Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Fact Checking - La realtà dei fatti, la forza delle idee
Fact Checking - La realtà dei fatti, la forza delle idee
Fact Checking - La realtà dei fatti, la forza delle idee
E-book835 pagine12 ore

Fact Checking - La realtà dei fatti, la forza delle idee

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Viviamo in un Paese democratico, in uno Stato di diritto? La scienza è oggettiva e persegue il benessere e il progresso dell'umanità? La società moderna è governata ormai da uno stretto rapporto tra politica e scienza, in cui quest'ultima sembra diventata uno strumento di governo. Ma è realmente così? La società moderna ha ancora valori che guidano l'azione politica e il progresso scientifico?
Un tema di enorme attualità su cui moltissime persone sembrano percepire e vivere realtà diverse. Quanto c'è di vero nella visione del mondo proposta dalle Autorità e dai mass media? Quanto invece in quelle avanzate dai cosiddetti "complottisti"? Scopriamolo in questo libro in cui i fatti sono utilizzati come principale strumento di ricerca di una verità oggettiva e di misura dei reali valori, propri di chi quella realtà la determina, la governa, la racconta e la vive.
Una circostanziata analisi e un controllo della veridicità dei fatti (fact checking) fatta con un rigore e una coerenza che non lascia spazio a nessuna forma di disinformazione, e che invita il lettore a riflettere su principi e valori oggi alla base della vita di ciascun individuo e delle moderne società democratiche, intrise di relativismo e post verità.
Ma cosa vuol dire relativismo? Cos'è la post verità? È possibile influire sulla comune percezione della realtà? In che modo?
Dal sistema educativo, alle tecniche di manipolazione linguistica, dalle finestre di Overton ai regimi di ragione, passando dai bias di conferma e le tecniche di controllo sociale, nessun aspetto che oggi incide sulla percezione della realtà viene trascurato. Un controllo dei fatti che passa attraverso riflessioni di filosofia, sociologia, psicologia, storia, economia, diritto, tutte fatte non prima di aver fornito al lettore gli strumenti necessari per eseguire in autonomia un fact checking completo e accurato. Un coerente percorso di conoscenza e consapevolezza finalizzato a determinare una crescita culturale nel lettore, affinché questo possa agire in modo più libero e socialmente consapevole. Un inno alla coerenza, alla democrazia e ai valori umani fondamentali.
Pensi davvero di conoscere la realtà in cui vivi? Forse prima di rispondere dovresti leggere questo libro.
LinguaItaliano
Data di uscita20 giu 2021
ISBN9791220817066
Fact Checking - La realtà dei fatti, la forza delle idee

Leggi altro di Stefano Nasetti

Correlato a Fact Checking - La realtà dei fatti, la forza delle idee

Ebook correlati

Politica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Fact Checking - La realtà dei fatti, la forza delle idee

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Fact Checking - La realtà dei fatti, la forza delle idee - Stefano Nasetti

    Stefano Nasetti

    Fact Checking - La realtà dei fatti, la forza delle idee.

    Ideazione e realizzazione copertina

    Dario Senesi

    Web site: dariosenesidesigner.com

    contatti: info@dariosenesidesigner.com

    UUID: 81a6b90e-1a69-4f5b-8075-4c0819553fd2

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Ringraziamenti

    Grazie alla mia famiglia per l'affetto, il supporto e la quotidiana pazienza. Un grazie di cuore a Dario Senesi per l'amicizia e per aver ideato e realizzato la bellissima copertina. Un pensiero speciale va all'amico (prematuramente scomparso) Alberto De Carli, uomo di valore, spirito libero, mente brillante sempre in cerca della verità, a cui forse questo libro sarebbe piaciuto.

    Dedicato alla mia famiglia e a tutti coloro che credendo ancora nei valori umani e democratici fondamentali, vogliono essere uomini liberi. Spesso la differenza che c'è tra ritenersi liberi ed esserlo davvero passa solo attraverso l'acquisizione della consapevolezza.

    Se ascolto, dimentico. Se ascolto e vedo, ricordo poco. Se ascolto, vedo, pongo domande o discuto con qualcun altro, comincio a comprendere. Se ascolto, vedo, discuto e faccio, acquisisco conoscenza e abilità. Se insegno a un altro divento padrone. (Confucio)

    Sinossi

    Viviamo in un Paese democratico, in uno Stato di diritto? La scienza è oggettiva e persegue il benessere e il progresso dell'umanità? La società moderna è governata ormai da uno stretto rapporto tra politica e scienza, in cui quest'ultima sembra diventata uno strumento di governo. Ma è realmente così? La società moderna ha ancora valori che guidano l'azione politica e il progresso scientifico?

    Un tema di enorme attualità su cui moltissime persone sembrano percepire e vivere realtà diverse. Quanto c'è di vero nella visione del mondo proposta dalle Autorità e dai mass media? Quanto invece in quelle avanzate dai cosiddetti complottisti? Scopriamolo in questo libro in cui i fatti sono utilizzati come principale strumento di ricerca di una verità oggettiva e di misura dei reali valori, propri di chi quella realtà la determina, la governa, la racconta e la vive.

    Una circostanziata analisi e un controllo della veridicità dei fatti (fact checking) fatta con un rigore e una coerenza che non lascia spazio a nessuna forma di disinformazione, e che invita il lettore a riflettere su principi e valori oggi alla base della vita di ciascun individuo e delle moderne società democratiche, intrise di relativismo e post verità.

    Ma cosa vuol dire relativismo? Cos'è la post verità? È possibile influire sulla comune percezione della realtà? In che modo?

    Dal sistema educativo, alle tecniche di manipolazione linguistica, dalle finestre di Overton ai regimi di ragione, passando dai bias di conferma e le tecniche di controllo sociale, nessun aspetto che oggi incide sulla percezione della realtà viene trascurato. Un controllo dei fatti che passa attraverso riflessioni di filosofia, sociologia, psicologia, storia, economia, diritto, tutte fatte non prima di aver fornito al lettore gli strumenti necessari per eseguire in autonomia un fact checking completo e accurato. Un coerente percorso di conoscenza e consapevolezza finalizzato a determinare una crescita culturale nel lettore, affinché questo possa agire in modo più libero e socialmente consapevole. Un inno alla coerenza, alla democrazia e ai valori umani fondamentali.

    Pensi davvero di conoscere la realtà in cui vivi? Forse prima di rispondere dovresti leggere questo libro.

    Prefazione

    Non cercare di essere un uomo di successo, ma piuttosto un uomo di valore (Albert Einstein).

    Questa frase del celebre fisico tedesco ha suscitato in me profonde riflessioni nel corso del tempo, riflessioni che poi, dopo diversi anni, mi hanno guidato nella stesura di questo libro e del messaggio più profondo che contiene.

    L’importanza delle moltissime informazioni (di carattere storico, filosofico, sociologico, giuridico ed economico) contenute in queste pagine, passa, nel giudizio di chi scrive, in secondo piano di fronte a quella delle considerazioni riguardanti la natura dell’animo umano e l’importanza dei valori che le società odierne sembrano aver dimenticato. Nella speranza che il messaggio di fondo del libro sia carpito e capito da te che stai iniziando a leggere queste pagine, inizio a mettertene a parte, proprio partendo dalle riflessioni che traggono spunto dalla citazione di Einstein.

    La civiltà umana si è sempre basata sulla competizione ma, nell’ultimo secolo, l'adozione, la diffusione e l'incentivazione del modello consumistico, basato sulla competitività esasperata, senza alcun limite dal punto di vista etico e sociale, ha innescato quel degrado culturale e morale che oggi possiamo toccare con mano.

    Riuscire a far valere se stessi, raccogliendo ciò che si semina è ormai molto difficile. Non esiste un destino predefinito. Sono certo che tutti, in una certa misura, possono essere artefici del proprio destino, sebbene io sia consapevole che molti aspetti di questo e della nostra vita sono fuori dal nostro diretto controllo (e qui sta quindi, l'unico vero limite all'autodeterminazione). Tuttavia, anche questo limite, che all'apparenza sembra molto ampio, può essere ridotto e circoscritto in modo significativo, attraverso la partecipazione attiva alla vita sociale e alla tutela dei valori fondamentali a cui ogni contesto che si definisca civile dice di rifarsi.

