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La mia storia Come tante altre
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E-book202 pagine2 ore

La mia storia Come tante altre

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Info su questo ebook

Antonio Larivera è nato a Castelmauro alla fine della seconda guerra mondiale. A sei mesi si sposta in un altro paese, Larino; nella stessa provincia. Frequenta le elementari alternando la scuola con il lavoro, nel 1963 si trasferisce in Piemonte per necessità di lavoro. Assunto in una ditta telefonica ci lavora fino all'età pensionabile. Per aiutare il figlio diventato maestro di tennis prende in gestione un circolo a Borgaro (TO).

Gli piace leggere pur non avendo molto tempo per farlo gli piace scrivere sfruttando quelle poche pause che l'impegno del circolo gli consente. Di recente ha scritto un libro simpaticissimo dal titolo Beatrice Nikita due storie Quasi Parallele che uscirà a breve.

La mia storia come tante altre.

E' un racconto di una vita vissuta fra paure e stenti. Comincia con le difficoltà della guerra che ha paralizzato i paesi per molti anni. Pur essendo personale rispecchia la vita di molti che nel dopoguerra hanno dovuto superare momenti di difficoltà sia economiche che fisiche.

Anche in età scolastiche tutti dovevano dare il proprio contributo per aiutare i genitori.

Lentamente si è ricostruito gran parte di quanto i bombardamenti hanno distrutto riportando i paesi ad una condizione di vivibilità.
LinguaItaliano
Data di uscita14 mar 2014
ISBN9788891135346
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    Anteprima del libro

    La mia storia Come tante altre - Antonio Larivera

    rispecchia.

    Capitolo 1

    LA NASCITA

    Siamo nel 1943 a Castelmauro, un paesino di circa 1600 abitanti, nel Molise.

    Castelmauro è un paese prevalentemente agricolo, alcuni artigiani lavorano il legno e il ferro, le donne usano telai in legno, costruiti artigianalmente, per tessere tele destinate alle sartorie che confezionano abiti.

    I muratori costruiscono case con pietre ricavate nella montagna, gli scalpellini preparano le facce a vista per costruire muri.

    A guardarlo da lontano si ha l’impressione che le abitazioni si stiano arrampicando su per la montagna. In effetti, le costruzioni sono ricavate rosicchiando terreno a questo monte, che fa da riparo a tutta la cittadina.

    Castelmauro (CB) Molise

    Il 6 giugno del 1943, alle ore 15,30 la mia mamma Filomena, coadiuvata dalla levatrice, in una di queste case nella zona Quartaforo, porta a termine il travaglio e mi proietta in questo mondo.

    Siamo in guerra; si odono ancora le cannonate, i tedeschi in ritirata seminano terrore fra la popolazione, i Castelluccesi cercano rifugio nelle cantine per sfuggire ai bombardamenti. Siamo in carestia, c’è poco da mangiare, tutto viene razionato. Quelli che posseggono animali devono nasconderli per evitare razzie da parte di militari e civili.

    Mio padre Michele è in guerra, ma 9 mesi fa è tornato in licenza ed ha messo le basi per la mia procreazione.

    Rientrato al fronte viene catturato e spedito in Africa, prigioniero ad Algeri.

    Le notizie sono scarse, Filomena non sa se Michele è vivo, ci sono quattro figli da sfamare, la casa pericolante non più utilizzabile, allora decide di partire, di andare via. A Castelmauro non c’è più la certezza di poter sopravvivere.

    A Larino, un paese distante circa cinquanta chilometri, vive mia nonna Maria Giuseppa, mio nonno è mancato qualche anno fa. Lei non vive da sola, dopo la morte del marito si è unita allo zio, anche lui rimasto solo.

    Attualmente vivono in una specie di cascina, hanno terreno, vigneto, piante di ulivi, un grande orto dove c’è la possibilità di coltivare insalata, pomodori, peperoni. Un pozzo di acqua potabile, utilizzato sia per bere che per annaffiare. Accanto alla cascina c’è un boschetto per procurarsi la legna, nella corte un forno per cuocere il pane, stanze per poter alloggiare e stalle dove, all’occorrenza, si possono allevare animali.

