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L'istante magico: La storia di Giuseppe De Nittis
L'istante magico: La storia di Giuseppe De Nittis
L'istante magico: La storia di Giuseppe De Nittis
E-book214 pagine3 ore

L'istante magico: La storia di Giuseppe De Nittis

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Info su questo ebook

Chi era de Nittis? Il pittore italiano che tanta fama s’era conquistato nella Parigi degli impressionisti, l’uomo di mondo che deliziava gli amici artisti con le specialità italiane alle sue cene del sabato sera. Oppure esiste un’altra verità capace di svelare un “mistero De Nittis”? Questo è il motivo che ha spinto a scrivere non una biografia vera e propria, ma un romanzo che commuove e diverte ispirato ai fatti reali mescolati con l’immaginazione. Si parte da Barletta, da un’infanzia tragica ma avventurosa grazie alla naturale esuberanza del “nostro”. La sua adolescenza è ribelle ma illuminata dal talento naturale e dalla fiducia in se stesso. Quando arriva a Parigi è un giovane di grande speranze, sicuro della sua buona stella. Nel bel mondo parigino entra presto da protagonista. La vita si dimostra in tutto assai generosa con lui. Nonostante la fama continui a crescere, s’insinua piano il tarlo presago della brevità della sua vita. La fortuna gli volta le spalle: irrompe la malattia. Il pittore dà l’addio ai colori, brinda alle sue visioni e soprattutto alla luce. A quella luce che l’ha salvato dal buio, con il suo colore e perfino con l’odore percepibile solo a lui.
LinguaItaliano
Data di uscita10 nov 2015
ISBN9788869630538
L'istante magico: La storia di Giuseppe De Nittis

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    Anteprima del libro

    L'istante magico - Alice Guerrieri

    Renata Asquer

    Alice Guerrieri

    L’ISTANTE MAGICO

    Storia di Giuseppe De Nittis

    Elison Publishing

    In copertina IN MOVIMENTO, opera dell'artista Emanuela Asquer.

    Proprietà letteraria riservata

    © 2015 Elison Publishing

    Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico.

    Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:

    Elison Publishing

    Via Milano 44

    73051 Novoli (LE)

    ISBN 9788869630538

    PROLOGO

    Viola si trovava a Parigi da pochi giorni, ma avrebbe voluto essere a New York.

    Al suo primo incarico importante come ricercatrice, doveva occuparsi dell’Espressionismo Astratto. All’ultimo momento però la sua università le aveva assegnato una ricerca sul japonisme nell’arte di Monet.

    Ora stava camminando per le strade di Parigi e si sentiva già svuotata. In mano due pagine fitte di indirizzi di biblioteche e archivi parigini.

    Continuava a pensare che in una decina di ore di volo avrebbe potuto abbracciare la Statua della Libertà.

    Pranzò in un bistrot tutta appiccicata al compagno indiano di soupe à l’oignon che nemmeno conosceva. Almeno così si sarebbe scaldata. Per qualche minuto si conciliò con il mondo sgranocchiando una baguette calda. Dopo un caffè infinito aprì la cartina di Parigi consumandosi gli occhi nel tentativo di capirci qualcosa.

    Fu allora che un simpatico anziano del tavolo vicino le disse tutto contento:

    «Il ya le marché aux puces».

    Così Viola mandò all’aria i suoi noiosi programmi di studio nel primo pomeriggio e si trovò confusa tra la folla di turisti, donne e bambini, anziani che gironzolavano tra le bancarelle.

    Si soffermò incuriosita davanti a quella delle vecchie riviste di moda dell’Ottocento: la facevano sorridere quei buffi abiti con gli esagerati rigonfiamenti sul retro delle gonne quando il venditore guardandola seriamente esclamò

    «Mademoiselle, mais c’est latournure! C’était la mode presque fin de siècle. C’est à dire le dix-neuvième siècle».

    Viola prese a sfogliare la rivista e proseguendo nel suo giro continuava a pensare a quegli abiti così bizzarri.

    Si accesero le luci delle bancarelle e in quel momento un oggetto dorato tra tante cianfrusaglie catturò il suo sguardo. Viola lo prese in mano: si trattava di una trousse di forma semicircolare con una catenina pendente che sembrava quasi suonare. Ripose l’oggetto sul bancone e istintivamente si guardò ad uno specchio posto lì vicino.

    I suoi occhi le parvero più luminosi e il suo volto aveva mutato aspetto.

    Un attimo di illusione?

    Il venditore che dal primo momento l’aveva presa in simpatia le disse:

    «Mademoiselles aimes tu cette trousse? C’est tres difficile de la vendre. Tien elle est à toi».

