Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

L’ultimo sorriso di Sunder City
L’ultimo sorriso di Sunder City
L’ultimo sorriso di Sunder City
E-book335 pagine4 ore

L’ultimo sorriso di Sunder City

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Nella guerra tra umani e creature magiche, Fetch Phillips ha combattuto dalla parte sbagliata, e con le sue azioni ha contribuito a prosciugare il mondo da ogni incanto. Ora lavora per le strade di Sunder City, accettando lavori occasionali ma cercando di soccorrere le vite che ha rovinato.
In questo primo caso, il suo incarico è di trovare un insegnante scomparso. Il professor Rye è un vampiro di quattrocento anni con un cuore d’oro in un corpo che è diventato un guscio ormai vuoto. In un mondo senza magia, la maggior parte dei vampiri si è già polverizzata, ma a Fetch sta bene sporcarsi le mani per trovare qualche dente appuntito se quello gli procura i soldi per bere. Quando però scompare una giovane sirena, Fetch scopre che il loro mondo cupo nasconde ancora dei mostri, e lui farebbe bene a mettere la testa a posto prima che ritornino alla luce.
LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2020
ISBN9788831399050
L’ultimo sorriso di Sunder City

Correlato a L’ultimo sorriso di Sunder City

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su L’ultimo sorriso di Sunder City

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    L’ultimo sorriso di Sunder City - Luke Arnold

    1

    «F a’ del bene,» aveva detto.

    Be’, ci avevo provato, giusto? Ogni caso della mia carriera era stato fastidioso e, in fin dei conti, privo di scopo. Come quello della signora Habbot, che mi aveva ingaggiato per trovare il suo cane smarrito. Due settimane di lavoro, tre ossa rotte, e la vecchia bisbetica era morta prima che potessi riscuotere il compenso, lasciandomi con un barboncino cieco e incontinente che avevo accudito per due mesi. Un tempo sufficiente per innamorarmi di quel maledetto cagnaccio prima che tirasse anche lui le cuoia.

    Riposa in pace, Pompo.

    Poi mi era toccato fare, per poco, la guardia del corpo di Aaron King. Paga ottima, nemmeno un’ammaccatura, ma ascoltare per quattro giorni e mezzo quel ricco damerino che si lamentava della sua eredità era stata un’agonia. Mi sto ancora strappando i suoi piagnucolii dalle orecchie con le pinzette.

    Dopo una sfilza di incarichi altrettanto inutili, me ne stavo nel mio ufficio, mezzo addormentato, per tre quarti ubriaco, e interamente sprovvisto di caffè. Basta, ero proprio arrivato al limite. Senza caffè. Una ragione sufficiente per mettere fine una volta per tutte alla partita. Mi alzai dalla scrivania e aprii la porta.

    Non la prima porta. La prima accompagna fuori dall’ufficio ed è quella con la finestrella di vetro su cui è attaccato Fetch Phillips: Uomo al soldo e che, attraverso la sala d’attesa, conduce al corridoio.

    No. Aprii la seconda. Quella che non conduce a nulla se non a uno spazio d’aria cinque piani sopra Main Street. La porta che era stata usata dal precedente proprietario ma la cui soglia io non avevo mai oltrepassato. Almeno, non fino a quel momento.

    Il vento autunnale mi schiaffeggiava le guance mentre lasciavo penzolare i piedi oltre il bordo e guardavo giù, verso Sunder City. Erano passati sei anni da quando era crollato tutto. Sei anni di barcollamenti, nella speranza di inciampare nell’occasione per rimediare a tutti quegli stupidi errori.

    Perché mai avrà pensato che potessi fare la differenza?

    Driiin.

    Il telefono a candela fece scuotere le sue campanelle come un mendicante che chiede monetine. Lo guardai, chiedendomi se mi avrebbe dato più grattacapi rispondere o mangiarlo.

    Driiin.

    Driiin.

    «Pronto?»

    «Parlo con il signor Phillips?»

    «Sì.»

    «Sono Simon Burbage, preside della Ridgerock Academy. Riuscirebbe a passare di qui nel pomeriggio? Credo di aver bisogno della sua assistenza.»

