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Epistéme e utopia. La poesia come significato ed immagine del mondo
Epistéme e utopia. La poesia come significato ed immagine del mondo
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E-book164 pagine2 ore

Epistéme e utopia. La poesia come significato ed immagine del mondo

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Se la filosofia e la poesia aiutano a comprendere la realtà, sanno svelare al contempo il tradimento della società nei confronti dell’arte, proprio come la Bellezza mostra la distanza dal male. La società si manifesta nella sua ipocrisia quando emargina la poesia, anche se il poeta si lascia sacrificare perché è la poesia che conta, su tutto. Così l’arte, tutta l’arte, illuminando la società, svela il rancore del sistema verso la sua proposta di libertà; quando la verità è tradita, l’artista e il poeta sono gli unici a svelare la tragedia, detto altrimenti: la società si tradisce con il frutto dell’artista, del poeta perché con la loro opera svelano la società, i meccanismi che la formano e gli orizzonti a cui tende.

La poesia e l’arte sono sempre lo specchio delle catene che sopportano.
LinguaItaliano
Data di uscita5 mag 2017
ISBN9788892658752
Epistéme e utopia. La poesia come significato ed immagine del mondo

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    Epistéme e utopia. La poesia come significato ed immagine del mondo - Alessio Tanfoglio

    2017

    Intorno al senso del titolo e al suo svolgimento.

    Innanzitutto: troppo spesso si tende a minimizzare o, peggio, a dimenticare che ciò che vediamo, ciò che constatiamo della realtà, è dovuto alla percezione dei nostri sensi; se ci ritroviamo parte del mondo e della realtà, questo lo dobbiamo proprio alla capacità delle nostre percezioni di cogliere, del reale, non solo ciò che ha carattere ontologico ma anche tutto quel mondo intimo, soggettivo, che risulta invisibile ma che nasce proprio dal fatto di essere nel mondo, e di percepire il mondo attraverso i sensi, secondo la nostra esperienza e personalità (temperamento). Così come la realtà non è realmente Vera, cioè unica, per come ci si presenta (infatti ognuno ha versioni diverse di uno stesso fatto e di ogni accadimento), anche il mondo delle percezioni non ha carattere di verità, ed è pertanto fallibile (in quanto soggettivo). Siamo continuamente sulla bilancia dell’epistéme da un lato e dell’utopia dall’altro, della certezza della concretezza della realtà opposta all’idea, al sogno; siamo costantemente strattonati da un lato da ciò che conosciamo e consideriamo reale, e dall’altro da ciò che fa parte dell’astratto, del non–reale, ma percepito, dell’inesistente (il termine utopia ha due significati, l’uno che identifica nell’in-esistente la sua appartenenza, l’altro che la indica come un buon-luogo, quello a cui tutti aspiriamo, pertanto quando parliamo di utopia, a mio parere si dovrebbe intendere come l’idea di un buon luogo); siamo cioè costantemente condizionati dall’opposizione-contraddizione che vede la concretezza di un ente e il suo divenire opposto al pensiero, all’idea, all’idea di un buon luogo che io individuo, mancando l’eternità, in definitiva posso ritrovare nella Poesia. Ecco le ragioni del titolo: Epistéme e utopia.

    Non esistendo l’eternità ma solo la realtà nel suo divenire finito, non resta che il rifugio della parola, la sola tra le possibilità comunicative, utile a decodificare ciò che consideriamo realtà, e in particolare non resta che la filosofia e la poesia, non resta che l’idea, il sogno dell’utopia come ambiti nei quali la parola sa trovare degno riconoscimento del suo valore, anche pedagogico-esplicativo.

    In questa contrapposizione di materiale (percepibile) e spirituale (astratto), la filosofia, cioè lo scavo dell’idea attraverso la parola, e la poesia, cioè la descrizione di un sentire la realtà attraverso la parola, fungono da scialuppe di salvataggio per raggiungere il luogo (o non-luogo), della Verità, sfida difficilissima quanto elettrizzante.