    Quando in passato la popolazione mondiale era di sole poche centinaia di milioni di abitanti, nascevano continuamente uomini in grado, con le loro idee, la loro intelligenza e la loro genialità, di elevarsi al di sopra degli altri, riuscendo addirittura a lasciare la loro impronta nella storia e condizionare il proprio presente e il futuro, addirittura fino ai giorni nostri o anche oltre. Mi riferisco ad esempio, a Galileo Galilei, a Giordano Bruno, Leonardo da Vinci o Nicola Tesla, ma potremmo citare anche Pitagora o ancor prima i maggiori filosofi greci di cui ancora parliamo. Sebbene la popolazione terrestre fosse composta da un numero molto più esiguo di individui rispetto ad oggi, la frequenza con cui tali uomini intellettualmente dotati riuscivano ad emergere è apparentemente sconcertante.

    Sembra quasi che ogni epoca avesse il suo genio. La percentuale di genialità in rapporto al numero della popolazione, era decisamente alto se confrontato con quello di oggi.

    Oggi sulla Terra vivono oltre 7,5 miliardi di persone, eppure sembra di essere contornati quasi da cloni. Tutti fanno la stessa cosa perché così gli è stato detto di fare. Tutti pensano che siano giuste le stesse cose perché così, fin da piccoli gli sono state insegnate, senza possibilità di discussione, senza lasciare spazio al dubbio. Chi osa porsi legittime domande di fronte ad evidenti e assurde anomalie storiche, religiose, scientifiche, è deriso, umiliato e annichilito.

    Viene instillata in ciascun abitante di questo pianeta, fin dalla nascita, l'idea che se tutti la si pensa allo stesso modo (anche se questo modo è oggettivamente assurdo) la vita è migliore. È quindi il contestatore l'unico vero nemico della società.

    L'idea predominante dell'ultimo secolo e mezzo (fatta eccezione per una breve parentesi nella seconda metà del novecento) è quella che lo Stato deve dire al cittadino come comportarsi, cosa pensare, cosa fare. Ciò sa molto di dittatura e schiavitù, ma tant'è che nella mediocrità ed imposta omologazione della massa, lo spazio per provare ad essere sé stessi, a distinguersi (in meglio) e magari ad elevarsi con i propri pensieri al di sopra di questo misero e mediocre livello, sembra essere sempre meno.

    Tuttavia continuo a pensare che, alla fine, ognuno di noi è chi cerca e sceglie di essere.

    Ci sono due strade che possono essere intraprese per vivere la propria vita in questo contesto sociale globalizzato, e per provare ad emergere in questo mondo ultra competitivo. Sebbene entrambe mirino forse allo stesso risultato, cioè a raggiungere il successo (anche se inteso in modo diverso), sono strade diametralmente opposte.

    La prima è la strada più faticosa, e per questo oggi poco battuta, fatta di rinunce e sacrifici, fatta di coraggio, caparbietà, consapevolezza delle proprie potenzialità, della capacità di esprimerle compiutamente e di metterle a frutto. È la strada intrapresa da chi ha l'intelligenza e l'umiltà di essere consapevole dei propri limiti e la voglia continua di migliorarsi, di mettere continuamente in discussione se stesso e la propria visione del mondo, di quelli curiosi che non si accontentano di credere ma vogliono sapere, che non si accontentano di sapere ma vogliono capire, perché la comprensione porta alla consapevolezza, di quelli che ritengono che esistano ancora principi e valori fondamentali che non possono, in alcun modo e per nessun motivo, essere calpestati, di quelli a cui non interessa omologarsi, di quelli che dimostrano con i fatti la coerenza tra il proprio pensiero, i propri valori, i propri ideali e il proprio comportamento. È la strada e di quelli che riescono a risollevarsi dalle sconfitte senza rinnegare se stessi, perché sapere di avercela fatta in modo leale e corretto, nel rispetto degli altri oltre che di sé stessi, è un qualcosa che non ha prezzo.

    Questa è una strada percorsa ormai da pochi, ed è una strada che non da garanzia di arrivare all'obiettivo, cioè quello di emergere o di arrivare al successo.

    In ogni caso, chi percorre questa strada, sia se riuscirà ad elevarsi sulla mediocrità della massa, magari riuscendo anche ad essere riconosciuto come uomo di successo, sia nel caso non sarà riuscito a raggiungerlo, avrà sempre fatto tutto contando sul proprio valore, sulle proprie forze, sulle proprie capacità. L'uomo che intraprende questa strada sarà, sempre e comunque, un uomo di valore.

    La seconda strada è invece molto frequentata. È la strada più facile. È la strada intrapresa da quelli troppo arroganti e presuntuosi per mettersi in discussione, di quelli che ormai comodi nelle loro posizioni ed abitudini sono troppo pigri per mettersi in gioco veramente, di quelli che forse consapevoli del loro scarso valore, della loro conclamata mediocrità sono coscienti dell'impossibilità di elevarsi per propri meriti o capacità.

    Questa è la strada di quelli che non conoscono e/o si riconoscono in alcun valore e principio da rispettare, per cui l'io viene sempre prima degli altri, di quelli che non s'interessano del contesto sociale in cui vivono, perché lo vedono soltanto come spazio per vivere la propria vita secondo la loro unica visione (spesso neanche frutto del loro pensiero, ma calata dall'alto). È la strada percorsa dai superficiali, dagli approssimativi, dagli omologati, da quelli del " ci credo perché lo ha detto la TV, il Ministro, il giornalista, l’esperto, di quelli del se lo fanno gli altri allora lo faccio anch'io". È la strada preferita dagli arrivisti, da chi è disposto al compromesso, dei servi sciocchi al servizio di chi il potere lo ha già al punto che non ha più neanche bisogno di chiedere o ordinare nulla a queste persone. È la strada percorsa da chi è disposto a soffocare la propria coscienza, a far finta di non vedere, a far finta di non sapere, di quelli che se necessario sono disposti ad abdicare dalla propria intelligenza e prostituirsi intellettualmente, moralmente se non addirittura fisicamente, in nome dell'obiettivo finale: arrivare al successo ed elevarsi sugli altri.

    Ma come fare in questo caso ad elevarsi se non si è in grado o non si ha voglia di migliorarsi? La soluzione viene spontanea. Quando non si può salire più in alto degli altri, l'unico modo di apparire più in alto è quello di cercare di far apparire più bassi tutti gli altri, cercando di silenziare la voce di coloro che possono rappresentare una minaccia alla propria posizione, spargendo su di essi letame, infamie e colpendo spesso subdolamente e indiscriminatamente con qualunque mezzo chiunque gli si pari davanti e in ogni occasione che si presenti. Anche questa strada non dà garanzie di arrivare all'obiettivo ma, nella mente di chi decide di intraprenderla, è più facile e, in caso di insuccesso essendo una strada molto frequentata, ci si consolerà sempre con il senso di appartenenza alla massa.

    L'uomo che intraprende questa strada potrà forse anche essere considerato, se riuscirà ad elevarsi annichilendo tutti coloro che lo circondano, un uomo di successo, ma non sarà mai un uomo di valore, perché il suo " essere al di sopra" non è frutto e conseguenza delle proprie capacità, del proprio lavoro, ma soltanto dell'annichilimento del prossimo.

    La domanda che ognuno di noi dovrebbe porsi nell'intimità della propria mente e in presenza della propria coscienza è: quale delle due strade sto percorrendo?

    La risposta, che ci si augura sia intellettualmente onesta, visto che si sta parlando con sé stessi, ha forse poca importanza, perché qualunque sia la risposta, saranno poi i fatti, i comportamenti nel quotidiano, in ogni occasione, che si sia controllati o meno, a determinare quale delle due strade stiamo veramente percorrendo, stabilendo dunque, se siamo realmente uomini di valore o se, al massimo, potremmo diventare solo uomini di successo.

    Per scegliere la prima strada, ci vuole coraggio? No, soltanto dignità e onestà. " La dignità non consiste nel possedere onori ma nella coscienza di meritarli" (Aristotele).

    L’onestà ha un prezzo, un prezzo salato che ogni persona onesta conosce e paga. Innanzitutto perché è mal sopportata. L’onestà ti allontana dalla gente, perché per poter essere vicino alla gente è necessario essere nella disponibilità della gente, quindi "corruttibile o avvicinabile".

    La conseguenza immediata dell’onestà (in primis di quella intellettuale) è un po’ di solitudine ma, se si è in pace con la propria coscienza si è in pace con se stessi e dunque, nella solitudine ci si vive bene, forse, in alcuni casi, meglio.