    Conoscevo l’indirizzo, ma lui me lo dettò comunque. Ci saremmo incontrati dopo la scuola, una volta che i ragazzi fossero tornati a casa, ma voleva che arrivassi un po’ in anticipo.

    «Se possibile, venga per le due e mezza. Ci sarà una presentazione che ritengo sarà di suo interesse.»

    Accettai di arrivare prima e la linea cadde.

    Il vento mi schiaffeggiò di nuovo. Stavolta lasciai che l’aria fredda mi entrasse nei polmoni e le permisi di allontanare la notte. Schiusi a fatica le palpebre. Il sangue cominciò a sciogliersi. Mi strofinai sul viso una mano, ruvida e secca come un pezzo di carne salata.

    Un cliente. Un caso. Un caso che forse avrebbe avuto davvero un senso.

    Presi il portafoglio, l’accendino, il tirapugni e il coltello, poi chiusi con un calcio la seconda porta.


    Dopo una settimana di pioggia apparve tra le nuvole uno squarcio, e le strade, per una volta, sembravano pulite. Speravo si potesse dire lo stesso di me. Era la prima offerta di lavoro dopo oltre due settimane e avevo bisogno che la trattativa andasse a buon fine. Indossavo un vestito grigio rattoppato con camicia bianca e cravatta nera, i miei stivali migliori e il giaccone blu marino foderato di pelliccia che era praticamente una parte di me.

    La Ridgerock Academy era costituita da tre blocchi di cemento a un solo piano ed era protetta da una recinzione di filo spinato. L’edificio più grande era decorato da un murale fin troppo vivace di visi sorridenti, raggi di sole e stelle.

    All’ingresso c’era una guardia di sicurezza con una caraffa di caffè e un sorriso tiratissimo. Roteava gli occhi con facilità e non temeva di mostrare quanto amasse esercitare un po’ di potere. Quando mi chiese il nome, glielo fornii.

    «Fetch Phillips. Ho un appuntamento con il preside.»

    Scambiai il mio documento con il suo sbuffo scocciato.

    «Sala delle assemblee. Segua il sentiero, sono le porte rosse sulla sinistra.»

    Non era la mia scuola e non ci ero mai stato, ma l’atmosfera era intrisa di una mano pesante di nostalgia: l’aroma indimenticabile di macchie d’erba, maniche col muco, paura, confusione e sandwich al burro di arachidi vecchi di una settimana.

    Le porte rosse mostravano qua e là dei graffiti involontari di qualche manina indisciplinata. Le aprii, attesi un istante per abituarmi all’oscurità ed entrai il più silenziosamente possibile.

    L’enorme palestra fungeva anche da auditorium. Da un lato erano impilate con ordine le sedie, dall’altra era sparsa l’attrezzatura sportiva. Nel mezzo, la calda luce di un proiettore tagliava il buio e illuminava un liscio schermo bianco. Al di sopra di un centinaio di bambini che parlottavano a voce bassa, seduti sul pavimento, galleggiavano particelle di polvere. Andai verso il retro della sala, mi appoggiai al muro e attesi quel che doveva succedere.

    Una ragazzina strillò, dei ragazzi risero. Poi un uomo dall’aspetto dimesso, con capelli bianchi e grandi occhiali, entrò nel cono di luce.

    «Non fate chiasso, per favore. Sta per cominciare la presentazione.»

    Riconobbi la voce che aveva fatto la chiamata.

    «Sì, signor Burbage,» cantilenarono i bambini all’unisono. Il preside si avvicinò al proiettore e la luce fece risaltare le linee dure del suo viso. Tra gli scolari passò un brivido di eccitazione mentre toglieva dalla scatola una pellicola e la caricava sul rocchetto. Gli altoparlanti crepitarono e ne uscì una voce solenne.

    «L’Opus è lieta di presentare…»

    Mi si mozzò il respiro. L’Opus era il mio vecchio datore di lavoro, e non ci eravamo lasciati in termini molto amichevoli. Se era quello che Burbage voleva che vedessi, doveva conoscere un po’ la mia storia. Non mi piaceva per niente.

    «… Io e il mio corpo: crescere dopo la Coda.»

    Per l’agitazione cominciai a tirare un filo allentato della manica. La voce fuori campo diventò quella di un annunciatore che parlava con quel tono falso e cordiale che associavo ai venditori, ai truffatori e ai poliziotti corrotti.

