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La chiave Bianca
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E-book178 pagine2 ore

La chiave Bianca

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Info su questo ebook

Come iniziare ad essere felici? La chiave bianca ti proietterà in un'avventura misteriosa e affascinante che ti coinvolgerà a tal punto da vivere i thriller della storia e immedesimarti completamente in essi. Un'avventura da vivere tutta d'un fiato.
LinguaItaliano
Data di uscita1 gen 2014
ISBN9788891151155
La chiave Bianca

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    Anteprima del libro

    La chiave Bianca - Erica Stori Mezzacqui

    tvb

    IL FATTO

    —Che cosa hai preso, deficiente? — gridò Eva nell'orecchio di Luisa, sfidando la musica che saturava l'aria della spiaggia.

    —Niente.

    —Niente? Ma se hai due occhi che sembri la bambina dell'esorcista! Dimmi cosa hai preso. Avanti!

    —Che cosa ho preso?

    Eva strattonò l'amica per il braccio, continuando a sostenerla.

    —Aaah... Mi hanno dato una pasticca... piccola picco-li-nis-si-ma...

    —Ci voleva anche questa, chi è stato, quel delinquente?

    —Eh, chi lo sa.

    —Adesso andiamo via, muoviti — le fece Eva; — guarda te lo dico per l'ultima volta: se continui così, farai una brutta fine. Finisci male, idiota! — E gridando, la strattonò ancora più forte. In quel modo riuscì a farla camminare per la spiaggia che, abbandonata la festa, diventava sempre più buia.

    —Eva, vai già via? — le gridò Brando da lontano.

    —Devo andare! — rispose lei senza fermarsi.

    —Aspetta Eva, vi accompagno — strillò Brando cominciando a correre.

    La ragazza si fermò; Luisa barcollava, sudando e tremando.

    —Cos'ha Luisa? — chiese subito Brando appena le ebbe raggiunte — sembra che le sia passato addosso un camion, ma sta male? —

    Eva lasciò volentieri che Brando l'aiutasse a sostenere l'amica, e si asciugò la fronte.

    —Qualche drogato le ha dato una pasticca. Questa qui poi, già di suo non capisce niente. Guarda com‘è ridotta!

    —Bel guaio. Il meglio che possiamo fare è portarla a letto immediatamente. Domattina vedrai che starà meglio. L'effetto di quella roba non dura più di una notte.

    —Andiamo Brando, per favore, dobbiamo farle fare il dosso — tagliò corto Eva.

    I tre si avviarono, con Luisa in mezzo, a peso morto. Giunti all'altura di sabbia, Brando cominciò a tirare su la ragazza per le braccia, mentre Eva la spingeva da dietro, schiena contro schiena. Attraversarono, col fiatone dovuto allo sforzo, quasi tutto il pioppeto oltre la spiaggia e finalmente riuscirono a intravedere la strada sterrata, illuminata dal soffuso biancore della luna, quando rade nuvole non la nascondevano, e dal vago chiarore dei lampioni e delle luci del paese, ancora distanti. Eva sentiva sulla pelle come delle punture d'ago; aveva un malessere aspro, la mente vuota di pensieri: come il silenzio d'un bosco all'arrivo di predatori. D'un tratto ci fu un botto in lontananza e la terra prese a tremare.

    —Il terremoto! — esclamò Eva d'istinto.

    —Accidenti, Luisa muoviti, corri! — gridò Brando cercando di tirarsi dietro la donna.

    Dopo alcuni secondi un altro botto, più secco e ancora più forte: una sorta di grande deflagrazione.

    —Ma questo non è il terremoto — osservò Eva angosciata.

    —Forse è scoppiata la centrale termoelettrica di là dal Po — disse Brando. — L'avevo detto che sarebbe stata la nostra rovina! —

    Eva si girò per vedere se arrivasse qualcuno dei festaioli. Gli alberi tremavano con le fronde agitate da un vento fortissimo. Il buio aveva inghiottito tutto; non si vedeva più la strada, non si scorgevano più i lampioni dell'illuminazione comunale in lontananza, né la casa del pastore che abitava nella golena a pochi metri dal pioppeto. Eva e Brando facevano fatica a vedersi in faccia. Trascinando Luisa che non si era accorta di niente, si precipitarono attraverso quella che, nella loro memoria, doveva essere l'ultima striscia di bosco. Erano terrorizzati. A ogni passo l'eco delle due esplosioni rimbombava nelle loro teste; avevano l'impressione che il sibilo del vento dietro di loro si mescolasse a grida di ragazzi in fuga, rumore di passi frenetici, arboscelli spezzati, cadute e richieste d'aiuto. Riuscirono a saltar fuori dall'ultima fila degli alberi e si arrestarono. Non si vedeva niente. Brando avrebbe voluto continuare la corsa, ma con Eva che respirava a fatica e Luisa addosso, pronta a cadere se abbandonava la presa, non sapeva che fare. Aveva paura e basta.

    Buuummm!

