Violenza giovanile: L'intervento sociologico clinico nei campi interazionali problematici
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Tra le persone che frequentiamo e che ci circondano, e i luoghi in cui trascorriamo parti importanti della nostra vita, appaiono non di rado individui che generano insicurezza e spazi nei quali si possono correre rischi. Ciò vale per il quartiere, il condominio, la strada. Ed anche per la scuola. Il ruolo dei media, in questo processo di costruzione sociale del problema, è evidente se si pensa all’allarme che suscitano in genere gli episodi di violenza che hanno luogo nei contesti scolastici.
In questo scenario complesso e articolato, tra semplificazioni e allarmismi da un lato, e attenzione e impegno ad affrontare seriamente il tema dall’altro, quale può essere il ruolo del sociologo, in particolare del sociologo che unisce l’interesse per la conoscenza della realtà con l’interesse per il cambiamento della stessa e il contributo professionale alla soluzione dei problemi sociali? Come per molte altre questioni, questo ruolo si può sviluppare su piani diversi e interconnessi. I testi che qui sono presentati li richiamano opportunamente.
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Anteprima del libro
Violenza giovanile - Gianluca Piscitelli
Piscitelli
Presentazione
di Franco Prina¹
Come per molti comportamenti problematici e per i fenomeni sociali che ne derivano, in maniera ricorrente si parla di bullismo (e di violenza nelle scuole) come se si trattasse di problemi emergenti e soprattutto ogni volta più allarmanti
. In verità né il fenomeno, né l’attenzione dei ricercatori al tema è recente. I primi studi avviati nei Paesi scandinavi e diffusi ampiamente in tutto il mondo risalgono agli anni ’70 con le ricerche di Dan Olweus. Chi scrive condusse le prime ricerche a Torino negli anni ‘90 (Prina, 2000), così come fecero, per limitarsi all’Italia, diversi altri studiosi (Ada Fonzi, tra tutti). Diversi programmi europei negli stessi anni consentirono di impegnare amministrazioni locali, scuole ed enti del terzo settore ad elaborare e applicare programmi di intervento variamente connotati.
Se guardiamo cosa è successo in questi decenni possiamo dire che l’attenzione al tema ha avuto un andamento alterno, con fasi in cui le forme di prevaricazione, violenza e sopruso messe in atto da ragazzi e ragazze nei confronti di coetanei sono state oggetto di un forte allarme sociale e fasi in cui le stesse sono rimaste una delle componenti di quella che possiamo definire la vita sotterranea
delle istituzioni scolastiche.
L’allarme che di tanto in tanto si manifesta è motivato da un intreccio di fattori che variamente si esprimono nelle società. Non tutti questi fattori hanno fondamento oggettivo, ma non di meno hanno una influenza sul porre al centro dell’attenzione collettiva questo come altri fenomeni. Pensiamo alla percezione - di fatto infondata se si adotta uno sguardo diacronico - di un generalizzato aumento della violenza interpersonale nelle società contemporanee. Così come assume un ruolo importante il crescente sentimento di insicurezza nei diversi contesti di vita e di relazione: se un tempo fonte di insicurezza era il diverso
, l’altro da sé, il lontano, lo sconosciuto, oggi sempre più si definisce come insicuro anche ciò che è vicino, conosciuto, simile. Le persone che frequentiamo e che ci circondano, come pure i luoghi in cui trascorriamo parti importanti della nostra vita, appaiono non di rado persone che generano insicurezza e luoghi nei quali si possono correre rischi. Ciò vale per il quartiere, il condominio, la strada. Ed anche per la scuola.