    Filomena non può avvertire la nonna delle sue intenzioni di trasferirsi a Larino, le comunicazioni sono interrotte, decide di partire ugualmente. Mezzi pubblici inesistenti, quattro bambini al seguito.

    Partiamo per la meta Larinese con le nostre gambe.

    Io no, le mie sono troppo piccole, ho sei mesi e sono arrotolato in una striscia di cotone solamente la testa è fuori dall’involucro. Viaggio in braccio alla mamma per il primo pezzo di strada, poi tra le braccia di mia sorella più grande, Giuseppina, Vincenzina e Maria sono troppo piccole per reggere il mio peso.

    Non conviene prendere strade principali, c’è sempre il rischio di fare degli incontri con le truppe in ritirata. La mamma sa che passando per i boschi si abbrevia il percorso.

    Ci incamminiamo attraverso le stradine di campagna utilizzando scorciatoie conosciute che mamma utilizzava andando nelle campagne a fare lavori stagionali. Ogni tanto un riposo per prendere fiato, poi di nuovo a sgambettare.

    Raggiungiamo Guardialfiera, un paese a due passi dal fiume Biferno, un corso di acqua che dal Matese scende lungo la valle, raggiungendo il mare nei pressi di Termoli.

    Il ponte che collega la statale Guardialfiera Casacalenda è stato bombardato, reso inutilizzabile. Non resta altro da fare che guadare il fiume, come fare? Mentre cerchiamo una soluzione seduti sul greto, ci accorgiamo che un contadino ha notato la nostra presenza, sì avvicina e ci chiede dove dovete andare?.

    Buongiorno paesà, (mamma saluta così quando non conosce la persona); paesà sta per Paesano, uomo del paese.

    Stiamo andando a Larino, dobbiamo attraversare il fiume non sappiamo come fare.

    Non vi preoccupate signò cè stà u cavall v port ie dall’ata part (signora c’è il cavallo vi porto io dall’altra parte) grazie paesà grazie.

    Non sappiamo chi è questo signore e non lo sapremo mai, dalle nostre parti si usa così, se si può fare un favore l’ho si fa non importa a chi.

    Il tempo di renderci conto ed ecco che l’improvvisato Caronte arriva con il cavallo, pronto per portarci dalla parte opposta.

    Strano tipo il contadino: corporatura snella, un cappello di feltro rotondo un po’ stropicciato, una camicia a quadri rossa di tessuto pesante (siamo in inverno), si vede subito che non è la prima volta che attraversa il fiume da queste parti.

    Sistema le sue cose sul greto e si prepara per fare la spola.

    Prima porta la più grande Giuseppina, nella seconda traversata carica mamma con me in braccio, per ultimo mette in groppa sia Maria che Vincenzina. Mentre percorre l’ultimo tratto un piccolo incidente, per fortuna si è rivelato tale, Vincenzina scivola dalla groppa del cavallo e sta per finire in acqua. Con una straordinaria prontezza di riflessi si è aggrappata alla coda facendosi trascinare fuori dal fiume.

    La mia mamma passa dalle urla, nel vedere mia sorella che scivola, alla felicità per lo scampato pericolo.

    Ora siamo tutti dalla parte opposta del fiume, non ci resta che ringraziare il benefattore e riprendere il nostro cammino.

    Mentre riprendiamo il viaggio sentiamo ancora il signore che ci chiama. Filumè nun passa pà via nov ce sctann engor i tedesc chi motocclett, continue e camnà pi cuorciatoi (Filomena non passare per la via nuova, ci sono le motociclette dei tedeschi, continuate a passare nelle scorciatoie).

    E quasi buio quando arriviamo a Larino, c’è un freddo pungente, Dicembre fa sentire le sue caratteristiche.

    Arriviamo dalla nonna che, appena ci vede, ci abbraccia, naturalmente con le lacrime negli occhi e chiede notizie di mio padre. Purtroppo non abbiamo una risposta. Sapevamo solo che era stato fatto prigioniero, non conoscevamo in che luogo fosse.