    «Salve a tutti! Oggi parleremo del vostro corpo. Non dovete sentirvi a disagio, mi raccomando; il vostro corpo è veramente speciale ed è importante che sappiate il perché.»

    Un ragazzino gemette, sperando di suscitare una risata ma senza ottenerla. Non ero l’unico che si sentiva nervoso.

    «Ogni corpo è diverso, e va bene così. Esseri diversi vuol dire essere speciali, e ognuno di noi è unico e speciale così come è.»

    Sullo schermo apparvero due cartoni animati: un maschietto e una femminuccia. Salutarono i ragazzini del pubblico come se fossero vecchi amici.

    «Magari il vostro corpo ha qualcosa che i vostri amici non hanno. O forse sono loro ad avere qualcosa che voi non avete. Queste differenze potrebbero confondervi se non sapete da dove vengono.»

    I piccoli personaggi si muovevano seguendo la voce e scrollarono le spalle mentre, sopra le loro teste, apparivano dei punti di domanda. Cominciarono a trasformarsi.

    «Forse avete un amico con i denti aguzzi.»

    La bambina aprì la bocca per rivelare delle zanne affilate.

    «Forse avete dei moncherini in cima alla schiena.»

    Il bambino si girò mostrando due bozzi che emergevano dalle scapole.

    «Magari siete ricoperti di una bella pelliccia scura o avete più occhi dei vostri compagni di classe. La vostra pelle è trasparente? Avete gambe lunghissime? O persino una coda? Qualsiasi cosa siate, chiunque siate, siete speciali. E siete così per una ragione.»

    L’immagine cambiò e diventò un paesaggio: montagne, fiumi e pianure disegnati nello stile innocente di un libro di illustrazioni. Nonostante il filmato si sforzasse di nasconderlo, sapevo benissimo che la storia non avrebbe avuto un lieto fine.

    «Dall’origine dei tempi, il mondo si è alimentato da una fonte naturale di energia che chiamiamo magia. Quasi tutte le creature che camminavano sulla terra la possedevano. I Maghi la usavano per lanciare incantesimi. I Draghi e i Grifoni volavano in cielo. Gli Elfi conservavano bellezza e gioventù per secoli. Ogni creatura era in armonia con lo spirito del mondo, e questo la rendeva diversa. Speciale. Magica.

    «Ma sei anni fa, prima ancora che alcuni di voi nascessero, ci fu un incidente.»

    Il filo si staccò dalla manica quando lo tirai troppo forte. Me lo avvolsi stretto attorno al dito.

    «Esisteva una specie che non era collegata alla magia del pianeta: gli Umani. Erano invidiosi del potere che li circondava, perciò cercarono di cambiare il corso delle cose.»

    Nella parte sinistra del petto sentii una familiare staffilata di dolore, così infilai una mano nella tasca del giaccone per cercare la mia medicina, un pacchetto di Clayfield Heavies. Le Clayfield sono la versione prodotta su larga scala di un antidolorifico che la gente da queste parti usa da secoli. In pratica, sono fogli della corteccia di recus, tagliati fino a diventare stuzzicadenti. Me ne infilai un rametto tra i denti e lo morsi mentre il filmato continuava.

    «Per porre rimedio alla loro naturale inferiorità, gli Umani costruirono delle macchine. Inventarono una grande varietà di armi, attrezzi e strani dispositivi, ma non gli bastò. Sapevano che le macchine non sarebbero mai state potenti quanto le creature magiche che li circondavano.

    «Poi, gli Umani sentirono una leggenda che raccontava di una montagna sacra dove il fiume magico che scorreva nel pianeta risaliva in superficie, di un ingresso che conduceva dritto al cuore del mondo. Questo mito antico suggerì agli Umani un’idea.»

    L’immagine si tramutò in un esercito di soldati rabbiosi che brandivano spade e torce e spingevano una trivella gigante.

    «Nel tentativo di catturare la magia naturale del pianeta per riservarla a loro stessi, l’Esercito Umano invase la montagna e ne sconfisse i protettori. Quindi, nella speranza di piegare il potere del fiume ai propri desideri, infilarono le loro macchine nell’anima del nostro mondo.»

