Cronofagia: Come il capitalismo depreda il nostro tempo
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La Cronofagia è una forma di predazione capace di proporsi con i volti rassicuranti del progresso, della libertà d’espressione e dell’intrattenimento, un’appropriazione costante e pervasiva che mercifica segmenti sempre più ampi delle nostre vite. Dalla riduzione del sonno alle incombenze burocratiche riversate sulle masse, dalla diffusione dei social network alla fine dei tempi morti, dalle tecnodipendenze ai nontempi dei nonluoghi, dalle vacanze all’erosione della memoria, Cronofagia indaga come il capitalismo depreda le masse del proprio tempo.
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Anteprima del libro
Cronofagia - Davide Mazzocco
Davide Mazzocco
Cronofagia
Come il capitalismo depreda il nostro tempo
Cronofagia
Come il capitalismo depreda il nostro tempo
Di Davide Mazzocco
Prefazione, Daniele Gambetta
Ufficio stampa, Roberta De Marchis
Cover Design, Emidio Battipaglia
Cronofagia è stato pubblicato da D Editore nella collana NEXTOPIE, curata da Daniele Gambetta
Copyright D Editore © 2019. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione puo essere fotocopiata, riprodotta, archiviata memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo – elettronico, meccanico, reprografico, digitale – se non nei termini previsti dalla legge che tutela il diritto d’autore.
D Editore
Roma
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Telefono: +39 320 8036613
www.deditore.com
info@deditore.com
ISBN: 9788894830361
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
Desiderio di tempo
CRONOFAGIA
Introduzione
1 - Un capitalismo cronofago
2 - Alla conquista del sonno
3 - L’impero dei burocrati
4 - L’azienda con due miliardi di lavoratori
5 - La fine dei tempi morti
6 - Persi nella Rete
7 - Il nontempo dei nonluoghi
8 - Colmare il vuoto
9 - Un tempo senza memoria
10 - Possedere la fine del mondo
11 - Eresie e nuovi paradigmi
12 - Nel nome della lentezza
Bibliografia, Sitografia, Filmografia
Note
Desiderio di tempo
prefazione di Daniele Gambetta
I dubbi derivano dalle esperienze passate. Ma il passato sta scomparendo. Un tempo conoscevamo il passato ma non il futuro. Le cose stanno cambiando – disse lei – Ci serve una nuova teoria del tempo .
Cosmopolis, Don DeLillo
La difficoltà maggiore che ho incontrato nel voler scrivere questa prefazione è stata nel riuscire a trovare #tempo. Viviamo immersi in un perenne momento presente, nel quale però siamo forzati a oscillare tra sensi di colpa per il passato e ansie per il futuro, ritrovando in rari momenti di lucidità la capacità di riconoscere questa nostra condizione, senza però poi riuscire a riprogrammare gli algoritmi che determinano la nostra vita quotidiana.
Quello di Davide è un libro denso, conciso, puntuale, che riesce a dire quello che c’è da dire consapevole che, tra le cose per cui più spesso ci sentiamo frustrati, c’è proprio il non avere il tempo per leggere le cose che vorremmo leggere.
Tempo e desiderio, quindi. Desiderio che viene riprogrammato, ricalcolato, in quel capitalismo che è stato chiamato in tanti modi (digitale, delle piattaforme, dell’attenzione…) ma che in fondo punta – come sempre – a estrarre valore da una costante ridefinizione di ciò che vogliamo, di cosa desideriamo.
Da analisi svolte sull’utilizzo dei social network da parte degli utenti, sembra che sempre più persone stiano sfruttando il loro account Tinder per raccogliere follower instagram al fine di diventare maggiori influencer, mentre pare siano sempre di più le coppie che riconoscono un’affinità reciproca a partire dalle passioni e dagli hobby mostrati su Linkedin nell’attesa di trovare occupazioni nel proprio campo di interesse. A quanto pare anche questo è il risultato di quella fusione tra tempi di vita e di lavoro di cui parla Davide, e che avevamo provato ad esplorare in varie direzioni nella pubblicazione collettanea Datacrazia .
