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Aggressività e violenza maschile al tempo della globalizzazione: al tempo della globalizzazione
Aggressività e violenza maschile al tempo della globalizzazione: al tempo della globalizzazione
Aggressività e violenza maschile al tempo della globalizzazione: al tempo della globalizzazione
E-book400 pagine4 ore

Aggressività e violenza maschile al tempo della globalizzazione: al tempo della globalizzazione

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Info su questo ebook

Se argomentare di globalizzazione può apparire relativamente semplice per la sua contemporaneità storico-sociale, non appena si introduce il tema dell’aggressività, della violenza e del conflitto umano, si spalanca un tempo dell’uomo e delle sue vicende che ci riporta ad abbracciare un arco temporale di oltre 2500 anni.
Ogni scienza, fin dalle origini, ha cercato tracce di comprensione dell’aggressività, nelle sue diverse forme, fino alla violenza nel suo apice: il genocidio.
Il mondo maschile sta affrontando nel terzo millennio, quello della globalizzazione, una regressione mentale e comportamentale grave e generalizzata, portatrice di aggressività e violenza diffusa e trasversale, ovunque nel Mondo.
I rapporti umani si caricano di una profonda, complessa e arcaica distruttività ove le donne, l’infanzia e i soggetti deboli si trovano al centro di queste energie represse e mai educate.
L’Autore ritiene che le ragioni siano un correlato tra fattori biologici, psicologici e sociali il cui meccanismo appare inceppato a vari livelli. 
Il volume offre una “mappa orientativa” densa di nuove argomentazioni, integrate tra pensiero psicoanalitico, neuroscienze e psicologia sociale, che costituiscono la nuova frontiera dell’indagine scientifica.
Un pensiero riflessivo e di azione rivolto a educatori, professionisti e a tutti coloro che hanno l’ambizione di scalfire un quotidiano umano spesso anestetizzato e travolto dalla nuova “banalità del male”, che si alimenta anche delle molte forme di “demenza digitale” indotte dal nostro tempo tecnologico
LinguaItaliano
Data di uscita22 ott 2018
ISBN9788899932343
Aggressività e violenza maschile al tempo della globalizzazione: al tempo della globalizzazione

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    Anteprima del libro

    Aggressività e violenza maschile al tempo della globalizzazione - Roberto Collovati

    COLOPHON

    Tutti i diritti riservati

    Copyright ©2018 Oltre edizioni

    http://www.oltre.it

    ISBN 9788899932343

    Collana *PBS

    Titolo originale dell’opera:

