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Ricomincio da te
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E-book193 pagine3 ore

Ricomincio da te

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Info su questo ebook

Luce sta affrontando un periodo difficile della sua vita. È preda di attacchi di panico e non riesce ad allontanarsi da casa. La vita l'ha messa a dura prova da quando Andrea, suo migliore amico e anima gemella, l'ha lasciata. Non riesce a riprendersi, ma è proprio Andrea che in sogno le dà la forza di riprovarci, così comincia ad andare dal Dr. Menotti. Ripercorre la sua vita, le sue gioie e i suoi dolori e quando lo psicologo le dice di scrivere una lista dei desideri e di iscriversi al corso di chitarra, lei resta completamente perplessa. Ma non sa che la vita le riserva ancora delle sorprese, e che Diego, il maestro di chitarra, riuscirà a farle riavere il sorriso.
LinguaItaliano
Data di uscita1 lug 2015
ISBN9786051766027
Ricomincio da te

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    Anteprima del libro

    Ricomincio da te - Barbara Graneris

    avanti.

    PRIMA PARTE

    1

    Quando ti trovi a contemplare un paesaggio, come quello che ho io davanti in questo momento, ti manca il fiato. Attraverso la finestra vedo il mare blu e piatto, sembra una distesa d'olio. Il sole che sta tramontando all'orizzonte è arancione e giallo, mentre il cielo somiglia a un arcobaleno: una serie di colori, caldi e intensi, che si uniscono a formare sfumature mai viste prima. La natura è davvero stupefacente.

    Fisso il paesaggio e per la prima volta dopo mesi, mi sento a mio agio. Provo un senso di assoluta pacatezza, in completa sintonia col resto del mondo. La stanza intorno a me è vuota, ci siamo solo io e il mare. Stare sola con le mie sensazioni e i miei pensieri non mi dispiace, ma quando sento i suoi passi avvicinarsi e fermarsi a fianco a me, capisco che lo stavo aspettando.

    «Ciao, Lu.» La sua voce. Da quanto tempo non la sentivo.

    «Ciao, Andre.» rispondo, mentre mi volto a guardarlo. Quasi un metro ottanta, con gli occhi color nocciola e i riccioli biondi ribelli, Andrea è davvero uno spettacolo. È il mio paesaggio personale.

    Resto a fissarlo per qualche istante, fino a quando non si volta e mi sorride. «Che stai facendo, Luce?» mi domanda.

    «Guardo il mare.» dico, tornando a fissare il paesaggio.

    Andrea scuote la testa. «Non intendevo in questo momento.» Fa una pausa e poi prosegue. «Cosa stai combinando? Perché non vivi più?»

    «Lo sai perché.» dico senza distogliere lo sguardo dal tramonto. Sento i suoi occhi addosso. Andrea si avvicina e mi prende la mano, e io poso la testa sulla sua spalla. «Puoi farcela, Lu.» mi sussurra dolce. Non è vero, penso. «Mi sei mancato. Resta qui con me, per favore.» lo supplico.

    Quando siamo insieme il mondo gira nel verso giusto, ma quando siamo separati, nulla ha senso.

    Andrea si volta, prende il mio viso tra le mani e posa le sue labbra calde sulle mie; quando si stacca resta a guardarmi per alcuni secondi, con la fronte appoggiata alla mia.

    «Lo sai che non posso.» dice, stringendomi le guance. «Vai avanti, Luce. Hai il nome più luminoso dell'universo, ma ti sei spenta. Riaccenditi. Torna a sorridere, a vivere.»

    Chiudo gli occhi per assimilare le sue parole e sento gli occhi inumidirsi.

    «Sei venuto per dirmi addio, vero?» Andrea non mi risponde, ma i suoi occhi dicono che ho ragione. Faccio un lungo respiro, inalando l'odore della sua pelle per l'ultima volta.

    «Ti ricordi i nostri progetti?» mi chiede, e io annuisco. «Portali avanti, Lu. Fallo per entrambi.» Sto per rispondergli che non è così semplice, che senza di lui mi manca l'aria, che è come se mi avessero amputato una gamba, ma il rumore di un tuono mi fa girare di scatto verso la finestra. Il bellissimo tramonto si è appena trasformato in un temporale. Tuoni e fulmini invadono il cielo, e il mare, ora mosso, sembra che voglia inghiottire tutto tra le sue onde. Andrea mi tocca una guancia, mi sorride poi si volta e si allontana. Cerco di fermarlo ma ho le gambe pesanti e faccio fatica a muovermi. «Andrea!» urlo, ma lui è sempre più lontano. La stanza comincia a roteare vorticosamente; cerco di andare nella direzione di Andrea, ma un suono continuo ed insistente, cattura la mia attenzione…

    DRIIIIIN!!

