Il cinema ve lo imparo io. Critiche di un mafioso
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Anteprima del libro
Il cinema ve lo imparo io. Critiche di un mafioso - Enrico Antonio Cameriere
© goWare 2015, Firenze, prima edizione digitale italiana
ISBN: 978-88-6797-420-7
Redazione: Marco Rosati
Copertina: Lorenzo Puliti
Sviluppo ePub: Elisa Baglioni
goWare è una startup fiorentina specializzata in digital publishing
Fateci avere i vostri commenti a: info@goware-apps.it
Blogger e giornalisti possono richiedere una copia saggio a Maria Ranieri: mari@goware-apps.com
L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti dei brani riprodotti nel presente volume.
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Presentazione
Cosa può fare un povero e annoiato latitante in un piccolo appartamento, obbligato a convivere con un altro mafioso, un orsacchiotto di peluche e una bambola gonfiabile? Si dà al cinema e decide di registrare delle critiche su alcuni film, per metterle in rete.
Tutti i classici del cinema visti attraverso gli occhi perfidi e ingenui di un maldestro latitante. Le sue esilaranti reinterpretazioni di Psyco, La finestra sul cortile, L’esorcista, Taxi Driver, Apocalypse Now, ET, Blade Runner, Titanic, Kill Bill, Django Unchained e tanti altri. Amore per il cinema e divertimento nel mondo semplice e primordiale di Sasà Quattrone. Satira corrosiva senza sconti per nessuno. Siete sicuri di avere capito il vero senso dei film più famosi? Sentite le critiche di Sasà e ve ne renderete conto.
* * *
Enrico Antonio Cameriere nasce a Reggio Calabria nel 1961. Lavora nel campo pubblicitario, documentaristico e cinematografico con Amelio, Zetterling, Bertolucci e altri. Vince numerosi premi nazionali per poesie, racconti, fotografia e satira. Pubblica diversi libri e collabora con Spinoza e altri siti. Nel 2010 sono messe in scena due sue commedie brillanti: Padrini padani e Casa padrini padani.
Introduzione
Ma quanto ci vuole? Micu aveva detto che non era distante, a me mi staci pigghiando un infarto
fece Sasà, basso, grosso, sulla quarantina, con due grossi baffi che gli scendevano sulle labbra. Avanti a lui, Turi, più o meno stessa altezza, ma di corporatura regolare e naso pronunciato. Erano per strada, appesantiti da voluminosi bagagli. Arrancavano sbuffando.
Ci vuole quello che ci vuole, possibili che ti lamenti sempri? Lo sai che dovevamo facci la latritanza a Milano per via dell’Expo, ma pensa che almeno avremo da mangiare
.
Io già fame ho adesso...
.
Poi sei tu che ti sei fissato che il covo ce lo dovevamo fare in Via Craxi
.
Ma se non ci facevamo una ddedica al maescio della latritanza, a chi ce la dovevamo fare?
.
Allora finiscila di lamentarti!
.
Anche Pascaleddu si ha stancato...
disse Sasà indicando l’orsacchiotto che teneva in braccio.
Ma se è un peluscio...
.
E che lo vieta il dottore ai pelusci di stancarsi? Anzi, me lo sono dovuto pure pigghiare in braccio... Poi la fai facile tu, che Gennifèr la tieni sgonfiata nella valigia!
.
Lassa stari a Gennifèr, neanche la devi nnominare. Comunqui, lo vedi quel palazzo grigio? Là dobbiamo andari. E rricoddati di non fare minchiate al solito tuo
.
Io non ne faccio di minchiate!
rispose irritato Sasà.
E allora quando nel covo di Roma hai messo il nome sul citofono?
.
Era per quello delle pizze, altrimenti come ci trovava per portarcele?
.
Tu sei tutto cretino, Sasà, te lo dico sempre, noi siamo in incognito, tu dacci un nome finto, casomai ci mettiamo il primo nome che ti viene in mente...