    Aggressività e violenza maschile

    al tempo della globalizzazione

    di Roberto Collovati

    Sommario

    Autore

    Introduzione

    Dediche

    1. Teorie dell’aggressività

    1.1 Cenni del pensiero antico

    1.2 Freud e i successori

    1.3 Il pensiero etologico e biologico

    1.4 La psicologia americana da Skinner a Bandura

    1.5 Le teorie sociali a matrice psicoanalitica

    1.6 Riepilogo

    2. Aggressività, violenza, conflitto

    2.1 Analisi del contesto contemporaneo

    2.2 Il travaglio delle donne

    2.3 Aggressività e comportamento aggressivo

    2.4 Violenza

    2.5 Conflitto

    2.6 Riepilogo

    3. Aggressività e globalizzazione

    3.1 Globalizzazione. Di cosa parliamo?

    3.2 L’aggressività della globalizzazione

    3.3 Aggressività e tecnologie

    3.4 Media e ricerche

    3.5 Religioni globalizzate

    3.6 Balcani. Memoria e psicologia per il XXI secolo

    4. L’aggressività e il maschile contemporaneo

    4.1 In cammino tra psicoanalisi, neuroscienze

    e psicologia sociale

    4.2 Narcisismo, la patologia di massa

    4.3 Maschilismo global

    4.4 Vita, fretta, violenza

    4.5 L’infanzia educata all’aggressività

    4.6 Donne e uomini insieme, per un futuro migliore

    Conclusioni

    Bibliografia

    Sitografia

    ROBERTO COLLOVATI

    Roberto Collovati (Pordenone 1960), è mediatore familiare e dei conflitti umani complessi ad indirizzo psicodinamico, counselor e psicomotricista relazionale. Psicologo associato a Bps Uk (The British Psychological Society), è studioso di conflitti umani, in ambito socio-familiare e geo-politico internazionale, con particolare riferimento all’area slavo-balcanico-caucasica. Lavora in campo libero-professionale ed è consulente e formatore per enti e istituzioni. Giornalista pubblicista e saggista ha pubblicato: Il Bullismo Sociale – Adulto e giovanile (Armando, Roma, 2010) con cui ha vinto il Premio Internazionale Carver per la saggistica (2011). Fin dall’età giovanile ha frequentato e vissuto terre e Stati del socialismo reale e, al crollo degli anni ’90, ha pianificato e organizzato l’assistenza e il sostegno all’infanzia, quando i conflitti e le destabilizzazioni geo-politico sociali, hanno colpito quei Paesi così tanto amati, ai quali è profondamente legato.

    INTRODUZIONE

    Questo volume incontra temi sensibili e mai davvero investigati sul tema dell’aggressività maschile con le sue inevitabili conseguenze, al tempo della globalizzazione.

    Essere uomo è stato favorevole in questo cammino, perché conosco e riconosco questa energia, l’ho vista in azione nei conflitti umani, il mio corpo l’ha sperimentata, prevalentemente subendola nel tempo giovanile o sportivo, seppure innocente, ma anche a piccole dosi nell’arrabbiatura adulta di torti e ragioni; piano piano, avendone dimestichezza e intuendone i rischi, l’ho voluta approfondire, studiare, condividendola e educandola profondamente, laggiù, nei misteri dell’anima, dell’inconscio, dove vive quel magma potente che, silente, può risvegliarsi rabbioso.

    Così sgombro la prima grande ipocrisia per la quale, quando si parla di temi delicati, ci si rivolge sempre agli altri, senza mai partire da noi stessi.

    L’argomento può riguardare, in determinate condizioni e contesti, anche il genere femminile, ma ciò è talmente marginale nella realtà che sarebbe stato alquanto improponibile e fuorviante.

    Essere uomo, e trattare questo argomento sul piano scientifico e psicologico, rappresenta un tassello mancante e di significato nel dibattito generale, che viene discusso, argomentato, analizzato quasi esclusivamente dalle donne, travolte sempre più da questo tsunami comportamentale.

    Non è un vantaggio, lo considero un limite.

    Spesso, invitato ai tavoli che discutono di aggressività e violenza maschile, dal punto di vista delle donne, incontro anche diffidenza, resistenza, supponenza intellettuale, banalizzazione, battute sarcastiche e sottilmente umilianti, beceri stereotipi; insomma tutto l’armamentario immaginabile.

    Non sono mancati i rifiuti stizzosi a poter partecipare.

    Difesa ragionevole e comprensibile, pazienza se a volte incagliata negli eventi; mi è servito a comprendere che era necessario, e non più rinviabile, impegnarmi nell’approfondimento, perché studio e ricerca non prendono parte a schieramenti, ma operano per il superamento concreto e fattivo di una realtà che, come questa, è cruda e tragica.

    Un saggio non è una chiacchiera buttata lì nella mischia, rappresenta l’inchiostro che si fissa sul foglio bianco e lì rimane dopo anni di studio; per questa ragione sento l’utilità di questo contributo che ritengo ineludibile al mio percorso umano e professionale; ho sempre lottato contro la violenza dell’umano, in tutti i modi che mi sono stati possibili, non solo verso le donne e l’infanzia.

    Un punto voglio fissare fin dall’apertura, e sarà il faro che mi accompagnerà.

    Solo donne e uomini insieme, capaci di cogliere profondamente il valore della loro diversità, che contiene la forza straordinaria della loro alleanza di azione e sentimenti, potranno oggi, in un mondo segnato dal caos globalizzato, dal populismo rinascente, dalla voglia di menare le mani ovunque, dalla rabbia latente, trasversale, diffusa, perseguire le svolte necessarie al cambiamento.