    Iniziare a leggere senza pregiudizi è una delle prime dimostrazioni di onestà intellettuale.

    Quando si legge uno scritto di cui si vuol conoscere il senso, non se ne disprezzano i segni e le lettere. Chi legge realmente per conoscere, non chiama tali segni e lettere illusione, fantasia senza valore. Al contrario li decifra, li studia, li ama, lettera per lettera.

    Se si vuole leggere e capire gli scritti antichi, ad esempio, non li si interpreta a favore di un significato congetturato e preconcetto, chiamando il contenuto esplicito fantasia, mito, illusioni, allusioni, coincidenze senza valore, sminuendo il contenuto di quella lingua, di quel racconto e della cultura che lo ha prodotto. Lo stesso avviene quando si legge un libro come questo, che parla di accadimenti contemporanei, di valori o di idee.

    Se si legge realmente con il solo intento di capire, di progredire culturalmente, anche se non si condivide appieno ciò che si legge, non si disprezza quel libro, tutt’al più non lo si apprezza.

    Ogni scritto, ogni pensiero, ogni idea può arricchirci se non ci fermiamo alla semplice analisi della sua forma, ma sappiamo ascoltare ciò che vuole dirci.

    Ogni dubbio, domanda o riflessione che saprà stimolarci, va considerata come un altro piccolo passo verso una maggiore consapevolezza della realtà, della nostra vita, del posto e del valore che questa occupa nello spazio e nel tempo.

    … ci sono cose che non si fanno per coraggio. Si fanno per poter continuare a guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli (Carlo Alberto Dalla Chiesa).

    Introduzione

    Il fact checking è il controllo della veridicità dei fatti. Nel fact checking, i fatti, nell’accezione di accadimenti, sono usati come unità di misura della verità e perciò della realtà. È anche sulla base dei fatti che formiamo le nostre opinioni, le nostre idee e la nostra visione del mondo. I fatti dunque, condizionano in una certa misura le nostre idee, le nostre scelte e i nostri comportamenti.

    Al contempo però, i fatti stessi sono originati dall’azione di persone che si muovono sulla base dei propri principi, dei propri valori. Analizzando i fatti, è quindi possibile comprendere sia le azioni che li hanno determinati, sia quali siano i reali valori e i principi propri di chi quelle azioni le ha compiute, a prescindere da quelli che sono stati i suoi proclami e le sue verbali manifestazioni di intenti.

    È sempre sulla base dei fatti che possiamo verificare se le nostre idee siano giuste o meno. I fatti (intesi più in generale come azioni, reazioni e conseguenze delle stesse) dunque, sono determinati da valori e principi ma, influenzando le idee, sono indirettamente in grado di incidere sui valori.

    In questa triplice interazione tra principi e valori, fatti, idee e opinioni, i fatti sembrano essere centrali per comprendere la realtà. Nel variegato, sfuggente e frenetico mondo moderno, dominato da una moltitudine di mezzi di comunicazione che non ha precedenti nella storia umana, è divenuto paradossalmente, sempre più difficile comprendere la veridicità di molte narrazioni e accadimenti. Dunque, è più che mai difficoltoso comprendere la realtà, che ci appare sempre più complessa.

    Per provare ad orientarsi in quella giungla che è divenuto il mondo dell’informazione, è nato con i migliori propositi un metodo di verifica dei fatti. Premesso che il codice deontologico dei giornalisti prevede che ogni notizia debba essere verificata (e che ci si accerti che corrisponda ai fatti) prima della sua divulgazione, oggi questa buona regola viene purtroppo sovente disattesa. Paradossalmente poi, sono gli stessi media che hanno generato tale situazione, ad aver sentito l’esigenza di riappropriarsi della verità dei fatti, proponendo una soluzione al problema che hanno contribuito a creare.

    Il fact checking è una pratica che si è venuta a creare recentemente in ambito giornalistico, al fine di contrastare il crescente dilagare di verità di parte o falsità. Molte testate giornalistiche quindi, ospitano oggi, pressoché quotidianamente, rubriche di fact checking, premurandosi di verificare prevalentemente o quasi esclusivamente, le affermazioni di vari politici o altre personalità, riguardo temi di natura economica, politica e sociale o altri di stretta attualità.

    Il fact checking giornalistico viene fatto perciò con il fine di discutere le persone, e questo come vedremo, è molto indicativo del tipo di menti che utilizzano questo sistema di misura della realtà.

    Nel fact checking giornalistico, la verifica avviene confrontando le affermazioni fatte da alcune persone con i dati riguardanti quell’argomento, dati provenienti da fonti ritenute attendibili. Tuttavia è opportuno chiedersi: quali sono le fonti che con certezza sono attendibili? Quelle ufficiali, cioè quelle " certificate come vere da una qualche autorità? Oppure quelle che sebbene non provengano da organi governativi o assimilati, riportano dati oggettivi in modo completo e imparziale? Chi stabilisce quali siano le fonti affidabili e quali no? Le fonti affidabili sono infallibili? Quale sarà il risultato del fact checking se la fonte che si riteneva affidabile invece si sbagliava? Quale sarà il risultato del fact checking se nella verifica compiuta dal giornalista vengono tralasciati alcuni aspetti di una vicenda? Quale sarà il risultato del fact checking se si consultano fonti sbagliate"? Quale sarà l’idea che le persone si faranno sulla base di un fact checking sbagliato?

    Molte delle agenzie giornalistiche che ospitano rubriche di fact checking, non citano le fonti dalle quali attingono le informazioni utilizzate per verificare la veridicità di una notizia, se non di rado e in modo estremamente generico. Altre addirittura, sovrastate dal proprio ego, citano se stesse come fonte delle notizie stesse!

    Appare chiaro che un fact checking fatto in modo sommario, parziale e non intellettualmente onesto o consultando fonti di parte, non potrà che condizionare pesantemente il risultato finale, facendo somigliare la verità che ne scaturisce, a ciò che più assomiglia all’idea personale sulla vicenda esaminata di chi ha eseguito quel fact checking.

    Il fact checking è dunque una pratica molto difficile da eseguire correttamente e onestamente ed è, al contempo, uno strumento molto potente nell’influenzare l’opinione pubblica.

    Tuttavia il fact checking ci offre la possibilità di dimostrare come, pur consultando le fonti ufficiali (e non per questo necessariamente attendibili e veritiere) è possibile cambiare alcune delle comuni idee riguardo molti aspetti storici, politici, scientifici e/o che si riferiscono alla stretta attualità. Molto spesso infatti, l’insegnamento o la divulgazione di taluni concetti o fatti storici, anche nella loro versione ritenuta ufficiale, sono divulgati in modo estremamente parziale, con volontarie o colpose omissioni in grado di far cambiare, se valutate in modo organico assieme a tutto quanto il resto, radicalmente il punto di vista comune su di essi.

    ​Concetti di base e contesto di riferimento

    Possiamo distinguere chi diffonde notizie faziose da chi fa buona informazione? È possibile valutare l’attendibilità di quanto leggiamo su un giornale, sentiamo alla televisione o leggiamo sulla rete? Servono ancora i fatti per convincere le persone, farsi un’opinione o a prendere decisioni?

    La verità non ha né colori né bandiere, la menzogna invece ne conosce tante. La verità assoluta è forse impossibile da ottenere. Questo perché la verità, la descrizione di un fatto, è spesso un qualcosa di molto complesso.

    Ci sono molte ragioni per cui è assai complicato giungere veramente alla conoscenza di un fatto in modo oggettivo. I motivi sono diversi e vanno da quelli legati alla limitazione dei nostri sensi, fino a quelli legati all’influenza del contesto sociale, alla limitatezza della conoscenza umana in generale e di quella personale in particolare. È fondamentale prendere coscienza di tutto questo. Infatti, il confine sottile tra coscienza e incoscienza determina il grado di consapevolezza e comprensione della realtà. Non mi dilungherò tuttavia su questi aspetti, poiché li ho già ampliamente trattati nel mio primo lavoro editoriale.