    In pochi istanti quell’oggetto le regalò un’inspiegabile felicità. Come se possedesse un monile prezioso.

    Viola non vedeva l’ora di tornare al suo alberghetto e finalmente quando poté rifugiarsi nella sua stanza seduta sul letto si mise ad esplorare l’oggetto misterioso.

    Lo aprì: uno specchio dalla superficie molto rigata tranne al centro, l’ideale per far specchiare i suoi occhi.

    La trousse al suo interno era munita di diversi scomparti con due taschine: una contenente un pettinino giallo, un’altra un piumino ancora intriso di cipria rosata.

    Si materializzava un mondo intero.

    Viola venne catapultata in un’altra dimensione temporale: l’oggetto apparteneva al Settecento oppure dell’Ottocento? Si chiese.

    Era una borsetta o un giocattolo, ciò che aveva tra le mani?

    Ma ecco una nuova sorpresa in una piccola tasca nascosta: un biglietto da visita piuttosto ingiallito con la scritta

    Joseph De Nittis peintre

    Paris

    Viola era emozionata come avesse trovato un tesoro. Quella notte si addormentò serena con l’ultimo pensiero a quel Joseph De Nittis: un artista che aveva studiato parecchi anni fa che non sapeva collocare se tra i Macchiaioli o gli Impressionisti. Rimandò il quesito all’indomani.

    Il mattino dopo, di buon’ora, il cellulare squillò con insistenza. Quasi non riconosceva più la voce della madre, allarmata perché da diversi giorni non aveva più sue notizie. Lei la pregava di recarsi al cimitero di Père Lachaise per rintracciare la tomba di suo nonno morto a Parigi nel 1940.

    Così Viola decise di liberarsi presto dell’incombenza.

    Arrivata sul posto perlustrò le lapidi della I divisione di Père Lachaise. Dopo varie ricerche finalmente riuscì a mettere i fiori sulla tomba giusta.

    Per la visita al Musée d’Orsay aveva pensato di rinviare al pomeriggio e perciò poteva perdere tempo in questa città dei morti, quasi un museo a cielo aperto pieno di opere d’arte.

    Per prima cosa si diresse alla tomba del suo amato Chopin e grazie alle indicazioni all’entrata fu facile arrivarci. La prima cosa che poté notare fu la statua di Euterpe, la musa della musica e poi un’infinità di fiori, bigliettini figurati e cuoricini sparsi sul marmo.

    Più avanti scoprì la tomba del pianista Petrucciani e di altri personaggi famosi. Intanto un raggio di sole prepotente la obbligava a guardare verso un’altra direzione e a divertirsi con le ombre colorate che balzellavano in lontananza. Grazie a questi spiritelli luminosi, una lapide un po’ sopraelevata colpì la sua attenzione. Viola si avvicinò inspiegabilmente attratta.

    Si fermò davanti ad una specie di tavola dei dieci comandamenti:

    Ci gît

    Le peintre Joseph de Nittis

    1846-1884

    Mort à trent-huit ans

    en pleine jeunesse

    en pleine gloire

    comme les heros

    et les demi-dieux

    A. Dumas fils

    Nel più completo stato confusionale Viola riprese il metrò per il suo alberghetto.

    Non aveva mai saputo niente della vita di questo pittore morto giovane. Ora sembrava venirgli incontro timidamente sì, ma con messaggi sempre più aperti. E lei aveva sempre creduto ai segnali del cosiddetto destino. Se si trattava di casualità, la ripetizione di questi meritava comunque seria attenzione.

    Nel pomeriggio sarebbe andata al Musée d’Orsay.

    Per prima cominciamo a documentarci, si disse Viola, in preda ad una segreta euforia. Come sempre le succedeva quando un nuovo orizzonte iniziava ad aprirsi, assieme ad un nuovo progetto.

    La inquietava un po’ il fatto che le sue nuove ricerche non solo le erano di peso – fin dall’inizio, visto che la sua specialità era l’arte contemporanea – ma addirittura le stavano procurando un’insofferenza pericolosa. E lei sapeva bene che se fosse arrivata al punto di non ritorno rischiava di mollare tutto in quarta. Purtroppo era fatta così: con l’entusiasmo per qualcosa o per qualcuno avrebbe smosso le montagne. Ma appena le sorgevano seri dubbi, beh era meglio fare subito dietro-front.

    Tempo fa aveva già superato una piccola crisi: ad un tratto si era resa conto di non essere tagliata per la ricerca universitaria. Le sarebbe piaciuto scrivere. Magari libri sull’arte o sulla vita dei pittori. O storie anche. Spesso rincorreva i racconti delle vite dei conoscenti o semplicemente dei compagni di viaggio occasionali.