    Concetto che si può estendere a un continente, l’Europa, e oltre; mi limito al nostro Occidente decadente.

    Per questa ragione, nessun tabù ci può essere a dialogare con questa pulsione umana se si vuole autenticamente trattarne la complessità.

    Utile conoscere anche la propria aggressività, la sua natura, il suo mistero, i luoghi dove alberga e vive, senza infingimenti o manipolazioni, con il timore a volte di esserne spiazzati, sorpresi.

    Guardandola e avendola vissuta in certi frangenti, anche solo all’interno di un setting guidato (psicomotorio, psicodinamico), che ho avuto la fortuna di poter praticare per molti anni nella mia formazione professionale, grazie ai miei Maestri, si può, anche da professionisti, svolgere il proprio ruolo con il rigore etico e scientifico che è richiesto, quando si maneggiano tali dimensioni del profondo umano.

    Un lungo cammino di vicinanza e dialogo interiore con questo scomodo abitante della psiche; con lui mi sono intrattenuto come un confidente, un suggeritore, anche ingannatore, chiedevo spiegazioni sul perché a determinate condizioni, o in presenza di certe emozioni e sentimenti, intendesse ruggire o per contro se ne stesse pacifico.

    Mi ha insegnato e confidato molte cose, altre le ha tenute nel suo scrigno segreto, ma senza questo colloquio ravvicinato e intimo, che in fondo non finirà mai, non potrei oggi avventurarmi in questo scritto.

    Agire unicamente dal versante delle acquisizioni teoriche e di studio scientifico dei conflitti umani di oltre venti anni mi terrebbe prigioniero di un’impalcatura intellettuale o accademica, più adatta a cattedre abitate sempre più spesso, nel nostro Paese, da frequente mediocrità, e il cui comportamento e coerenza nella vita reale, su questi temi, guarda caso, non ha alcun riscontro con quanto dichiarato, o peggio, insegnato a giovani allievi.

    Aderisco convintamente al pensiero di James Hillmann, per il quale "[...] siamo vittime delle teorie e dei modelli, prima ancora di metterli in pratica [...]"; desidero sottolinearlo senza indugio.

    Il culto del modello tecnico è oggi maggioritario in un’epoca la cui complessità è tale da suggerire continue scorciatoie al pensiero profondo.

    La tecnica, si badi bene, non è il nostro nemico, piuttosto il contrario; essa non ha una funzione contro, semplicemente funziona e ci è utile a patto che ciascuno di noi, attraverso la conoscenza, ne faccia uso consapevole di coscienza e valore, che implica anche il passaggio e la trasmissione dall’Io al Noi.

    In questo volume ne tratterò il lato più oscuro, ambiguo, manipolativo, e sarà utile per intercettare l’altro, virtuoso.

    Nel campo di cui vado a trattare, così delicato per i destini umani, più psicologie si dedicano prevalentemente alla dimensione statistica, percentuale, testistica che diventa griglia analitica per produrre analisi, diagnosi e cura.

    Vanno molto di moda le terapie brevi in campo psicologico, abbracciando adeguatamente il pensiero globalizzato; efficienza, velocità, risultato, purché si celebri il valore decisionale, affermativo, egocentrico del proprio Sé.

    Percorsi strutturati come modelli tecnici, che prescindono dalle relazioni umane e dal loro nucleo pulsante; ottimi per il business globalizzato che offre trattamento alle sofferenze psichiche della post-modernità.

    Nel corso degli anni, tuttavia, ne hanno rivelato l’impotenza di analisi e comprensione del profondo malessere dell’umano contemporaneo, segnando la crisi e l’incapacità di offrire risposte praticabili alle sfide di cui è portatrice la nostra società, soprattutto sul versante dell’aggressività.

    Non si entra nella psiche umana con gli eserciziari delle buone intenzioni, nuove palestre del narcisismo globalizzato.

    Quest’uomo viene trattato come un computer costituito da pezzi intercambiabili, un contenitore di molecole e neurotrasmettitori, o anche di assiomi tecnici il cui funzionamento spiega tutto, amore, affetti, sensibilità, sentimenti, emozioni, benessere e malessere, rabbia, conflitti, prestazioni e, dunque, anche aggressività e violenza e tutto il mondo psichico più vasto che le contiene e contamina.