    Per comprendere meglio ciò che intendo dire, pensiamo alla realtà oggettiva come fosse un palazzo piramidale di forma ottagonale. Supponiamo di averlo di fronte a noi e di trovarci di fronte al suo lato ovest. Dal nostro punto di osservazione riusciremo certamente a vederlo, ma non completamente. Probabilmente riusciremo a vedere soltanto tre dei suoi otto lati. Per poterlo vedere completamente dovremo per forza cambiare il nostro punto di osservazione, almeno per tre volte, se non addirittura cinque. Dovremo osservarlo anche da Est per vedere i tre lati opposti al nostro originario punto di vista, per poi spostarci anche a Nord e a Sud per poter vedere anche i lati visibili da quei punti di vista. Se volessimo poi avere una visione d’insieme, dovremmo nuovamente spostarci, osservando il palazzo dall’alto, perpendicolarmente al suo vertice. Infine per esser certi, dovremmo cercare di avere una visione anche dal basso, da sotto, per poter cogliere quegli aspetti rimasti nascosti. Solo dopo aver fatto questo potremo avere una visione più completa del palazzo e dunque di quel fatto, di quella realtà, di quella " verità" quasi nella sua interezza.

    Quando si fa un fact checking in modo intellettualmente onesto, è essenziale vagliare ogni aspetto di quel fatto, osservandolo quindi da ogni punto di vista disponibile.

    Non sempre ciò viene fatto nelle rubriche di fact checking, e la " verifica dei fatti" finisce con il diventare un semplice esercizio dialettico o, ancor peggio, propagandistico, spesso mirante a confermare il proprio pensiero o quello della fazione per cui si parteggia. L’ideologia politica che spesso sottintende alcune pratiche di fact checking è legata all’ideologia prevalente, in un mondo intriso di relativismo e post verità.

    Per essere chiari e fare un esempio, se osserviamo un fatto (il nostro palazzo piramidale e ottagonale) dalla posizione ad ovest dello stesso, finiremmo per osservarlo certamente da quella che potremmo definire " posizione mainstream, cioè quella delle verità ufficiali o, più in generale, quella dell’ideologia dei Paesi occidentali. Se ci spostiamo ad Est, lo potremmo osservare da una posizione opposta, che potremmo dire propria di quella che comunemente è definita controinformazione. Spostandoci a Nord, potremmo vedere i lati del nostro palazzo che solo in parte sono conosciuti o riconosciuti da chi lo osserva dalle posizioni ufficiali e da quelle della controinformazione. È il punto di osservazione delle cosiddette teorie del complotto che uniscono verità ufficiali a quelle della controinformazione aggiungendo aspetti nuovi, miranti a far percepire la realtà come un continuo complotto. Infine, spostandoci a Sud, potremo addirittura scoprire quei lati della piramide della realtà" che, pur comprendendo aspetti noti alle realtà ufficiali e della controinformazione, non rientrano in nessuna delle altre tipologie, neanche quelle di matrice complottista, che possiamo definire attigue al concetto di libero pensiero. La visione dall’alto ci potrà dare una visione d’insieme per poterla contestualizzare a tutto il resto che la circonda. La visione da sotto infine (se e quando possibile) ci potrebbe far scoprire aspetti determinanti per una valutazione completa di quella realtà.

    Da ogni punto di osservazione è possibile descrivere aspetti veri e oggettivi della " piramide della realtà", ma non per questo significa che quel singolo punto di vista descriva pienamente e completamente la realtà che ha di fronte. Al contempo non significa che, per tale limitata visione, il punto di vista vada inteso come errato o che implichi necessariamente che lo siano gli altri.

    Se e quando non è compiuto in modo completo, considerando ogni informazione a disposizione, il fact checking può diventare uno strumento fuorviante.

    Tuttavia nella pratica di fact checking è necessaria una certa " flessibilità, che non significa mistificare o disconoscere i fatti, ma rimanere comunque aperti" a possibili nuove informazioni utili a descrivere meglio quel fatto, quell’evento.

    C’è poi da considerare un altro aspetto importante.

    Nel corso del tempo, un fatto considerato verità può rivelarsi tutt’altro. Col trascorrere del tempo infatti, possono emergere informazioni riguardanti un assunto storico, informazioni che possono far rivalutare completamente la percezione di un evento.

    Pensiamo ad esempio alla bugia americana delle presunte (e mai trovate) armi di distruzione di massa in possesso dell’Iraq di Saddam Hussein. Questa bugia di Stato, all’epoca ripetuta come certezza e realtà oggettiva, senza se e senza ma, da tutti gli organi di informazione mainstream e dalle Autorità, non solo si è dimostrata essere un’informazione errata, ma addirittura una bugia completamente inventata ad arte dal Governo Usa, al fine di convincere le Nazioni Unite e i Paesi alleati ad entrare in guerra.

    Questa bugia, diffusa per interessi prettamente nazionali e che è stata accertata come tale di fronte a tribunali internazionali, è costata vite umane in tutti gli schieramenti, quelli iracheni, quelli americani e quelli di tutte le altre nazioni che, fidandosi dell’alleato americano, hanno preso parte al conflitto.

    Tanti altri esempi potrebbero essere fatti rimanendo anche semplicemente all’interno dei nostri confini. Pensiamo alle stragi terroristiche e agli attentati degli anni ’80 (attentato alla stazione di Bologna) e degli anni ’90 (attentati a Falcone e Borsellino, ecc.) di cui realizzazione hanno contribuito personalità politiche e dell’intelligence dello Stato italiano.

    Quando ciò avviene, quello che inizialmente si riteneva fosse una verità storica o una verità oggettiva, si rivela essere invece una verità parziale e lascia (o dovrebbe lasciare) doverosamente il posto, alla nuova e più completa verità storica, alla ricostruzione frutto della valutazione e considerazione di tutte le informazioni disponibili, sia quelle vecchie sia quelle nuove. Il doveroso cambio di prospettiva dovrebbe far rivedere i giudizi e le opinioni degli " attori" di quel fatto.

    Quando invece le nuove e rilevanti informazioni emerse nel corso del tempo non vengono prese in considerazione, quella che era considerata una verità storica dovrebbe essere ora considerata una mezza verità.

    Le mezze verità, cioè quelle verità frutto di omissioni volute e sistematiche, a livello sostanziale, hanno più affinità con le menzogne e le falsità di quanto ne abbiano con la verità, sebbene siano costituite essenzialmente da una buona parte di essa.

    Questo accade quando le informazioni volutamente sottaciute, alterano la percezione complessiva dell’accaduto e di tutto ciò che da esso scaturisce in termini di idee, considerazioni e opinioni sui protagonisti della vicenda.

    Nell’esempio appena fatto relativo alla seconda Guerra del Golfo, a distanza di anni si racconta della guerra in sé ma si omette l’antefatto della bugia americana, assieme alle conseguenti considerazioni sull’affidabilità e serietà del Paese a stelle e strisce.

    Poco importa se l’omissione voluta aveva l’intento premeditato di conservare la comune percezione (positiva o negativa che sia) di un evento o di un soggetto, o se invece la consapevole omissione è semplice frutto di negligenza da parte di chi trasmette l’informazione. La verosimiglianza è un qualcosa d’intermedio tra verità e bugia. È qui che l’inganno trova compimento.

    Nella sostanza il fatto così raccontato, e dunque volutamente alterato, è da considerarsi una falsità.

    Tale situazione si manifesta in continuazione in molti campi della cultura umana, dalla storia alla scienza, e si perpetua nel corso del tempo senza apparente soluzione di continuità.

    ​La frode delle verità di Stato

    Il racconto volutamente parziale, e dunque falso, di molte situazioni di carattere scientifico e storico, influiscono, (poiché alterano) la comune percezione di aspetti e concetti solo apparentemente ininfluenti, ma sostanzialmente molto importanti.

    Ciò che viene compromessa non è soltanto la conoscenza corretta del fatto storico o di un concetto scientifico in sé, ma la considerazione su cosa sia reale e cosa invece non lo sia, cosa sia possibile e cosa non lo sia, su cosa è bene e cosa è male, su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato e anche e soprattutto, su chi sia il buono e chi il cattivo.

    Considerata dunque l’importanza di fare informazione in modo completo e imparziale, non dovrebbe essere moralmente accettabile, per chi ha a cuore la conoscenza e la verità e non ha interessi personali, politici o di lobby da proteggere, ascoltare nei mass media che si professano indipendenti, mezze verità, cioè verità parziali frutto di volute e sistematiche omissioni.

    Non dovremmo che biasimare politici, giornalisti e divulgatori di varia origine che, dopo essersi dichiarati indipendenti, per ignoranza, negligenza o per volontà, non riportano tutte le informazioni importanti disponibili nella divulgazione di un fatto, nella ricostruzione di un evento o nella condivisione di un’idea o di un’opinione.

