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Boundless – Synthesis
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E-book298 pagine4 ore

Boundless – Synthesis

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Info su questo ebook

Dopo il grande successo di Boundless, ecco il nuovo avvincente capitolo della saga: Synthesis.

Sono trascorsi quasi trent’anni dall’impresa eroica di Chen Ximen e dei suoi amici, giunti fino agli estremi del sistema solare con l’astronave Explorer.

Ora il coraggioso pioniere è gravemente malato, mentre l’esplorazione spaziale non desta più interesse per la crescente potenza delle spietate multinazionali del farmaco, che usano lo spazio solo per i loro progetti di biologia di sintesi, a caccia di nuove e lucrose fonti terapeutiche. Dalla Terra a Nettuno, lo scontro fra queste sarà senza esclusione di colpi e coinvolgerà in pieno gli eroi della Explorer, alla ricerca di un segreto che il solo Ximen potrà svelare.

Ricco di suspense e colpi di scena, slanci di generosità e calcoli economici senza scrupoli, amicizie e tradimenti, Boundless – Synthesis è un fantathriller adrenalinico, un monito contro chi lucra sulla salute della gente, un libro di denuncia sociale che esplora le frontiere di astronomia e biologia in un mix esplosivo.
LinguaItaliano
EditoregoWare
Data di uscita6 lug 2015
ISBN9788867973842
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    Anteprima del libro

    Boundless – Synthesis - Gianlorenzo Casini

    © goWare 2015, Firenze, prima edizione digitale

    ISBN 978-88-6797-384-2

    Copertina: Lorenzo Puliti

    Redazione: Monica Rocca e Stefano Cipriani

    Sviluppo ePub: Elisa Baglioni

    goWare è una startup fiorentina specializzata in digital publishing

    Fateci avere i vostri commenti a: info@goware-apps.it

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    a Maria Ranieri: mari@goware-apps.com

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    Presentazione

    Dopo il grande successo di Boundless, ecco il nuovo avvincente capitolo della saga: Synthesis.

    Sono trascorsi quasi trent’anni dall’impresa eroica di Chen Ximen e dei suoi amici, giunti fino agli estremi del sistema solare con l’astronave Explorer.

    Ora il coraggioso pioniere è gravemente malato, mentre l’esplorazione spaziale non desta più interesse per la crescente potenza delle spietate multinazionali del farmaco, che usano lo spazio solo per i loro progetti di biologia di sintesi, a caccia di nuove e lucrose fonti terapeutiche. Dalla Terra a Nettuno, lo scontro fra queste sarà senza esclusione di colpi e coinvolgerà in pieno gli eroi della Explorer, alla ricerca di un segreto che il solo Ximen potrà svelare.

    Ricco di suspense e colpi di scena, slanci di generosità e calcoli economici senza scrupoli, amicizie e tradimenti, Boundless – Synthesis è un fantathriller adrenalinico, un monito contro chi lucra sulla salute della gente, un libro di denuncia sociale che esplora le frontiere di astronomia e biologia in un mix esplosivo.

    * * *

    Gianlorenzo Casini è nato nel 1974 ad Arezzo, dove vive e lavora. Nel 2000 si è laureato in Ingegneria elettrotecnica presso l’Università degli Studi di Pisa.

    Disabile visivo, è centralinista presso la Direzione Territoriale del Lavoro, ma se gli occhi hanno evidenti limiti così non pare per la sua immaginazione, né per il desiderio di comporre.

    La scrittura è la sua grande passione, che coltiva con costanza da dieci anni.

    I problemi concreti di questo mondo globalizzato costituiscono la base di partenza delle sue opere, nelle quali l’attento ascolto del sociale si combina con le conoscenze universitarie e con il suo grande interesse per le scienze e l’astronomia. Con goWare ha pubblicato nel 2014 Boundless.

    Introduzione

    28 giugno 2167

    1

    Ricardo Texeira uscì soddisfatto dal settore privato del piccolo jet che lo stava conducendo da Los Angeles a Melbourne. Rifletté sul fatto che essere il presidente della Synbiomed, una delle più potenti multinazionali in campo farmaceutico, di sicuro aveva i suoi vantaggi.

    Un lussuoso jet dotato di ogni comfort, tre hostess servizievoli pagate per soddisfare ogni sua necessità, un addetto di volo con il compito di verificare che il pilota automatico portasse a termine tutte le manovre senza inconvenienti: più che un trasferimento di lavoro era una vera e propria pacchia.