    Lo affermo con il grande rispetto e vicinanza che ho per le neuroscienze e il loro studio, che stanno portando un contributo decisivo allo sviluppo scientifico e alla comprensione dell’agire umano, via via confermando vaste aree del pensiero psicoanalitico.

    In questo senso dissento dalla visione di certo mondo psicoanalitico che vede le neuroscienze come protagoniste del riduzionismo, ovvero ogni processo mentale collegato a processi cerebrali concatenati.

    Nonostante ciò, siamo lontani dalla vita nel suo mistero, ed è ben vero che siamo approdati a una meccanica della vita come agglomerato che proprio abusando delle neuroscienze, in modo del tutto improprio, viene usato per esercitare un potere di fascinazione per chi lo offre e chi lo riceve.

    Questa dinamica interpretativa del vivere umano, meccanizzata, semplificata, banalizzata, fondendosi con le mutazioni apportate al modo di pensare, agire, approfondire, relazionarsi, studiare, che fa della superficialità il suo feticcio, lentamente si è interiorizzata anche nelle nuove generazioni, condizionando le professioni, e così anche nelle aree pedagogiche, educative, psicologiche, le teorie apprese troppo spesso vengono cannibalizzate e trasformate in eserciziari di successo, buoni per tutti e non come punto di partenza per il duro lavoro che verrà.

    Una tuttologia che si offre al mercato global ansioso di ricevere pillole di saggezza per ogni disagio.

    Ovunque, tentativi di affermare primati intellettuali e culturali, con moltitudini di approcci e pratiche, il cui obiettivo è imporsi su masse dal pensiero indebolito, frammentato, ego riferito.

    Le esigenze lobbistiche ed economiche, quando maldestramente impiegate, agiscono per emergere e ottenere quella visibilità pubblica, mass mediatica e politica, che insegue i noti vantaggi.

    La libertà dei servi non conosce l’etica.

    Per queste ragioni, mi impegno a riflettere senza alcuna pretesa di indicare modelli salvifici o risolutivi, rifiutando la paccottiglia preconfezionata da salotto mediatico o di rotocalchi illeggibili, e nondimeno seminariale e formativa che, vendute a caro prezzo, abbondano nell’Italia cialtrona dell’era globale.

    Dove c’è un dialogo vero, ascolto e scambio, anche contrapposto, c’è umiltà e rispetto, toni bassi, stimolazione, profondità, forza del pensiero; si aprono molte strade nuove e visioni o intuizioni inaspettate.

    Nessuno ha il timore di vedere il proprio potere oscurato.

    Il lettore, attento e consapevole, non può mancare l’appuntamento riflessivo con il profondo intreccio che lega globalizzazione, aggressività a matrice prevalentemente maschile e nuovi conflitti umani, a partire dal proprio vissuto quotidiano.

    Nessuno è esente, o può dirsi fuori da questa rete che avvolge il mondo contemporaneo.

    L’ansia cresce ovunque nel Mondo, pervasa da paure e angosce che ci ricordano il cammino dell’homo homini lupus, che ingenuamente pensavamo accantonato nell’Europa comoda e salottiera, pigra e burocratica del terzo millennio, così impegnata a cancellare la memoria.

    Aggressività e violenza hanno sempre svolto, nelle questioni umane, un ruolo preponderante, l’affare più rilevante; il XX secolo ha chiuso il suo ciclo nella ovvietà tragica di quest’affermazione.

    Forse la sua scontata banalità, agli occhi delle moltitudini umane, l’ha resa sempre marginale, al punto che le conoscenze non le hanno mai dato grande importanza; il Novecento della miseria e delle guerre era abitato da molti figli, le cui madri sapevano bene che, nel cammino della vita, più d’uno sarebbe scomparso.

    Se argomentare di globalizzazione può apparire relativamente semplice per la sua contemporaneità storico-sociale, non appena s’introduce il tema dell’aggressività, violenza e conflitto umano, si spalanca un tempo dell’uomo e delle sue vicende che ci riporta ad abbracciare un arco temporale di oltre 2500 anni.