    La parola è un codice, organizzato in un sistema di regole, capace di esprimere ogni esperienza esprimibile, si tratti di realtà cogente e verificabile, o di realtà d’idee, di realtà intima, astratta. Alla parola affidiamo la certificazione di aver compreso la realtà e alla parola affidiamo la responsabilità del farci capire dagli altri nel dialogo. (La parola scritta è implicitamente dialogo).

    A questo punto risulteranno chiari ed evidenti i tratti delle accordanze tra la filosofia e la poesia, ambedue dedite alla definizione di una realtà, reale o astratta, attraverso la parola. Filosofia e poesia, nell’ambito dell’idea di un buon luogo, però si fronteggiano in una ulteriore contrapposizione, l’una, la filosofia, supponente nella sua pretesa di concretezza, l’altra, la poesia, dedita a definire le percezioni della realtà ma in modo riservato, intimo. Ambedue necessarie e fondamentali per far sì che l’ente acquisisca consapevolezza non solo del suo farsi, ma soprattutto del suo mutamento, nel suo divenire. Ambedue per millenni si sono fronteggiate in schermaglie che hanno costantemente visto la filosofia primeggiare, salvo rare eccezioni, senza peraltro raggiungere ciò che era ed è nei suoi intendimenti, che non si trova nell’esercizio del potere. Ad una analisi più stringente risulta evidente il carattere altezzoso della filosofia e la posizione umile della poesia, anche se ambedue risultano appartenenti allo stesso luogo dell’utopia, ma dove la filosofia intende smarcarsi nella ricerca, nello scavo del reale, avvolta dall’onnipotenza della sua ordinata strutturazione della parola, la poesia si giustifica nel lavoro metodico e costante, forse più costruttivo di quello svolto dalla filosofia, un lavoro che prevede una definizione delle percezioni di questo reale, anche sconfinando a volte nell’esercizio sterile della linguistica intesa come rigida attuazione di regole e formalismi.

    Va anche chiarito che la comprensione non è dovuta solo al segno percepibile della parola o al contenuto astratto-immaginifico della stessa, cioè non è solo il significato e il significante che determinano la loro comprensione, ma la loro comprensione è soprattutto relativa anche al dato percettivo del referente, colui che si trova davanti la realtà della parola e cerca di attualizzarla in senso compiuto. La comprensione è dipendente perciò dalla capacità del referente di decodificare le parole e il senso del discorso. La loro articolazione definisce la produttività, la discorsività, il distanziamento che consente di poter formulare messaggi inerenti il reale, ma anche fatti lontani nel tempo, e tutto questo nonostante la loro equivocità, insita non solo nella parola stessa che si può prestare a più di una interpretazione, ma anche alla sua trasmissione in ambiti slegati dal loro tempo storico (cioè: un termine subisce una colorazione, una variazione di senso, o la soppressione, proprio a causa del cambiamento dell’epoca storico-culturale in cui è stato coniato e che, nel divenire, può non essere riconosciuto nella sua attualità). La conoscenza della complessità dei fatti storico-culturali, visti in modo sincronico con la realtà, ci permette di usufruire del linguaggio della parola secondo coerenze e chiarezza.