    DRIIIIIN!!

    Apro gli occhi e vedo il soffitto della mia stanza color salmone. Sbatto le palpebre un paio di volte e capisco che il suono del campanello di casa mi ha riportata alla realtà. Mi alzo controvoglia e sbircio dalla finestra per vedere chi è: il postino. Qualunque cosa mi debba consegnare può aspettare, non ho voglia di fare le scale. Mi ributto sul letto e mi copro col piumone caldo; quando riemergo da sotto la coperta trovo il musetto simpatico del mio cane che mi lecca la faccia.

    «Sì, sì, buongiorno anche a te, Charlie.» dico ridendo. Un meticcio di media taglia, a macchie nere e marroni e buono come il pane, mi guarda divertito. Charlie vive con noi da cinque anni. Mio padre l'ha trovato abbandonato in autostrada e appena è sceso dall'auto per soccorrerlo, è stato amore a prima vista.

    Mentre accarezzo le orecchie di Charlie, non posso non pensare al sogno che ho appena fatto. Non avevo mai sognato Andrea. È passato poco più di un anno da quell’orrenda serata, un anno dall'inizio del mio declino.

    Le sue parole continuano a ronzarmi in testa. Riaccenditi. Torna a sorridere, a vivere. Mi è apparso durante il mio sonno per farmi la predica, per spronarmi ad andare avanti con la mia vita. Andare avanti senza di lui, però, perché mi ha detto addio. Ma era solo un sogno. Un sogno come tanti altri, e allora perché sono così turbata? Forse perché Andrea ha ragione, mi sono spenta. Mi rigiro nel letto, sperando di trovare una posizione comoda, ma senza risultati, così mi fermo a fissare la parete di fronte a me. Una parete tappezzata di fotografie e di ricordi. I miei occhi si posano su una foto che ritrae me e Andrea a una festa. Lui mi cinge la vita con un braccio e insieme sorridiamo, ma mentre Andrea guarda verso l'obiettivo, io guardo lui, così bello e perfetto. Peccato che la vita sia così imprevedibile.

    Nell'ultimo anno è cambiata ogni cosa. La mia vita è stata investita da un ciclone, che ha distrutto tutti i miei progetti e mi ha resa gelatina.

    Sospiro frustrata. Forse è meglio iniziare questa nuova giornata e smettere di pensare. Scendo dal letto e mi infilo le mie pantofole di peluche. La casa è vuota, come sempre. I miei genitori sono via per lavoro e tornano solo a fine settimana alternati. Accendo la musica per colmare il silenzio e comincio a mettere in ordine i vestiti sparsi per la stanza. Sto per aprire la finestra per far cambiare l'aria, ma mi blocco. Resto imbambolata a fissare il mio riflesso nello specchio. Sono io? Vedo una ragazza che mi somiglia, non tanto alta, con gli occhi azzurri e i capelli color cioccolato. Faccio qualche boccaccia, mi tiro la pelle in viso, mi guardo da tutte le prospettive. Sì, sono io, eppure non mi ricordavo esattamente così. Ho le occhiaie e le guance scavate, e devo ammettere che ho perso diversi chili. Sono diversa rispetto alla ragazza delle foto della mia parete. Mi sto guardando per la prima volta dopo un anno, ed è come una secchiata d'acqua gelida in pieno volto. Per quanto tempo posso andare avanti in questo modo? Il dolore torna a galla, ma mentre mi siedo sul letto cerco di ricacciarlo indietro. Ho accettato quello che è successo, ma mi sono fermata a quell'evento, non ho provato a reagire, anzi, tutto quello che ho fatto è stato mollare ogni cosa e rintanarmi in casa, preda di attacchi di panico e dolori allo stomaco. Ho lasciato gli studi e smesso di fare tutto. Se mi allontano per più di qualche metro da casa, spesso mi capita di essere colta dal panico con il cuore che accelera, il respiro affannato e le mani che tremano. Mangiare fuori casa è impensabile perché le fitte di mal di stomaco sono laceranti. La mia casa è diventata l'unico luogo dove posso stare tranquilla e sentirmi protetta. Da un anno non vado al cinema o ad un concerto, non mangio una pizza con le amiche e non faccio shopping. Gli eventi mi hanno travolta e l'unica cosa che sono riuscita a fare è stata sopravvivere come un'automa. Un anno della mia vita buttato così. I miei genitori e i miei amici mi sono stati accanto e hanno provato a spronarmi ad andare avanti, ma senza riuscirci. Andare avanti significa lasciarsi Andrea alle spalle ed io non voglio, ma è stato proprio lui stanotte a dirmi che devo farlo. Serviva lui per ricordarmi che vivere è tutta un'altra cosa? Che non posso continuare a nascondermi nella mia camera e vedere la mia vita che mi scorre davanti senza fare nulla per viverla?