    Quella sera per il suo svago privato aveva scelto Sophia, una bellezza ucraina con occhi verdi e lunghi capelli biondi, un metro e ottanta di perfetta armonia, con seni non esagerati ma tondi e sodi proprio come piaceva a lui. Anche le altre due ragazze non erano da meno, ma le avrebbe prese in considerazione in un’altra occasione. Sorrise al pensiero: qualcun altro, al posto suo, avrebbe deciso di non fare rinunce, ma lui era un tradizionalista e preferiva gustarsi una sola donna per volta. Questo bastò per farlo sentire in pace con la coscienza.

    Tornato al suo posto, Ricardo scelse dal fornito bar di bordo un Dalwhinnie invecchiato 35 anni. Osservò il whisky scuro nell’ampio calice a coppa che gli veniva porto, annusò brevemente per tre volte, poi lasciò che le complesse sensazioni gustative inondassero il palato.

    Un piacevole tepore cominciò a scorrere per la gola, giungendo fino allo stomaco.

    Posò il calice sul tavolino che aveva davanti e volse i suoi occhi scuri verso il finestrino. Il vetro che lo separava dal buio della notte oceanica restituì l’immagine di un volto paffuto, con folti capelli crespi spruzzati di grigio sulle tempie e un carnato color latte macchiato.

    Si osservò con calma e si sistemò con la mano sinistra due ciuffi resi ribelli dal passatempo con Sophia. Bevuto un altro sorso di whisky, cominciò a ripassare mentalmente gli obiettivi che intendeva centrare nel suo soggiorno australiano. Doveva lottare, conquistare mercato per la sua azienda, il predominio della Titanlab poteva e doveva essere scalfito. Nonostante fosse priva dell’installazione spaziale dei rivali, la Synbiomed era pronta a far uscire nuovi prodotti, aveva il suo vaccino anti cancro che dava buoni risultati ad un costo accessibile, conduceva una costante attività di ricerca e sviluppo. La Titanlab, questo era certo, finalmente aveva un temibile competitor.

    Un’improvvisa, sinistra vibrazione destò Ricardo Texeira dalla sua meditazione. Un successivo scossone lo gettò nel panico e gli fece cadere sul raffinato intero grigio a righe quanto rimasto nel bicchiere.

    Il jet cominciò a perdere quota in maniera così repentina che una delle due ragazze presenti nel vano passeggeri finì rovinosamente a terra, mentre l’altra riuscì a fatica a mantenere l’equilibrio aggrappandosi allo schienale di una poltrona. Sophia, ancora in bagno a darsi una rinfrescata dopo lo svago concesso al presidente, cominciò ad urlare. Texeira venne catapultato in avanti, sbatté con violenza contro il tavolino e si ferì ad uno zigomo.

    Nonostante i tentativi frenetici del supervisore di volo in cabina di comando, l’aereo continuò la sua folle picchiata verso il basso, giungendo in breve ad impattare con la sua parte anteriore contro le fredde e tumultuose acque del Pacifico. Lo schianto fu terribile, ma lo scafo resse. Per brevi istanti angoscianti parve avere la portanza necessaria per restare a galla poco al di sotto del pelo dell’acqua, ma poi si inclinò di lato e cominciò rapidamente ad inabissarsi.

    I terrorizzati passeggeri si protessero come possibile al momento dell’impatto, accolsero con grida di spavento l’inizio dell’inesorabile discesa, osservarono con occhi carichi d’orrore le prime crepe che cominciavano a prodursi nei finestrini a causa della crescente pressione, mentre l’intera fusoliera scricchiolava e gemeva come se mani giganti avessero cominciato a serrarla nella loro implacabile morsa. Ben presto anche le luci d’emergenza si spensero, e l’aereo si trasformò in una buia pietra tombale che sprofondava negli abissi oceanici.

    In un attimo di lucidità prima della fine, con l’acqua che iniziava a filtrare, Texeira capì di aver osato troppo. Era un messaggio forte e chiaro alla multinazionale di cui era a capo: segnalava che alcuni limiti non erano valicabili.