    Guardai quel semplice cartone animato descrivere gli eventi che sarebbero stati conosciuti come la Coda.

    I bambini assistevano in silenzio mentre l’esercito concentrava le proprie forze sulla montagna. Sullo schermo sembrava semplice come far scivolare un pezzo degli scacchi sulla scacchiera. Loro non sentivano le urla, l’odore degli incendi. Non vedevano lo spargimento di sangue, i corpi.

    Non vedevano me.

    «L’Esercito Umano mandò le sue macchine all’interno della montagna, ma quando gli Umani tentarono di imbrigliare il potere del fiume, accadde qualcosa di molto più terribile. Il luccicante fiume di magia si trasformò da una pioggerellina nebulizzata a solido cristallo. Si ghiacciò. Il cuore del mondo smise di battere e ogni creatura vivente ne percepì il mutamento.»

    Sentivo la bile in bocca.

    «Dal cielo precipitarono i Draghi. Gli Elfi invecchiarono di secoli in pochi secondi. I corpi dei Mutalupi diventarono instabili e li lasciarono deformi. La magia fu prosciugata dalle creature viventi. Da tutti noi. E così viviamo da allora.»

    Nell’oscurità, vidi le teste che si giravano. Quei piccoli corpi si esaminavano, poi si voltavano a studiare i vicini. Ora, anche il loro mondo era avvolto dalla tristezza con cui il resto di noi conviveva da sei anni.

    «Forse portate ancora addosso la vostra antica grandezza. Ali, zanne, artigli e code sono i regali del grande fiume. Proclamano la vostra discendenza e non bisogna vergognarsene.»

    Morsi la Clayfield troppo forte, spezzandola in due. Da qualche parte, nella sala, un bambino piangeva.

    «Ricordatevi, forse non siete magici, ma siete ancora… speciali.»

    La pellicola si sfilò dal proiettore e si avvolse sulla bobina, emettendo una dozzina di clic impazziti prima di fermarsi. Burbage accese le luci ma i bambini restarono in silenzio, come impietriti.

    «Vi ringrazio per la vostra attenzione. Se avete domande riguardo al vostro corpo, alla vostra specie o alla vita prima della Coda, i vostri genitori e insegnanti saranno felici di parlarne con voi.»

    Mentre Burbage concludeva la presentazione, cercai di fare del mio meglio per confondermi con il muro alle mie spalle. Asciugai con un vecchio fazzoletto il sudore che mi imperlava la fronte. Quando alzai lo sguardo, mi trovai soggetto allo scrutinio di un paio di occhi.

    Erano di un verde fosco con minuscole pupille a punta di spillo: elfici. Giovani. Ma il volto era vecchio. La pelle degli Elfi non aveva elasticità, non più ormai. Le borse sotto gli occhi suggerivano decine di anni senza un sonno ristoratore, ma il bambino non poteva averne più di cinque. Aveva i capelli bianchi e senza vita e il suo piccolo scheletro era storto. Non mostrava alcuna espressione, ma sembrava scrutare nella mia anima.

    E avrei potuto giurare…

    Sapeva.

    2

    Attesi nella stanzetta fuori dall’ufficio del preside su una panca talmente piccola che mi arrivavano le ginocchia ai capezzoli. Burbage era all’interno, dietro una porta a vetri, e parlava al telefono. Non riuscivo a distinguere le parole, ma sembrava sulla difensiva. Se dovevo tirare a indovinare, qualcuno, probabilmente un altro membro dello staff, non era contento della presentazione. Perlomeno non ero l’unico.

    «Sì, sì, signora Stanton, deve essere stato scioccante per lui. Concordo che è un ragazzo molto sensibile. Forse condividere quell’esperienza di comprensione con i suoi compagni è proprio ciò di cui ha bisogno per farli avvicinare… sì, un sentimento di connessione, esattamente.»

    Mi arrotolai la manica sinistra e strofinai la pelle attorno al polso. Sull’avambraccio avevo tatuati quattro anelli, come braccialetti piatti, che si estendevano dalla base della mano fino al gomito: una banda nera, un disegno intricato, un marchio militare e un codice a barre.

    A volte mi sembrava che bruciassero. Il che era impossibile. Erano stati disegnati anni prima, quindi il dolore dell’incisione era svanito da tempo. Era la vergogna di ciò che rappresentavano che tornava ad assalirmi.

