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Don Nunnari racconta la sua Calabria
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E-book178 pagine2 ore

Don Nunnari racconta la sua Calabria

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Info su questo ebook

Una Calabria raccontata con sguardo lucido e penetrante al pari di un’aquila che è capace di “affissarsi al sole”. Sono gli occhi di Don Nunnari, uomo titanico, che ha attraversato e tagliato la storia della Calabria diventandone egli stesso storia e ha guidato, amministrato, controllato, influenzato e ridisegnato con equilibrio e straordinaria modernità la storia della chiesa meridionale degli ultimi decenni. Oggi Arcivescovo di Cosenza e Presidente della Conferenza Episcopale Calabra, Don Nunnari racconta la sua terra mentre viene raccontato dalla penna efficace e diretta del giornalista Attilio Sabato che non si sovrappone mai alla voce dialogante dell’alto prelato ma lascia fluire i suoi fotogrammi che eruttano lavici e prorompenti sulla pagina. Un racconto nel racconto dunque, al pari di una complicata matrioska, in un ribollente magma che mostra al lettore un uomo molteplice e complesso che partecipò ai “giorni della rivolta” reggina con passione totale e travolgente, che venne spedito in Irpinia a gestire il dopo-terremoto in una terra di nessuno, che ritornò in Calabria e fu investito da fortissimi marosi.
Guerre di ’ndrangheta, feroci scandali nella chiesa e gattopardismi politici: don Nunnari avanza come “una macchina da guerra” senza mai indietreggiare.
LinguaItaliano
Data di uscita6 nov 2014
ISBN9788868222307
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    Anteprima del libro

    Don Nunnari racconta la sua Calabria - Attilio Sabato

    Collana

    Le Interviste

    diretta da Walter Pellegrini

    2

    La Collana è dedicata ai protagonisti della vita dei nostri giorni: politici, manager, professionisti, industriali, tutte persone note che in Calabria hanno raggiunto i vertici nel proprio campo e che conosciamo attraverso le notizie che la cronaca quotidiana ci consegna.

    Ma quanto sappiamo veramente dell’uomo che c’è dietro l’immagine ufficiale creata dai media, spesso troppo costretta dai limiti di tempo di una intervista televisiva o da quelli di spazio di una dichiarazione ad un giornale?

    Questa Collana nasce con l’intento di dare a questi uomini la possibilità di esprimersi compiutamente, di raccontarsi fino in fondo, di mostrarsi ai lettori come non sono mai apparsi prima: calabresi che sono riusciti ad esprimere le loro potenzialità senza dover lasciare la propria Regione, contribuendo così alla sua crescita culturale, sociale ed economica.

    ATTILIO SABATO

    DON NUNNARI

    racconta la sua Calabria

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

    Edizione eBook 2014

    ISBN: 978-88-6822-230-7

    Via Camposano, 41 (ex via De Rada) - 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672

    Siti internet: www.pellegrinieditore.com

    www.pellegrinilibri.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    A Roberta

    testimone paziente

    dei miei lunghi silenzi

    Prefazione

    Non è cosa facile raccontare la storia di un prete e lo è ancor meno se il sacerdote in questione è don Salvatore Nunnari. Se non altro perché – così come scrive Attilio Sabato in questo suo libro da leggere tutto d’un fiato – siamo in presenza di una figura che con il suo impegno pastorale ha profondamente segnato la storia di una grande città come Reggio Calabria, e poi ancora da vescovo illuminato e pieno di carisma ha guidato, amministrato, controllato, influenzato e ridisegnato, con grande equilibrio, ma anche con grande senso della modernità, la storia stessa della Chiesa meridionale degli ultimi decenni.

    E forse non sono neanche io la persona più adatta per commentare i contenuti di questo saggio sulla vita di questo pastore della Chiesa moderna, oggi Arcivescovo della città di Cosenza e Presidente della Conferenza Episcopale Calabra: più semplicemente, lo conosco da oltre 40 anni e, da quando l’ho incontrato per la prima volta, nella mia vita non ho mai più smesso di interessarmi alle sue vicende e soprattutto l’ho sempre ammirato ed amato.

