La violenza nelle serie televisive
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L’opera prende ampio spunto dal “National Television Violence Study,” realizzato negli Stati Uniti tra il 1994 ed il 1997.
Conscio dell’enorme preoccupazione del pubblico circa gli effetti nocivi della televisione sulla società, nel 1993, il senatore dell’Illinois Paul Simon, sfidò l’industria televisiva a finanziare uno studio indipendente che avvalorasse o smentisse l’esistenza di questa connessione. L’anno dopo la sfida fu accettata e lo studio venne commissionato ad un prestigioso gruppo di ricercatori scelti tra tre diverse e autorevoli università, quella della California, del Nord Carolina e del Texas. Nel progetto fu inoltre incluso un consiglio di 18 supervisori scelti nel campo della salute pubblica, di quello legale, medico, della ricerca e delle organizzazioni politiche dell'industria dell'intrattenimento.
Basato sul più grande e rappresentativo campione mai valutato da uno studio scientifico, il “National Television Violence Study” analizza i contenuti della programmazione televisiva americana, fiction, serie comedy, film, spettacoli per bambini e video musicali, con una particolare attenzione alla natura e al contesto delle rappresentazioni violente e il loro effetto possibile sugli spettatori. Nello studio sono stati presi in considerazione diversi fattori, come - per esempio - se la violenza venga premiata o punita, se in un programma siano incluse le conseguenze di un comportamento violento, il realismo, la portata e l’icasticità della violenza, l’uso di armi e la presenza e l’uso dell’umorismo collegato ad azioni violente.
Partendo quindi da questo presupposto il focus del presente lavoro monografico, intende concentrarsi sulle serie televisive che maggiormente fanno uso di violenza, cercando di comprendere cosa sia o non sia concretamente cambiato dal 1998 - anno in cui venne pubblicato lo studio – ad oggi.
Oltre ad analizzare, a puro titolo introduttivo, alcuni studi in cui viene dimostrata l’influenza che la televisione esercita su determinati spettatori in materia di comportamenti aggressivi ed altri in cui tale connessione viene invece contestata, ci si soffermerà anche sull’aspetto più prettamente scientifico di questa connessione, evidenziando quali possono essere le basi biologiche del comportamento deviante, quali le componenti neurobiologiche che entrano in gioco nel momento in cui un soggetto è sottoposto alla visione di scene particolarmente violente, e quali siano le conseguenze di questi stimoli sul suo comportamento.
Il lavoro concluderà, infine, con una disamina approfondita basata su quattro diverse serie televisive a connotazione violenta e su quanto tali serie rispettino o meno i parametri suggeriti dal sopracitato studio.
Si procederà inoltre ad analizzare un questionario creato per il pubblico televisivo che tratta specificamente la tematica della violenza mostrata in televisione e di come lo spettatore reagisca ad essa.
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Anteprima del libro
La violenza nelle serie televisive - Teresa Soldani
Teresa Soldani - Monica Calderaro
La violenza nelle serie televisive
Collana di Criminologia, Criminalistica,
Psicologia, Psicopatologia,
Scienze Investigative e Forensi
Diretta dal Prof. Vincenzo Maria Mastronardi
Titolo dell'ebook
La violenza
nelle serie televisive
Autrici
Teresa Soldani - Calderaro Monica
Codice ISBN
978-88-98006-47-2
Editore
www.greenbooks-editore.com
Edizione digitale anno 2014
ISBN: 9788898006472
Questo libro è stato realizzato con BackTypo (http://backtypo.com)
un prodotto di Simplicissimus Book Farm
Indice dei contenuti
1. Introduzione
2. La violenza nelle serie tv
3. Il rapporto tra la violenza mostrata in televisione ed i comportamenti aggressivi
4. Introduzione allo studio sulla violenza nella televisione nazionale
5. Serie televisive - Case studies
6. Questionario
7. La componente neurobiologica.
8. Conclusioni
Bibliografia e sitografia
Le Autrici
Ringraziamenti
1. Introduzione
"E' assolutamente evidente che l'arte del cinema si ispira alla vita,
mentre la vita si ispira alla televisione"
Woody Allen
Già dalle Ricerche condotte da Ferracuti e Lazzari nel ’68 per conto della RAI dal titolo: "La violenza nei mezzi di comunicazione di massa", la maggior parte delle loro teorie restano valide confermando ancora:
"1) …. non sussistono, attualmente, dimostrazioni conclusive che sostengano il timore, diffuso in larghi strati dell’opinione pubblica, che la rappresentazione di scene violente provochi un effetto criminogeno diretto e immediato nei confronti di soggetti dotati di una personalità normale.