Il ruolo dei media, in questo processo di costruzione sociale del problema
, è evidente se si pensa all’allarme che suscitano in genere gli episodi di violenza che hanno luogo nei contesti scolastici. Un allarme giustificato nel caso degli eventi più gravi, laddove cioè si verificano - pensiamo agli USA - uccisioni (in alcuni casi vere e proprie stragi) dovute all’uso di armi o episodi di violenza fisica o di violenza sessuale che vedono protagonisti gruppi di studenti. L’allarme è stato evocato, nella nostra società, in casi particolarmente notiziabili
(la violenza verso persone disabili) o quando alla ribalta della cronaca emergono i rapporti conflittuali e la violenza tra insegnanti e alunni o studenti. E questo nei due sensi: episodi di maltrattamento di alunni da parte di insegnanti (cosa un tempo piuttosto normale
ed oggi ritenuta giustamente inaccettabile) o il manifestarsi di aggressività e violenza da parte degli studenti nei confronti degli insegnanti. Questo in particolare rappresenta un portato di cambiamenti rilevanti nella società e nel contesto scolastico. Soprattutto laddove si è prolungato l’obbligo scolastico fino a 16 - 18 anni, la scuola si è andata connotando come uno dei luoghi di espressione del disagio adolescenziale, uno dei luoghi, cioè, in cui si manifestano attraverso atti e comportamenti, il malessere e le difficoltà della fase di transizione all’età adulta. Le forme in cui tale disagio si manifesta sono essenzialmente tre: l’aggressività verso i compagni o verso gli insegnanti, i vandalismi nei confronti delle cose e della struttura, la fuga, attraverso l’abbandono progressivo degli impegni e della stessa frequenza scolastica. La fragilità e l’assenza di sostegno agli insegnanti che si misurano con i ragazzi più difficili
è spesso all’origine di reazioni che possono sfociare anch’esse in forme di aggressività e violenza.
Se è la cronaca ad essere all’origine di queste forme di attenzione al bullismo, alla prevaricazione tra ragazzi e adolescenti, alla violenza che si esprime nelle scuole, non possiamo tuttavia dimenticare che ad esse concorrono anche altri fattori che possiamo valutare in modo positivo. Uno di essi é rappresentato dal fatto che da alcuni anni si è prodotta in molti Paesi una attenzione crescente alle vittime di reati e di violenza. Una attenzione rivolta soprattutto ai comportamenti che hanno riguardato due categorie vulnerabili: le donne, da un lato, i bambini e i più giovani, dall’altro. Né possiamo dimenticare che in alcuni settori della società (forse non maggioritari, ma sicuramente capaci di incidere in determinati contesti educativi e scolastici) si è alimentata la percezione dell’importanza di contrastare - a livello sociale e dunque anche sul piano dell’educazione delle nuove generazioni - atteggiamenti e comportamenti diffusi che vedono la violenza come mezzo di gestione di conflitti ed esaltano come scelta intelligente
il non rispetto delle regole e delle leggi. Da qui le tante attività proposte agli studenti orientate a contrastare la cultura di cui sono impregnati i tanti illegalismi diffusi, prevalentemente tra gli adulti, attraverso l’educazione alla legalità e al rispetto delle norme e dei diritti degli altri.
In questo scenario complesso e articolato, tra semplificazioni e allarmismi, da un lato, e attenzione e impegno ad affrontare seriamente il tema, dall’altro, quale può essere il ruolo del sociologo, in particolare del sociologo che unisce l’interesse per la conoscenza della realtà con l’interesse per il cambiamento della stessa e il contributo professionale alla soluzione dei problemi sociali?
Come per molte altre questioni, questo ruolo si può sviluppare su piani diversi e interconnessi. I testi che qui sono presentati li richiamano opportunamente e meritano solamente alcune sottolineature.
Il piano della ricerca sul fenomeno
Soprattutto in relazione a domande che sorgono quando forte è l’attenzione mediatica e nel discorso pubblico, ai sociologi si pongono interrogativi intorno alla estensione di questi comportamenti. Solitamente la richiesta all’esperto è quella di confermare un assioma che quasi sempre ritroviamo nei discorsi sulle devianze, la delinquenza giovanile, le aggregazioni in bande o gang: l’aggravamento del problema e la sempre maggiore precocità degli attori che adottano questi comportamenti.
Ora, le difficoltà nella quantificazione dei comportamenti definiti in termine di bullismo (posto che si riescano a distinguere da altri comportamenti contigui) appare del tutto analogo a quello di tutte le altre forme di devianza. Come ampiamente argomentato a proposito delle difficoltà a