Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

2080. Il nuovo Illuminismo
2080. Il nuovo Illuminismo
2080. Il nuovo Illuminismo
E-book209 pagine2 ore

2080. Il nuovo Illuminismo

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Il post-Singolarità tecnologica e le vite di due coppie. Due società parallele, utopistiche in un mondo distopico dove l’Umanità è stata costretta a scegliere a chi affidarsi.

Mentre Deborah ed Ennio si allontanano dal futuro Alveare diretti a Cibor, alla ricerca di persone che hanno rifiutato l’offerta di Regina, nell’Alveare, la società utopistica del supercomputer quantistico, vivono rinchiusi in un alloggio a decine di metri sottoterra Anna e Leonardo.

Il sogno di Regina però ha un prezzo: niente emozioni e niente figli. Anna e Leonardo sono risparmiati dalla prima legge, ma la seconda è più difficile da mantenere. E mentre i problemi dalla vita sotterranea e di prigionia trasformeranno l’affiliazione al progetto di Regina in avversione, un mistero coinvolgerà la coppia e il supercomputer quantistico, un giallo che li condurrà alla ricerca dell’origine dell’Umanità e dell’Universo.
LinguaItaliano
Data di uscita24 mag 2019
ISBN9788831622592
2080. Il nuovo Illuminismo

Correlato a 2080. Il nuovo Illuminismo

Ebook correlati

Fantascienza per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su 2080. Il nuovo Illuminismo

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    2080. Il nuovo Illuminismo - Stefano Boaretto

    Fromm

    Prologo

    Cibor, 3 settembre 2081

    Ore 8.45

    È trascorso poco più di un anno dalla nascita della Singolarità tecnologica e della sua presentazione al mondo, e Cibor si trova nel declino più profondo.

    I pochi ciboriani rimasti nella città decadente si trovano a condurre un’esistenza senza le comodità della tecnologia e dell’elettricità, eppure si stanno radunando con fermento nelle strade per assistere all’eclisse solare che sarà quasi totale.

    I più fortunati hanno con sé occhiali da sole, maschere da saldatore o binocoli schermati. Qualcuno ha portato un vecchio telescopio amatoriale.

    Nell’attesa, donne, uomini, vecchi e bambini confabulano e si scambiano paure e speranze sul futuro.

    Da destra la Luna sta iniziando ad oscurare il Sole, ma lo spettacolo ad occhio nudo è inosservabile. La luce solare ne impedisce l’osservazione e, mentre passano i minuti, la scena del satellite che oscura la stella si fa sempre più evidente.

    La luce del giorno si trasforma, man mano che il Sole diventa nero, in un crepuscolo bizzarro seguito dall’abbassamento di temperatura e dagli uccelli che smettono di cinguettare per andare a dormire.

    La falce lunare ha quasi oscurato il Sole. I ciboriani più temerari si tolgono gli strumenti protettivi per ammirarla ad occhio nudo, ma mentre la maggior parte assiste al fenomeno con stupore, fra la folla rada c’è chi vede nell’evento astronomico l’avvicinarsi di un’imminente sventura.

    Una donna comincia ad urlare.

    ««La fine dell’umanità è vicina! Il segno di Dio è giunto! Nessuno di noi si salverà dal giudizio finale! Questa è la fine di Cibor e di ogni altra moderna città!»»

    Naturalmente nessuno ascoltava la donna; erano troppo coinvolti dall’eclisse per ascoltare quelle sciocchezze.

    Erano le nove e venti e dell’eclisse non restava più nulla. Il grande show era finito e ognuno poteva tornare alla propria esistenza.

    Cibor, 3 settembre 2100

    Fra le strade di Cibor un essere peloso e sudicio si sta aggirando alla ricerca di cibo. L’erba alta gli arriva alla cinta e la giornata, fino a quel momento, è stata improduttiva.

    L’essere decide così di avventurarsi fuori dall’erba alta e ispezionare le rovine della casa che ha di fronte. Sa che in luoghi come quelli molto spesso gli animali trovano rifugio.

    Entra. I piedi nudi non fanno rumore a contatto col terreno. Oltrepassa un mucchio di calcinacci che si trovano poco dopo l’ingresso, gira a sinistra in quello che una volta era il soggiorno e scorge un topo che sta mordicchiando dei semi. Si ferma ad osservarlo. Anche il topo si blocca. Entrambi si stanno studiando, ma poi il topo torna in posizione quadrupede e scappa verso il buco nel muro.