    2

    Leroy Bokila salì a tre per volta i gradini delle scale che conducevano all’appartamento dove risiedeva il suo capo. Ogni volta che si recava in quel posto, non poteva capacitarsi di come Raymond avesse scelto un luogo tanto insignificante come quartier generale. D’accordo, era anonimo e dava poco nell’occhio, ma a suo giudizio c’erano centomila luoghi che rispondevano alle medesime esigenze, più affascinanti dell’ingarbugliato quartiere medioevale di Birgu, nell’isola di Malta. Sicuramente l’ascendente di Paola aveva avuto un certo peso al riguardo.

    Ecco i nefasti risultati dell’azione di una donna sulla mente di un uomo, pensò sorridendo fra sé.

    Fu proprio lei ad aprire la porta e ad accogliere il massiccio congolese nel disimpegno. A causa del caldo estivo indossava un succinto costume a due pezzi, che ne metteva in risalto i seni formosi e il corpo snello e aggraziato. Nativa dell’isola, era una tipica bellezza mediterranea, con occhi dall’intenso colore castano e capelli neri come la notte. Una croce di Malta in vetro dipinto, di un caldo color rosso cangiante, le ornava il collo e ne aumentava la sensualità. In fin dei conti, non si poteva biasimare Raymond se aveva perso la testa per lei.

    Ray è di là, ti aspetta in camera, disse Paola tagliando corto.

    Ok. C’è Emily?

    No… è fuori, a godersi il sole.

    Un colpo di tosse proveniente dalla cucina tradì la presenza della ragazza. Leroy si avvicinò alla stanza, sperando di trovarla vestita come la padrona di casa, o se possibile ancor meno. Con disappunto, la trovò ben coperta, con indosso un leggero golf di cotone a maniche lunghe di colore arancio. Le stava largo, probabilmente glielo aveva prestato Paola.

    Ciao bella. Ma non scoppi di caldo?

    Sono malata, imbecille. Ho la febbre, disse l’inglese con voce rauca.

    Anche così, con i capelli castano chiari scompigliati e il grazioso viso lentigginoso affaticato per l’influenza, Leroy non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Fu Paola a giungere in soccorso dell’amica, che aveva poca energia per mandare al diavolo lo spasimante, come invece faceva di solito.

    Bene, adesso l’hai vista e puoi levarti dai piedi. Ray ti sta aspettando con impazienza.

    Ehi, dov’è finita l’ospitalità in questa casa? Fuori ci sono trentacinque gradi, non si offre neppure un bicchiere d’acqua ad un assetato visitatore?

    Pur di levarselo di torno, Paola porse all’africano un’intera bottiglia, indicandogli il corridoio con un perentorio gesto della mano. Lui, però, tenne duro e chiese: Ma come hai fatto ad ammalarti in questa stagione? L’aria condizionata troppo forte di qualche negozio?

    Ho sognato il tuo brutto muso e mi sono alzata piena di brividi, rispose Emily con tono fiacco.

    Vedi? Stiamo facendo progressi, adesso comincio a comparire nei tuoi sogni.

    Era un incubo, cretino.

    Leroy rise, posò la bottiglia già svuotata per più di metà e finalmente si incamminò verso la camera di Raymond. Trovò il capo a torso nudo spalle alla porta, con le mani appoggiate al davanzale, intento ad osservare qualcosa giù nel vicolo. Al sopraggiungere dell’amico, chiuse la finestra, serrò la tenda e si voltò verso di lui. Pareva scuro in volto, forse si era logorato nell’attesa o semplicemente gli era mancata la sua solita passeggiata di svago sul lungomare, fra le barche del molo e i bastioni di Forte Sant’Angelo, dal quale si poteva ammirare una stupenda visione di La Valletta. Andava là ogni mattina a godersi il sole e la brezza marina. Gli piaceva un sacco ascoltare il leggero tintinnio delle barche alla fonda nel molo e spesso faceva due chiacchiere con pescatori o turisti di passaggio, oppure meditava e pensava alla storia. Si era appassionato agli eventi del grande assedio ad opera dei Turchi del 1565, respinto dai cavalieri di Rodi, da poco trasferitisi nell’isola, che assunsero poi il nome di Cavalieri di Malta. A battaglia vinta, i Cavalieri cominciarono a fortificare con l’aiuto delle potenze europee un promontorio fino ad allora disabitato, dando alla nuova città il nome di La Valletta in onore del loro gran maestro, Jean de La Vallette. Birgu venne ribattezzata in Vittoriosa, ma i Cavalieri cominciarono a lasciarla per spostarsi nei più ampi e fastosi auberges della nuova roccaforte, una città che dominava il mare dall’alto dei suoi possenti bastioni, ma dalla piacevole e raffinata architettura barocca al suo interno. Cosa tutto questo potesse insegnare al capo sugli eventi correnti per Leroy era mistero assoluto, ma dopo aver provato una volta a fare domande aveva deciso di rinunciare per evitare di dover ascoltare noiose spiegazioni storiche, che mal sopportava.