    Il terzo scoppio. E questa volta così vicino da spaccare quasi i timpani. Luisa spalancò gli occhi e svenne, richiudendoli subito.

    Il terreno davanti a loro cominciò a sollevarsi, la sabbia nera volava, sferzandoli. Continuando a gonfiarsi, il terreno aveva ormai formato una montagnola alta quanto loro, di quattro, forse cinque metri di diametro. Adesso erano impietriti, incapaci di qualsiasi cosa: non riuscivano neanche a urlare. La sommità della montagnola si aprì come un vulcano, lasciando uscire una luce abbagliante, subito accompagnata da una sostanza vischiosa e schiumosa d'un verde acido, traslucido, che prese a scorrere in rivoli lenti. E a quel punto, d'improvviso, dal cratere uscì un piccolo essere tutto rugoso, alto non più di ottanta centimetri, la pelle verde scuro e capelli bianchi lunghi fino alle spalle, tutti spettinati. Eva e Brando riuscirono a lanciare l'urlo trattenuto fino a quel momento. Brando, senza accorgersene, lasciò anche andare la presa su Luisa la quale cadde giù, tornò in sé, vide la scena e rimase agghiacciata.

    L'essere, con un gesto ieratico, creò un cerchio di fuoco intorno ai tre, mentre il vento si placava. Luisa mossa dalla paura tentò di fuggire, ma il fuoco si alzò e lei ricadde all'indietro priva di sensi. L'essere cominciò a muoversi verso Eva, entrando nel cerchio. Quando le fu davanti, lei poté vedere i suoi occhi, tondi e completamente neri: non ostili ma profondi e enigmatici, un universo insondabile. La piccola creatura allungò il braccio, aprì la sua mano verde e rugosa e nel palmo aperto apparve, splendente nella luce che circondava la scena, un oggetto bianco simile a una chiave.

    —Eva, non fidarti — disse Brando accanto a lei, senza muoversi.

    Eva non lo sentì. Era tornata al momento di tutte le possibilità, prima della sua nascita: guardò il cielo e vide galassie lontane; si sentì come un atomo disperso nelle correnti del tempo. D'istinto sentì d'essere legata all'oggetto che il piccolo essere misterioso le porgeva. E lo prese. Subito l'avvolse un caloroso senso di felicità: ma sentì anche una fitta dolorosa nel profondo del cuore, una ferita aspra e dolcissima, un'incisione nella carne, come se la chiave l'avesse aperto per la prima volta. Era nato il suo occhio del cuore.

    Tre giorni prima.

    —Luisa, sto arrivando a Mezzocampo — annunciò Eva al cellulare.

    —Tesoro mio, che piacere sentirti... a che ora arrivi? — rispose l'amica con voce stranamente mesta.

    —Tra mezzora. Visto che è lunedì mattina e tu non lavori, passo a trovarti.

    A quel tempo Eva abitava a Mezzocampo, piccolo paese della campagna mantovana. Spesso gli impegni d'artista, ossia le sue mostre d'arte, la portavano altrove. Adesso stava tornando da un'assenza piuttosto lunga, anche se non si era allontanata molto: due mesi a Milano per preparare e seguire una sua esposizione. Da lì era partita quel mattino per tornare a casa. Il suo talento artistico, irregolare e un po' selvaggio, si era sviluppato nella solitudine di quei luoghi sperduti in riva al Po. Era un'inclinazione radicata in ogni cellula del suo essere, forza oscura e perfetta che traspariva dal suo sguardo elettrico, duro, dolcissimo. Una volta un mago le aveva disegnato il quadro astrale e alla fine aveva concluso: sei un caterpillar travestito da margherita. Lei era scoppiata a ridere. Sembrava spesso che gli accadimenti del mondo la attraversassero senza toccarla: invece era capace di scomporre e ricomporre un avvenimento come un puzzle, afferrava situazioni diverse al volo, pareva azzannare e digerire la realtà in un colpo, anche la più difficile, e sapeva dominarla. Era stata allevata da persone semplici, quasi illetterate, lontanissime da quella cultura, o quell'istinto, che insegnano come arrampicarsi nella scalata della vita. Proprio quando la piccola Eva faceva il suo ingresso nel mondo, il padre se n'era andato via di casa, lasciando la madre a cavarsela da sola. Un bel fardello per Elena, la giovane mamma, anche perché la figlia si era rivelata il suo opposto naturale: intelligente, difficile, battagliera e irriducibile, fino alla violenza.