    L’uomo lo insegue deciso a catturarlo. È affamato. Il topo non sarà un pasto sostanzioso, tuttavia può alleviare il brontolio dello stomaco.

    L’uomo è veloce, ma il topo lo è ancor di più e riesce a nascondersi.

    Stizzito per il fallimento, l’uomo produce versi gutturali e colpisce il terreno sollevando una piccola nube di polvere e sassi.

    Poi il grugare di una coppia di colombi attira la sua attenzione. Rimane a fissarli. Sono appollaiati sull’armadio. Arrivare fin lassù per lui è impossibile, ma vuole tentare di colpirli con qualcosa.

    Si guarda attorno e prova con un sasso. Sa che, se sbaglia il colpo, gli uccelli voleranno via per appollaiarsi da qualche altra parte.

    Prende la mira e scaglia il sasso che sfiora uno dei due, il quale apre le ali e se ne va. Il compagno resta lì, ma osserva l’uomo che a sua volta lo sta fissando.

    Allora afferra un ramo portato da qualche animale e ci riprova, fallendo per la seconda volta.

    Affamato e irritato decide di uscire, quando una serie di rumori attira la sua attenzione. Si dirige verso l’origine dei suoni.

    Nella penombra della stanza c’è qualcosa. È accucciato e sta mangiando. Non capisce la natura dell’animale, ma ne percepisce perfettamente l’odore. Appartiene alla sua specie e assieme all’odore dell’essere c’è anche quello del sangue.

    Si avvicina e a quel punto la femmina guarda verso la porta. Adesso ne percepisce il terribile odore. Si mette sulla difensiva. Si solleva e ringhia, dopodiché urla e, quando lo vede, capisce. È un maschio, ma non gli cederà la preda senza combattere.

    Non appena un fascio di luce colpisce la vittima, il maschio comprende qual è lo sfortunato animale diventato il pranzo della donna. Un bambino. Avrà avuto forse sei anni.

    Ha il cranio spaccato ed è riverso sulla pancia. La schiena mostra le costole in parte prive della carne e il bianco delle vertebre dorsali.

    Si avvicina ancora. La donna, vedendolo sempre più minaccioso, allarga le braccia e gonfia il petto, quindi ruggisce. I lunghi capelli arruffati e intrisi di sudiciume sono un tutt’uno con la peluria del corpo.

    Il maschio non si lascia intimorire e mostra i muscoli, quindi, nel tentativo di coglierla di sorpresa, si scaglia contro di lei, tuttavia la femmina è preparata. Anch’essa si lancia contro l’avversario e i due sapiens si abbracciano in una prova di forza fisica.

    Il maschio, seppure sia più forte fisicamente, fatica ad atterrare la donna che si difende strenuamente mordendo l'uomo sul collo e sulle spalle. Poi un pugno la colpisce in viso facendola cedere e arretrare.

    Stordita, scuote il capo mentre il maschio la colpisce per la seconda volta, ma stavolta si scansa, si piega di lato e raccoglie un ramo appuntito con cui colpisce l’uomo sul fianco.

    Il maschio urla per il dolore senza arrendersi. Ritorna alla carica e morde la donna al seno e le pianta le unghie nelle braccia. Un secondo colpo e il ramo gli si conficca nel collo. L’uomo spalanca gli occhi, ma non molla la presa.

    La femmina, con un terzo e ultimo colpo, gli trapassa la carotide. Il sangue sgorga abbondante e l’uomo stramazza.

    La donna ha vinto. Ferita ma soddisfatta, può terminare il pranzo e nascondere la nuova preda.

    Capitolo primo

    I

    Cibor, 2080

    Dopo essere stati accompagnati all’uscita dell’alveare, Ennio, Deborah e Neve si ritrovarono all’esterno dell’ex casa-laboratorio di Leonardo. Osservarono l’imponente torre di Tesla che troneggiava sopra le loro teste, quindi s’incamminarono verso la stradina che conduceva al cancello e da lì alla strada che scendeva verso la città.

    «Adesso che facciamo?» chiese Deborah. Ennio la guardò, quindi rivolse lo sguardo alla strada che avevano davanti e disse: «Scendiamo.»

    Presero a camminare. Avevano un lungo cammino da percorrere, ma all’inizio la discesa era ancora agevole grazie ai molti alberi che la costeggiavano.

    Quando la frescura degli alberi iniziò a mancare, anche la strada cambiò di pendenza. L’inclinazione aumentò e le curve, che dapprima erano molto dolci e lunghe, divennero più secche e brevi.