    Se si vuole fare informazione che la si faccia onestamente. Se invece lo scopo è " fare opinione" sarebbe altrettanto doveroso dichiararlo apertamente, senza spacciare l’opinione per informazione.

    Se qualcuno vi convincesse ad acquistare un qualcosa omettendo di comunicarvi aspetti importanti, aspetti talmente tanto rilevanti che avrebbero potuto influire sulla vostra scelta finale, come vi sentireste? Come definireste chi ha compiuto tale atto di omissione? Come definireste l’accaduto?

    Per rispondere in modo univoco, meno soggettivo e opinabile possibile alle domande appena poste, ci giunge in aiuto il Codice Penale. In particolare all’art. 640 definisce così la frode: " Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno …".

    La legge è chiara dunque, la truffa contrattuale sussiste nell’ipotesi in cui taluno dei contraenti ponga in essere artifici o raggiri diretti a sottacere o a dissimulare alla controparte fatti o circostanze che, qualora fossero stati conosciuti, l’avrebbero indotta ad astenersi dal concludere il contratto.

    Nella divulgazione di falsità storiche e scientifiche o delle equivalenti mezze verità però, non abbiamo alcun contratto apparente che viene stipulato tra le parti, cioè tra chi divulga e chi ascolta. Dal punto di vista strettamente legale quindi, il reato non si configura.

    Tuttavia, anche se non legalmente perseguibile, il concetto base rimane sostanzialmente lo stesso. Infatti, nella prassi legale e l’interpretazione di alcuni termini contenuti nella definizione di truffa, ci sono aspetti che sembrano calzare a pennello con quanto finora descritto.

    L’inganno può sostanziarsi infatti, nell’artifizio o nel raggiro.

    Nella nozione di " artifizio" deve ricomprendersi quell’attività finalizzata alla trasfigurazione della realtà, simulando ciò che non esiste o nascondendo ciò che esiste.

    Il " raggiro", invece, è una menzogna idonea a far apparire come corrispondente al vero quanto dichiarato, attraverso un’aggressione della psiche del destinatario.

    Il Codice Civile invece, rileva l’inganno con la definizione di " dolo", che si realizza quando il raggiro o l’inganno hanno agito come causa decisiva e determinante della volontà contrattuale (art. 1439 c.c.).

    È poi ormai ampiamente stato appurato il principio giuridico secondo cui l’attività ingannatoria si possa realizzare sia attraverso una condotta commissiva (cioè raccontando cose non vere), sia attraverso una condotta omissiva (cioè omettendo di raccontare informazioni rilevanti).

    L’attività ingannatoria perciò, potrebbe anche identificarsi con il silenzio, considerato quindi penalmente rilevante, tenuto nel corso delle trattative (nel nostro caso della divulgazione), da uno delle parti nel tacere alcune circostanze che una parte aveva l’obbligo giuridico (nel nostro caso morale, se si è intellettualmente onesti) di comunicare, con lo scopo di influenzarne la decisione (nel nostro caso la conoscenza di fatti storici e, di conseguenza, la percezione dei concetti, delle idee, delle opinioni che da essa scaturiscono sul mondo reale che ci circonda).

    Possiamo concludere dunque, che ascoltando la televisione o leggendo un giornale o un sito web, siamo sovente intellettualmente frodati, ingannati e raggirati. Non è sempre così ovviamente, ma ciò accade con una discreta frequenza.

    Perché ciò accade? Semplice, perché la verità nuoce gravemente allo status quo. Chi ha il potere può mantenerlo soltanto riuscendo a far accettare la " propria verità come unica verità".

    Continuare a credere cecamente a tutto ciò che dicono le autorità e i mass media senza porsi alcuna domanda, è pura follia. È un atto di fede assoluta (e mal riposta) alla stregua della fede professata dal più fanatico estremista religioso.

    D’altro canto la storia ufficiale è la versione dei fatti di chi detiene il potere. Si dice che la storia la scrive chi vince ma, nonostante tutto, esistono fatti che non possono essere cancellati completamente e che devono essere presi in considerazione se si vuole capire come stanno o come sono andate davvero le cose. La verità è un qualcosa di difficile da accettare ma prima o poi tutti dovremo farci i conti.

    Abbandonare il modello del " credere e dedicarsi al sapere" è essenziale per comprendere la realtà, ma ciò non è così facile come sembra.

    ​Il sistema (dis)educativo

    Se una volta adulti, grazie alla odierna facilità di reperire informazioni, potremmo cercare di proteggerci da questo tipo di attività eticamente e moralmente poco onesta, perpetrata anche e forse soprattutto da quei soggetti che riteniamo, a torto, più affidabili (organi di informazione mainstream, autorità politiche, scientifiche, ecc) di altri, poco possiamo quando siamo bambini.

    Se non abbiamo genitori o qualcun altro che possa tutelarci in questo senso, siamo esposti senza alcuna protezione a questo fuorviante processo di manipolazione intellettiva, che sovente si ripercuote nella successiva visione del mondo che si avrà una volta raggiunta l’età adulta.

    Il filosofo greco Platone diceva: " La direzione nella quale l’educazione di un uomo lo avvia, determinerà la sua vita futura".

    Che sia per una propria convinzione personale, che sia perché si esegue pedissequamente, in modo quasi robotico e asettico, un piano d'insegnamento stabilito dalle autorità competenti (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), questa ingannevole attività di divulgazioni di mezze verità, frutto di colpevoli o colpose omissioni, verità parziali che, per quanto sopra detto possono essere assimilabili a menzogne, è presente in tutti i livelli di istruzione, dai banchi delle scuole elementari, fino a quelli delle università.

    A ciò si somma quello che, a mio modo di vedere, è uno dei limiti più grandi e diffusi presente nel sistema educativo italiano.

    Il sistema educativo, senza distinzione di ordine e grado, è esercitato quasi esclusivamente, sebbene con le doverose eccezione dettate dalla specificità di talune materie, in modo nozionistico e poco stimolante dal punto di vista dell’intelletto. Ciò costituisce un grave problema. Per dirla con le parole di Einstein " L’insegnamento deve essere tale da far percepire ciò che viene offerto come un dono prezioso, e non come un dovere imposto", ma nella realtà dei fatti è tutt’altro che così.

    L’attuale sistema educativo inoltre, non mira a far sviluppare nei bambini, nei ragazzi, nei futuri cittadini, lo spirito critico necessario a osservare, confrontare e maturare una propria idea, una propria visione delle cose. Non aiuta a formare nelle varie generazioni quelle condizioni necessarie affinché, una volta adulti, ciascuno possa essere intellettivamente e intellettualmente autonomo e capace di discernere, nei limiti del possibile, il vero dal falso, la possibile verità dalla probabile menzogna. Al contrario, il metodo d’insegnamento odierno si basa per lo più sulla fiducia tra insegnante e allievo, quindi su un atto di fede.

    Le conseguenze sono evidenti, e tale limite del sistema educativo si è ormai palesato in tutta la sua gravità. Milioni di persone sono vittime, spesso inconsapevoli, di false informazioni, di quelle che oggi sono chiamate comunemente fake news. Ci sarà modo nel corso delle successive pagine, di approfondire l’argomento fake news, distinguendo quelle vere da quelle presunte, quelle davvero pericolose da quelle meno.

    Tant’è che negli ultimi anni le autorità politiche e non solo, hanno ritenuto necessario sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento, fornendo però soluzioni palliative che, oltre a non risolvere il problema, lo hanno addirittura acuito.

    Infatti, anziché concentrarsi sull’aumentare l’istruzione (quella indipendente, completa e non faziosa) le autorità che gestiscono e organizzano l’insegnamento e l’informazione, preferiscono affrontare il problema indicando al pubblico quali fonti, a loro avviso, sono affidabili e quali no, ergendosi loro stessi (assieme alle fonti da loro citate) come detentori assoluti della verità.

    Tale esercizio di presunzione e arroganza non risolve il problema, poiché è sufficiente conoscere la storia degli ultimi decenni per comprendere che, anche volendo considerare ingenuamente la buonafede di tutti, nessuno è infallibile.