    MARIA GIUSEPPA

    Di figli ne aveva già avuti dieci, di cui solo due sopravvissuti, gli altri tutti morti appena nati.

    Angelina, nata nel 1912 è stata la prima a riempire la casa di gioia, successivamente al sopraggiungere del figlio maschio nell’Agosto del 1916, ha deciso che non era il caso di continuare a mettere al mondo creature, viste le condizioni in cui si era costretti a vivere.

    Con Angelina e Michele piccoli, senza l’aiuto del marito Vincenzo impegnato militarmente, è costretta a lavorare tutti i giorni nella campagna per dar da mangiare e vestire al bene e meglio i bambini.

    La famiglia vive a Guardialfiera, un paese piccolo, vicino al fiume Biferno.

    Già da bambini Angelina e Michele seguono la mamma nei lavori di campagna, a volte nella culla, a volte per terra sopra una coperta, osservano la mamma che si alterna negli svariati lavori di raccolta delle fave, la mietitura, il taglio del fieno.

    Lavori in realtà adatti ai maschi che, essendo tutti in guerra, non possono svolgere.

    Quando l’11 novembre del 1918 si concludono le ostilità bisogna ricominciare daccapo e riparare tutto quanto è stato distrutto dai bombardamenti. Papà Vincenzo non è più in grado di lavorare, in guerra ha contratto una malattia che lo debilita completamente e dopo alcuni anni muore, lasciando Maria Giuseppa da sola a sorreggere la famiglia.

    Guardialfiera non offre molte risorse, il paese è piccolo, c’è bisogno di terreni da coltivare.

    A Castelmauro ci sono delle conoscenze che aiutano Giuseppa a trovare lavoro, e la famigliola si stabilisce a Castelluccio, (il nome che utilizzano i paesani per indicare Castelmauro).

    Siamo nel 1930, Angelina si fidanza con Alberto, un sarto bravissimo nel suo lavoro, appena tornato dal servizio militare che lo ha tenuto lontano da casa per più di due anni.

    Un bell’uomo alto e colto lui, una bella donna lei, si sono voluti subito bene.

    Nonna non è molto d’accordo per via di un difettuccio che ha: Gli piace bere non sempre riesce a conservare lucidità e quindi, tornando a casa, se la prende con chi gli sta intorno, chiunque sia.

    Ha provato a convincere la figlia a rinunciare ad Alberto ma non ci è riuscita. Si sono sposati.

    Michele, quindicenne, comincia a fare lavori saltuari.

    Aiuta i contadini nei lavori di campagna, oppure fa il manovale aiutando i muratori, insomma tutto quello che trova per portare qualche soldo in casa e dare modo alla mamma di comprare l’occorrente sia per vestire che per sfamare tutti.

    Passa qualche anno e Michele viene chiamato per un lavoro dalla famiglia Iazurlo.

    E qui conosce Filomena. Non so se è un amore a prima vista, oppure è stato consigliato da qualche conoscente. Nei paesi si usa molto combinare matrimoni all’insaputa degli interessati.

    I due cominciano a frequentarsi Filomena ha già 17 anni, Michele 15 (due ragazzini, si direbbe nei giorni nostri, ma nel 1930 si era già maturi, le difficoltà della sopravvivenza portavano a diventare adulto precocemente).

    FILOMENA

    È la Quinta figlia di una famiglia composta da Cinque femmine e due maschi. I genitori sono Antonio e Maria Assunta, una vita a Castelmauro.

    Antonio fa il muratore ed è molto conosciuto in paese, i figli seguono le orme del papà, muratori anche loro e sempre impegnati poiché, essendo bravi nel loro mestiere, sono chiamati da tutti.

    Angelo Maria, pur essendo il più giovane è quello che si occupa dell’organizzazione del lavoro, Tommasino è l’esecutore.

    Le femmine sono adibite ai lavori di casa.

    Alfonsina possiede un telaio fatto manualmente e impiega le sue giornate per preparare stoffe che, in parte vengono utilizzate per i vestiti della famiglia, e le altre vendute ricavando denaro per acquistare altri generi di consumo.