Non altrettanto può dirsi per i soggetti anormali o particolarmente predisposti a squilibri psichici. Poiché non è possibile una discriminazione fra il pubblico in considerazione della normalità o meno della personalità, deve ritenersi che la violenza rappresentata dai mezzi di comunicazione di massa possa essere pericolosa...
2) L’ipotesi che la rappresentazione della violenza possa avere un effetto catartico sullo spettatore non risulta confermata da alcuna valida dimostrazione.
Un effetto da ritenere che si produca, è l’apprendimento strumentale, che rende la violenza più pericolosa posta in essere da individui a ciò predisposti.
Il ruolo dei processi di identificazione appare incerto e mutabile a seconda della struttura di personalità del soggetto".
Attesi gli studi attuali in tema di psicologia sociale
e di neuropsicologia dei processi percettivi
nonché le più aggiornate ricerche sulle strategie della persuasione e delle influenze sociali
, in nostro possesso gli importanti vantaggi dei mezzi di comunicazione, sono molti e se ben condotti, possono essere in grado di apportare un produttivo veicolo di messaggi educativi e formativi
oltre che puramente divulgativi (cfr. Grandi, 1985; Commissione Internazionale Unesco, 1980; Clark ch., 1994; Berry G., Asamen J. K., 1993; Palermo G., 1995; Zanacchi A., 1994; DeFleur M., Boll-Rokeach S., 1995).
La teoria del super-io
massificato, già ventilato da Granone (1989) è stato poi ratificato da Mastronardi (2013), (Fraser AM, Padilla-Walker LM, Coyne SM, Nelson LJ, Stockdale LA., 2012), e pertanto non è più la famiglia o la scuola a definire i confini tra bene e male, bensì tutti i bombardamenti non sempre positivi e molto spesso francamente negativi e confusivi sia in relazione al lecito che ai confini estremamente evanescenti con l’illecito. Teniamo presente poi che così come recitano Mastronardi e Calderaro in I film che aiutano a stare meglio- Filmtherapy
(2010), la visione di ogni immagine filmica avviene in uno stato ipnoidale di maggiore recettività
in cui è facile che ci sia uno slivellamento dello stato di coscienza tale da lasciare spazio secondo una definizione nota nei processi di suggestione ipnotica soltanto al primo venuto
in uno stato quindi di vuoto di potere logico-critico-analitico
. I succitati due Autori così recitano nel primo capitolo del loro libro:
<
Questo caratteristico coinvolgimento mentale di cui abbiamo chiarito gli aspetti più strettamente neurofisiologici può essere proficuamente utilizzato, come vedremo, su un piano più specificamente psicodinamico a scopo terapeutico"
Lo stato di coscienza crepuscolare
o stato monoideistico
(= stato in cui una sola idea possiede la nostra mente
), mentre assistiamo alla proiezione di un film, si presenta particolarmente fertile affinchè ciò che vediamo sullo schermo si incida profondamente nella nostra mente con una percentuale 4 volte maggiore rispetto alla condizione di monoideismo (cfr. le sperimentazioni riportate da Granone, 1989 pag. 398).>>.
Infine è ormai condiviso da più Autori che l’esposizione dell’essere umano in generale alle immagini violente, ai film gialli, soddisfa due esigenze di più profondo bisogno intrapsichico da un lato, quello intrinseco del sentirsi vivo
agli antipodi della piattezza esistenziale ben individuata nell’alto tasso di suicidi nelle persone anziane in Nord-Italia (Nord-Est e Nord-Ovest) e dall’altra sollecita la curiosità investigativa propria dell’istinto esplorativo insito in ogni individuo.
Il presente elaborato intende analizzare il rapporto che esiste tra comportamenti aggressivi e violenza mostrata in televisione, più specificatamente nelle serie televisive che trattano di crimine, dai polizieschi ai più recenti show in cui la scienza è mostrata come un attivo strumento per combattere la criminalità.
L’elaborato prende ampio spunto dal "National Television Violence Study," realizzato negli Stati Uniti tra il 1994 ed il 1997.
Conscio dell’enorme preoccupazione del pubblico circa gli effetti nocivi della televisione sulla società, nel 1993, il senatore dell’Illinois Paul Simon, sfidò l’industria televisiva a finanziare uno studio indipendente che avvalorasse o smentisse l’esistenza di questa connessione. L’anno dopo la sfida fu accettata e lo studio venne commissionato ad un prestigioso gruppo di ricercatori scelti tra tre diverse e autorevoli università, quella della California, del Nord Carolina e del Texas. Nel progetto fu inoltre incluso un consiglio di 18 supervisori scelti nel campo della salute pubblica, di quello legale, medico, della ricerca e delle organizzazioni politiche dell'industria dell'intrattenimento.