    Nessuno detiene la verità assoluta e, soprattutto spesso dietro alle verità di Stato o di autorità politiche, economiche e scientifiche, si celano interessi di lobby, interessi economici, politici o di potere e/o interessi personali che hanno alterato e alterano inequivocabilmente il racconto di taluni fatti, e quindi della percezione del mondo che da essi ne scaturisce

    Una tale sconsiderata azione formativa com’è quella del sistema d’istruzione appena descritto, getta dunque le persone in pasto soprattutto alla disinformazione di Stato e alle verità politiche di parte, oltre a contribuire a rinforzare quel legame di dipendenza intellettiva, del cittadino nei confronti delle autorità.

    In Paesi democratici, lo Stato dovrebbe essere al servizio e dipendere dal cittadino e non viceversa. In Stati democratici, le istituzioni dovrebbero favorire la libertà di pensiero e di opinione ancor prima di garantire ogni altro tipo di libertà ed indipendenza.

    L’attuale sistema educativo (perché in passato non era del tutto così) che si incontra fin da bambini, adotta un metodo d’insegnamento che non stimola la riflessione, ma premia la memoria, badando soprattutto nel riempire la testa degli studenti di nomi, date e altre nozioni superficiali o del tutto inutili nella vita di tutti i giorni e/o nella costruzione del futuro di quell’individuo.

    La chiamano " cultura", saper riconoscere lo stile di un pittore, sapere distinguere gli stili architettonici, conoscere con esattezza la data e i nomi dei protagonisti di una battaglia per esempio, sono certamente nozioni interessanti, ma quanto di queste informazioni è davvero utile alla maggioranza degli studenti e futuri cittadini?

    Ne è evidenza la crescente abitudine di verificare l’apprendimento prima impartito, mediante i quiz a risposta multipla. Ciò contribuisce a impedire lo sviluppo intellettivo e cognitivo delle persone, poiché le persone non sono stimolate ed allenate a formulare pensieri personali compiuti, ma soltanto a scegliere tra le possibilità proposte.

    " L’insegnante è infatti la persona alla quale un genitore affida la cosa più preziosa che possiede suo figlio: il cervello. Glielo affida perché lo trasformi in qualcosa di pensante. Ma l’insegnante è anche la persona alla quale lo Stato affida la cosa più preziosa: la collettività dei cervelli, perché diventino il Paese di domani"(Piero Angela).

    Fin da bambini si allenano i futuri cittadini a adeguarsi al sistema che poi ritroveranno nel mondo una volta adulti. Li si abitua a stare nei " limiti cognitivi che qualcun altro stabilisce e stabilirà per loro. Non viene dato spazio alla formulazione di un pensiero proprio, ma solo la possibilità di scegliere un pensiero di proprio gradimento tra quelli già formulati, che gli vengono resi disponibili da chi detiene il potere. Nei quiz infatti, non è consentito rispondere in modo personale, ma soltanto ad uniformarsi a una delle possibilità precostituite e proposte. Così come nei quiz di scuole e università, in futuro il nuovo e limitato cittadino potrà manifestare la propria conoscenza segnando con una X la risposta che ritiene corretta tra quelle proposte durante un concorso pubblico, oppure esprimere il proprio voto alle elezioni, scegliendo, sempre con una X", solo tra le liste e i canditati (talvolta neanche quelli) ammessi al voto.

    Una educazione fondata principalmente su una cultura mnemonica, può dirsi davvero cultura? Una mente alimentata principalmente di questo tipo di informazioni, può dirsi intelligenza?

    Per rispondere a questa domanda è forse sufficiente citare un’altra frase di Albert Einstein, che riferendosi a questo modo di fare cultura, diceva che " La memoria è l’intelligenza degli idioti e aggiungeva Mai memorizzare quello che puoi comodamente trovare in un libro".

    Oltre a basarsi prevalentemente sull’aspetto mnemonico e nozionistico, l’attuale sistema educativo scoraggia il pensiero divergente e promuove il pensiero unico e conforme a quello dominante, impedendo un adeguato sviluppo critico-cognitivo. Tutto questo incide, e inciderà poi, sulla percezione del vero e del falso, del buono e del cattivo, gettando le basi per la dipendenza cognitiva dallo Stato e dalle autorità in genere.

    Sono sempre più le persone (a prescindere dal livello sociale e culturale) vittime di questa dipendenza cognitiva. Non sembra esserci differenza tra ricco e povero, tra imprenditore e lavoratore, tra laureati e chi ha una bassa scolarizzazione, il pensiero sempre più diffuso è che: se una cosa viene fatta da una autorità, anche se viola palesemente i diritti o le leggi correnti, è certamente lecita e legittima, perché " altrimenti non l’avrebbero fatta, oppure se lo dice l’esperto" o quello presentato come tale, deve essere necessariamente vero, al punto di non poter essere nemmeno messo in discussione.

    Gli argomenti e le varie materie poi, sono insegnate senza organicità. Ogni materia sembra fine a se stessa, ogni fatto storico sembra a sé stante.

    Non viene mai (o quasi mai) adeguatamente evidenziato che ogni cosa in questo nostro mondo (e oserei dire nell’universo) è figlio dell’ineluttabile rapporto tra causa e effetto. Ogni cosa è connessa ad altre che l’hanno generata, e ogni cosa generata avrà effetti e conseguenze che ne genereranno altre, non soltanto nella stessa materia, ma anche in altre materie, in altri campi della vita.

    La colpevole mancanza di " allenare" le giovani menti a porsi domande sul perché è accaduta una cosa, su quali sono state, quali saranno o quali potrebbero essere le conseguenze di un evento storico, di una scoperta scientifica, invenzione tecnologica, di una decisione politica, ecc., non solo in quel campo, ma anche in tutti gli altri settori della vita, contribuisce a formare persone che avranno difficoltà, o saranno addirittura incapaci, una volta adulte, a comprendere appieno la realtà del mondo.

    Con la loro visione frammentata, saranno incapaci di avere una visione organica e complessiva della realtà, poiché saranno abituati a vivere nelle verità di parte o nelle mezze verità.

    Tutto ciò, sia ben chiaro, non perché le persone siano stupide, ma perché approfittando di questa scarsa abitudine a porsi domande e a formulare pensieri liberi, chi detiene il potere e/o gestisce l’informazione sarà facilitato a far accettare come verità la propria personale versione dei fatti.

    Le persone accettano di buon grado e spesso in modo inconsapevole tutto questo processo perché, non essendo abituate a verificare (per quanto possibile) una informazione, sono invece abituate a credere. Come detto, l’intero sistema educativo si basa non sul ragionamento e sull’analisi dei dati oggettivi, ma piuttosto sulla fiducia tra chi parla e chi ascolta.

    A riprova di ciò, ho sentito più volte affermare alla radio, da alcuni speaker radiofonici che parlavano di politica e fake news, che " le opinioni e le idee vanno formate in base alle fonti". Ciò però, non è assolutamente vero!

    Le idee e le opinioni si devono formare sulla base dei fatti!

    Il sistema educativo quindi, non mira a generare individui pensanti ma fedeli credenti.

    La conseguenza dell’attuazione di tale sistema (dis)educativo genera una massa di persone uniformata nei pensieri, nelle abitudini, nei bisogni e nei comportamenti e, pertanto, più facilmente influenzabile o manipolabile.

    Rimane attuale ciò che Albert Einstein aveva già constatato ai suoi tempi, cioè che " Poche persone sono capaci di esprimere con equanimità opinioni che divergono dai pregiudizi del loro ambiente sociale. Molte persone sono addirittura incapaci di formulare tali opinioni".

    Lo psichiatra, psicoanalista e medico austriaco naturalizzato statunitense Wilhelm Reich, allievo di Sigmund Freud, vissuto tra il 1897 e il 1957, definiva così il sistema educativo dell’epoca: " La famiglia e la scuola, da un punto di vista politico non sono altro che officine dell’ordinamento sociale borghese, dalle quali vengono sfornati continuamente dei servi bravi ed ubbidienti". Le cose non sembrano cambiate poi molto e sappiamo purtroppo cosa ha poi generato, nella prima metà del secolo scorso, questo tipo di sistema educativo.

    Purtroppo alla pubblica istruzione non sono state mai realmente dedicate, nel corso di tutti i decenni passati, le doverose attenzioni e cure, mentre indubbiamente si tratta di uno dei punti vitali più importanti della vita del Paese, la formazione cioè del pensiero e della coscienza delle nuove generazioni, alle quali è affidato il presidio della Patria e la difesa della democrazia nelle sue più alte e concrete espressioni: la libertà e la giustizia.

    Il conseguimento di questo obiettivo non passa necessariamente nell’osservanza pedissequa, irriflessiva e incondizionata a qualunque legge o ordine impartito dall’alto. A volte è vero proprio il contrario.

