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Il dono della diversità
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Il dono della diversità
E-book110 pagine1 ora

Il dono della diversità

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Info su questo ebook

Perché Il dono della diversità? Semplice. Perché credo fermamente che la diversità debba essere celebrata ogni giorno, ora, attimo
della nostra vita come un regalo (l'Autore).
LinguaItaliano
Data di uscita14 gen 2021
ISBN9791220251181
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    Anteprima del libro

    Il dono della diversità - Alessandro Ghebreigziabiher

    VITA RACCONTATA

    Il dono della diversità

    © 2013/2021 Alessandro Ghebreigziabiher

    © 2013/2021 Tempesta Editore

    I edizione cartacea 15 gennaio 2013

    Vita Raccontata

    ISBN cartaceo 9788897309345

    Tempesta Editore

    via Nicola Catena, 11 - 00069 Trevignano Romano

    www.tempestaeditore.it

    info@tempestaeditore.it

    cell. 3401415842

    Alessandro Ghebreigziabiher

    Il dono della diversità

    Prefazione di Daniele Barbieri

    A Cecilia, Luca ed Ema

    Quando a tirare i dadi è Alessandro

    Prefazione di Daniele Barbieri

    Un portavoce dell’Onu riferisce all’Ansa (11 maggio 2000) che in Sri Lanka l’esercito ha ucciso duemila civili e fra loro cento bambini. Un giornalista, io ad esempio lo sono stato per molti anni, se fosse bravo cercherebbe di capire le radici di questa tragedia e se avesse tempo proverebbe a fare i nomi dei responsabili.

    Alessandro Ghebreigziabiher invece è un narratore, un rabdomante di storie. Il dramma di quei bambini, di quelle bambine, per lui significa immaginare che ognuna/o di loro racconti il suo motivo per non voler morire. Una fantasia, certo, ma in questo modo possiamo sapere qualcosa di loro, diventano più vicini a noi invece di restare i numeri freddi di una terrificante statistica.

    Fra quei Cento motivi per non morire c’è uno (il numero 45) che mi appartiene più di altri: non voglio morire Perché mi piace ascoltare le storie. Ed è questo che rende così preziose le persone come Alessandro: loro raccontano, scovano, cesellano, a volte inventano storie e ce le regalano. Nel tempo degli effetti speciali e degli orologi che ti mordono i polpacci, c’è ancora molta gente che quando incontra un vero narratore, una narratrice autentica resta lì, oltre l’orario previsto e non se ne vuole andare.

    Alessandro Ghebreigziabiher sa scriverle e sa raccontarle. Dal vivo l’ho sentito, per ora, una sola volta (era con sua moglie, Cecilia Moreschi) in Nostro figlio è nato a incantare e commuovere il pubblico con una storia vera fra Iraq e Francia. Parole scelte con cura, gesti al minimo, un filo di musica e suoni. Credo che molte delle persone quel pomeriggio abbiano vissuto, come me, un’esperienza indimenticabile.

    Importa che le vicende siano davvero accadute? Sì, se lo si afferma; no, se invece si gioca sui tanti sentieri dell’immaginazione. Se il maestro che deve fare i conti con i simboli religiosi, lo incontrerete qui, esiste davvero è importante che capisca i bisogni dei grandi, le definizioni esatte, i contesti storici ma ancor più vitale è che comprenda i sogni dei bambini. È più improbabile che a Vicenza un venditore di rose sia multato per 5164 euri (o euro, come dicono altri) o che due bimbi legati da mille fili (Hassan e Said) possano trovarsi divisi dalla burocrazia? È meno vera la casa-mondo della fantasia di Alessandro che la reale scuola Carlo Pisacane di Roma? L’altro giorno ero lì, proprio in quella scuola, concreta e bella, ad ascoltare Andrea Satta (dei Tetes De Bois): cantante, scrittore e anche lui costruttore di storie. Girando nei corridoi in festa vedo che alcune classi si chiamano Miriam Bakeka o Iqbal Masih.

    Pensavo al libro di Alessandro, questo che ho letto in anteprima (alcune storie le conoscevo e amavo già), e così, per un attimo, ho giocato a dirmi che forse Alessandro era passato di lì e aveva ribattezzato le aule. Invece no: ci sono in giro un po’ di Ghebreigziabiher per fortuna... ma ne servirebbero altre/i.

    Tornando dalla Pisacane il mio tram è passato in una piccola galleria all’inizio della via Prenestina. Qualcuno (o più probabilmente qualcuna e il cambio di una vocale è importantissimo a volte) aveva scritto su un muro a grandi caratteri: Per ogni donna stuprata e offesa facciamo un. Finiva così. Ho pensato, cioè mi sono inventato una piccola storia, che le ragazze fossero state interrotte da un’auto della polizia e non avessero terminato la scritta. Subito dopo ho elaborato una variante: invece no, l’avevano lasciata così apposta. Per costringerci a pensare: cosa facciamo (dovremmo fare) per ogni donna stuprata e offesa? Insomma toccava a noi mettere una parola dopo il facciamo un. Un corteo? Un’assemblea con le persone che conosciamo? Una protesta contro certi giudici, poliziotti, servizi sociali, giornalisti, politici che minimizzano o ignorano? Oppure l’un o una migliore da fare... io non riesco ancora a pensarlo e devo sforzarmi, magari chiedendo aiuto anche a voi. Ditemi: facciamo cosa? Da 24 ore dunque cercavo in un angolo della mia mente l’un(a) da fare; proprio allora ho letto per la prima volta una storia di Alessandro che, come quella dello Sri Lanka, parte da una piccola notizia, di quelle che quasi sempre sui giornali sono brevi, quasi invisibili e invece dovrebbero essere titoloni: In Congo ogni giorno 1152 donne vengono violentate, 48 ogni ora. Alessandro, da narratore, mi ha dato una delle risposte possibili, credo che piacerebbe alle autrici della scritta interrotta: ognuna di quelle 48 donne congolesi ha un nome, una storia. Noi dobbiamo cercarla e poi narrarla, ricordarla.

    A volte si racconta per piacere, altre per necessità. Per amore, oh sì. Per meglio capire. Per fare addormentare bimbe e bimbi. Per magia. Perché la kora di un griot ha raccolto in mare (come in Undici di Savina Dolores Massa) gli ultimi momenti di vita di undici ragazzi che volevano migrare.

    A volte si narra persino per vendetta. Mi è capitato da poco di sentire Sandro Portelli, ecco un altro rabdomante di storie, dire, a proposito delle schifezze di Rodolfo Graziani e del colonialismo italiano, in un’assemblea «Come si dice vendetta in cinese? Si dice: racconta la storia a cinque famiglie. Ecco, il nostro lavoro di memoria è questo».

    Quasi sempre Alessandro Ghebreigziabiher preferisce il registro ironico e paradossale ma a volte intuiamo che mentre scriveva i suoi occhi erano pieni di lampi o di lacrime. Proprio come i miei mentre attraversavo, stupito e ammirato, le pagine di questo libro/viaggio.

    A novembre, nel blog che con altre/i animo, ho scritto che io, appassionato di fantascienza, mi ero fatto sfuggire (per 6 anni e 2 mesi circa) Il primo romanzo scritto da un extraterrestre ovvero Il poeta, il santo e il navigatore dove l’alieno è un amico, ma voi siete libere/i di fantasticare che

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