.
Allora ci scriviamo ‘Turi Campolo’
.
Ma sei critino tutto? ’Nci vuoi mettere il mio nomi?
.
È il primo che mi è venuto in mente, si vede che bene ti vogghio!
.
Mettiti in testa che attenti dobbiamo stare, non che apri quando suonano...
.
E che sono cretino? Magari è un venditore degli spirapolbiri Folletti
.
Sì, ora...
.
Ah, è per i testimoni di Geova?
.
Mi dovevo fare mandare in latitanza con Cammine Menzapurpetta, non cu tia. Ah, meno mali, siamo rrivati!
disse Turi indicando un portone verde poco distante.
Vidi, Pascaleddu? Siamo arrivati, smettila di lammentarti!
.
Salirono le scale fino al terzo piano, senza dire una parola. Sasà aveva il fiatone e faceva anche il verso di Pascaleddu. Arrivarono davanti una porta marrone. Entrarono e chiusero bene la porta. Entrando c’era un soggiorno con un divano a tre posti, una poltrona e un televisore. Su questo ambiente si affacciavano la cucina e un corridoio che portava alle due stanze da letto e al bagno.
Adesso, Sasà, nessuno deve sapere che siamo qui dencio, capito? Basta minchiate!
.
E con chi devo parlare? Solo con te, Pascaleddu e Gennifèr...
.
Il piccì!
.
Salute!
.
Non stavo starnutendo, critino. Dicevo, non fare il fesso col computer. Non iniziari al solito
.
No, eccerto, Turi, lo so che si pigghiano i virus in rete. Io quando sto al compiuter mi metto sempre la cuffia della piscina in testa e i guanti per lavare i piatti, così virus non ne pigghio di cetto
.
Tu i virus li hai pigghiati da piccolo in testa, e per quelli non ci sono rrimedi. La medicina per la stortìa non l’hanno ancora inventata. Non devi farti riconoscere quando stai su Feisbuc!
.
Va bene, mi metto anche la calza calata in testa, quando scrivo su Feisbuc. E poi non parlari a voci alta, che Pascaleddu dormi, che l’hai fatto stancari...
.
Adesso, però ci sistemiamo. Sasà sono stanco anche io
.
Turi andò nella stanza da letto, a disfare i bagagli. Sasà accese un computer sistemato su un tavolino. Cominciò a girare per la rete.
Mi sembrava che non ti mettevi al computer...
disse Turi, ritornando nel soggiorno.
Ma non eri stanco? Comunqui mi devo spassare il tempo, che qua chi ti sopporta...
.
Magari io devo sopportare a te...
.
Ah, Turi, ma l’hai gonfiata a Gennifèr?
.
No, perchè?
.
Iè tutto in disordini, gonfiala e poi dicci di mettere a posto e di passare con lo straccio i pavimenti
.
Sasà, sei tutto cretino, quella è di plastica!
.
Megghio, così la polvere non le si ’ppiccica di sopra
.
Sasà tu hai un quoziente intellettuale di zero tagliato! Fammi andare a mettere a posto...
.
Turi ritornò nella camera da letto a sistemare i vestiti nell’armadio, con precisione e meticolosità. Poi andò in cucina a controllare la dispensa.
Don Totò iè sempre ngarbato, Sasà
fece da una stanza all’altra. Ci ha fatto ciovare pentole di tutti i generi e da mangiari e bere, ma tanto tu te la cavi a cucinare, vero?
.
Se me la cavo? Io ho fatto il Mastescief a Rebibbia, che ’nc’era carcerato Rino Naschiadiferru che iera un cuoco con i controfiocchetti
.
E vuoi che me lo dimentico?
.
"Mi ha imparato a cucinare che a Don Totò adesso ’nci piace solo la pammigiana che ’nci faccio io, modesto a parlando. La faccio in padella, ci metto l’agghio tagghiato con la lametta, che