    La bambina era così cresciuta in una piccola proprietà agricola alle porte di Mezzocampo, con la madre e la nonna Elvira. Non era stata un'infanzia facile. L'educazione era spartana e la piccola una ribelle per vocazione. Dominavano in lei i geni del padre, con la sua arroganza borghese, e senza averlo mai visto gli somigliava in tutto, temeraria, non voleva mai cedere; prendeva in giro la madre fino a farsene beffe, nella sua altera bellezza infantile. Elena subiva il dominio e il disprezzo della figlia, chinandosi alla forza di quello sguardo fiero, a quei lampi di sussiego sfolgoranti come un emblema sul volto della bambina. Nonna Elvira provava a riprenderla quando nei contrasti con la madre toccava punte di autentica malvagità, ma la piccola non aveva timori reverenziali per nessuno, e fu questa testarda volontà di sfida a permetterle in seguito di raggiungere il suo grande scopo. Buona educazione, begli ideali, convenienze, rispetto: per lei, come le capitò di affermare più tardi, erano tutte stupidaggini e non permise mai che le bacassero la testa.

    Mentre guidava verso casa, Eva osservava il paesaggio che dall'uscita dell'autostrada andava gradualmente mutando. Campi di grano che cominciavano a prendere il colore dell'oro, frutteti pronti a donare i loro frutti maturi, filari di viti con l'uva ancora acerba e le prime balle di fieno profumato disseminate come boe nel mare di grandi piane verdi. Aveva girato il mondo, ma sapeva che nulla era più prezioso di quanto aveva imparato da questa terra. Vivere con la natura le aveva insegnato che un seme, una volta piantato, deve essere poi innaffiato, protetto, curato. Instancabilmente. Senza possibilità di sotterfugi o di inganni. O si seguono le regole della terra o niente. Niente frutti, niente cibo.

    Nel sapore dell'aria di Mezzocampo Eva ritrovava la propria anima, tanti momenti del passato; e quel ritmo giusto, segreto, segnato dal Po nel suo scorrere maestoso. Mille volte era passata per quegli argini e aveva osservato le isole che periodicamente si formano nel grande fiume, a seconda della quantità d'acqua che gli scorre dentro. La più vasta era l'Isola Boscosa, tutta coperta da noci secolari, per un certo periodo di proprietà di Maria Callas e del marito di allora: anni Settanta più o meno.

    Il nastro grigio della strada era l'unica nota discordante in quella distesa di giallo e verde che sfumavano l'uno nell'altro, in perfetta armonia. Tutto il paesaggio era come immerso nel silenzio, in un misterioso ascolto. La casa di Luisa si trovava in fondo al paese, guardata da due platani, pronti a proteggerla dalla calura pomeridiana. Eva ripensò alla voce dell'amica al cellulare; avvertì ancora quella insolita venatura di cupezza: l'assedio dei problemi pratici, e il crescente autoisolamento, dovevano ormai serrarla in un vero labirinto di solitudine.

    Luisa era sulla porta, col suo dobermann Gabri, quando Eva arrivò con la nuova Mercedes SLK, lo sfizio lussuoso che aveva assorbito i guadagni delle ultime mostre, nonostante tutte le esortazioni della madre al risparmio.

    —Carissima, quanto tempo è passato! — esclamò Luisa abbracciando l'amica — sei bellissima.

    Gabri mulinava la coda, leccando le mani della nuova arrivata.

    —Sono come due mesi fa. Tu invece mi sembri strana, mi nascondi qualcosa, non stai bene?— la incalzò subito Eva che i problemi li intuiva subito e li affrontava di petto.

    —Non sto bene, dici? Mi sento in formissima. Vieni, andiamo in casa a farci un caffè.

    Una voce insistente ripeteva, come una vecchia canzone, nella mente di Eva, mentre entravano in casa: qui c'è aria di menzogna, la bugia è intorno a te...

    All'interno tutto era asettico, perfetto: troppo per una che dice di sentirsi così bene, pensò con una punta di acidità. Avvertiva una tensione gelida e bollente insieme, pronta a scoppiare. E Luisa evidentemente era decisa a resistere, nella corazza della dissimulazione. Eva scelse l'approccio dolce.

    —Come va qui a Mezzocampo, allora? Dimmi un po' di novità... — Adesso aveva un tono più leggero, esplorativo — Sai cara, non vorrei che magari ci fosse qualche guaio che non so...

    —Oh, i guai. Ti svegli una mattina e trovi tutto cambiato. I guai ti si sono piazzati in casa, e sono ospiti difficili da cacciar via — rispose Luisa in tono frivolo.

    Ma contraddetto da un pallore così sofferente del volto che Eva ebbe istantaneamente la certezza che le fosse successo qualcosa di grave.

    —E a Milano com'è andata?— riprese Luisa mentre l'odore del caffè cominciava a spargersi nell'aria.

    Eva alzò lo sguardo come stesse seguendo il filo d'un pensiero nascosto:

    —Andare per il mondo in cerca di chi è simile a te è un'idea bella e romantica: ma per questa ricerca bisogna prima conoscere bene se stessi.

    —Rifletté qualche secondo. — Io a Mezzocampo non ci sto bene; le persone qui mi giudicano una solitaria, una piantagrane, superba, pessimo carattere, ma se m'avessi visto in mezzo a gente diversa, gente con un certo gusto, gente capace di una conversazione colta, persone alle quali si illuminano gli occhi quando si discute di arte, di economia, magari di come cambiare il mondo, che

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