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Dandula: L'ultimo sorriso di Mozart
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E-book142 pagine1 ora

Dandula: L'ultimo sorriso di Mozart

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Info su questo ebook

Il libro racconta la storia della nobildonna Elisabetta Maffetti, detta Dandula dal matrimonio con l’anziano Antonio Dandolo, l’ultimo proprietario del Ridotto, la famosa casa da gioco veneziana. Dandula fu una “grande capricciosa”, titolo ricorrente nell’ultimo Settecento veneziano per designare le donne che in realtà si battevano per la propria libertà.

Con la sua inquieta vicenda biografica diede scandalo e fece molto parlare di sé dentro e fuori le aule dei tribunali.
 
LinguaItaliano
Data di uscita7 ott 2014
ISBN9788865123386
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    Anteprima del libro

    Dandula - Paolo Cattelan

    1998.

    1.

    «DANDULA NOMEN HABET»

    In musica il capriccio è sempre cosa virtuosa: richiama alla mente personaggi geniali come Paganini e la lunga storia delle opere così intitolate facilmente riempirebbe le pagine di un libro. Il significato corrente negativo della parola capriccio deriva tuttavia da un’etimologia incerta e non mancano arbitrarie interpretazioni. In un vecchio dizionario Hoepli pubblicato nel 1923 si legge addirittura: «voce frequente su labbra femminee».¹

    Ma se è vero che le donne in genere sono state spesso associate al capriccio, una categoria ancor più specifica e perturbante di capricciose, pericolosamente portate alla ricerca della propria libertà, è rappresentata, storicamente parlando, da quella delle mogli a cui si attaglia in un certo qual senso etimologico non tanto il capriccio, ma il caporiccio dei mariti: «Lo arricciarsi o addrizzarsi de’ capelli del capo siccome avviene per paura».²

    Tra moti di libertà e moti di paura provocata, le mogli capricciose segnano un punto importante nell’evoluzione della nostra società moderna che ho cercato di rintracciare nella storia di ‘Dandula’, una nobildonna vissuta a Venezia tra la seconda metà del Settecento e il primo ventennio dell’Ottocento.

    Ma più avanzavo nel lavoro di ricerca e più mi accorgevo che questa biografia, una biografia di forte rappresentatività sociale, era riflessa, esorcizzata, in molti ‘drammi buffi’ per musica che mi si offrivano come punto di osservazione musicologico della realtà storica.

    Il personaggio della moglie capricciosa è presente infatti in numerosi libretti d’opera prodotti nel medesimo arco cronologico in cui si svolge la vita di Dandula. È un filone di titoli di buon successo a capo del quale c’è un giovane poeta veneziano che nel 1780, per ragioni di convenienza politica, lascia prudentemente la Serenissima recandosi esule a Dresda e qui diviene poeta di corte. Il suo nome è Caterino Mazzolà, discende da una famiglia di piccola nobiltà che coltiva l’industria del vetro a Murano, ma nasce in montagna, a Longarone, dove il padre si trasferisce per via del rifornimento di legname necessario ai forni delle fabbriche muranesi. Ancor oggi a Longarone resiste l’antico palazzetto dei Mazzolà, risparmiato dalla furia del Vajont, è diventato sede del municipio.

    Caterino Mazzolà «con cui m’era in casa del Memmo in forte amicizia legato», racconta Lorenzo Da Ponte, era «Colto e leggiadro poeta, ed il primo forse che seppe scrivere un dramma buffo». E il poeta di Mozart rincara la misura dell’elogio dicendo di aver imparato egli stesso a scriverne aiutando ed imitando l’amico.³

