Abisso
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Anteprima del libro
Abisso - Alessandra Cigalino
Prefazione dell’editore
‘L’abisso’, questo il tema che mi sono divertita a proporre per la seconda edizione di IncPi.
Ma cos’è l’abisso?
Secondo il vocabolario il significato più comune della parola è ‘grande e smisurata profondità’, e come tale lo vede Paolo Spaziosi (Il primo volo), che per il secondo anno consecutivo dà prova delle sue capacità con questo concorso. Spesso, però, ‘abisso’ sottintende le profondità marine, ed è così che Federico Jahier (Verso l’abisso e oltre) e Paola Alesso (La speranza sul fondo del mare) ci portano dove bisognerebbe mettere molti e molti campanili l'uno sopra l'altro per arrivare dal fondo sino alla superficie dell'acqua. E laggiù, nel fondo, vive la gente del mare¹.
Dà invece un significato più letterario al termine Mattia Insolia, giovane autore del racconto primo classificato (Obyque, città sopra l’Abisso), il cui ‘abisso’ fisico penetra nelle viscere della terra, risvegliando entità ancestrali.
In ultimo l’abisso di Alessandra Cigalino (FATA) e Alessandro Stringa (Caduta Infinita), che ammicca al concetto di vastità e che, in entrambi i casi, si trova a valicare i confini della nostra Terra.
Ringrazio infine l’amica e autrice Sonia Barelli, fuori concorso. Sonia ha voluto regalare a questa antologia il racconto sognante Il custode del drago
, che ne diventa la degna chiusura.
Giordana Gradara
Note
[←1]La sirenetta, Hans Christian Andersen, traduzione di Maria Pezzé-Pascolato, Ulrico Hoepli, 1941.
I classificato
Obyque, città sopra l'Abisso
Di Mattia Insolia
Il corridoio è vuoto, lame di luce dorata filtrano dalle fessure delle porte.
Infilo la camicia nei jeans senza fermarmi, sono in ritardo e non c'è tempo per l'abbigliamento.
'Giorno, Will
, mi saluta qualcuno.
Rispondo distrattamente, intento a scartare un muffin, e continuo lungo il corridoio. Sono ancora al Blocco Tre, uno di quelli che ospitano gli alloggi, e per arrivare alla Base Operativa impiegherò cinque minuti.
Scendo tre rampe di scale, supero una donna tarchiata, altri gradini e sono fuori. L'aria è frizzante, il sole tiepido, non c'è una nuvola in cielo, l'unico rumore è quello degli irrigatori del quartiere che abbeverano i prati.
Caccio in tasca la carta del muffin, mi rigiro il dolcetto tra le dita e gli do un morso: è squisito. L'ha cucinato Regina, la vicina; è un cesso con le gambe, ma ai fornelli è divina.
Cammino per un viale, costeggiato da palazzi alti tre piani, le finestre che puntellano le facciate colorate sono aperte per far entrare l'aria mattutina, qualcuno si sporge con una tazza di latte fra le mani. Il postino, polo e short blu, consegna i giornali a bordo di una bici, alcuni si concedono la colazione in veranda, altri si dirigono impettiti verso l'edificio alla fine del viale; la mia meta.
È una costruzione monumentale, simile ai castelli medievali a eccezione del colore e delle torri: la parte centrale è giallo paglierino, le torri coronate fluttuano a qualche metro da tutto.
Quando arrivo al Blocco Uno ho appena finito il muffin, mi spazzolo la camicia facendo piovere briciole e varco rapido la porta a vetri che conduce alla Sala Ricevimento. Gli ascensori sono in fondo alla stanza, un manipolo di segretarie scribacchia al di là del bancone a sinistra; oche giulive, brutte come la fame. La cabina impiega un paio di secondi per raggiungere il quarantesimo piano, l'ultimo, poi in qualche passo sono alla Sala Operativa. È circolare: la parte anteriore una lunga vetrata a cui sono addossate scrivanie ricoperte di fogli di carta e fascicoli, quella posteriore una bacheca consunta a cui è appiccicata una cartina. Un gigantesco foglio candido su cui è riportata la piantina di un labirinto contorto, è l'Abisso: una ragnatela di cunicoli che si diramano nel sottosuolo da una circonferenza vuota, proprio sotto la Base Operativa, fino ai confini della città.
Sono a Obyque, città sopra l'Abisso, da due anni, in compagnia di cinquanta estranei che ho imparato a conoscere come i miei soli simili.
Appena messo piede in città, in coda al gruppo, sono stato accolto da un vaccino doloroso, un prelievo di sangue inutile e l'iniezione di un localizzatore sospetto, poi sono stato scortato a uno stanzone bianco pieno di sedie blu, di quelle che si trovano nelle sale d'attesa dei dentisti. Non c'è voluto molto perché io e i presenti prendessimo posto e subito un uomo alto e magro ha preso la parola:
Salve, sono il Dottor Fisher, direttore del Progetto Abisso
, ha detto sfoderando un gran sorriso. Come vi è già stato spiegato, il nostro non è un progetto governativo. Facciamo rapporto a un uomo di cui non conoscerete il nome, che ha passato trent'anni a studiare ciò di cui vi occuperete per i prossimi cinque. Se deciderete di far parte del Progetto non potrete uscire dalle mura di Obyque o avere contatti con l'esterno. Una volta finito il lavoro potrete tornare alle vostre città e verrete ricompensati con la somma adeguata alle mansioni a cui verrete assegnati. Tale somma è specificata nel contratto, che troverete nei vostri alloggi. Come suppongo immaginiate, non potrete raccontare a nessuno del Progetto. Nessuna eccezione. Il Progetto Abisso, la città di Obyque e molte delle persone che vivono qui, ufficialmente non esistono
.
Conclusa la riunione siamo stati smistati negli alloggi, a ognuno la sua stanza. Il contratto era sulla cassettiera, il compenso per i cinque anni di lavoro dove aveva detto Fisher. Non ci ho pensato due volte, ho firmato appena ho posato gli occhi sull'ultimo zero.
Per lavorare a Obyque ho abbandonato un padre col vizio del gioco e un conto in negativo che metteva addosso solo tristezza; sparire dalla vecchia vita voleva dire sparire da ogni problema, compresi un paio di strozzini cui dovevo qualche testone.
So