    Queste consapevolezze mi fanno male. Ho vissuto l'ultimo periodo chiusa in una bolla di sapone, isolata dal mondo esterno, dove ho convissuto solo col mio dolore e le mie paure. Ma oggi la bolla è scoppiata.

    Sono agitata, le mani cominciano a tremarmi, ma so che se non provo a rialzarmi adesso da questa situazione, potrei non riuscirci mai più. Guardo per l'ennesima volta le foto e mi soffermo su una in particolare. Andrea è in spiaggia con le braccia allargate di fronte al mare. Ricordo con chiarezza quella giornata e anche le parole che mi disse mentre eravamo seduti sulla sabbia. Il mare non è poi così speciale, Lu. È troppo vasto ed è troppo salato. E comunque lo guardi sarà sempre e solo mare, mentre tu ed io siamo liberi di scegliere cosa essere.

    Ho scelto io di rassegnarmi. Ho scelto io di stoppare la mia vita e di vivere isolata dal mondo. Devo scegliere io di ripartire. Sì, dipende tutto da me.

    Scendo di corsa le scale e mi precipito in cucina. Mia madre me lo aveva proposto qualche mese fa, ma io avevo scartato l'idea. Ora penso di averne bisogno, perché da sola non credo di farcela. Frugo dentro qualche cassetto fino a quando non trovo un bigliettino da visita.

    Psicologo Robert Menotti

    Compongo il numero e dopo un breve dialogo ottengo un appuntamento per la prossima settimana. Ho scelto di provarci. Grazie Andrea.

    2

    Il freddo invernale mi punge il viso. Ho il naso e le orecchie congelate, le guance arrossate e inoltre piove, ed io odio la pioggia. Mi mette tristezza e rende gli spostamenti complicati. Se sei in auto e sei per strada, ti ritrovi imbottigliato nel traffico, dato che le persone tendono a entrare nel panico quando guidano con la pioggia. Vanno avanti lenti e frenano di continuo, come se avessero paura di perdere il controllo della macchina da un momento all'altro, ma non è la pioggia a causare gli incidenti, bensì chi guida. Se invece sei un pedone, ti va anche peggio. Per quanto ti copri con gli impermeabili e l'ombrello, qualche schizzo di pioggia ti arriva sempre addosso, e se una macchina ti passa a fianco passando su una pozzanghera, ti ritrovi completamente inzuppato. Nel paesino in cui abito io, a pochi chilometri da Torino, i vicoli sono stretti e le strade piene di buche, perciò è facile uscire di casa asciutti e rientrare fradici.

    Sto per andare alla mia prima seduta dallo psicologo e sono preda dell'agitazione. So che dovrò ripercorrere tutto quello che mi è successo, ricordare i momenti felici ma soprattutto quelli dolorosi, e la crisi che mi è presa due giorni fa dal panettiere è un chiaro segno che non sono pronta a farlo.

