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L'ottimismo del diavolo
L'ottimismo del diavolo
L'ottimismo del diavolo
E-book267 pagine3 ore

L'ottimismo del diavolo

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Info su questo ebook

Una serie di omicidi simbolici si compiono in un ristretto arco temporale. Le vittime sono tutti pazienti del dottor Daimon. Accade però, con sinistra costanza, qualcosa di sovversivo, ai limiti del magico e del soprannaturale. Alla fine, ogni nodo verrà sciolto, ma una nuova rivelazione schioccante sconvolgerà, nuovamente, tutto.
LinguaItaliano
Data di uscita7 mag 2020
ISBN9788835822684
L'ottimismo del diavolo

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    Anteprima del libro

    L'ottimismo del diavolo - Mirco Turco

    Mirco Turco

    L'ottimismo del diavolo

    2019 Tutti i diritti riservati.

    Primiceri Editore Srls

    Via Savonarola 217, 35137 Padova

    Prima Edizione

    www.primicerieditore.it

    Progetto grafico di copertina: Antonio Aristide Papa

    UUID: 3211109b-e64b-4beb-9d04-411fc50966d2

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Dedica

    Avvertenza

    PARTE PRIMA

    Capitolo I

    Capitolo II

    Capitolo III

    Capitolo IV

    Capitolo V

    Capitolo VI

    Capitolo VII

    Capitolo VIII

    Capitolo IX

    Capitolo X

    Capitolo XI

    Capitolo XII

    Capitolo XIII

    Capitolo XIV

    Capitolo XV

    Capitolo XVI

    Capitolo XVII

    Capitolo XVIII

    Capitolo XIX

    Capitolo XX

    Capitolo XXI

    PARTE SECONDA

    Capitolo XXII

    Capitolo XXIII

    Capitolo XXIV

    Capitolo XXV

    Capitolo XXVI

    Capitolo XXVII

    Capitolo XXVIII

    Capitolo XXIX

    Capitolo XXX

    Capitolo XXXI

    Capitolo XXXII

    Capitolo XXXIII

    PARTE TERZA

    Capitolo XXXIV

    Capitolo XXXV

    Capitolo XXXVI

    Capitolo XXXVII

    Capitolo XXXVIII

    Capitolo XXXIX

    Capitolo XL

    Capitolo XLI

    Capitolo XLII

    Capitolo XLIII

    Capitolo XLIV

    Capitolo XLV

    Capitolo XLVI

    Capitolo XLVII

    Capitolo XLVIII

    Capitolo XLIX

    Capitolo L

    Capitolo LI

    Capitolo LII

    Capitolo LIII

    Capitolo LIV

    Capitolo LV

    Capitolo LVI

    Capitolo LVII

    Ringraziamenti

    Dedica

    A Davide e Greta: meravigliatevi!

    La meraviglia è la radice della conoscenza. (Platone)

    Avvertenza

    Le storie, i fatti, i personaggi, le dinamiche narrate nel presente romanzo sono parzialmente vere.

    Come il resto delle cose e della vita!

    MIRCO TURCO

    PARTE PRIMA

    Tutto ciò in cui credi, esiste.

    Capitolo I

    Mi è sempre piaciuto un po’ d’ordine, almeno un apparente ordine delle cose, come per placare magicamente qualche naturale spunto di ansia. Ma la scrivania no, proprio no, non sono mai riuscito a tenerla in modo garbato. Ho una scrivania grande, forse enorme, di legno scuro e lucido, di quelle importanti e rappresentative. È un po’ fredda d’inverno, quando le temperature diventano un po’ più rigide, ma si scalda amichevolmente quando accendo, di fronte a me, il camino. È in legno massiccio, rivestito accuratamente con delle pietre bianche, un po’ polverose, ma efficaci nell’estetica.

    Poggio i gomiti sulla scrivania e consulto il marasma di carte e libri depositati, forse sapientemente o vanamente. Assaporo un sigaro, un Toscanello, aroma fondente o selezionato. Ne ho provati di più costosi, Cohiba, Montecristo, ma preferisco il primo … più autenticamente economico, ma al contempo, graziosamente soddisfacente.