    Ogni scienza, fin dalle origini, ha cercato tracce di comprensione dell’aggressività nelle sue diverse forme, fino alla violenza nel suo apice: il genocidio.

    Nessuna risposta è mai stata definitiva, tantomeno risolutiva; ci si aggira tra le teorie, si prende parte a esse, ci si schiera, inevitabilmente, e così si procede.

    A molte questioni umane il progresso scientifico ha dato via via risposte certe, conducendoci a un’era di onnipotenza tecnologica che ritiene di poter controllare e dominare l’esistenza in ogni frangente.

    Ecco, di fronte a questa sicurezza tecnica della post-modernità, che dispone anche di significative utilità, chi come me ha conosciuto, studiato ed è stato testimone, nel corso degli anni ’90 del Novecento e ancora oggi, della tragedia balcanica e delle sue atrocità, così come di altri conflitti ad alta destabilizzazione sociale, sa bene che i sotterranei dell’anima restano dominati da inspiegabili vie cui nessuna ricerca, studio, o riflessione sull’evoluzione umana, ha dato a tutt’oggi risposte adeguate.

    In queste circostanze, ho sempre percorso il doppio binario che lega la ragione, lo studio, il pensiero, la ricerca, alla forza anche radicale del vissuto emotivo, relazionale e sensoriale della testimonianza; ne sono consapevole, e rappresenta anche il limite-valore di noi umani, ma studiosi prestigiosi come Philip Zimbardo o Luigi Zoja, dai loro versanti teorico-scientifici e ben dopo Primo Levi e Hannah Arendt, avevano in fondo già tracciato e precisato il sentiero visibile di questa forza perversa, profonda, inestricabile, che ci abita ed emerge, o può emergere, dalla apparente normalità, dopo anni, o anche una vita intera, di silente presenza.

    Molte persone normali riempiono le cronache quotidiane di continue e orribili azioni violente in ogni luogo del Mondo e l’azione si scatena quasi sempre per motivi futili e banali.

    Tuttavia, non tutto è fermo dentro la prigione degli istinti, anzi tutto evolve e si adegua anche al tempo dell’uomo, all’evoluzione antropologica e di specie, al contesto storico-sociale, all’impegno con cui si è cercato di affermare l’intelletto capace di dominare la vita istintiva.

    Un cammino evidente che, però, si incaglia frequentemente nella regressione pulsionale, ovvero decenni di alfabetizzazione e cultura globale in vaste aree del Mondo, sempre successivi a grandi conflitti e tragedie, portano a risultati insoddisfacenti, e solo pochi anni sfavorevoli, come gli attuali, possono spazzare via rapidamente le conquiste di civiltà raggiunte e sempre migliorate.

    Queste premesse danno la dimensione dell’argomento, della vastità millenaria delle argomentazioni proposte, delle articolazioni complesse che cercano di indagare le trame oscure dell’esistenza.

    L’uomo cerca sempre di riscattare la propria vicenda per tenerla almeno nell’instabile equilibrio tra vita e morte.

    Questa sfida non è mai vinta, ho scritto e dichiarato in più occasioni, e così mi è venuto spontaneo fornire, con questo volume, una prosecuzione del mio lavoro quotidiano, uno sforzo incessante di continua elaborazione, perché questa mi appare l’unica via utile affinché le coscienze non si addormentino mai, ma piuttosto si educhino perennemente a riflettere, ad assumere consapevolezza e maggiore comprensione degli eventi.

    Bisogna farlo, soprattutto oggi, in tempi molto difficili nei quali la fascinazione per gli uomini forti al potere è in rapida crescita, anche nelle nuove generazioni, tradite dalla globalizzazione.

    Fantasmi del passato ritornano.

    Nessuna parola spesa su questo fronte sarà mai vana ma, ancora di più, nessun senso umano coinvolto, sia esso vista, udito, odore, tatto, che potrà agire a contatto con questi temi in un vissuto reale, anche solo pochi istanti, sarà tempo perso.