    Ero appena un ragazzo quando lo conobbi per la prima volta. Per me fu un incontro importante, che conservo gelosamente tra le poche cose vere che mi sono ancora rimaste nel cuore.

    Accadde per caso, a Vibo Valentia, nel salone delle conferenze dell’Hotel 501, e a presentarmelo fu l’allora presidente dei giornalisti calabresi Raffaele Nicolò. Ricordo che l’occasione era solenne per i giornalisti calabresi perché di fatto, proprio allora, nasceva ufficialmente l’Ordine dei Giornalisti della Calabria. Qualche anno più tardi lo ritrovai nello stesso posto, strana coincidenza, sempre a Vibo. Era un piovoso novembre del 1979 e in quei giorni, all’Hotel 501, si celebrava il Congresso Regionale della Federazione Nazionale della Stampa. Un evento indimenticabile per noi giovani cronisti di allora: per la prima volta infatti in Calabria arrivarono da Roma i grandi nomi del giornalismo italiano. Al tavolo della presidenza sedevano insieme il vecchio segretario generale della FNSI, Luciano Ceschia, e quello che poco più tardi sarebbe diventato il suo giovane successore, Piero Agostini.

    Bene, in quella sede, don Salvatore Nunnari, che allora era semplicemente uno dei tanti giovani sacerdoti della città di Reggio Calabria e niente di più, diventò invece un vero grande protagonista di quell’assemblea sindacale. Era quello un congresso che nasceva tra mille spaccature divergenti, con un pregiudizio di fondo pesantissimo da parte dei colleghi del Nord nei confronti di noi che vivevamo al Sud, e che don Salvatore invece, da solo, grazie ad un intervento che rimase memorabile nel tempo, riuscì nello spazio di una notte a riportare nell’alveo dell’unità e della ricomposizione plebiscitaria. Anche in quella occasione così delicata e così particolare, inusuale come può esserlo un qualunque congresso sindacale, lui aveva fatto ancora una volta e semplicemente il prete.

    In sostanza si era preso la briga di incontrare le tante anime del congresso, poi aveva riunito in una saletta riservata i vertici delle varie componenti sindacali, li aveva fatti sfogare per ore e infine, dopo avere a lungo mediato e ragionato con ognuno di loro, era riuscito a riportare le frange estreme del dibattito alla sintesi più efficace. Il risultato fu stupefacente. L’assemblea si convinse che aveva ragione il prete: all’unanimità si votò la risoluzione che lui stesso aveva messo su carta, senza se e senza ma, alle sue condizioni. Sacerdote e sindacalista insieme. Aveva vinto lui quella notte, grazie alla forza della parola, ma soprattutto per il grande carisma che già allora la sua figura emanava.

    Come potrei non ricordarlo? Quando si confrontava con gli altri era un leone. Indomabile, austero, a tratti dal piglio anche felino. Lo ricordo protagonista in un altro memorabile Congresso che la FNSI tenne a Pescara; lui era seduto tra Luciano Ceschia e Walter Tobagi. Come sempre elegantissimo, fasciato di nero, indossava un clergymen perfettamente cucito su misura per lui. Ricordo quel suo incedere solenne, il portamento plateale, una stretta di mano che sembrava non volersi staccare mai da te, una capacità di venirti incontro e di abbracciarti con un calore d’altri tempi. Mai una parola fuori posto, mai un gesto di insofferenza, e poi soprattutto questa sua straordinaria capacità di guardarti negli occhi e sorriderti, come se ti conoscesse da chissà quanto tempo, con una serenità che traspariva al di là di ogni immaginazione. Non saprei dire di più. Non vi nego che a momenti egli appariva anche arrogante, probabilmente a causa delle mille certezze che caratterialmente un sacerdote come lui sembrava portarsi in corpo. Ma già allora si coglieva con mano il fatto che, da grande, questo giovane sacerdote reggino di strada ne avrebbe fatta davvero tanta. Prima di quella notte nessuno dei presenti a quel congresso avrebbe mai potuto mettere in conto che don Salvatore Nunnari, per i 25 anni successivi, sarebbe diventato punto di riferimento del mondo della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, chiamato soprattutto a rappresentare le varie anime inquiete del giornalismo meridionale.