    La porta dell’ufficio si spalancò. Abbassai il braccio per lasciare che la manica scendesse, ma non fui abbastanza rapido. Burbage era riuscito a dare una lunga occhiata all’inchiostro e stava sulla soglia con un sorrisetto scaltro.

    «Signor Phillips, si accomodi, prego.»

    L’ufficio del preside era relegato nell’angolo posteriore dell’edificio, quello che non riceveva la luce del pomeriggio. Di fianco alla scrivania c’erano una libreria ben rifornita e un mappamondo impolverato. Il ripiano era ingombro di documenti, fazzolettini usati e libri di testo con pagine piegate da orecchie. Una lampada verde in un angolo illuminava la stanza come se ci stesse facendo un favore.

    Burbage era trascurato al punto che lo notavo persino io. Indossava pantaloni marroni e una camicia blu polvere spiegazzata. Non portava la cravatta. I capelli spettinati e lunghi fino alle spalle cominciavano a metà della parte posteriore della testa rotonda. Si sedette su una poltrona di pelle a un lato della scrivania. Mi accomodai su quella opposta e feci del mio meglio per stare seduto dritto.

    Cominciò pulendosi gli occhiali. Li levò e li appoggiò sul ripiano, poi sfilò un immacolato panno bianco dalla tasca della camicia. Riprese gli occhiali, li guardò in controluce e ne massaggiò le lenti con la punta delle dita. Fu mentre strofinava che notai le sue mani. Era previsto che le notassi. Era a quello che serviva lo spettacolino.

    Quando fu soddisfatto che avessi osservato la sua piccola performance, se li rimise sul naso, appoggiò entrambi i palmi sulla scrivania e tamburellò le dita sul legno. Quattro su ogni mano. Niente pollici.

    «Conosce il ditarum?» chiese.

    «Sono qui per assistere a una lezione?»

    «Mi sto solo assicurando che non ne abbia bisogno. Mi è stato detto che ha vissuto molte vite, signor Phillips. Ha fatto molta esperienza per essere così giovane, a quanto sembra. Vorrei assicurarmi che la sua reputazione sia meritata.»

    Non mi piace essere costretto a fare numeri da circo, ma avevo un disperato bisogno del denaro che scorgevo oltre gli anelli di fuoco.

    «Ditarum: tecnica utilizzata dai Maghi per controllare la magia.»

    «Esatto.» Alzò la mano destra. «Usando quattro dita per creare schemi specifici e intricati, potevamo aprire minuscoli portali dai quali emergeva la pura magia. I maestri di ditarum, e tenga presente che ce n’erano ben pochi, venivano incoronati Lumrama. Lo sapeva?»

    Scossi la testa.

    «No.» Burbage si appese un sorriso sconcertante da un orecchio all’altro. «Mi aspettavo di no, infatti. I Lumrama sono Maghi che hanno raggiunto un tale livello di abilità che potevano usare la stregoneria per qualsiasi necessità. Dal condurre attacchi sui campi di battaglia a eseguire i compiti più triviali della vita di tutti i giorni. Con sole quattro dita potevano fare qualsiasi cosa fosse richiesta. E per provare questo…»

    SBAM! Sbatté la mano sulla scrivania. Voleva che trasalissi. Lo delusi.

    «Per provare questo,» ripeté, «i Lumrama si mozzavano i pollici. I pollici sono strumenti primitivi e volgari. Rimuovendoli si dava prova che ci eravamo elevati da un livello basico di esistenza e ci eravamo separati dai nostri cugini mortali.»

    Il vecchio mi puntò contro le mani mutilate e ondeggiò le dita, ridacchiando come se avesse fatto una gran battuta.

    «Be’, chi si aspettava una sorpresa del genere?»

    Burbage si appoggiò allo schienale e mi studiò. Speravo che arrivasse finalmente al dunque.

    «Allora, lei è un Uomo al soldo

    «Giusto.»

    «Come mai non si definisce investigatore?»

    «Temevo che mi facesse sembrare intelligente.»

    Il preside arricciò il naso. Non capiva se stessi cercando di fare il simpatico, e ancora meno se ci fossi riuscito.

