul piano scoperto dell’edificio limitrofo. L’ambiente è plumbeo e orizzontale. Alcuni passi decisi e l’entrata di immergenza è tosto visibile. Una spinta verso il basso sulla leva di sblocco e l’entrata è praticabile. Gradini accompagnano il percorso verso il basso, un muro e una parete impiantati ai margini dei ripiani, fungono da impedimento al disorientamento. La scala termina e un barbaglio estende lo spazio rapportato. Il supermercato. L’ambiente è illuminato, magnetico e negoziato. La massaia è salutata da un campanello ospitale. Ricambia con il ticchettio delle scarpe. L’ordine direzionale è segnato da un incrocio di sensi di marcia. Il senso di marcia orizzontale traccia la merce contingente (da tempo libero), il senso di marcia verticale traccia la merce di prima necessità (occupata e determinata). Sugli scaffali, gestori dei prodotti, sono proiettate le ombre dei corpi degli avventori. La massaia all’intersecarsi dei sensi di marcia, scruta l’offerta del giorno. È curiosa e si avvicina ai gestori che declamano su sfondo rosso il tre per due. I dotti, sempre preceduti dal pro, la priorità dell’acquisto, dispongono di una serie di barattoli. La donna paventa che siano i recipienti della solita marmellata. Prende la parola e legge: Assoluto sotto Spirito. La conversazione è vaga, sembra quasi incipiente, per poi ricadere nell’oscurità. La materia prima dei barattoli è condizionante. In ogni declinazione non si può sfuggire al senso dell’offerta. E in sintesi la massaia adotta il tre per due. Torna sui propri passi dall’intersezione, e fruscia il denaro alla cassa, senza mora. Imbusta i tre barattoli per le due banconote, in posizione fragile per evitare che la materia prima s’incrini. Il campanello di fine rapporto erompe la vendita all’incanto, lei mostra il disincanto della pianta dei piedi. Una linea tangente la conduce alla propria dimora. La massaia non più non-in-dividuale, schiude il primo barattolo in senso antiorario, e assapora l’Assoluto sotto Spirito. Il gusto è naturale. Risoluta dischiude il secondo barattolo. Il retrogusto è essenziale. Coscienziosa e soluta apre il terzo barattolo. Anestetico il buongusto. In senso orario i barattoli sono svuotati e richiusi, la materia prima riversata: l’Assoluto nello Spirito.

    EPIFANIA

    Appaio, non rimuovo il lenzuolo, non ho esperito il torpore di un telo che muove il corpo al riposo. Compaio e non lascio traccia del cammino in un paio di piedi. Non striscio incatenato alle mie orme. Non saltello con il trasalire del respiro. Non cerco anfratti per assolvere la divisione della mia presenza, il quoziente che arresta le mie consegne. Traspaio nel gioco delle ombre eclissate, le ombre ricoperte dall’artificio dell’illuminazione e dal lecito riflesso della luce solare, corrente sulla circonferenza lineare ai raggi dell’astro. Non spingo alla caducità gli oggetti, anche se ricambiare un soprammobile frantumato sotto un mobile mi sollazza. Gli scricchiolii notturni del legno mi disturbano, tanto quanto il ronfare di un vostro piazzato di letto. I rumori nelle cavità delle pareti non li percepisco, le pareti sono ingessate

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