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Epidemia e panico morale
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E-book93 pagine1 ora

Epidemia e panico morale

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Il testo dell’autore, corredato e arricchito anche da un ulteriore contributo di G.Piscitelli, concentra l’attenzione sui profondi processi di trasformazione che sta provocando il passaggio da uno stato di epidemia, di solito isolato e di breve periodo, alla condizione di una pandemia in progressiva crescita e con effetti imprevisti e imprevedibili di cambiamento di vita e di ordine sociale.
Da ciò la necessaria attenzione a tutti gli effetti di disorientamento, di isolamento, di vero e proprio panico che le vicende attuali stanno provocando.
Se gli effetti di disordine sociale sono evidenti e facilmente riscontrabili, diviene più forte la attenzione, la diagnosi da indirizzare verso la dimensione morale della vita delle persone, delle famiglie, delle comunità; e ciò per individuare le vie e i percorsi possibili di una costruzione diversa dei rapporti sociali.
LinguaItaliano
Data di uscita12 apr 2021
ISBN9788832761917
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    Anteprima del libro

    Epidemia e panico morale - Romolo Giovanni capuano

    L’autore

    Presentazione

    L’ideologia medica o quella penale, servono a contenere, attraverso al definizione di abnormità originaria, il fenomeno, traspondendolo in un terreno che garantisca il mantenimento dei valori di norma. Non si tratta di una risposta tecnica a un problema di carattere specialistico, quanto piuttosto di una strategia difensiva, tesa a mantenere lo status quo, a tutti i livelli. La scienza, in questo caso, assolve il proprio compito, fornendo codificazioni ed etichette che consentano la netta separazione dell’abnorme dalla norma"

    Franco Basaglia, Franca Ongaro Basaglia, La maggioranza deviante. L’ideologia del controllo sociale totale.

    Castel ci aveva avvertiti: l’inflazione dello psicologico e del relazionale rimanda ad una mutazione sociale che opera una deflazione delle costrizioni economiche e sociali di un dato settore (…). L’autonomia relativa dello psicologico non corrisponde, dunque, alla liberazione dei determinismi, ma piuttosto ad una situazione drammatica in cui l’azione sociale e politica è colpita dall’impotenza, in cui l’attore storico è scisso in soggetto psicologico e in ricettacolo di pressioni esterne, ed in cui esso non può mai mobilizzare l’insieme delle sue possibilità pratiche, se non nel quadro di un lavoro su se stesso, il che comporta sempre qualcosa di derisorio¹. In altre parole la diffusione di una cultura psicologica generalizzata si colloca in un processo di dissoluzione delle strutture familiari, comunitarie, politiche tradizionali; un processo di decollettivizzazione tuttora in corso e rispetto al quale il sociologo appare impotente se è vero che al posto degli, ormai obsoleti collettivi (riguardo ai quali aveva qualcosa da dire), ci sarebbero ora le relazioni, create dalla tecniche psicologiche, che acquisterebbero una centralità reale che riorganizza intorno a sé gli investimenti primordiali. Assistiamo così ad una crescente proliferazione della psicologia in ogni campo dell’organizzazione sociale e alla tentazione del sociologo, come ci sottolinea Capuano, nel cedere a una ‘frenesia clinica’, con la velleità, umanamente condivisibile, ma scarsamente utile, di ‘aiutare’ gli altri con competenze, metodi e conoscenze non proprie. Pertanto, dovremmo demonizzare ancora la psicologia confermando una contrapposizione che risale agli albori della sociologia stessa come disciplina? Tutt’altro! Certo, però, che non ci si può esimere dal chiedersi se è un bene che la consultazione di un qualsiasi problema, oggi, sia immediatamente sequestrata dall’intervento medico-psicologico combinato, che la razionalizzerebbe, facendola diventare sintomo fisico o psicologico da curare. Producendo, quindi, un effetto di rafforzamento e non di allentamento della sua morsa gestionale². Una morsa che ha dei risvolti disumanizzanti, per non dire sinistri, visto che sembrerebbe convergere con gli interessi e i metodi dell’imperante sistema neoliberista, anch’esso pervicacemente impegnato nel succitato processo di decollettivizzazione e di ‘smontaggio’ delle istituzioni.