    L’uomo occidentale ha la forte urgenza di ritrovare anche una sensibilità e una vicinanza corporea con i suoi simili, lenta e delicata, per alleviare il disagio contemporaneo che fa dell’isolamento e della solitudine ciò che rimane della relazione umana, divenuta tecnica e asettica anche nella sessualità, fonte dell’energia primordiale.

    La mappa orientativa che propongo è sostenuta dall’impianto teorico psicoanalitico contemporaneo e della psicologia sociale che, dal mio punto di vista, sono profondamente sinergici, ben oltre gli scontati posizionamenti di potere cui accennavo in apertura, entrambi innovati dalla ricerca neuro-scientifica.

    Le intuizioni di prospettiva fenomenologica sono ancorate saldamente alla contemporaneità della globalizzazione che, di per sé, nella sua evidenza, è portatrice di conflitti, frustrazioni e, dunque, aggressività latente e diffusa, unita agli sconvolgimenti geo-politici attuali che ci incalzano quotidianamente.

    L’esito è circoscritto a uno scenario europeo e occidentale, ma ne contiene la propulsione globale, se si accetta di incamminarsi in sentieri scomodi e inesplorati.

    Viviamo un tempo furioso, alimentato dalla tecnologia mass-mediatica che esalta e distrugge in poche ore idee, persone, proposte, progetti, pensieri, riflessioni, scontatamente superficiale e ignorante, che indossa gli abiti ingannevoli e manipolativi della democrazia diretta, il nuovo fascismo. Tuttavia, la battaglia del pensiero non è mai perduta finché l’uomo vive; e così questo libro permette di lasciare l’argomento nella prima linea della necessità scientifica e dello studio psicologico; il mio impegno è, oggi come ieri, di scrivere con un linguaggio asciutto, possibilmente semplice e comprensibile alla platea più vasta, evitando di rivolgermi a nicchie supponenti e intellettualmente arroganti e stereotipate.

    L’uomo attende che altri uomini, lo sforzo congiunto dei migliori, umili, liberi e profondi, presenti e futuri, possa dare una luce più armonica e credibile a un dilemma che rimane tragico.

    Che cosa resta della cultura della pace e della capacità razionale e relazionale dell’uomo europeo dopo gli sconvolgimenti e le tragedie del ‘900?

    Risponderò argomentando, pur sapendo che intorno a noi ci sono conflitti e persecuzioni umane medievali, combattute nel disprezzo di ogni popolazione civile, sempre inerme e perennemente violentata dal mondo maschile che si accanisce sulle donne, l’infanzia, la vita anziana, i più deboli.

    Il nostro quotidiano è il luogo ove ciascuno svolge il proprio compito professionale e sociale, la cui funzione, impegno, responsabilità, dovrebbe rappresentare la consapevolezza di essere parte dell’omeostasi di un prezioso sistema democratico, certo criticabile e nondimeno in crisi di identità, ma faticosamente raggiunto e sempre a rischio.

    Le conseguenze degli eventi sulle persone rappresentano una lenta, continua e penetrante destabilizzazione psichica che si oppone alla dimensione del futuro.

    Ciascuno sa, sente il pericolo, comprende il malessere dell’uomo all’avvio di questo terzo millennio; lo vivono con lucida memoria coloro, ormai pochi, che portano sulle spalle il peso del tempo.

    La globalizzazione, dopo un primo periodo di apparente inconsapevolezza di esiti, sta presentando le sue conseguenze sulle persone e sulla vita pratica.

    Gli effetti di profonda disuguaglianza e ingiustizia vivono con noi, legati a doppio filo con fenomeni invasivi di burocrazia, abusi di ogni tipo, corruzione, malaffare, criminalità; nessun luogo o Paese ne è immune, ci si limita a stilare classifiche.

    L’Italia, certo, questa Italia perduta, che si dichiara arrabbiata, anche se ciò esprime unicamente la perdita di ogni valore etico interiorizzato della sua maggioranza, è, guarda caso, sempre al vertice del podio.

    Il magma corre nei sotterranei dell’anima di ogni uomo indistintamente, ricco o povero, stanziale o in fuga, colto o ignorante, alimentato dall’insicurezza, dalla paura, dalla sfiducia, dall’assenza di un futuro di sviluppo e di autentica democrazia, così come sempre si è immaginato in Occidente.