    Tra i tanti drammi buffi di Mazzolà dedicati alle mogli capricciose il più famoso, grazie a Gioachino Rossini e al suo librettista Felice Romani che lo riscrissero nell’Ottocento, si intitola originariamente Il turco in Italia. Spesso questo titolo fu cambiato in La capricciosa corretta o anche La capricciosa ravveduta, ma la storia rimane sempre la stessa e anche il modo singolare di raccontarla. Accanto alla capricciosa compare il personaggio di un poeta che, essendo a corto di nuovi soggetti, decide di scrivere una vicenda di cui è testimone. Forse Mazzolà voleva alludere al fatto che si era ispirato ad una storia vera? Che non si tratta del trito espediente del ‘teatro nel teatro’ proliferato nei libretti del Settecento, ma di una specie di reportage? Comunque sia, ridotta all’osso, la storia è questa: una giovane moglie rivuole la propria libertà da un maturo marito che le è stato imposto, è una donna dedita alla vita mondana che non bada molto alle convenienze e nemmeno teme di far apparire sulla testa del marito un bel paio di corna; il marito, d’altra parte, messo in soggezione dalla esuberanza della moglie, chiama a raccolta contro di lei il pubblico e il braccio armato della legge.

    È stato studiando il soggiorno dei Mozart a Venezia,⁵ avvenuto durante il Carnevale e la Quaresima del 1771, che mi sono imbattuto per la prima volta nelle carte del processo ad Elisabetta Maffetti detta Dandula dal cognome di suo marito, il Nobil Homo Antonio Dandolo, discendente da antichissimo e glorioso casato, ma noto anche per essere stato l’ultimo proprietario del Ridotto Nuovo sorta di ‘Casinò’ per il gioco d’azzardo legalizzato aperto al pubblico nel palazzo dei Dandolo a San Moisé. Al Ridotto, oltre a far soldi o a rovinarsi, come capitò anche a Da Ponte, si facevano feste e verosimilmente anche musica.⁶

    Pur senza aver mai attirato seriamente l’attenzione degli storici, Dandula era stata oggetto di molte dicerie, pettegolezzi, aneddoti a volte molto volgari, che compaiono come chiose apposte sui codici settecenteschi da mani ottocentesche. Persino Emanuele Antonio Cicogna, principe degli eruditi veneziani, fece una nota sull’ultima pagina del proprio esemplare (oggi al Museo Correr) dell’Allegazione di Antonio Dandolo. In questo singolare libello,⁷ scritto nel 1776, portato nelle aule dei tribunali civili ed ecclesiastici e fatto ampiamente circolare anche tra i cittadini, il Nobil Homo si scagliava violentemente contro la moglie accusandola di tradimento e, chiamandola «mostro», implorava i suoi concittadini di assisterlo nell’impresa.

    Finita la lettura Emanuele Cicogna decise di impugnare la penna e prestare un tardivo soccorso all’onore ferito di quel marito tracciando il seguente profilo della nostra nobildonna: «Antonio Dandolo, figlio di Enrico patrizio veneto si ammogliò nel 27 luglio 1767 con Elisabetta Maffetti del fu Agostino nata nell’anno 1752. Nel 1781, con sentenza del vescovo Gian Domenico Stratico fu dichiarato nullo tale matrimonio. La data fu alli 8 di maggio di quell’anno; e quella sentenza fu accettata anche dal marito Antonio Dandolo nel dì 22 settembre. Nel 1785 essa si maritò con Marco Zeno senatore e cavaliere. Morto lo Zeno, dopo la caduta della Repubbica, essa, nel 4 maggio 1816 si maritò col comico Paolo Belli Blanes. Nel 1817 con Petition 20 giugno, essa tentò di far dichiarare nullo anche questo suo matrimonio, come da scrittura legale adespota – ma virtualmente valida. La scrittura fu stesa da Jacopo Antonio Vianelli illustre avvocato e scrittore. La Dandolo di cui qui si parla fu una Messalina e si prostituì persino in un lupanare. La cosa fu notissima e il poeta abate Angelo Dalmistro fece il seguente distico […]».

    Spiace togliere la parola di bocca al Cicogna per passarla ad un altro erudito meno noto, ma Francesco Scipione Fapanni cita l’epigramma del Dalmistro, futuro maestro del Foscolo, più compiutamente e con una sorta di intitolazione che tradotta suona più o meno così: Di una certa veneta Messalina nota come la Dandoletta:

    De quadam Veneta Messalina vulgo la Dandoletta

    Dandula venalis pro scorto in fornice prostat

    Quid mirum? A dando Dandula nome habet.

