Matilde e altri racconti
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Non troveremo personaggi di successo, ricchi, famosi, potenti, smaniosi della ribalta… ma uomini e donne che si sporcano le mani, che affrontano la loro realtà quotidiana come possono, contando solo sulle proprie forze, con i mezzi che la società e la cultura del tempo mettono loro a disposizione.
Vivremo i loro sogni, ci mostreranno i loro affetti, i sentimenti, scopriremo le loro debolezze, le loro paure, condivideremo le delusioni, le amarezze, le sconfitte, ci riveleranno anche le loro speranze, la loro forza, le loro coscienze… e, soprattutto, riusciremo ad amare le loro anime e i loro cuori.
E con le accurate descrizioni dell’autore ci sembrerà di trovarci insieme a loro, al loro fianco, apprezzeremo i profumi, i colori, i suoni e le culture dei loro luoghi; cammineremo insieme a loro, li osserveremo da vicino: incontreremo il mare, alcuni piccoli borghi della campagna umbra, il centro di Bologna e alcune cittadine Toscane.
Storie non banali che l’autore ci propone per scuoterci, portarci a riflettere, ritrovare i valori della solidarietà, del rispetto di se stessi e degli altri, perché ritornare ad ascoltare le nostre coscienze ci può fare davvero bene.
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Anteprima del libro
Matilde e altri racconti - Antonio Patrizi
d’esordio.
LA VOCE DEL MARE
Settembre è il mese che preferisco, dopo il caldo estivo ora anche la natura sembra voglia riposarsi... abbassa i suoi ritmi, muta i suoi colori e regala giornate splendide, fresche, tranquille, limpide, che ci rilassano e ci invitano alla meditazione.
E questa è una di quelle serate che mi piacciono.
Allora mi sono recato all’antico porto romano.
L’impatto con quelle grandi pietre scure che spezzano e frenano la vastità del mare è stupendo. Quei blocchi imponenti sembrano ricordare e sigillare la forza di quell’Impero che li ha lavorati, portati qui, assemblati e usati come trampolino per le sue conquiste.
Subito la freschezza della brezza marina mi accarezza il viso, come a salutarmi.
Scendo con cautela gli antichi scalini che conducono al mare... irti, stretti, bagnati, scolpiti e addolciti dalla forza dei secoli.
Gli schizzi improvvisi di un’onda più impetuosa mi sorprendono, quando si ritrae mi abbasso e con le mani sfioro l’acqua, fresca e limpida che va e viene seguendo il respiro del mare.
Sono solo, è l’ora del tramonto e i toni di rosso del cielo si incontrano e poi si mescolano con quelli di azzurro del mare.
Sono attratto da questo luogo magico che è stato punto di incontro di uomini, civiltà, religioni.
Risalgo di un gradino, con lo sguardo scruto l’orizzonte ed ecco che avverto immediato e forte l’invito che il mare rivolge all’istinto degli uomini a partire, a scoprire, a conquistare, a sognare, a sperare.
Anche il vecchio gabbiano è arrivato, è a poca distanza da me, chiuso nelle sue ali, fiero, non ha paura.
Guarda lontano anche lui, sembra con nostalgia... forse insegue i suoi ricordi.
Ora è notte, l’acqua riflette la magica luce della luna.
Mi siedo raccolto nel giaccone, chiudo gli occhi e aspetto.
Il vento adesso è più forte e freddo e mi porta profumi, odori, colori, flebili suoni e armonie di terre lontane... ecco... comincio a sentire... finalmente.
Si è la sua voce...
La voce del mare.
Questo mare grande, vasto, forte, dolce, ma anche terribile, culla e portatore di vita, di speranza... ma anche di morte.
Sì... sto bene ora e non me ne andrò... è il momento di immaginare, di sognare... so che anche stanotte farò un buon incontro... mi fido di Lui!
LA SIRENA DEL FIUME
Nei primi anni del dopoguerra, intorno al 1950, non era facile per nessuno tirare avanti, soprattutto per chi abitava nei piccoli centri come Borgo Nebbioso.
In campagna si viveva dei frutti dell’agricoltura, del duro lavoro nei campi, degli animali allevati attorno casa, polli, oche, conigli, tacchini, mentre in paese gli uomini tiravano avanti con i vari mestieri, dal falegname al muratore, chi il calzolaio, il barbiere o il fabbro. E poi chi possedeva un orticello coltivava tutto quello che poteva.
C’era poco lavoro per tutti e di quel poco che si guadagnava e si raccoglieva si viveva... ci si accontentava, e tra la povera gente c’era molta solidarietà.