Basato sul più grande e rappresentativo campione mai valutato da uno studio scientifico, il National Television Violence Study
analizza i contenuti della programmazione televisiva americana, fiction, serie comedy, film, spettacoli per bambini e video musicali, con una particolare attenzione alla natura e al contesto delle rappresentazioni violente e il loro effetto possibile sugli spettatori. Nello studio sono stati presi in considerazione diversi fattori, come - per esempio - se la violenza venga premiata o punita, se in un programma siano incluse le conseguenze di un comportamento violento, il realismo, la portata e l’icasticità della violenza, l’uso di armi e la presenza e l’uso dell’umorismo collegato ad azioni violente.
Questo innovativo rapporto è stato di grande utilità per il settore dell’intrattenimento televisivo, per gli studenti ed i ricercatori in comunicazione, cultura popolare e sociologia, nonché ai fini della prevenzione della violenza stessa.
Partendo quindi da questo presupposto il focus del presente lavoro monografico, intende concentrarsi sulle serie televisive che maggiormente fanno uso di violenza, cercando di comprendere cosa sia o non sia concretamente cambiato dal 1998 - anno in cui venne pubblicato lo studio – ad oggi.
A tale scopo ci si deve porre i seguenti quesiti:
in che modo la violenza viene rappresentata in questi show?
La televisione al giorno d’oggi incoraggia o scoraggia l’apprendimento dell’aggressività?
La violenza mostrata in televisione aumenta diminuisce o non ha alcun effetto sulla desensibilizzazione o la paura negli spettatori?
Si tenterà di rispondere ai summenzionati quesiti ed allo stesso tempo, verrà fornita un’ampia panoramica di quella che è l’attuale rappresentazione degli show che trattano il crimine negli Stati Uniti ed indirettamente in Italia (visto che la maggior parte delle serie televisive trasmesse in Italia sono importate proprio dagli USA), dal 1999 ad oggi, soffermandosi in maniera particolare su alcuni esempi specifici offerti dall’odierno panorama televisivo da utilizzare come studio analitico.
Partendo da quanto indicato nel National Television Violence Study che «antecedentemente a questo studio era già stato chiaramente stabilito che la televisione influenza diversi tipi di atteggiamenti e comportamenti descrivendoli come appropriati e/o attraenti. L’assai prospera e multimilionaria industria pubblicitaria è costruita su questa premessa. Più specificatamente è stato dimostrato in centinaia di studi che la violenza in televisione ha un’influenza sul comportamento aggressivo. Nel corso degli ultimi vent’anni numerose organizzazioni sanitarie pubbliche ed accademiche e rispettate agenzie - incluse l’Associazione Americana degli Psicologi, l’Associazione Medica Americana, la U.S. Surgeon General e l’Istituto Nazionale per la Salute Mentale - hanno esaminato l’attuale corpo di reato in questo settore ed hanno affermato all’unanimità la validità di tale conclusione.» (Federman, 1998, pag. 5)
Oltre ad analizzare, a puro titolo introduttivo, alcuni di questi studi in cui viene dimostrata l’influenza che la televisione esercita su determinati spettatori in materia di comportamenti aggressivi ed altri in cui tale connessione viene invece contestata, ci si soffermerà anche sull’aspetto più prettamente scientifico di questa connessione, evidenziando quali possono essere le basi biologiche del comportamento deviante, quali le componenti neurobiologiche che entrano in gioco nel momento in cui un soggetto è sottoposto alla visione di scene particolarmente violente, e quali siano le conseguenze di questi stimoli sul suo comportamento.
Il lavoro concluderà, infine, con una disamina approfondita basata su quattro diverse serie televisive a connotazione violenta e su quanto tali serie rispettino o meno i parametri suggeriti dal sopracitato studio.
Si procederà inoltre ad analizzare un questionario creato per il pubblico televisivo che tratta specificamente la tematica della violenza mostrata in televisione e di come lo spettatore reagisca ad essa.
2. La violenza nelle serie tv
2.1 La violenza e le sue origini
"In senso lato si designa come violenza un'alterazione del corso naturale degli eventi, quando ne derivi distruzione e/o sofferenza". (Jervis, 1998, Enciclopedia delle Scienze Sociali.)
Nel trattare di violenza, nello studio stesso del crimine, non ci si può esimere dal prendere in considerazione i pensieri sia della Scuola Classica che della Scuola Positiva, poiché - prima di parlare di come essa venga raccontata - è indispensabile capire cosa sia e quali siano le sue origini.
I maggiori rappresentanti della scuola a modello liberale, con particolare riferimento alle opere di Cesare Beccaria, Francesco Carrara e dell’inglese Jeremy Bentham, postularono - che la premessa che il crimine fosse parte della sfera delle azioni umane consapevoli - che l’uomo, in quanto dotato del libero arbitrio, è pienamente resposabile delle proprie azioni, comprese quelle criminose e violente.
In piena contrapposizione con la prima, la Scuola