    Dopo poche ore Viola varcò la porta del Musée d’Orsay, emozionata come per un appuntamento importante. Chi mai l’aspettava dentro quelle sale? Davanti ai suoi occhi abbastanza annoiati sfilavano i quadri di Manet, Monet, Pizzarro, Degas, Morisot e altri meno noti.

    Entrò poi in un’altra stanza e rimase folgorata. Era in corso un’esposizione temporanea di pittori italiani che erano vissuti a Parigi nell’Ottocento. La seconda sala ospitava unicamente alcune le tele di Giuseppe De Nittis tra cui: Sulla neve, Giornata d’inverno e Figura di donna.

    Il pittore aveva saputo cogliere l’istante preciso di un’emozione. In tutte e tre le immagini l’artista aveva creato un’atmosfera precisa, legata al momento fuggevole. Che trasmetteva la felicità del presente e nello stesso tempo la lieve malinconia del transitorio. Insomma era da questo contrasto che nasceva il grande fascino emanato da quei dipinti. Oltre che dalla suprema abilità tecnica e dall’uso felice delle tonalità. Che lo avvicinavano ai pittori impressionisti, ma con una sua cifra singolare.

    Era come se l’artista facesse una sorpresa, sia ai suoi personaggi – soprattutto di genere femminile – sia alla natura, con questo suo cogliere l’attimo perfetto, misterioso o anomalo che fosse.

    Deformazione professionale, pensò subito Viola. Se aveva un’intuizione artistica s’interrogava sempre sulla probabile matrice. Vale a dire se fosse farina del suo sacco.

    Infatti a pensarci bene c’era la provenienza: "L’arte dev’essere una sorpresa fatta alla natura nei suoi momenti normali o anormali …" Adriano Cecioni – scavando nelle sue reminiscenze librarie – così si era espresso a metà Ottocento, riguardo alla pittura della macchia. A cui in genere si fa risalire l’origine dell’Impressionismo.

    Viola, immersa completamente in tali pensieri, si soffermò sulle altre opere ad olio e a pastello di De Nittis. Si sedette quasi ipnotizzata da tutte quelle immagini in movimento. Sia che si trattasse di scene di vita cittadina – parigina o londinese – sia di paesaggi di natura. Qui bufere in arrivo sul mare o delle nuvole sul golfo in procinto di mutare colore e forma, là strade polverose del Sud Italia ritratte nel momento di luce più accecante.

    Ad un certo punto s’impose di allontanarsi da quei dipinti e uscì dal Museo come ubriaca.

    Si sedette su una panchina di fronte alla Senna, convinta di essere una parigina dell’epoca del suo pittore, appena scoperto.

    Cominciò a visualizzare quel mondo lontano, fatto di corse di cavalli, passeggiate con il parasole, al parco, per i campi, presso le rive; ma anche di ricevimenti con profusione di cristalli e argenti, oppure di quiete intimità domestiche, in giardino su un’amaca o davanti alla tavola della colazione con i raggi riflessi sui vetri e sul prato. Con un sapiente, continuo alternarsi di ombre e di luce.

    Dopo un tempo che le parve indefinito Viola si risvegliò da quella specie di sogno.

    E fu proprio in quel momento che prese una decisione storica, anche se questa le parve la più importante di tutta la sua vita. Al diavolo le ricerche per cui si trovava a Parigi! Doveva al più presto conoscere tutto su Giuseppe De Nittis. Le indicazioni per le biblioteche e le librerie d’arte fornitele dall’Università le sarebbero state utilissime allo scopo. E il suo lavoro? E al professor De Gregorio – un caso anche questa omonimia con un amico napoletano del giovane De Nittis? – cosa avrebbe raccontato? Ha presente, professore, quando una donna si innamora, così, di colpo e abbandona tutto e tutti. Questo avrebbe detto?

    Aveva sempre deciso d’impulso e per la verità non si era mai dovuta pentire.

    Per ora avrebbe mandato un telegramma – o era meglio una semplice mail, meno drammatica? – comunicando che stava molto male, le ricerche sarebbe andate per le lunghe e il suo rientro in Italia doveva essere spostato di molto. Avrebbe fatto sapere altre notizie successivamente. Più laconica possibile. Tanto per prendere tempo. Anche se sapeva che non sarebbe più tornata indietro: voleva assolutamente scrivere su De Nittis.

    Non aveva certo la presunzione di formulare una definizione a quel modo di dipingere tanto particolare, nei temi e nella tecnica. Pensandoci bene però lo stile di De Nittis avrebbe potuto chiamarsi istantismo. Sorrise tra sé, davanti agli occhi le facce stupefatte degli accademici. Tutte in fila a scuotere la testa con fare sprezzante. Non le importava più niente. Non le era mai importato mai niente, in fondo.