    Per 25 lunghi anni, dunque, questo sacerdote così cocciuto e caparbio è stato di fatto anche uno dei sindacalisti più agguerriti e più influenti del giornalismo italiano. Naturalmente, come tale anche amato, odiato, ammirato, additato, emulato, seguito, inseguito, contestato e criticato. Insomma, chi pro e chi contro, ma è quello che normalmente accade nella vita di ogni vero grande leader politico e di un qualunque protagonista del dibattito nazionale. In Calabria non sempre Raffaele Nicolò, che era il Presidente dei Giornalisti Calabresi del tempo, sopportava le sue certezze o condivideva le sue analisi, ma il carisma e il peso delle sue argomentazioni erano tali che persino un uomo come Nicolò, difficile, scontroso e spigoloso come solo lui sapeva essere, non poteva che sopportarlo, accettarlo, subirlo, soprattutto seguirlo. Non so se si può dire, io ci provo: Raffaele Nicolò era il braccio armato di questa nuova corporazione di giornalisti che nasceva allora da queste parti, caratteristica che conservò gelosamente fino alla fine dei suoi giorni. Salvatore Nunnari, invece, era l’icona calabrese per antonomasia: figura di alto profilo morale, sacerdote di una modestia senza pari, personaggio ideale da esportare oltreconfine e a cui affidare il difficile compito, a volte anche ingrato, di parlare in pubblico per tutti noi e di rappresentare ufficialmente tutta la stampa Calabrese. Il legame tra i due andrà avanti per tutta la vita.

    Attilio Sabato racconta qui, in maniera diretta ed efficacissima, devo dire, la storia avvincente e per certi versi persino straordinaria di un pastore della chiesa che è stato molto più di un sacerdote, e il cui segno indelebile rimarrà certamente per molto tempo ancora, anche dopo la sua morte. L’amore viscerale per la città calabrese dello Stretto don Salvatore se lo porta da sempre dietro, come un’ombra. Non c’è un solo momento della vita di Reggio Calabria, difficile o turbolento, normale e ordinario, che non abbia avuto don Salvatore Nunnari come suo diretto protagonista. Ciò fu vero soprattutto nei famosi giorni della rivolta, quando per strada questo giovane sacerdote lavorava giorno e notte per riportare tra i giovani che stavano sulle barricate la serenità necessaria affinché la protesta non sfociasse nella violenza. In questo libro la sua figura di prete tra la gente si coglie in maniera nettissima. Attilio Sabato ci racconta la storia di un prete che al mattino si sveglia e corre per strada tra i ragazzi del suo quartiere, ma questa sua è anche la storia di un Vescovo influente che viene spedito in Irpinia a gestire il dopo-terremoto. Qualche mese più tardi, tornando a Roma, egli corre in Vaticano e la prima cosa che fa è andare a raccontare al Cardinale Re, suo vecchio amico di sempre, dei suoi ragazzi di Gebbione che a Reggio, nel frattempo, erano cresciuti e avevano fatto carriera politica. Davvero molto delicato il passaggio che Attilio riserva ai rapporti tra don Salvatore e l’ex sindaco di Reggio Calabria, Peppe Scopelliti. Non lo votò come Sindaco, ma don Salvatore confessa qui di averlo visto crescere, di avergli voluto bene, di aver tifato per lui quando giocava a basket, di aver creduto nella sua buona fede e nella sua forte passione politica. Confessa anche di averlo votato invece come Presidente della Regione, perché immaginava che quel ragazzo pieno di vita potesse cambiare le cose, e ricorda soprattutto di averlo messo in guardia in tempi non sospetti dalle mille insidie della politica. E la mafia? O meglio, la ‘ndrangheta? Memorabili le sue omelie in tutti questi anni contro lo strapotere delle cosche. Attilio non poteva non parlarne nel suo libro, soprattutto dopo l’ultimo viaggio di Papa Francesco a Cassano, e dopo la scomunica lanciata dal Pontefice dalla spianata di Sibari ai mafiosi della terra. Accanto a Papa Francesco e a mons. Nunzio Galantino, straordinario regista di quella giornata, c’è anche lui, don Salvatore, che a Sibari accoglie il Papa in nome dei vescovi dell’intera regione e porta a lui il saluto di tutti i sacerdoti calabresi. Giornata storica per la Calabria.