    Vivendo anch’egli (o anch’ella) nel relazionale, il sociologo non sfugge a quelle ingiunzioni all’individuazione che si sarebbero radicate nel corso del processo di indebolimento delle istituzioni di protezione sociale; e, probabilmente, non si distingue troppo dai consumatori affetti da bulimia di beni psicologici che, parafrasando Castel, lavorano seriamente su se stessi come se costruissero un tempio per ospitare una divinità effimera. Immerso in una cultura che sta progressivamente permeando ogni ambito dell’esistenza umana, ne ha assorbito il linguaggio e con grande difficoltà riesce a gestire o ad affrontare il cambiamento di una sociologia che da sistemica e funzionalistica deve aprire le porte a percorsi di lettura della dinamica sociale, ponendo al centro la persona, le sue relazioni, le sue interazioni, le sue emozioni - proprio perché – la società non è mai uguale a se stessa, come lo sono invece i sistemi sociali³. Così, tra chi si mobilita, rivendicando un’improbabile centralità della critica sociologica dello stato di cose presenti, ignari della consolidata egemonia del discorso psicologico (ma non solo); e chi si attarda nella scoperta dell’immaginario e del ‘profondo’; il saggio di Capuano – e la postfazione di Piscitelli nella quale viene proposto un approccio analitico e pratico in stretta risonanza con quanto offerto, all’attenzione del lettore, dal primo–è anche un’esortazione ad esercitare una maggiore riflessività utile a rifocalizzarci su quanto avviene in‘superficie’. E a prestargli il giusto tempo e la dovuta importanza. Una ‘superficie’ così ricca di elementi, come le reazioni sociali a situazioni straordinarie ed eccentriche, che è davvero un peccato tralasciare guardando oltre. Un peccato perché - se non altro, e con riferimento a quanto sta accadendo - viene meno l’impegno a cui siamo chiamati, come sociologi, a districare l’ordito della società nel caos della crisi pandemica.

    La Redazione del LAB-SPAC

    Laboratorio di Sociologia Pratica, Applicata e Clinica

    Marzo 2021


    1 R. Castel, Verso una società relazionale. Il fenomeno ‘psy’ in Francia, Feltrinelli, Milano 1982, p. 89.

    2 R. Ierna, Il secolo psicologico: prodromi di una nuova socialità senza sociale, in https://www.lavoroculturale.org/reparto-agitati-9/nolted/2013/, 28 febbraio 2013.

    3 E. Minardi, a cura di, Professare la sociologia. Una conversazione con Achille Ardigò; Homeless Book, Faenza 2020, p.8.

    Introduzione

    Una delle caratteristiche più rilevanti, anche se, al tempo stesso, più sottovalutate, della recente epidemia da Sars-CoV-2, è rappresentata dalle reazioni sociali che, sin dall’inizio, essa ha stimolato e che hanno assunto forme diversissime: dalla accettazione supina delle scelte governative di contrasto alla pandemia alla tanatofobia patologica, dal pessimismo apocalittico all’ottimismo più superficiale e sfrenato, dalla sottovalutazione irresponsabile alla sopravvalutazione iperbolica, dal ribellismo indocile e sguaiato dei negazionisti al conformismo disciplinare più prono e acritico, dal timore panico all’indifferenza colpevole.

    Di solito, queste reazioni sono giudicate da esperti, giornalisti, opinionisti, amministratori in termini morali (o moralistici). I trasgressori delle norme emergenziali volute dal Governo, ad esempio, sono definiti egoisti, immorali, irresponsabili. I giudici invitano al buon senso o sollecitano severi interventi sanzionatori. Pochi si domandano se tali reazioni non dipendano, invece, da meccanismi e fattori psico-sociali, già noti alle scienze umane, la cui comprensione imporrebbe uno sguardo del tutto diverso, se non paradossale, sulla questione.

    Si pensi, tanto per fare un esempio, alla reazione negativa di molte persone, soprattutto nei mesi iniziali della pandemia, alle norme di prevenzione imposte dal Governo per contrastare la diffusione del virus. È noto come in molti abbiano preferito

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