    Emerge improvviso, solitario o gruppale, colpisce a casaccio travolgendo tutto intorno a sé, donne, compagne, madri, anziani, bimbi e ragazzi, spesso figli propri, con una furia primordiale che vede quasi sempre il genere femminile primo obiettivo e vittima predestinata.

    Riemerge in questo paradosso quella umiltà del male, aggiornata al nostro tempo, frammentata e polverizzata, spesso nascosta o confusa nei meandri tecnologici e ricca di nuove correlazioni, che più Autori hanno anche recentemente investigato.

    La sua antica confidenza con la fragilità dell’uomo, le ha permesso di re-insinuarsi facilmente, in condizioni sfavorevoli, alimentandosi attraverso una società dei media iperveloce e capace, oggi, di straordinarie potenzialità manipolative e di costruzione di conflitto e disvalori, come ogni giorno constatiamo.

    Il volume incontra, nel suo sviluppo, molte aree del pensiero e delle scienze umane, molteplici direzioni e conoscenze e un vissuto autentico, condiviso con un’ampia rete sociale fatta di persone, docenti, studiosi e professionisti di varie provenienze, tutti, ci tengo a dirlo, con gli scarponi nel fango, e rappresenta la mia intuizione e analisi che si è via via dispiegata negli ultimi anni, dopo il volume sul bullismo sociale¹.

    Ho provato a riannodare i fili un po’ consunti del passato, introducendone di nuovi, per tessere una trama dai colori più vivi.

    Sono stato severo come un’insegnante d’altri tempi, perché amo la vita e la migliore umanità!

    Il tessuto della globalizzazione, e della nostra vita che portiamo sulle spalle, può essere forte o debole al tempo stesso, può riscaldarci o, viceversa, lasciarci infreddoliti e soli. Dipende molto da noi.

    Buona lettura.

    NOTE

    1 R. Collovati, Il bullismo sociale. Adulto e giovanile.

    DEDICHE

    A Luigi, mio Padre.

    Ci vuole crescita, conoscenza, libertà interiore, consapevolezza e umiltà dell’Amore, per potere re-incontrare il padre.

    Ringrazio le molte persone che con la loro vicinanza autentica di stima, affetto, pensiero e azione, nel corso degli anni, hanno permesso che la mia mente fosse così ricca da consentirmi questo lavoro.

    Loro sanno e il mio pensiero le incontra di continuo.

    1. TEORIE DELL’AGGRESSIVITÀ

    1.1 Cenni del pensiero antico

    Riflettere e descrivere il pensiero antico sul tema dell’aggressività umana significa rifarsi prevalentemente al pensiero filosofico, essendo la psicologia una scienza del XIX secolo.

    Nel tempo trascorso da Platone a Nietzsche ritroviamo l’evoluzione del suo significato con riferimento alla cultura occidentale.

    Nel carro alato e nell’auriga platonico¹, ritroviamo il punto di partenza di una duplice valenza dell’aggressività umana, positiva e negativa. Se il cavallo bianco e nero rappresenta rispettivamente l’anima irascibile e l’anima concupiscibile dell’uomo, l’auriga rappresenta l’idealizzazione della ragione, alla cui guida c’è l’uomo, che potrà preferire la prevalenza dell’uno o dell’altro cavallo.

    Ne deriva un’aggressività giocata su due fronti, quella irascibile, positiva, che lotta per la buona fama, la vittoria, il dominio e quella concupiscente, negativa, che aspira alla brama di esigenze materiali.

    Quella positiva è capace di raggiungere fini utili per l’uomo, senza dimenticare che, nella cultura greca, la guerra e il comportamento coraggioso avevano valenza positiva, non essendoci la sua condanna etica.

    Questa impostazione definisce tre anime umane, tre fini della vita (saggezza, coraggio, piacere), poste in ordine di gerarchia decrescente che anche Aristotele, il suo allievo, riprenderà.