    MISTRESIUS CANEBAT 1778

    Difficilmente sarebbe arrivato quel pesante gioco di parole – si chiama Dandula perché la dà – se Dandula, come continuerò a chiamarla, non fosse già stata oramai messa all’indice ed esposta ad ogni sorta di maldicenza. Aveva allora la non veneranda età di ventisei anni.

    Ma le cose non stavano ancora così sette anni prima durante il Carnevale del 1771 quando Mozart e suo padre giunsero a Venezia e qui accompagnati dal ricco mercante oriundo bavarese Johannes Wider, sua moglie Venturina e le sue due figlie maggiori Rosa e Caterina – che Wolfgang prese scherzosamente a chiamare «perle ricone» – si recarono all’opera per due volte, lunedì 11 febbraio, giornata di «gran vento», e il successivo martedì grasso 12 febbraio, «era un tempo da schifo», ma ciò non impedì che i Mozart visitassero anche il Ridotto Nuovo. Era l’ultimo di Carnevale e, dopo lo spettacolo, l’allegra compagnia tirò a far tardi, ricorda Leopold: «e poi fra le 11 e le 12 della notte, ora tedesca, siamo andati a MarcusPlatz per recarci al Redout e ci siamo detti l’un l’altro con Wider che voi forse eravate dal signor Hagenauer e che non avreste mai immaginato che noi in MarcusPlatz parlavamo di voi».⁹ Rivolgendosi al giovane amico Johannes Hagenauer, in una breve postilla in italiano alla lettera del padre del 13 febbraio 1771, Wolfgang esalta quella serata con molto maggiore entusiasmo: «e poi ballammo e andammo con le perle in compagnie nel ridotto nuovo, che mi piacque aßai. quando stò dal Sig: Wider e quardando fuori della finestra la casa dove lei abitò quando lei fù in venezia di nuovo non sò niente. Venezia mi piace aßai».¹⁰

    Tra Mozart e Dandula non vi era una grande differenza d’età ed entrambi erano decisamente precoci. Lui aveva appena compiuto quindici anni festeggiandoli con il debutto a Milano della sua prima opera seria Mitridate Re di Ponto in cui Antonia Bernasconi, una cantante che aveva studiato a Venezia all’Ospedale della Pietà,¹¹ figurò come primadonna. Dandula invece ne aveva diciannove, ma si era già distinta in società come mecenate di musicisti e di cantanti, un lato della sua biografia, questo, poi passato completamente nell’oblio: prova ne è che il cognome Maffetti, citato nella lettera di Leopold Mozart da Venezia il 1 marzo 1771, apparve ai biografi mozartiani così insignificante da far loro supporre che Leopold si fosse sbagliato e avesse scritto Maffetti al posto del ben più famoso cognome del grande letterato Scipione Maffei. Leggiamo il passo: «Grazie a Dio stiamo bene, siamo invitati or qua e or là, dunque abbiamo sempre la gondola di lor signori davanti casa e andiamo ogni giorno sul Canal Grande. […] Quanto mi sia piaciuta l’Arsenale, le Chiese, gli Ospitali, ti racconterò diffusamente, frattanto ti posso dire che qui ci sono cose belle e singolari. Vedi dalla penna e dall’inchiostro che scrivo dalla casa di Wider […] che se non siamo invitati altrove ci vuole sempre ospiti. Il prossimo martedì avremo una grossa accademia, la domenica che precede saremo in delegazione dall’ambasciatore imperiale, lunedì da S.E. Maffetti dove era sm. Bocelli […] Addio vi baciamo un milione di volte e sono il tuo vecchio Mozart».¹²

    In realtà Leopold è qui più generoso del solito e aggiunge alla notizia dell’invito da Maffetti una nota in

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