    Fatte queste prime precisazioni non ci resta che individuare, del mondo reale e del mondo soggettivo psicologico (sensoriale),le caratteristiche utili allo svolgimento del tema in esame. Se la filosofia è scavo, indagine di un postulato, di un’idea, e se è esplorazione della parola secondo una logica finalizzata a trovare un’origine, un principio, la poesia risulta essere la rivelazione, anch’essa attraverso la parola, della scoperta del mondo intimo soggettivo. Questo mondo intimo è costruito dall’esperienza esclusiva del vivere, tradotta grazie al riconoscimento delle percezioni. I due mondi, il filosofico esterno e il poetico interiore, grazie alle percezioni si mettono in diretta comunicazione. Da qui nasce il testo poetico, e da qui nasce il contrasto, presunto o reale, tra fare filosofia e fare poesia, da qui nasce la supposizione che una sia regina e l’altra schiava; infatti per il filosofo il poeta è un torturatore della parola, un assassino che uccide il senso delle parole piegandole, non facendole aderire ad una logica di senso, tipica del filosofare, ma alle dinamiche di un sentire la realtà che è valore intimo, personale, dettato da intuizioni e sensazioni, in un linguaggio che per taluni risulta soggetto a visioni del reale che poco o niente conservano della loro relazione coi fatti. Per molti appunto la poesia è una specie di gioco senza regole, dove chiunque può esprimere le proprie sensazioni nel modo che più sente suo, per questo per molti la poesia è ritenuta serva del filosofare, inadatta a descrivere il reale e lontanamente utile all’esprimere ciò che è l’uomo. Al contrario, per chi ama la poesia, questa è l’unica possibilità che l’uomo ha per liberarsi dalla stretta logica del pensiero filosofico, per cui la poesia sa esprimere col linguaggio delle parole, la propria visione della realtà e del mondo, e per questo è la possibilità reale del singolo di poter costruire un dialogo costruttivo con la realtà.

    La poesia aiuta la parola ad esprimere il significato profondo, quello appunto inerente il mondo intimo. Proprio questo mondo privato, esclusivo, nel momento in cui viene rivalutato dalla nostra attenzione e reso accessibile attraverso la parola organizzata in sistema e in senso, acquisisce lo status di poesia. E’ la parola, comune sia alla filosofia che alla poesia, il motivo del dialogo tra questi due mondi; la poesia ci guida e permette di realizzare il dialogo tra il mondo esterno e la realtà intima del nostro Sé, ed è proprio a questo mondo sommerso che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione, perché se anche troppo spesso si dimentica che se riusciamo a cogliere la concretezza del mondo lo dobbiamo alla percezione dei nostri sensi, e se troppo spesso non riusciamo a riflettere sulle cose e sulla realtà del mondo, l’esistenza di questi due emisferi del nostro essere enti, continuano ad esistere ugualmente. (I sensi ci permettono di conoscere meglio noi stessi e conoscere il mondo, la realtà). La poesia si rivela perciò come passo di conoscenza del divenire degli enti attraverso la traduzione delle percezioni che gli stessi enti hanno, rispetto al mondo e alla sua verità.

    Questo conflitto tra filosofia e poesia, risulta evidente a partire da quando la coappartenenza e la coabitazione nel linguaggio della parola, ha saputo rivelare nuove verità delle precarietà dell’ente e del mondo. Conseguente è stata per certi filosofi dediti ad una più coerente attenzione ai fatti del mondo, un abbandono di certe specificità e attorcigliamenti attorno alle parole e nel contempo un deciso avvicinamento verso scienze apparentemente lontane dalla filosofia teoretica, per altri invece, quelli che erano e ancora sono annoverati nella filosofia classica, si è potuto constatare un deciso arroccamento del loro fare filosofico, nel quale nessun aggancio ai fatti del reale si poteva individuare, hanno cioè continuato ad esercitare il fare filosofia come puro esercizio di logica astrazione. Nell’un caso si è sperimentata una diffusione di filosofi-scienziati, filosofi-economisti, di filosofi-psicologi, di filosofi-sociologi, di filosofi-teologi, ecc, nell’altro di filosofi-filosofi tout-court, gli uni simpatici al grande pubblico, gli altri emarginati nel loro prezioso studio individuale. A onore del vero va anche detto che appartiene alla storia della filosofia dal suo principio, l’avere due anime, basta pensare ai pre-socratici, Talete, Anassimandro, Pitagora, Eraclito, Parmenide ed Empedocle, che si occupavano dei fenomeni della natura, per trovare un possibile principio dell’universo, e allo stesso modo si occupavano di problemi matematici, scrivevano di scienza e di teologia, come di temi prettamente filosofici relativi a ciò che Kant descrive nel contrasto tra fenomeni e noumeni (logica, anima, esistenza e finità). Per cui questa duplice azione della filosofia non è un dato preoccupante, semmai va riconosciuto come fatto accrescitivo della filosofia stessa. Nell’ambito di questi due svolgimenti della filosofia, si è potuto verificare anche una riscoperta dei testi di filosofi considerati pensatori-fulcro quali soprattutto Platone, Aristotele, Kant, Marx, Nietzsche. Da questo movimento interessantissimo della filosofia, si potrebbe pensare che possa essere maturo ormai il considerare come naturale la disposizione al dialogo dei due mondi, della filosofia e della poesia, messi appunto in relazione dalla parola, ma ancora si assiste a schermaglie, dell’una verso l’altra, in virtù di una supposta e mai verificata superiorità.