    Il fumo, di tanto in tanto, riempie la stanza e vago tra uno, due, mille pensieri e propositi, mentre ascolto soddisfatto il tiepido rumore del sigaro che si consuma progressivamente tra le mie boccate meditative. La punta arde di calore, si alimenta ossessivamente e con costanza quasi effettuosa, la cenere cade, monotona, sulla scrivania.

    Mi accarezzo la barba. Mi piace quella sensazione sotto la mano sinistra e il rumore alchemico, lezioso che ne deriva. Mi da l’aria di una persona sensata, rispettosa, arguta e, ovviamente, narcisista.

    Mi giro sulla destra e scorgo uno, due, tre, cento altri libri letti o che coraggiosamente ancora aspettano d’essere valorizzati. Mi lascio ispirare, a volte. Altre volte, proprio non funziona! Il piano più basso della libreria in legno, con i suoi tomi e fogli di appunti, progetti, relazioni; il secondo, più colorato, con riviste d’arte e altri inganni; gli ultimi quattro, un po’ pesanti, tra testi di psicologia, psichiatria, neuroscienze, criminologia e ipnosi.

    Il mio muro preferito, quello posteriore, che mi ricorda, mi incoraggia, mi rincuora e mi motiva, tra crest militari d’altri tempi e altre giovanili esperienze e attestati o certificati di merito, di competenza. Diplomi e onorificenze che, d’un tratto, solcano indelebilmente e impietosamente il tempo trascorso e tiranno.

    Il sax, poggiato su una vecchia panca militare, acquistata in un atavico negozio di un saggio antiquario locale, fa capolino, di tanto in tanto, come se volesse suggerirmi altre melodie. Mi fa compagnia quando fantastico, immagino, coltivo il nulla, nel sobrio piacere del nulla … Mi resetto, come se ne avessi un naturale e periodico bisogno o una grande umana necessità.

    La musica, arguta, penetra quasi tra le vene, la sento mia, pur se mai alcuna scuola ho frequentato, eppure … la conosco, forse, da sempre! Un massaggio cerebrale distende i nervi delle braccia muscolose, la schiena dolente, il collo, le gambe che tanti chilometri hanno consumato e i piedi scalzi che, distesi su un discreto cuscino di velluto rosso, a terra, giocano incrociandosi.

    Capitolo II

    Suonano alla porta. Il campanello va cambiato , penso tra me e me. È un suono terso, sinistramente indeciso. Mi alzo, con la stessa impetuosa veemenza di una creatura svegliatasi traumaticamente da un forzato letargo. Indosso le scarpe di tela azzurra. Siamo in inverno, ma fa ancora caldo. So che è una paziente. Sempre puntualmente in ritardo di 5 minuti … È proprio vero che la percezione del tempo è soggettiva!

    Attraverso noncurante il piccolo giardino, ma i profumi intensi di cinquefoglie e di mirto, irrompono prepotentemente nel mio sistema olfattivo. Nel piccolo tragitto, accarezzo una pianta di biancospino e i piccoli rami giocano timidamente tra le mie dita, mentre la pianta di rosa sembra soffiarmi un discreto pensiero.

    Mi avvicino alla porta. Sento il respiro già affannoso dall’altro lato. Apro la porta chiusa da una sufficiente mandata di chiave.

    Come stai …?

    Come devo stare? Risponde.

    Come puoi, replico d’impeto, con il mio solito tono semiserio, ricordando con voce più convinta che, tra sventure e avventure, diceva qualcuno, la vita è troppo importante per prenderla sul serio!

    La signora Sunrise sorride. Penso: è già qualcosa!

    Ah, le sue piante sono sempre in forma! esclama la signora.

    Colgo una nota di sarcasmo. " Beh, forse si trovano a loro agio, dopo aver conquistato un certo equilibrio", dissi. " E poi, fanno bene all’anima."

    Certo, dottore, ha sempre la battuta pronta! E comunque, grazie a lei ho imparato a sorridere …

    Sogghigno compiaciuto, indicando alla signora di accomodarsi, mentre osservo ossessivamente la classica andatura stanca, appesantita dai chili di troppo e dalla vita.

    Ho sempre pensato che sorridere facesse bene alla salute. " Se sorride di un problema può anche affrontarlo cara signora", continuai.

    C’è poco da sorridere nella mia vita, replicò.