Flora era una bambina di appena sette anni, abitava in paese e suo padre, avendo a disposizione un fondo, si adattava a svolgere lì svariati lavori; la madre invece curava la casa e, quando le capitava, lavorava come sarta.
La bimba era molto sveglia, graziosa, sempre allegra ed essendo cresciuta a stretto contatto con la campagna, soprattutto grazie al nonno che spesso la portava con lui, già conosceva i fiori, le erbe, le piante con i loro frutti... i colori e i profumi delle stagioni.
E poi il fiume, lo adorava, aveva iniziato presto a fare i bagnetti e aveva sorprendentemente imparato a nuotare, prima nell’acqua più bassa, poi mano a mano nei posti un po’ più profondi.
Già all’inizio dell’estate voleva fare il bagno e lì, lungo il fiume aveva imparato a conoscere anche tutti gli animali che lo popolavano, le anatre selvatiche, i vari tipi di pesce, gli aironi bianchi, le rane, le bisce, gli uccelli che nidificavano e vivevano lungo le sponde.
Quel novembre fu molto piovoso e purtroppo la bambina si ammalò di tosse convulsa, contagiata probabilmente a scuola, come molti altri ragazzini.
Il medico le prescrisse uno sciroppo e consigliò ai genitori di portarla a passeggio in altura oppure lungo i corsi d’acqua, per accelerare la guarigione. In collina non potevano andare perché c’era molta strada da percorrere a piedi, però lungo il fiume sì.
E a Borgo Nebbioso i fiumi non mancano.
Quindi iniziarono le passeggiate per la bimba, a volte con la mamma Anna, altre con la nonna Santina.
Proprio durante una di queste camminate lungo la riva del Timia, fiume non grande ma in alcuni punti profondo, in una mattinata umida a causa della copiosa pioggia notturna, Flora percorreva un sentiero insieme all’anziana signora.
La stradina era ben segnata, anche se stretta; attorno però l’erba era alta e frasche e rovi si intrecciavano e facevano da cornice ai ricami delicati delle ragnatele cosparse di piccolissime gocce di rugiada.
Con la pioggia poi erano uscite le lumache e Santina non si era lasciata scappare l’occasione per raccoglierle, visto che in casa tutti ne erano ghiotti e mano a mano che le trovava le riponeva in una sacca.
Anche la bimba partecipava festosa alla ricerca, per lei era più che altro un gioco e per la voglia di trovarle per prima, cercava di anticipare la nonna; era brava nel riconoscerle, le prendeva in mano, aspettava che tirassero fuori le corna
e si divertiva a toccarle per vedere come la lumaca le ritraesse velocemente; poi, tutta sporca della bava che le chioccioline lasciavano sulle sue mani, correva tra l’erba bagnata con gli stivaletti di plastica rossi a riporle nella cesta, per poi ripartire di nuovo.
Correva e rideva, accaldata, con le guance rosse e proprio durante una di queste corsette, stanca, fu assalita da un improvviso e violento attacco di tosse che la fece inciampare in un rovo; perse l’equilibrio, cadde in avanti vicino all’argine e in un attimo rotolò nel fiume.
La nonna non fece in tempo ad alzare la testa che sentì il tonfo.
In quel punto il livello dell’acqua era alto e anche se la corrente sembrava leggera la sua portata era energica, forte e dava origine a molti vortici.
La bimba riemerse per un attimo, sbracciava, provava a nuotare, lottava ma con il cappotto e il maglione impregnati di acqua e la forza della piena la portavano senza pietà verso il fondo.
L’anziana si sentì morire, disperata urlava, la chiamava, chiedeva aiuto... non sapeva come intervenire.
Vincenzo, un contadino sulla cinquantina che abitava lì vicino e che stava pescando con la bilancia alcune decine di metri più in là, sentendo il tonfo e le urla disperate della donna, lasciò tutto, accorse immediatamente, e senza bisogno di spiegazioni intuì l’accaduto, si tolse le scarpe, il giaccone e si buttò in quell’acqua sporca, torbida, fredda, piena di insidie.
Nel frattempo era arrivato anche Lando, un uomo che abitava al di là della ripa, si trovava nell’orto e sentendo le grida aveva risalito l’argine ed era corso verso Santina.
Vincenzo era nel fiume, si immergeva e risaliva, ma sempre a mani vuote. Sentiva il freddo che lo aggrediva, gli toglieva il fiato, l’acqua melmosa gli riempiva la bocca, tossiva, annaspava, non riusciva a vedere, gli occhi gli bruciavano, ma continuava.
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