    " L’atto di disubbidienza, in quanto atto di libertà, è l’inizio della ragione", sosteneva il filosofo tedesco Erich Fromm.

    Il crescente numero di persone laureate è quindi indice di maggiore intelligenza e competenza? Direi proprio di no.

    A mio parere il titolo di studio non è sinonimo di cultura. La cultura non è sinonimo d’intelligenza. L'intelligenza coincide spesso con l'apertura mentale, con il riuscire a vedere le cose anche da un'altra prospettiva. Solo le persone con questa capacità potranno riuscire a risolvere i problemi del mondo.

    Ciò accade perché, nel mondo dell’immagine, si è fatta confusione con il significato delle parole, facendo diventare la conoscenza sinonimo di competenza. In realtà sono invece due aspetti non necessariamente, e sempre più spesso, attigui e coincidenti, soprattutto a causa del sistema (dis)educativo a cui ho fatto cenno, imperniato sugli aspetti nozionistici, anziché su quelli realmente utili. È un sistema che spesso crea persone con una buona conoscenza in una determinata materia o settore, ma con scarsa competenza.

    Accade così che i migliori studi e le ricerche che si possono fare, non sono quelli obbligatori o quelli fatti per ottenere un qualcosa in cambio (un titolo di studio, un lavoro, un avanzamento di carriera o un riconoscimento pubblico), ma sono quelli fatti per seguire le proprie passioni e soddisfare la propria curiosità. Non è indispensabile avere basi o conoscenze pregresse, la cosa più importante è avere passione e voglia di comprendere e imparare ciò che non conosciamo. La curiosità di cercare di capire è il vero motore della vita.

    Gli unici che possono precludere veramente la nostra comprensione del mondo, siamo dunque noi stessi.

    Per far questo è essenziale cercare di allenare la mente, anche se si è costretti a frequentare il descritto e attuale sistema (dis)educativo.

    Infatti è importante chiedersi sempre il perché delle cose. Mai smettere di farsi domande.

    Einstein diceva che " la mente intuitiva è un regalo sacro e la mente razionale un servitore fedele, noi abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il regalo".

    Fortunatamente all’interno di questo sistema di omologazione di massa, non mancano insegnanti intelligenti, di valore e di coscienza, che si preoccupano nel loro piccolo (e per chi ha la fortuna di incontrarli nel proprio cammino di apprendimento e istruzione) innanzitutto di insegnare a pensare, a sviluppare lo spirito critico e maturare un proprio pensiero personale e, soltanto in un secondo momento, ad apprendere le nozioni previste dal programma di studi.

    Questo perché hanno capito che il difficile non è sapere una cosa ma saper far uso di ciò che si sa.

    Lo scrittore e saggista statunitense William Arthur Ward diceva che " l’insegnante mediocre dice, il buon insegnante spiega, l’insegnante superiore dimostra, il grande insegnante ispira". Grazie anche a quest’ultima categoria di insegnanti, sempre più rari, esistono perciò, e non potrebbe essere altrimenti, persone attente, intelligenti e in grado di formulare pensieri più alti, in grado di parlare e discutere di valori e principi fondamentali, ancor prima dei fatti. Tali persone costituiscono tuttavia una decisa minoranza.

    La restante massa delle persone generate dal sistema, vive nel conformismo (e quindi nella mediocrità) ignara, o ancor peggio completamente disinteressata, dal comprendere di più di quanto non gli sia personalmente necessario per vivere il proprio individuale ma comunissimo quotidiano, in balia spesso di credenze talvolta assurde (vedi il fenomeno del terrapiattismo) o, come dimostra la storia recente, della mediaticamente amplificata pericolosità della malattia COVID-19.

    Quest’incapacità di analisi alimentata e promossa dalla cultura relativista, sta progressivamente atrofizzando le menti, rischiando di far diventare i cittadini solo dei " transiti di cibo" (come diceva Leonardo Da Vinci) più che di portatori di conoscenze, idee, sentimenti di partecipazione solidale e sociale.

    In barba al crescente numero di individui diplomati o laureati, il processo diseducativo sopra descritto, e in atto da circa venticinque anni in Italia, è stato " certificato" da uno studio del 2016, compiuto dall’esperto linguista ed ex Ministro dell’Istruzione negli anni ’90, Tullio De Mauro.

    Il linguista ha condotto per oltre un lustro, un’analisi dei livelli di analfabetismo nel nostro Paese, concentrandosi in particolare, su quello che viene oggi definito " analfabetismo funzionale", vale a dire l’incapacità che vanno dalla lettura alla comprensione di un testo, anche molto semplice.

    Le persone afflitte da analfabetismo funzionale non sono in grado di " comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire poi attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità".

    De Mauro si è avvalso dei dati di un’indagine comparativa internazionale del 2014, promossa dall’Ocse (Organizzazione di Cooperazione e Sviluppo Economico), che ha definito cinque livelli di alfabetizzazione: analfabetismo totale, livello minimo ma insufficiente di comprensione e scrittura, e tre successivi livelli di crescente capacità di comprensione. Comparando tali dati con quelli della popolazione italiana è emerso che il 70% di essa in età da lavoro (16-65 anni), si colloca nei due livelli più bassi, guadagnandosi un poco lusinghiero ultimo posto assieme alla Spagna.

    Inoltre meno del 30% della popolazione capisce come funziona la politica e, all’interno di questa parte di cittadini italiani meglio alfabetizzata, solo una piccola percentuale (pari circa al 10%) capisce le lingue straniere e i linguaggi tecnici che sono, come vedremo, sempre più spesso utilizzati dai politici e dai mass media.

    Non si può quindi non pensare che una simile e accertata condizione di analfabetismo così diffuso (irrilevabile dai semplici dati sul numero di diplomati e laureati), non abbia delle pesanti ripercussioni anche in termini di sviluppo economico e sociale del nostro Paese.

    Nella mente di questa ampia fascia di popolazione, attecchiscono e crescono rigogliosi i luoghi comuni, le idee superficiali e qualunquistiche, basate sulle informazioni spesso volutamente parziali ascoltate dalle fonti che gli sono state indicate come attendibili, e che alterano poi in modo preminente, l’agire, il comportamento, i discorsi e i pensieri di ciascuno di essi. L’analfabetismo fa credere che la realtà sia diversa da quella vissuta.

    Secondo Socrate " C’è un solo bene: il sapere. E c’è un solo male: l’ignoranza". Purtroppo l’analfabetismo funzionale è oggi oggettivamente un instrumentum regni (strumento di governo, di controllo), un mezzo eccellente per attrarre e sedurre molte persone, sia con mere stupidaggini, sia con verità di Stato. Entrambe rientrano nella categoria delle cosiddette " fake news o meglio false notizie o notizie infondate".

    I frutti avvelenati dell’informazione parziale e di parte, assieme a quelli delle verità di Stato, si palesano nel completo sovvertimento dei concetti apparentemente più banali, come la distinzione tra bene e male, giusto e sbagliato e buoni e cattivi.

    ​Il libero pensiero come espressione massima di libertà

    Sembra folle dover sottolineare questo concetto ma, ai nostri giorni, sebbene siamo entrati ormai da due decenni nel nuovo millennio lasciandoci alle spalle, soprattutto nell’ultimo paio di secoli, conquiste di diritti democratici senza precedenti (pagati a caro prezzo con il sangue di milioni di persone), le libertà fondamentali, in primis quella di pensiero e espressione, sono nuovamente messe in discussione.

    Eppure, l'unica azione, attività che può sempre rappresentare il concetto di libertà fino a farla considerare sinonimo della stessa, è il pensare.

    La reale ed effettiva tutela della pluralità di pensiero è il termometro della democrazia.

    Stimolare il libero pensiero dovrebbe essere la prima preoccupazione del sistema educativo di ogni Paese realmente democratico. Purtroppo però sembra avvenire l’esatto contrario.

    Nel distopico presente che siamo costretti a vivere, spesso approfittando della comune e carente situazione cognitiva, c’è chi ha interesse a fare confusione con parole e concetti.

    Non è raro imbattersi nelle parole dei politici, nei mass media e sul web, che etichettano chi avanza una critica ad una Autorità (scientifica, politica o di altro genere) o manifesta perplessità riguardo una verità di Stato, come un sovversivo, un populista, un sovranista o un complottista, un negazionista se non addirittura (nel rispetto del costume italiano) un nazifascista. Tutto questo, spesso solo per aver manifestato, educatamente e legittimamente, il proprio pensiero divergente rispetto a quello in quel momento prevalente.