    Antonietta si è sposata e vive in alta Italia, a Villaverla.

    Elvira non ha un compito particolare, aiuta in casa nei lavori di pulitura, di bucato, che di solito si esegue nella Cnnut (si chiama così la fontana vicino al cimitero attrezzata con lavatoio).

    La più giovane è Gilda, l’unica figlia che riesce a frequentare la scuola, essendo nata nel periodo in cui la guerra è solo un brutto ricordo.

    Michele e Filomena si sono uniti in matrimonio nella chiesa parrocchiale di Castelmauro, nell’Agosto del 1934.

    CASTELMAURO

    È un paese dove non ci sono aziende importanti, per il lavoro bisogna rivolgersi a contadini o muratori, il cibo scarseggia e ci si dà da fare per sopravvivere.

    Per fortuna le case da affittare si trovano e non costano molto, il problema più grande è racimolare soldi per vestirsi. L’inverno è molto rigido. Alle spalle del paese, Montemauro che, con i suoi mille metri di altezza, si ricopre frequentemente di neve. Nelle case, pur essendo più basso (800 m.) la temperatura e un po’ superiore, però comunque sempre rigida.

    Nel 1935 avviene il lieto evento, nasce la primogenita Giuseppina. Si comincia a stare bene, il lavoro non manca e, nel 1938 è la volta di Vincenzina, nel 1940 arriva Maria…

    L’Europa è di nuovo in allarme guerra.

    Già nel settembre del 1939 la Germania invade la Polonia, comincia così la seconda guerra mondiale in cui resta coinvolta gran parte dell’Europa.

    Michele è chiamato alle armi, alcune licenze gli permettono di aumentare la famiglia, Maria come si è detto nel 1940 ed il sottoscritto nel 1943.

    Michele viene fatto prigioniero e spedito ad Algeri dove, per sua fortuna, resta fino alla conclusione delle ostilità.

    Quando ritorna in Italia non è più Castelmauro la sua destinazione ma Larino dove, come si è detto, Filomena si è dovuta trasferire per fuggire dai bombardamenti.

    Stanchi ed affamati, la cosa da fare era preparare qualcosa per sfamarci tutti. Nell’orto c’è molta verdura, non resta che raccoglierla. La pentola è già pronta sul fuoco, basta cuocere. Un po’ di pane c’è ancora nello stipo.

    Rifocillati tutti, per me un po’ di latte. Dopo avermi cambiato ed asciugato, vengo arrotolato di nuovo nella striscia di cotone e poi tutti a riposare su letti di fortuna.

    La stanchezza accumulata il giorno prima è tanta, le mie sorelle stanno nel letto tutto il giorno, solo la mia mamma gira per casa.

    Al mattino successivo, presto, la nonna e già nell’orto per procurarci il cibo per il pranzo. Zio Domenico, il compagno di nonna, si preoccupa di tenerci al caldo, alimentando il camino con la legna raccolta nel boschetto.

    La felicità della nonna al vedere i nipoti sani e salvi, insieme e riuniti sotto lo stesso tetto, è immensa.

    La guerra è finita, almeno a Larino non si spara più. L’unico pericolo è costituito dai tedeschi in ritirata che, nelle masserie, fanno razzie di animali. La nostra fortuna è che siamo vicinissimo al paese e non osano derubarci.

    Passano tre anni ormai ci siamo ambientati.

    Mia nonna tutti giorni va lavorare nei campi, e quando non c’è nulla da fare da noi, va ad aiutare i vicini.

    Con quello che guadagna può comprare la farina che serve per fare le tagliatelle, almeno una volta alla settimana le cucina, il pane, viene impastato una volta ogni sette giorni. Farina e acqua, insieme al lievito si ottenere otto panelle… bastano… Normalmente si impasta il sabato il quantitativo occorrente per tutta la settimana.

    In questi tre anni, la sgobbona è sempre lei, nonna Maria Giuseppa. Le mie sorelle danno una mano in casa, anche loro fanno dei lavoretti, ad esempio vanno a prendere l’acqua alla fontana e la portano ai signorotti del paese. Guadagnano cinque

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