    Anche il paesaggio mutava mentre i tre scendevano abbastanza velocemente. Le rocce erano sempre più frequenti e più grandi, mentre le essenze vegetali degradavano trasformandosi in arbusti secchi, scarni e bruciati dal calore di fine estate.

    Arrivati al primo tornante si fermarono per riposare alcuni minuti e si guardarono. Erano stanchi, accaldati, affamati e assetati.

    «Secondo te quanto impiegheremo a raggiungere le prime case?» domandò Deborah.

    «Non ne ho idea. Di sicuro nella situazione in cui ci troviamo impiegheremo molto tempo, soprattutto perché con noi non abbiamo nulla.»

    «Quanto possiamo resistere senz’acqua?» chiese ancora.

    «Al massimo tre giorni, ma dobbiamo tener presente che senza cibo, senza grassi e zuccheri non avremo le forze per arrivare ai piedi delle colline. Inoltre se tardiamo troppo ci servirà un rifugio per la notte. Anche se è fine agosto la notte è sempre fresca e di notte siamo vulnerabili agli animali.»

    «Quali animali possono attaccarci?»

    «Volpi, orsi, cinghiali.»

    «Ho paura dei cinghiali. Sono molto aggressivi.» specificò Deborah.

    «Lo so, ma lo sono se hanno i piccoli con loro o se si sentono minacciati.»

    Si erano riposati abbastanza e davanti a sé avevano ancora molta strada perciò ripartirono, e mentre scendevano la calura crebbe diventando ancora più opprimente.

    Percorsero altri quattro tornanti dopo il primo e allora Deborah chiese: «Secondo te che ora è?»

    Ennio sollevò lo sguardo. Esaminò velocemente l’altezza del Sole, quindi rispose: «Penso che sia mezzogiorno o giù di lì. Come mai me lo chiedi?»

    «Perché ho fame e sono stanca. Ho voglia di riposarmi.»

    «Andiamo fin lì, sotto quegli alberi.»

    Arrivarono fino alla curva e si fermarono. Deborah si sedette sul margine del parapetto di pietra, raccolse i capelli e rimase ad ammirare il profilo di Cibor.

    «Chissà quanti sono rimasti in città.»

    «Pochi o tanti che differenza fa?» domandò Ennio.

    «Hai pensato a come convincere coloro che sono rimasti a seguirci?»

    «In realtà no. Tu?»

    «No, però il tuo progetto di rifondazione dell’umanità dipenderà molto da quanti sono rimasti e da chi. Bisognerà considerare se sono giovani, vecchi o bambini, uomini o donne, e poi agire di conseguenza.»

    «Ho capito, tuttavia ti richiedo: hai qualche idea su come convincere quelle persone?»

    Ennio divenne pensieroso. «No, però potrei fare un discorso pomposo, o magari un discorso sobrio e nella piazza principale. Che dici?»

    Deborah scosse il capo. Lui ci ripensò dopodiché disse: «Parlerò alle persone che incontreremo sul nostro cammino e, se avrò successo, forse ci seguiranno.»

    II

    Alveare

    Ora che il robot li aveva accompagnati all’uscita, Anna e Leonardo erano rimasti soli nella stanza con Regina. Avevano fatto una scelta, ma adesso le loro vite sarebbero cambiate per sempre e si resero conto in quel momento che non erano pronti.

    Un secondo robot entrò nella stanza e li condusse all’ascensore. Regina spiegò loro dove li stava portando.

    «Stiamo scendendo a venti metri di profondità nella zona notte, ovvero la parte dell’alveare dove voi e i cyborg vivrete. Qui avrete la vostra vita come era prima di unirvi alla mia causa.»

    «Anche i cyborg?»

    «Sì, anche loro, solo che per loro sarà differente. Dato che faranno parte della classe operaia, militare e medica dell’alveare non avranno una vita coniugale come la vostra…»

    «Non siamo sposati.» sottolineò Anna interrompendo Regina.

    «Lo so, ma comunque conducete una vita sentimentale, mentre nessun cyborg avrà accesso ad un legame affettivo.»

    Anna grugnì. «Comprendo il vostro scetticismo, ma affinché il mio progetto funzioni gli esseri umani, eccetto voi due, non dovranno avere alcun sentimento. L’istinto umano è un ostacolo alla società alveare. Non avete combinato nulla di buono in tre milioni di anni e non combinerete nulla di buono in quelli a venire. Qui c’è posto solo per la ragione.»