La piattaforma è un luogo, il codice è legge, l’algoritmo è pianificazione condivisa tra gli utenti/cittadini/membri della comunità. Chi detti le leggi algoritmiche, o se queste possano o meno essere rimesse nelle mani della comunità stessa, è questione da discutere. Ma se vogliamo capire la nostra epoca, forse dobbiamo anche capire cosa è nuovo e cosa non lo è, distinguere i dispositivi – tecnologici, sociali, linguistici – che ci deprimono e ci sfruttano da quelli che dobbiamo riprenderci, riprogrammare, ridefinire.
Il dibattito, quanto mai complesso e pieno di contraddizioni, sul ruolo dell’automazione, è un dibattito quanto mai necessario, e nel quale questa distinzione – tra dispositivi politici di sfruttamento e dispositivi tecnologici di eventuale emancipazione – si fa cruciale.
Nella tempolinea accelerata ad alta frequenza, a determinare se è il nostro tempo a venire liberato o se non sia invece l’ Orologio dell’Apocalisse ad avvicinarsi alla mezzanotte, sono i rapporti sociali.
Partendo proprio dal saggio del 2015 I cronòfagi. I 7 principi dell'ipercapitalismo di Jean-Paul Galibert, in Cronofagia Davide ri-attualizza, portando numerosi casi recenti, l’analisi sui meccanismi dell’ipercapitalismo di nutrirsi del nostro tempo offrendoci in cambio la convinzione di diventare più produttivi, procedendo a una progressiva erosione del tempo dell’inattività e, quindi, della non redditività
. Un processo di ridefinizione delle nostre identità in base alle nostre occupazioni, o per meglio dire, in base a ciò che di noi possiamo rendere produttivo. L’apparentemente ovvia pretesa di remunerazione monetaria per il nostro lavoro sembra ormai essere diventata una ovvia utopia, mentre le forme di appagamento assumono forme sempre più bizzarre, dalla visibilità alla maggiore rispettabilità, innescando un eterno loop di economia della promessa, che genera sconforto, smarrimento, depressione.
Tessere le connessioni tra questi fenomeni, l’uso delle tecnologie, le forme di produzione, è quello che vuole fare Cronofagia, portando l’attenzione non solo alla predazione quotidiana, ma anche a quella che non appartiene al giorno, quella che tenta di insinuarsi nel tempo della notte, nel tempo del sonno.
Un meme sul furto di #Tempo
Pillola rossa, luci blu
Alcuni studi medici hanno dimostrato che osservare per lungo tempo lo schermo dello smartphone o del pc alla sera influenzerebbe il ritmo circadiano del sonno. La causa di insonnia sarebbe infatti la retroilluminazione usata da tutti i display LCD, che utilizzano uno spettro di emissione con una predominanre componente di blu e di frequenze vicine all'ultravioletto, tonalità di luce che il nostro corpo è abituato ad osservare nei momenti che precedono l'alba, prendendole così come un segnale per attivare processi dell'attenzione durante la mattina, come la produzione di melatonina.
Siamo in competizione con il sonno
farebbe ridere, se non fosse la dichiarazione rilasciata dal CEO di Netflix nel 2017. Binge watching è il termine di lingua inglese per indicare la prolungata esposizione a programmi televisivi, ben oltre il tempo abituale. Le maratone-Netflix, il chiudersi con una serie, non solo è ovviamente una pratica sempre più diffusa, ma secondo gli psicologi del Texas sarebbe strettamente correlata con un malessere psicologico. Strumento per allontanare emozioni negative, principalmente durante le stagioni invernali, svilupperebbe un atteggiamento compulsivo simile a quello del gioco d’azzardo, oltre che essere fortemente incoraggiato dalle piattaforma di streaming, che a puntata conclusa ci avvia automaticamente quella successiva.