    Avevo voglia di focaccia, così sono andata nella panetteria di Angelo, che è solo a cinquanta metri da casa mia. Davanti a me avevo quattro persone e un bambino di circa tre anni, che stava giocando con un soldatino mentre attendeva il suo turno con la mamma. Ho guardato quel bambino sereno e dall'aria spensierata, e solo per un secondo, ho pensato che sarebbe bello poter tornare così, piccola e senza preoccupazioni, invece di essere nel bel mezzo di una tempesta che non termina mai. Un pensiero di troppo che mi ha scatenato una fitta lancinante allo stomaco togliendomi il respiro. Angelo mi ha guardato e sicuramente stava per chiedermi se stavo bene, ma non gliene ho data l'occasione perché in un lampo sono uscita dal negozio. Ho corso dritta verso casa e mi sono chiusa in camera, dove sono rimasta a fissare il soffitto per il resto della giornata. È a causa di questi attacchi di panico che ho smesso di uscire da casa. All'inizio pensavo fossero solo episodi, ma poi sono diventati sempre più frequenti, e la paura che potessero prendermi in qualsiasi momento mi ha paralizzata. La mia paura ha prevalso su di me, mi ha messa in ginocchio e mi ha sovrastata. Spero che lo psicologo possa aiutarmi a sconfiggerla, anche se oggi la pioggia non aiuta il mio stato d'animo. Ma il Dr. Menotti mi aspetta, così infilo le cuffie e mi dirigo all'appuntamento.

    Lo studio dello psicologo somiglia a quelli che si vedono nei film. Un ampio salotto con una poltrona e un divanetto. Nella parete di fianco al divano c'è una finestra che dà sul retro del palazzo e mostra un'ampia fetta di cielo grigio. Un largo tappeto rettangolare sul pavimento, una scrivania con delle scartoffie sopra e una libreria colma di volumi completano l'arredamento. Lo psicologo è seduto sulla poltrona di fronte a me, con un taccuino in mano e mi osserva sorridente. È un bell'uomo di circa quarant'anni, con i capelli brizzolati e gli occhi scuri.

    «Dunque Luce, vuoi spiegarmi perché sei qui?» Rifletto qualche secondo prima di rispondere. Da dove comincio?

    «Sono qui perché spero che lei possa aiutarmi.» dico semplicemente. «Ti serve il mio aiuto per cosa?» mi domanda lui. Penso al sogno e alle parole di Andrea. «È da un anno che ho smesso di vivere e non esco più di casa. Soffro di attacchi di panico e la mia vita è pervasa da mille paure.» dico di getto. Ho le mani sudate e sono davvero nervosa. Guardo fuori dalla finestra, e mi accorgo che non piove più. Mi sento anormale rispetto al resto del mondo. Gli eventi negativi fanno parte della vita, giusto? E allora perché io sono l'unica a non riuscire ad accettarlo? Lo psicologo si accorge del mio stato d'ansia e quando torna a parlare ha un tono molto gentile.

    «Tranquilla, Luce. Io non ti giudico, anzi, sono qui per cercare di aiutarti.» mi spiega. «Ora, ti va di raccontarmi cosa ti è successo nell'ultimo anno?»

    «Da dove parto?» domando.

    «Parti dal principio.» mi suggerisce lui. Io so che è Andrea il motivo per cui sono qui oggi, ma se devo raccontare quello che è accaduto, sono obbligata a partire da più lontano. Così accetto il suo consiglio e comincio a parlare di un altro ragazzo.

    3

    Diciotto mesi prima

    Anna e Cecilia, le mie amiche, sono davvero due ragazze piene di sorprese. Un'ora fa ero a casa, intenta a studiare per l'interrogazione di inglese, quando sono piombate in camera mia e mi hanno rapita, letteralmente. Mi hanno fatta lavare e vestire e senza ascoltare ragioni mi hanno caricata in macchina per portarmi da Luca.

    «Questa è una pazzia. Se Luca volesse parlarmi potrebbe chiamare.» dico chiaramente irritata, seduta al posto del passeggero.

    Non mi piace questa situazione, e il mio sesto senso mi sta inviando dei chiari segnali da giorni ormai.

    «Tranquilla Lucciola, vedrai che Luca sarà contento di vederti e potrete chiarire.» mi dice Anna, mentre si ferma a uno stop. Io ho i miei dubbi, ma non li espongo ad alta voce. Cecilia annuisce dal sedile posteriore, senza mai staccare gli occhi dal suo smartphone. «Ma sì, Lucy, al massimo entro stasera torni single.» Anna scoppia a ridere e io alzo gli occhi al cielo.

    «Tu sì che sai come incoraggiarmi, Ceci.» rispondo in preda all'esasperazione.

    Le mie due migliori amiche sono totalmente l'opposto di me, ma entrambe

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