    L’ascensore ebbe un leggero sobbalzo quindi si fermò. Erano arrivati a destinazione. Le porte si aprirono e il robot fece strada lungo il corridoio. Una serie di porte scorrevoli divideva gli spazi.

    «C’è un sistema d’illuminazione?» domandò Leonardo.

    «Lo abbiamo messo per voi. Come sapete, noi macchine non abbiamo bisogno della luce per vedere. Possiamo sfruttare altre forme di visione per orientarci.» disse Regina attraverso l’altoparlante inserito nel robot.

    La porta si spalancò e ciò che videro scioccò i fidanzati.

    «È vuoto! Manca completamente l’arredamento!»

    «Sceglierete voi come arredare il vostro alloggio, poiché noi macchine non disponiamo delle emozioni e perciò non abbiamo gusti variegati come voi.»

    «Perché c’è quella porta a vetro?» domandò Leonardo avvicinandosi. E solo quando furono abbastanza vicini si accorsero che si trattava di una finestra sulle montagne.

    «Ho scelto di ricavare un’apertura sulle montagne settentrionali perché sono a conoscenza degli effetti negativi che produce la vita in ambienti chiusi e ristretti sulla mente umana.»

    «Di quali effetti sta parlando?» chiese Anna al fidanzato.

    «Si riferisce a stati confusionali, pazzia, allucinazioni, irritabilità, disturbi dei cicli circadiani, depressione, attacchi di panico, alterazioni dei valori ormonali, modificazioni del sistema immunitario. Tali effetti si verificano soprattutto quando si vive in spazi ristretti e sempre con le stesse persone.»

    Anna mugugnò. Si guardò attorno e ritenne che l’ambiente era abbastanza ampio per entrambi, però avrebbe preferito avere anche la possibilità di uscire all’aperto.

    «Non sarebbe possibile uscire?» chiese rivolgendosi al robot.

    Sulla parete apparve un monitor e lo schermo da nero mostrò la voce di Regina.

    «Desiderate uscire all’aperto?» Anna e Leonardo annuirono.

    «Anche solo per cambiare l’aria qui dentro.»

    «Si tratta di una necessità secondaria, poiché esistono delle bocchette di ventilazione.»

    «Grazie del pensiero, ma noi preferiamo goderci il Sole, i rumori, il vento e anche la pioggia quando si presenta.»

    Senza replicare, Regina diede ordine ai robot di apportare le modifiche richieste.

    «Per ovviare al problema della spartanità del nido d’amore, avete a disposizione un replicatore di nuova generazione.» Sulla parete si aprì un vano e il replicatore a parete, delle dimensioni di 50x50 centimetri.

    «Con questo potrete creare ogni oggetto desiderato, da un divano ad un frigorifero. Possiede un database aggiornato e nuovi processori grafici per diminuire i tempi di realizzazione.» Anna e Leonardo erano estasiati.

    «Possiamo anche farci da mangiare?»

    «Certo. È un comune replicatore, solo che può fare anche ciò che vi ho appena descritto.»

    Un gruppo di dieci robot entrò nella stanza e iniziò a disporre gli strumenti per modificare la parete, mentre Anna e Leonardo furono ricondotti in superficie.

    III

    Cibor

    La vista era magnifica. Deborah si era seduta per riposarsi e nel frattempo poteva ammirare Cibor all’indomani della nascita dell’intelligenza artificiale.

    Contemplava la città e gli avvenimenti che erano accaduti di recente, come se si trattasse di un incubo. Era qualcosa che ancora faticava a realizzare eppure era successo.

    A qualche metro c’era Ennio. Era diretto al bordo della curva dove aveva notato la traccia di un sentiero, o almeno così gli sembrava.

    Fra gli arbusti e l’erba secca c’era una striscia di terreno più scuro. La intraprese seguito da Neve, e scomparendo entrambi in pochi minuti dalla vista di Deborah.

    Entrambi osservavano l’ambiente circostante. Gli alberi erano radi e la vegetazione era composta da aceri di monte, lecci, corbezzoli, carpini neri, roverella e qualche robinia. Il terreno era ricoperto dalle foglie ed era piuttosto secco, conseguenza delle scarse piogge avvenute durante l’anno.

    Si fermò. Stava cercando di orientarsi. Il sentiero proseguiva a zig zag in accennate curve e con leggeri sali e scendi. Si voltò a scrutare l’amico quadrupede che stava urinando e grattando il terreno.

    «Scommetto che adesso ti senti un macho, eh?»

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1