    «Che relazione ha con il dipartimento di polizia?»

    «Qualche interazione, ma le più superficiali possibili. Quando bussano alla porta dell’ufficio, gli devo aprire, ma proteggere la riservatezza dei miei clienti viene al primo posto. Ci sono limiti che non posso travalicare, ma cerco di spingerli più in là che mi è concesso.»

    «Bene, bene,» borbottò. «Non che si debba preoccupare che si tratti di qualcosa di illegale, ma ho una questione delicata da gestire e il dipartimento di polizia è un secchio bucato.»

    «Non intendo contraddirla.»

    Sorrise. Gli piaceva sorridere.

    «Un membro del nostro staff è scomparso. Il professor Rye. Insegna Storia e Letteratura.»

    Burbage fece scivolare un fascicolo sul ripiano. All’interno c’era un profilo di tre pagine su Edmund Albert Rye: impiegato a tempo pieno, un metro e novantacinque, trecento anni di età…

    «Permettete a un Vampiro di insegnare ai bambini?»

    «Signor Phillips, non so quanto sappia della Razza del Sangue, ma hanno fatto molta strada dagli orrori della storia antica. Più di duecento anni fa, formarono l’Alleanza dei Vampiri, un’associazione dei non-morti che faceva voto di proteggere, e non cacciare, gli esseri più deboli di questo mondo. Potevano nutrirsi solo da coloro che donavano il sangue volontariamente o dai condannati a morte dalla legge. A parte l’occasionale rinnegato, credo che la Razza del Sangue sia la specie più nobile che sia mai scaturita dal grande fiume.»

    «Chiedo scusa per la mia ignoranza. Non ne ho mai incontrato uno. Come se la cavano dopo la Coda?»

    La mia ingenuità lo compiaceva. Era un uomo che godeva nell’impartire conoscenza agli ignoranti.

    «La popolazione vampirica ha sofferto tanto quanto ogni altra creatura del pianeta, se non di più. La connessione magica a cui accedevano attraverso il nutrimento del sangue altrui è stata recisa. Non ne ricavano più la magica energia vitale che assicurava la loro sopravvivenza. In breve, stanno morendo. Lentamente e dolorosamente. Appassiscono e si riducono in polvere come cadaveri al sole.»

    Dal fascicolo sfilai una foto. Gli unici segni di vita sul volto di Edmund Rye erano gli occhi dall’intensa concentrazione che sembravano combattere per emergere dalle orbite profonde. Era poco più di un fantasma: narici cavernose, capelli come cotone vecchio e pelle che si scagliava.

    «Quando è stata fatta?»

    «Due anni fa. È peggiorato.»

    «Era nell’Alleanza?»

    «Certo. Edmund ne fu un cruciale membro fondatore.»

    «Sono ancora attivi?»

    «Sì, tecnicamente. Nel suo stato indebolito, l’Alleanza non riesce più a portare avanti il giuramento di protezione. Esiste ancora, ma solo nominalmente.»

    «Quando ha deciso di diventare un insegnante?»

    «Tre anni fa annunciai che stavo fondando Ridgerock. Sulla stampa la notizia causò una certa agitazione. Prima della Coda, una scuola con alunni di specie diverse non sarebbe stata praticabile. Immagini cercare di costringere i Nani ad assistere a una lezione di pozioni o mettere gli Gnomi e gli Orchi sullo stesso campo sportivo. Sarebbe stato impossibile per ciascun bambino ricevere l’istruzione appropriata. Ora, grazie alla vostra specie, siamo stati tutti riportati a un livello uniforme.»

    Aveva gettato un’esca pericolosa. Decisi di non abboccare.

    «Edmund venne da me la settimana seguente. Sapeva che non avrebbe avuto ancora molti anni da vivere e in questa scuola avrebbe potuto trasmettere la saggezza che aveva acquisito nel corso della sua lunga e impressionante vita. Ha servito con lealtà dal giorno in cui abbiamo aperto ed è un membro amato del nostro staff.»

    «Allora, dov’è?»

    Burbage si strinse nelle spalle. «Non si presenta alle lezioni da una settimana. Abbiamo detto agli studenti che è assente per motivi personali. Vive sopra la biblioteca cittadina. Ho scritto l’indirizzo sul rapporto e la bibliotecaria sa che lei sta arrivando.»