L’ipotesi che la pubblicità possa presto entrare nei nostri sogni è un tema che sporadicamente è tornato nelle discussioni online, come in occasione della pubblicazione del video provocatorio Branded Dreams – The Future of Advertising nel 2016 . Ma il furto notturno del tempo avviene già in molti modi, come ricorda Cronofagia citando ovviamente anche 24/7, il saggio sul capitalismo all’assalto del sonno
di Jonathan Crary.
La politicizzazione dei disturbi mentali e la rivendicazione di una causalità tra iperproduzione e malessere psicologico sono e saranno nei prossimi anni un tema centrale da cui ripartire, oltre che un argomento complesso che renderà necessario approfondire e discutere il rapporto tra individuo e società, tra neuroscienze e politica. Ma anche un tema che, se non affrontato adeguatamente, cela il rischio di cadere in un frame individualizzante che non può che far vendere ancora di più al capitale, e farci sentire ancora più soli.
Negli anni del liceo, per un periodo, mi ero iniziato ad interessare particolarmente ai sogni lucidi, ovvero alla possibilità di prendere coscienza all’interno di un sogno notturno senza però svegliarsi, così da poter godere della forte immersione sensoriale in un ambiente in mano alla nostra immaginazione. Un fenomeno che può capitare spontaneamente, ma per il quale esistono anche tecniche mentali da compiere durante la giornata o prima del sonno, che ne favorirebbero la sopraggiunta, e tramite le quali, per più volte, raggiunsi qualche risultato (lo sapevate che nei sogni gli orologi non segnano l’ora in modo coerente se osservati a pochi secondi di distanza?).
Quello della lucidità, e quindi della presa di consapevolezza, del svegliarsi dal sonno, è un tema che mi riporta a pensare a come una certa interpretazione del discorso politico sulla psicologia possa prendere derive aconflittuali e pacificate, se non addirittura reazionarie.
Come ricostruito da Alessandro Lolli in La Guerra dei Meme, il frame memetico della pillola rossa, offerta in Matrix da Morpheus a Neo, è diventata simbolo di una narrazione basata sull’accesso a un mondo svelato che si nasconderebbe dietro alle menzogne di un soggetto sempre nuovamente ri-definito, oltre le quali l’individuo può accedere a uno strato profondo di realtà.
Per quanto potremmo discutere a lungo delle mitologie alt-right e delle loro genealogie, quello che ci dice il meme della red pill è che senza adeguate precauzioni il disagio psicologico ed emotivo può facilmente protendere verso una volontà di liberazione individuale, che spesso sfocia in sentimenti reazionari espliciti, come mostra anche una certa letteratura sulla maggiore consapevolezza
, letteratura che si rivela spesso una una propaganda neoliberista camuffata da manuale di psicologia.
A fare la differenza, allora, è la necessaria impostazione del discorso in termini sia psicologici che collettivi. Considerarsi – come individui e come comunità – un sistema complesso significa ricordarsi di essere sia organismi pluricellulari, il cui comportamento è determinato da scariche elettriche, ma anche macchine i cui circuiti vengono costantemente influenzati da circuiti limitrofi. Non possiamo quindi aspettarci liberazione di tempo nè fuoriuscita dallo stato di tristezza se non riportando l’attenzione del discorso sulla produzione di relazioni, capaci di ridefinire il codice della comunità secondo algoritmi non estrattivi e non discriminanti, riconoscendo che l’elaborazione di teorie neuropolitiche critiche è un compito oggi quanto mai necessario.
Nextopie, fare rete nella complessità
Quello che avete tra le mani non è solo un libro, perché nessun libro è solo un libro. È anche lavoro, persone, condivisione, potenziale occasione di incontri e di relazioni future. Quasi un anno fa, con la stessa casa editrice che ora stampa Cronofagia, abbiamo provato a innescare un processo a partire da una pubblicazione, composta anch’essa da (molte) persone. Da allora il processo è ancora in corso, e ci ha permesso di avviare dibattiti, partecipare a discussioni collettive, costruire percorsi che ancora oggi sono in fase di progettazione.