    Mi riferisco ovviamente a critiche ben argomentate e non pretestuose, o a manifestazioni legittime di perplessità supportate da elementi nuovi, da fatti inspiegati o incompatibili con le versioni ufficiali della presunta realtà, sempre più spesso incompatibile o in contrasto con i fatti oggettivi.

    Accumunare una critica, una perplessità, una evidenziazione o una contestazione verso una autorità, a concetti che richiamano realtà assolutiste e/o utilizzando parole e neologismi che hanno un accezione comunemente negativa al fine di sminuirne l’attendibilità e sfuggire al confronto, è un esercizio subdolamente e intellettualmente disonesto e fraudolento.

    Oramai chi critica viene subito etichettato. Non c’è possibilità di un dialogo costruttivo, tutto viene subito messo sul piano della sola contrapposizione. Come vedremo tra breve, c’è una ragione per cui tutto questo avviene, e c’è una chiarissima " impronta" sull’ideologia che sottintende tale modus operandi.

    Chi ritiene di detenere " la verità assoluta spesso in virtù delle proprie posizioni di forza, fa subito questo ragionamento: Se non sei con me, allora sei contro di me!".

    Ragionare e vivere per assoluti è segno di democrazia?

    Contestare un’autorità esprimendo il proprio pensiero non significa essere antidemocratico ma, al contrario, vuol dire far uso della democrazia, esercitando i propri diritti di pensiero e parola.

    Imporre il proprio punto di vista attraverso sistemi di comunicazione e divulgazione più simili alla propaganda che all’informazione, delegittimare chi non è d’accordo, cercando, quando possibile, addirittura di impedire, con metodi coercitivi, l’espressione del suo pensiero è invece chiaro ed evidente espressione di un regime assolutista, nonostante si dichiari pubblicamente di credere, aderire e difendere lo stato democratico.

    Essere veramente democratico non significa soltanto attribuirsi questo " epiteto" o dichiararsi tale a parole, ma dimostrarlo con i fatti.

    Potrebbe sembrare folle affermare che coloro che appoggiano i modi spesso assolutistici delle autorità dei Paesi occidentali, rappresentino soprattutto quella classe di individui facenti parte della cosiddetta " intellighenzia del Paese, e non dalle cosiddette e presunte masse incolte" contro cui spesso invece si punta il dito.

    Sono proprio loro, questi individui " colti", il prodotto del sistema (dis)educativo basato sulla cultura mnemonica sopra descritta. Spesso incapaci di avere un pensiero autonomo, ma al contrario, assolutamente dipendenti dalle affermazioni delle autorità e dei mass media mainstream, sono i perfetti servi obbedienti e inconsapevoli, dei sistemi di potere che vanno a difendere.

    Il sorriso con cui questi servi sciocchi, denigrano chi non la pensa come loro è la perfetta manifestazione di quello che, mutuando un concetto della filosofia, può essere chiamato " razzismo gnoseologico o razzismo intellettivo". Questo rappresenta la forma di discriminazione peggiore di ogni altra, ed è spesso la radice di tutte le altre. Questi individui dall’ego smisurato, considerano sottosviluppato, un cretino o un inetto una persona che crede in qualche dio, che non la pensa come loro o, più semplicemente per così dire, quello che legge libri di un altro scaffale.

    Nonostante provino a ergersi al di sopra di ogni cosa, fornendo fuorvianti e limitanti spiegazioni riguardo ogni accadimento, sono spesso proprio queste persone, con i loro comportamenti ipocriti, incoerenti e opportunisti, ad essere moralmente i veri responsabili dello stato delle cose negative di questo nostro mondo, dai disastri ambientali a quelli economici, passando per il costante " stato di guerra" in cui viviamo, per arrivare alle varie forme di discriminazione e violenza e/o alle varie altre forme di degrado sociale di cui il mondo è ormai permeato.

    Anche in questo caso, Albert Einstein aveva fotografato molto bene la realtà del suo tempo che, tristemente, è anche la realtà del nostro. In merito si chiedeva: " Vi è una possibilità di dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alle psicosi dell’odio e della distruzione? Non penso qui affatto alle cosiddette masse incolte. L’esperienza prova piuttosto che la cosiddetta intellighenzia cede per prima a queste rovinose suggestioni collettive, poiché l’intellettuale non ha contatto diretto con la rozza realtà, ma vive solo attraverso la sua forma riassuntiva più facile, quella della pagina stampata (oggi quella dei proclama irradiati dalle autorità" attraverso siti web, radio e televisione mainstream).

    ​Il libero pensiero è necessario al progresso dell’umanità.

    Non serve ricordare come la storia ci insegni quante volte l’umanità è riuscita a fare un grande balzo in avanti, grazie all’affermarsi di un pensiero divergente, frutto spesso di confronti, ragionamenti e riflessioni. Queste idee e pensieri sono gli unici che hanno lasciato un segno positivo nella storia dell’umanità, un contributo di civiltà e conoscenza che ricordiamo ancora oggi. Le idee rivoluzionarie hanno sempre trovato ostacoli da parte di chi deteneva in quel momento il potere, e ciò è accaduto in ogni ambito, sia sociale, sia politico e sia scientifico.

    La stessa storia ci ricorda invece, quante volte i pensieri assolutisti hanno poi portato più guai che altro, finendo per tramontare con la scomparsa dei loro impositori.

    Sull’importanza del libero pensiero, Einstein diceva che " L’immaginazione è più importante della conoscenza. La conoscenza è limitata. L’Immaginazione invece, abbraccia il mondo, stimolando il progresso e facendo nascere l’evoluzione".

    " L’appiattimento cerebrale", l’azzeramento delle idee personali a favore dell’adesione incondizionata all’idea della massa o del potere è stata, è e rimane, il principale ostacolo all’evoluzione civile e spirituale dell’uomo.

    Sia destra che sinistra in passato hanno fondato, sebbene con visioni apparentemente opposte, la realizzazione del proprio " destino" predefinito, attraverso un incondizionato atto di fede nei confronti della propria ideologia. Né comunisti, né nazisti, né fascisti e oggi, né progressisti, né conservatori, né relativisti, né assolutisti, né neoliberisti hanno mai promosso la realizzazione di un futuro migliore attraverso la promozione dell’intelletto e del libero pensiero, perché pensare liberamente è da sempre considerato un pericolo per chi detiene il potere.

    Il filosofo e scrittore statunitense Ralph Waldo Emerson scrisse una volta " L’intelletto annulla il destino. Quando una persona pensa, è libera".

    Com’è dunque possibile accettare che il libero pensiero e la libertà di espressione possa essere oggi, nei Paesi che si autodefiniscono democratici, messa ancora in discussione e quindi in qualche misura limitata?

    ​L’epoca del relativismo e della post-verità

    Mi piace ripetere spesso che la libertà deriva dalla consapevolezza, la consapevolezza deriva dalla conoscenza, la conoscenza deriva (anche) dall'informazione, dallo studio e dalla lettura senza pregiudizi.

    Tuttavia la maggioranza delle persone, nei fatti e non nella teoria, non concorda con questo modo di vedere le cose.

    Non a caso, si è spesso sentito dire che viviamo ormai in un epoca di relativismo e di post verità. Ma cosa vuol dire?

    Secondo Protagora, filosofo greco nato ad Abdena nel V secolo a.C., " L'uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono per ciò che sono, e di quelle che non sono per ciò che non sono. Secondo Protagora dunque, la realtà oggettiva appare differente in base agli individui che la interpretano: quali le singole cose appaiono a me, tali sono per me e quali appaiono a te, tali sono per te: giacché uomo sei tu e uomo sono io". Da ciò se ne deduce che non esisterebbe una realtà oggettiva, ma solo soggettiva. La realtà sarebbe dunque relativa (da qui il concetto di relativismo).

    Per il filosofo greco infatti, la conoscenza è sempre condizionata dal singolo soggetto che percepisce e pensa, e non esistono criteri universali (valori) che consentano di discriminare la verità e la falsità delle conoscenze soggettive, né un bene ed una giustizia assoluti che possano valere da norma definitiva per i comportamenti etici.

    La filosofia del Novecento ha però voluto reinterpretare il concetto del filosofo di Abdena, sostituendo

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1