    «Non ho ancora accettato l’incarico.»

    «Lo farà. È per questo che le ho chiesto di venire in anticipo. Ero curioso di vedere che tipo di uomo aveva intrapreso una carriera come la sua. E ora lo so.»

    «E che tipo di uomo è?»

    «Un uomo colpevole.»

    Mi scrutò con quegli occhi stretti e sapienti. Infilai di nuovo la foto nel fascicolo.

    «È già passata una settimana. Perché non è andato alla polizia?»

    Burbage mi passò una busta. Intravidi le banconote in foglia di bronzo che vi erano contenute.

    «La prego. Trovi il mio amico.»

    Mi alzai, presi la busta e contai la somma. Era onesta. Era un terzo del compenso che stava offrendo.

    «Saranno sufficienti fino alla fine della settimana. Se non avrò trovato nulla per allora, discuteremo se estendere il contratto.»

    Misi in tasca il denaro, arrotolai il fascicolo, lo infilai nel giaccone e mi diressi all’uscita. Mi fermai sulla soglia.

    «Il filmato non faceva differenza tra l’Esercito Umano e il resto dell’umanità. Non è un po’ irresponsabile? Potrebbe essere pericoloso per gli studenti umani.»

    Nella luce tenue, lo vidi indossare quel sorriso di condiscendenza che conoscevo ormai bene.

    «Mio caro amico,» disse allegro, «non ci sogneremmo mai di avere qui un bambino umano.»


    Fuori, l’aria raffreddò il sudore attorno al colletto. La guardia di sicurezza mi lasciò andare senza una parola e io non cercai di cavargliela. Girai a destra sulla Quattordicesima, senza molta speranza di trovare qualcosa. Il professor Edmund Albert Rye: un uomo la cui aspettativa di vita era già scaduta di diversi secoli. Dubitavo di riuscire a riportare indietro qualcosa di più di una triste storia.

    Non mi sbagliavo. Ma a quella storia erano attaccate cose che sapevano come mordere.

    3

    Sunderia era un territorio inospitale senza popoli indigeni. Nel 4390, una banda di cacciatori di Draghi seguì un balenio di fiamme all’orizzonte, pensando di avvicinarsi a una preda. Scoprirono invece una fossa di fuoco sotterraneo instabile. Invece di rammaricarsi per l’errore, decisero di trovare un modo per usare quelle fiamme.

    Sunder City cominciò la sua vita come una gigantesca fabbrica di proprietà dei suoi fondatori. Per i primi vent’anni, gli unici abitanti furono gli operai che passavano la giornata a fondere ferro, cuocere mattoni e scavare fondamenta. Man mano che la città guadagnava stabilità, coloro che vedevano giungere al termine il loro contratto di impiego divennero più restii ad andarsene, quindi furono costruite case e negozi. Alla fine, Sunder ebbe bisogno di una guida diversa da quella della fabbrica, perciò elesse il suo primo governatore: un muratore di nome Ranamak.

    Ranamak era un Nano che era arrivato a Sunder per dare consigli sulla costruzione di edifici e non si era mai deciso ad andarsene. Aveva tutte le abilità che venivano tenute in considerazione dai sunderiti: la forza fisica, l’esperienza e l’affabilità. Era un uomo semplice, con un’ampia conoscenza degli scavi nelle miniere, quindi gli abitanti concordarono che fosse il leader perfetto.

    Dopo vent’anni, la maggior parte di Sunder City era ancora soddisfatta dei servizi di Ranamak. Gli affari prosperavano. Le vie commerciali erano trafficate e tutti si stavano riempiendo le tasche. Fu il governatore stesso a ritenere di non essere più all’altezza del compito.

    Ranamak aveva viaggiato per il mondo e sapeva che Sunder correva il rischio di diventare ossessionata dalla produzione e dal profitto, disinteressandosi di altre aree fondamentali dell’esistenza. Temeva che la cultura fosse trascurata e voleva trovare il modo di dare un’anima alla città. Nelle sue ricerche, incontrò qualcuno che viveva completamente al di fuori dei dettami della produttività.

    Sir William Kingsley era un personaggio controverso a quel tempo; figlio in disgrazia

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1