    Si accomodò sulla bassa poltrona di pelle marrone, calda d’estate e fredda d’inverno e io la seguii sulla mia di color bordeaux intenso, in legno e pelle. La ascoltai …

    "Quando ero molto piccolina, all’asilo, piangevo spesso, non volevo stare in quel luogo educativo o pseudo educativo. Mi rifiutavo di giocare con gli altri, come se fosse un obbligo, una prescrizione, qualcosa che occorre necessariamente fare. Rimanevo spesso da sola, in un angolino, in piedi e con il panierino rosso in mano, sempre chiuso. Mi rifiutavo anche di fare merenda e continuavo a piangere finché non venivano a prendermi. In fondo, sono stata una pecora nera, così come papà mi definiva, ma forse, si è sempre sbagliato. Forse!

    Io, invece, dall’alto della mia saggezza infantile, notavo velate o marcate differenze nel trattamento educativo. Percepivo malvolentieri, infatti, le ripetute coccole che mio padre rivolgeva a mio fratello e soprattutto a mia sorella. Chissà perché i genitori ignorano che i bambini assorbono e percepiscono tutto! Forse non ho mai compreso il mio vero ruolo, o me lo hanno affibbiato nel corso del tempo.

    Sono cresciuta, quindi, con questa acre consapevolezza o convinzione, tanto che mi sono ritrovata anche ad odiare mio padre e a provare tanto, tantissimo risentimento nei suoi confronti e una consequenziale e ovvia invidia nei riguardi di mia sorella."

    Normali vicissitudini, pensai in quegli istanti, annotando qualche brevissimo appunto sul mio taccuino.

    Lei riusciva sempre a fare la cosa giusta e io, ovviamente, quella sbagliata!

    Aggiunsi discretamente: "occorre imparare, signora, con l’implacabile tempo, che i genitori non possono donarci ciò che non hanno! D’altra parte, è anche valido per tutti noi …"

    Annuì, continuando in quella che sembrava una vera catarsi. " Mi ritrovavo, così, frequentemente, ad imitarla, nelle movenze, nell’abbigliamento e negli atteggiamenti. Il risultato fu scarso, ovviamente. Chi potrebbe accontentarsi di un surrogato di qualcun altro?

    Il lavoro fuori nazione di mio padre durò poco. Ritornò per amore della famiglia, nella convinzione che l’unione facesse realmente la forza. Dopo circa tre anni la situazione economica migliorò e riuscimmo a prendere in affitto una casa, tutta nostra. Erano gli anni ’60. Gli anni del boom economico.

    Ora i ricordi sono più nitidi, la casa in cui andammo ad abitare era proprio accanto alla mia scuola elementare, la scuola … Casa e scuola erano talmente vicine che io, se pur piccolissima, avevo la possibilità di andarci da sola, senza essere accompagnata da qualcuno. Che sana o insensata follia dei tempi! Quel qualcuno, non poteva certo essere mia madre.

    Da quello che mi hanno sempre raccontato, ho dedotto, sin da subito, sapientemente o incresciosamente, che tutti i problemi di salute di mia madre sono scaturiti dall’indebolimento organico per una fortissima emorragia successiva alla mia nascita."

    Crescere con tale percezione, convinta o meno che sia, non è affatto semplice né banale, ma penso che segni, indelebilmente, le prime importanti pagine dell’ esistenza e forse, anche tutto il resto …

    "Mamma si ammalò di quello che chiamavano esaurimento nervoso, con depressione e insonnia che non riuscivano a curare con alcun farmaco o magia ma solo con terapia electro-shock, o elettroconvulsivante, come se il nome diverso potesse cambiarne la sostanza o accarezzare il mio flebile animo in formazione.

    Per me, quella terapia, come altre, forse, peggiorava solo il tutto. Ma in fondo, io non ero un medico, ero solo una piccola fanciulla. Immagino che sappiate, dottore, come questa macchina infernale possa funzionare", aggiunse con sguardo spiritato.

    "Con il tempo, documentandomi, ho solo avuto conferma, di quanto orripilante fosse."