    Questo momento di cambiamento – pensava – è pure identico a milioni di altri, nel corso di un anno, e lungo i secoli. Da fuggitivo l’attimo perciò diventa eterno. Ecco perché l’istante di De Nittis, quello che coglie un dato aspetto fuggevole della natura, oppure dell’uomo, mi sembra anche magico. È il tipico sguardo dei fanciulli o degli innamorati: lo sguardo di chi vede nuova ogni cosa. Come la prima volta.

    Viola voleva al più presto approfondire la questione. E comunque almeno il titolo del suo libro su De Nittis era già pronto. L’istante di De Nittis era fuggitivo, ma anche magico perché colto al volo nella sua perfezione contingente. Perfettamente in linea con il pensiero sull’arte di Baudelaire. Sul dovere cioè dell’artista di ritrarre la modernità nei suoi caratteri più transitori. Fuggitivi appunto.

    Non si sarebbe trattato di una biografia tradizionale. Più romanzo che biografia in senso stretto. Al centro il più indipendente tra gli Impressionisti italiani, con la sua arte e la sua anima. E naturalmente i suoi legami con le persone vicine a lui e le città – veri e propri mondi del tutto diversi gli uni dagli altri – dove aveva vissuto e le cui atmosfere aveva tante volte ricreato sulle sue tele.

    1

    Oggi, 18 luglio 1867, è stata una giornata memorabile. Mi trovo steso su un misero lettuccio in una pensione parigina da quattro soldi; a lato c’è una finestra che dà su un cortile interno illuminato dalla luce fioca di un solo lampione.

    Mi è appena venuta un’idea che sicuramente giova a tranquillizzarmi in questo momento d’inquietudine mista ad uno stato di misteriosa euforia.

    Ogni giorno, al mattino o alla sera, voglio trovare un po’ di tempo per ripensare agli avvenimenti della giornata. E naturalmente abbandonarmi alle mie amate fantasticherie nonché ai sogni, sia quelli notturni che ad occhi aperti. Mi servirà non solo per riconoscermi in questo periodo turbinoso di cambiamenti, ma soprattutto per la mia arte. Come la intendo io, lo stile di un artista dev’essere sempre in evoluzione. Per questo è essenziale conoscere la propria interiorità in trasformazione e cogliere l’attimo fuggitivo. Avevo deciso di andare a Parigi già molti mesi fa. Mi servivano soldi, molti di più di quelli offerti generosamente da mio fratello Vincenzo. Fortunatamente nei miei lunghi soggiorni prima a Roma, poi a Firenze e quindi a Milano, ero riuscito a vendere alcuni quadri e avevo racimolato una bella sommetta. Che purtroppo venne decurtata dai ladri, in albergo, proprio in quest’ultima città.

    Così, per il viaggio a Parigi m’erano rimasti solo 150 franchi. E solo il treno me ne costava 100!

    Incominciava tutto all’insegna della sfortuna.

    Dopo un viaggio fracassone sui sedili scomodi di terza classe, il treno partito da Torino finalmente è arrivato alla stazione di Parigi. Mancava poco al tramonto del sole.

    L’omnibus mi ha poi scaricato alla fermata Place de Montparnasse.

    «Eh bien mon cher italien, vous êtes arrivés. Et voilà

    Non ho neppure fatto a tempo a scendere dal predellino che il vetturino mi ha lanciato il borsone scolorito che stavo dimenticando sul sedile.

    «Mercì beaucoup!» ho esclamato allora d’istinto, soddisfatto per essere riuscito a esprimere il mio ironico ringraziamento. L’ho imparato solo poco prima, alla stazione, quando ho dato una moneta al facchino. Tale è stata la felicità di trovarmi finalmente a Parigi da non curarmi assolutamente di quei modi bruschi: il vetturino avrebbe infatti potuto almeno lanciarlo in direzione delle mie mani.

    L’omnibus si è poi allontanato con tutte le facce dei viaggiatori divertiti alla scena della borsa scaraventata per terra; fuoriusciva di tutto, maglie più mutande e calzini, pigiama, due camicie, molti fogli da disegno tenuti fermi dal nastro, in compagnia del contenuto prezioso della cassetta di legno. Vale a dire i tubetti dei colori, le matite, i pennelli, i raschietti, le spatole e la tavolozza. Mentre raccattavo i miei beni così indecorosamente sciorinati alla mercé dei passanti non ho potuto trattenermi dal ripetere più volte mannaggia in un breve ma convinto istante di vera rabbia.

    Dopo aver raccolto ogni cosa e rimessala nella valigia, istintivamente ho tastato la tasca della

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