    Ciò che non si considera, che troppi filosofi ancora non considerano, è il dato centrale del conflitto tra filosofia e poesia e cioè che, come spesso accade, tra i due litiganti…, e il terzo sarebbe la tecnica, intesa nella sua specificità di mezzo d’informazione che infatti, mentre la filosofia primeggiava, si andava organizzando e mentre la poesia andava occupando terreno e spazi adatti all’espressione del mondo intimo sconosciuto, la tecnica si prodigava, e ancora costantemente si prodiga, per fare in modo che il linguaggio e la parola siano svuotate del loro valore e siano soverchiate dalla chiacchiera. Questa dovrebbe essere la vera preoccupazione della filosofia e della poesia, non lottare per occupare il trono di reggente, per la verità ormai saldo, della parola, ma investire energie nello specificare le qualità proprie, rispetto al vuoto virtuale della chiacchiera che autocircoscrive sempre più gli orizzonti del reale e della Verità. Anche ciò che abbiamo imparato a conoscere come informazione, che sempre più si rivela essere de-formazione e propaganda, cioè una sostituzione informativa con una versione di scopo eminentemente ideologico frutto di manipolazione dei dati reali, dovrebbe entrare nelle questioni chiave della lotta della parola filosofica e poetica. Chiacchiera e propaganda sembrano infatti essere le strade principali percorse dai milioni di twuitteristi ed internauti che quotidianamente utilizzano i mezzi tecnologici, senza immaginare problematiche relative alla parola e al suo senso, al mezzo meccanico e alle conseguenze di significato e di rapporti interpersonali e sociali del suo utilizzo.

    *

    Filosofia e poesia sono elaborazioni del pensiero e nello specifico della parola. L’uomo si trova, in quanto ente, e in quanto viaggiatore di se stesso, nella condizione del turista curioso del mondo e delle cose, ma esposto al divenire, al dissolversi di sé e del mondo, senza alcuna protezione che possa allontanarlo da questa certezza; gli resta solo di colmare il vuoto della sua ignoranza, ben sapendo dell’impossibilità di addivenire ad alcuna conclusione, per questo sulla strada spesso si riposa, solo, tra privati rifugi d’abbracci che possano lenire il dolore e la tragedia; in quelle situazioni la parola diventa espressione dell’intimo sé. Come il destino della rugiada.

    *

    In questo scritto non intendo sostenere una superiorità della filosofia rispetto alla poesia, e neppure viceversa, poiché a tutte e due mi sento di appartenere e perché tutte e due le sento affratellate e unite in un solido abbraccio; intendo, considerando le ormai acquisite sicurezze della filosofia, invece svolgere il tema della poesia partendo, come si sarà capito, dall’analisi dei pregressi rapporti col mito e con la filosofia, indicando caratteri e significanze di ordine generale, senza entrare nel merito di argomentazioni che intendano spiegare i geroglifici dell’una e dell’altra, e i lati in ombra relativi alla loro esposizione. Nel testo infatti cerco di sviluppare maggiormente i caratteri dialogici insiti nella parola poetica. Sono sinceramente portato a considerare la poesia come necessità e modalità

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