    Essa prevede il passaggio per breve durata, tra 0.1 e 0.8 secondi, di corrente elettrica alternata con un voltaggio tra i 110 e i 140 volt, mediante due elettrodi posti simmetricamente sulla cute delle regioni fronto-temporali o tramite un elettrodo al vertice della teca cranica e uno in regione temporale.

    " Di solito, le veniva praticato 2,3 volte alla settimana per un numero di 12 applicazioni. Si diceva potesse funzionare per curare alcuni disturbi psichici … ma i problemi che ne derivavano, forse, erano peggiori: danni miocardici, vasculopatie cerebrali, disturbi della memoria, … Ahh quanto avrei voluto perderla io … la memoria!

    Beh, oggi, con i farmaci, le cose forse sono mutate, forse. È strano che però si curino con dei farmaci gli effetti collaterali di altri farmaci! Ma questa è un’altra storia … una storia che avrei voluto vivere, una storia che forse vivrò in altri tempi, in altri spazi, in altre sembianze spero differenti da quelle della mia povera vita terrena."

    Rimanevo ad ascoltare la signora, sintonizzandomi completamente con le sue tonalità emotive. Tale premessa mi parve chiara quando continuò a parlare.

    Perché le racconto questo dottore? Perché altrimenti non sarebbe credibile ciò che racconterò adesso, aggiunse con rabbia.

    All’età di 6 anni, in prima elementare, marinai la scuola. Pur di non andare dove non mi piaceva stare, esattamente come per l’asilo, una mattina, invece di varcare il portone, proseguì quella stessa lunghissima strada ed arrivai, consapevolmente o sinistramente guidata da qualcosa, al cimitero!

    Spiegò che quello era il solito tragitto facilmente raggiungibile e l’unico posto dove pensava che non l’ avrebbero scoperta.

    " Una volta entrata nel viale del cimitero, ne respirai l’aria. Sembrava familiare. Il vento timido, mi accarezzava. Mi accorsi che ne avevo quasi bisogno, ma al tempo stesso, cominciai a sentirmi spaurita. Mi affiancai ad un gruppo di persone chiedendo loro se potessi seguirle perché dovevo andare a trovare i miei nonni.

    Quelle persone non si chiesero come mai una bambina della mia età si potesse trovare, da sola, di prima mattina al cimitero … non se lo chiesero perché dovevano recarsi presso la camera mortuaria per la tumulazione di un parente. Mi ritrovai così in quella tetra stanza ed assistetti alla saldatura della bara.

    Una grande e crudele illuminazione come bambina. Una sapida rivelazione per me scoprire che i morti vengono chiusi, rinchiusi o segregati. Una strana sensazione sapere che i morti non possono muoversi più, non ritornare più. Non era forse vero che vanno in cielo e rimangono sulle nuvole, osservandoci cautamente dall’alto della loro nuova esistenza?

    Rimasi confusa e con un’aria ovviamente turbata e decisi subito di allontanarmi da quel posto e da quella gente che, ovviamente, aveva altro a cui pensare.

    Guadagnai la strada del ritorno a scuola. Alla maestra raccontai che ero andata con la mia mamma a comprare le scarpe e per questo ero arrivata più tardi.

    Mai nessuno ha scoperto quello che avevo fatto né mai l’ho raccontato per oltre cinquant’anni! Forse, dottore, è giunto il momento. Ma il seguito fu differentemente perverso …" continuò.

    " Colsi, da quel momento, che il mio spirito si era abbandonato alla condanna, una condanna del male!"

    La fatidica ora del colloquio si esaurì subito. La signora Sunrise ne aveva consapevolezza e con estremo garbo si alzò ringraziandomi.

    Ora pensi agli altri pazienti, verrò la prossima settimana, se è disponibile. Aggiunse con tono dimesso.

    La congedai annotando in agenda il prossimo appuntamento, senza farle altre domande e senza commentare in alcun modo. Non volevo turbare lo spirito di quegli istanti … La curiosità, a volte, va frustrata!

    Capitolo III

    Arrivò di sera tardi una telefonata. Era un venerdì di fine mese. Il numero anonimo. Solitamente decido di non rispondere dopo un certo orario. La mia nota inflessibilità, quella sera, forse riposava, o un certo sesto senso fece, impertinente, capolino.