    Attilio Sabato lo racconta con grande efficacia. I momenti più difficili incominciano per don Salvatore nel giorno in cui Papa Giovanni Paolo II lo manda in Irpinia come nuovo Vescovo della diocesi di Sant’Angelo dei Lombardi. L’idea di dover lasciare Reggio da un giorno all’altro lo sprofonda in una seria crisi. Don Salvatore arriva a Sant’Angelo dei Lombardi e si sente solo: si ritrova lontano da tutto, non riesce più a riposare, soprattutto non dorme per mesi. Confida la sua profonda malinconia al suo vecchio amico Italo Falcomatà, allora sindaco di Reggio; storia, la loro, di un rapporto solidissimo condito da una dolcezza estrema e da un affetto senza tempo. Ma don Salvatore sa che non può più tirarsi indietro. In questo libro, devo dire, si coglie per intero la grande spiritualità che pervase la sua vita sulla montagna di Nusco. Quando poi fu il momento di ritornare in Calabria, lui in Irpinia aveva praticamente fatto tutto quello che era immaginabile fare: aveva finalmente riaperto la cattedrale, aveva rimesso a posto decine di chiese, rianimato numerosissime parrocchie diverse, aveva ricostruito la Casa per ragazzi disabili e aperto una casa per donne in difficoltà; tutto questo confidando solo nella Provvidenza divina.

    Ma neanche in Calabria avrà vita facile. A Cosenza l’Arcivescovo trova insidie reali. Prima lo scandalo dell’Istituto Papa Giovanni XXIII; poi la complessa vicenda di Padre Fedele Bisceglie. Contro questi riceve dalla Santa Romana Chiesa una decisione durissima, pesante, impopolare in città: Padre Fedele viene sospeso a divinis dagli Organi Superiori. Non deve essere stato facile per l’Arcivescovo eseguire gli ordini impartiti dalla Santa Sede. Io stesso ricordo di aver preso le distanze da quella scelta così forte, all’epoca. Mi sembrava una scelta assolutamente ingiusta e pensavo che fosse, invece, indispensabile aspettare prima l’esito del processo. Alla fine però mi resi conto che il compito del vescovo era anche quello di assumersi la responsabilità di decisioni scomode, in quel caso arrivate e imposte direttamente dalla Santa Sede.

    Il saggio di Attilio ricostruisce quella fase e questa vicenda così ancora poco chiara con estrema attenzione ed equilibrio, soprattutto con grande serenità di giudizio. Lo diranno solo gli anni che verranno, forse con maggiore certezza, cosa realmente è accaduto sia a Serra d’Aiello, sia tra le mura dell’Oasi Francescana: ma per quanto riguarda l’Oasi, il dato storico assolutamente incontestabile è che Padre Fedele, nonostante tutto e a giudizio unanime, era riuscito a realizzare a Cosenza una straordinaria icona della misericordia divina e della solidarietà umana.

    Ora la sentenza della Corte di Cassazione ci conferma che fu una vicenda assolutamente poco chiara. Un giornalista di razza come Paride Leporace parla senza peli sulla lingua di una colonna infame: troppi dubbi, insomma, sorgono sulla serietà di quell’indagine; poche certezze, mille sospetti, tanta violenza inutile e soprattutto tantissimo fango mediatico. In questo noi cronisti siamo bravi. Purtroppo non sarà, quello di Fedele, né il primo né l’ultimo caso.

    Attilio

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