    Tale scala definirà per Platone anche la giusta definizione in classi della società con, al vertice, i governanti (giusti), e poi i soldati (coraggiosi) e i produttori (amanti del piacere).

    Quello di Platone è un tempo nel quale l’aggressività assume necessariamente una valutazione diversa dall’oggi, ragione e corpo restano distinti nettamente e l’anima irascibile è valorizzata, virtù pratica.

    Aristotele seguirà la traccia del maestro differenziandosi tuttavia sul piano antropologico.

    Se, per Platone, la separatezza tra anima irascibile e concupiscibile è netta, per Aristotele la natura umana è unica, integrata, guidata da una ragione che sceglie il mezzo, con una scelta deliberata².

    Anche Seneca, in età ellenistica e nella prospettiva stoica, parla dell’ira, dal fronte della filosofia latina, come di una passione impetuosa e furente, ricercatrice di sangue, d’inumana atrocità, di supplizio, facendone una descrizione drammatica degli effetti sulla comunità umana e sulle cose umane; gli eccidi procurati dall’uomo camminano insieme alle distruzioni dei luoghi fisici.

    Seneca non lascia spazio ad alcuna franchigia nell’utilità dell’ira e dell’aggressività che possiedono l’uomo, per un errato giudizio, non per puro impulso. Dunque, un vizio volontario non appartenente ai destini naturali.

    Il tempo del pensiero medioevale e rinascimentale ci porta in dote il pensiero ineludibile di San Tommaso d’Aquino che, per primo, introduce una sorta di classificazione dell’ira secondo livelli e gradi di accensione diversi e intensità variabili³.

    Gli inferiori e infelici, dice San Tommaso, sono più portati all’ira perché più addolorati e sofferenti. L’ira appartiene alle passioni naturali ma, in fondo, lo è meno della concupiscenza, perché cibo e piaceri della carne sono più naturali del procurare morte o vendetta.

    In San Tommaso, l’ira è il maggiore ostacolo alla ragione e determina gravi conseguenze che egli descrive in modo articolato tra il verbale (ira esclamata) e il corporeo (violenza fisica).

    L’epoca rinascimentale trova espressione anche in Giordano Bruno nel suo Dialogo II, dove la Sapienza, su cui verte il dialogo, si sostanzia solo sulle virtù insegnate piuttosto che su aspetti esteriori e, in questo, la sua azione nel mitigare l’ira sarà vera virtù.

    Altri pensatori rilevanti del ‘600, tra cui Cartesio, Spinoza, Hobbes, lasciano testimonianze e scritti sui turbamenti aggressivi dell’animo umano. Cartesio riparte da Platone, nelle interazioni tra corpo e anima, per darne una lettura fisiologica, quadro in cui si colloca l’aggressività; una visione molto meccanicistica e frutto di un’articolazione complessa.

    Egli cita la ghiandola pineale come origine e stimolo sia dell’anima sia degli istinti animali, spinte spesso contrastanti tra loro che possono prevalere l’una sull’altra.

    L’aggressività cartesiana è azione di risposta rispetto a ciò che ci riguarda e di cui vogliamo vendicarci; una forza agitata da uno specifico percorso fisiologico che coinvolge sangue, milza, fegato, cuore, bile, in una miscela che produce un ribollire più agitato dell’amore o della gioia⁴. Le azioni aggressive, per Cartesio, sono due: una pronta e rapida, ma a veloce esaurimento, e una lenta, inesorabile, potente nella sete di vendetta.

    Spinoza affronta l’aggressività da un versante stoico, ovvero come risultato della inazione e della passività umana. Le passioni sono dunque cause esterne, che non corrispondono alla reale natura dell’uomo; tali passioni causano il comportamento umano solo se noi restiamo fermi, generando le cause di ciò che accade fuori.

    Sarà sempre l’odio il generatore dell’aggressività verso i nostri simili, così come l’ira, seppure a un livello inferiore di effetto.

    Il capitolo di queste passioni, in Hobbes, rientra nel versante sempre negativo, poiché la ragione, usata in modo opportuno, è sempre generatrice di bene. Il vero bene, afferma Hobbes, è lungimirante, appartiene al futuro, si

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