    Era un ragazzo al telefono, un certo Asmodeo. Diceva di essere preoccupato da alcune strane fissazioni. Dissi, con garbo, che anche io avevo le mie e replicò con un veemente scatto misto tra rabbia e profondo scoramento: " io però non dormo la notte!"

    Lo lasciai parlare per pochi minuti, quel tanto da assaporare le sue corde vocali e le consequenziali tonalità emotive e fissai l’appuntamento per il giorno seguente. Ho un orecchio molto sensibile o forse le mie abilità sinestesiche irrompono prepotentemente. Non so.

    Quando una persona parla, anche tramite telefono, quindi a distanza, la percepisco, noto le sensate o insensate sfumature, ne colgo l’armonia o la distonia cromatica. Le parole hanno un saggio colore.

    Non credo, di solito, alle urgenze improvvise. Non sono un pronto soccorso, né posso accogliere o salvare persone in preda ai vari raptus! Continuai a pensare. A volte, se non fossi come sono, non potrei fare quello che faccio!

    Citofonò con qualche minuto d’anticipo. Lo feci aspettare quel tanto che mi serviva. Alto, magro, pallido in viso. Camminava in maniera incerta, inconsueta. Tra me e me, d’istinto, pensai che poteva essere omosessuale o che avesse qualche malattia venerea. Ovviamente, non feci queste considerazioni solo in base a come deambulava. A volte, in un ambiente, entrano prima i nostri ormoni e poi, il resto. Siamo animali, in fondo!

    Testa china, quasi sottomesso, chiese dove si potesse sedere.

    Replicai: " dove vuoi!"

    Rimase in piedi per qualche altro secondo, guardandosi intorno e procrastinando la scelta.

    Scegliere la sedia è sempre cosa ardua, pensai con espressione compiaciuta, e non solo in uno studio professionale.

    Scelse finalmente la poltroncina di velluto marrone situata accanto alla mia. Strano, mi sarei aspettato la sedia di fronte alla scrivania. Mi sembrava troppo indifeso per quella scelta. Sorpreso, domandai:

    … qual è la motivazione che ti ha spinto a venire da me?

    "Ho saputo che pratica l’Ipnosi …" disse, tra lunghe pause e convinte indecisioni.

    Mhmm … mi capita, qualche volta! Conosci l’ipnosi? Dissi.

    Ho letto qualcosa e sarei interessato, continuò.

    Ad ipnotizzare qualcuno? Replicai con il mio umorismo d’impeto.

    Il ragazzo sorrise, a metà tra il faceto e l’impaurito, poi, ulteriore silenzio …

    Vorrei riuscire a scoprire qualcosa in più su una specie di ricordo che ho … quando ero più piccolo … riguarda una mia zia, disse Asmodeo.

    Chiesi: " a quale specie appartiene il tuo ricordo? A quelli belli o …" Consapevolmente, non completai la domanda. Amo che la gente continui le frasi o le domande in questo caso. È una sorta di non sequitur, con lo scopo strategico di creare una certa confusione utile per veicolare messaggi nascosti.

    Rispose di non sapere in realtà.

    Continuai: " … invece, nella fantasia? Sai, a volte, i ricordi sono un po’ strani … conosco persone che hanno una memoria davvero particolare … altri che dimenticano di averla. Che bella cosa, alle volte!"

    Il ragazzo assentì ancora in preda alla sua innata timidezza. Poi, continuò: " Ho una specie di fissa … ricordo mia zia che gioca con me e poi ho l’immagine di me su di lei. Il problema è che questo ricordo mi genera insicurezza, indecisioni, a volte, penso di essere omosessuale e penso di muovere le mani in modo, appunto … femminile!"

    "Beh, interessante …", replicai compiaciuto.

    " In che senso?" Rispose subito, quasi infastidito. Specificai, ingenuamente incuriosito: " com’ è muovere le mani in modo femminile?"

    "Le persone possono muovere le mani in diverso modo … maschile, femminile, maschile e femminile, femminile e maschile … unisex … boh … sarebbe interessante …

    … come è, invece, muovere le mani in modo maschile?" Chiesi con intonazione differentemente tranquilla.

    Mhmm … in effetti … mhmm …, rispose perplesso e confuso.

    Comunque, questo muovere o smuovere … come ti fa sentire? Continuai … scegliendo argutamente

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