    Quei cani hanno fatto precipitare l’aereo del presidente della Synbiomed, disse Raymond con sguardo torvo.

    L’ho sentito, annuì Leroy, capendo il motivo della tensione dell’amico. Ma potrebbe cambiare il vento e non andargli sempre bene.

    Ray si avvicinò di un passo e fissò l’africano con i suoi intensi occhi azzurri, come a richiedere spiegazioni. Incuteva soggezione, con il fisico ben tornito e muscoloso, gli addominali in rilievo, la testa completamente pelata e quegli occhi indagatori. Anche il modo di parlare contribuiva a creare il personaggio: di padre tedesco e madre texana, Raymond Fiedler parlava uno stranissimo inglese, frutto dell’unione fra il biascicato effetto patata in bocca dei texani e il duro accento sassone. Sorprendentemente, nei momenti in cui era allegro prevaleva il primo, il secondo aveva la meglio quando era di malumore, come in quella mattina. In fondo, era un modo semplice per capire al volo di che stato d’animo fosse.

    Ci sono novità grosse, Raymond. Fra un mese la Titanlab farà un viaggetto verso Titano, capitanato addirittura dalla presidente Dahlberg, disse Leroy distogliendo leggermente lo sguardo. Pur essendo un metro e novantacinque per 105 chili di muscoli, più alto del capo di una spanna, faceva sempre fatica a fronteggiarlo quando lo vedeva così duro e determinato.

    Dimmi che siamo a bordo, esclamò Raymond intensificando la sua presa visiva sul volto squadrato dell’amico e sollevando le braccia per posargli le mani sulle spalle.

    È così, Ray. Grazie ai miei contatti sono riuscito a inserire fra l’equipaggio di bordo noi due, Emily e Paola. Non è stato facile, anzi si è trattato di un vero casino, ma la Titanlab ci è caduta. Si sentono fin troppo sicuri di sé e le identità digitali erano contraffatte alla perfezione. In più, per ora non ci conosce nessuno, siamo stati in gamba a rimanere nell’ombra.

    Raymond fece una faccia compiaciuta e i suoi occhi azzurri ebbero un guizzo.

    Ma ci conosceranno presto, amico mio, puoi giurarci, disse serrando più forte le spalle del congolese e accennando un sorriso. Era visibilmente contento e l’accento parve farsi più strascicato come per incanto, consentendo a Leroy di tirare un ampio sospiro di sollievo.

    E ora dove vai?, domandò l’africano osservando il capo che si preparava per uscire e s’infilava la maglietta della squadra di calcio dell’isola, capace di calamitare le attenzioni ai mondiali di due anni prima, dove era incredibilmente giunta fino ai quarti di finale dopo aver eliminato la Francia nel girone eliminatorio e l’Inghilterra agli ottavi.

    Vado a fare un giro, la mia solita passeggiata sul lungomare. Ho bisogno di pensare e di valutare la situazione. Abbiamo la nostra grande occasione, ma dovremo stare all’erta. Antenne più dritte che mai, mi raccomando.

    Questa spedizione verso Titano non ti convince, mi pare.

    Neanche un po’. Si sente puzza di bruciato per tutto il sistema solare. Si muove perfino quella iena di Dahlberg, c’è roba grossa che bolle in pentola.

    Se non è una semplice visita di cortesia, cosa c’è allora sotto?

    Aguzza l’ingegno, Leroy, non è così difficile. Probabilmente vogliono ciò che vogliamo noi, ma per finalità molto diverse.

    Subramani e le sue analisi?, chiese intimorito il congolese.

    Già. Sta diventando una patata bollente. Se dovesse completare i suoi studi sarebbero fottuti. Se tu fossi nella Titanlab, non ti verrebbe voglia di metterlo a tacere?

    I due uomini uscirono dalla stanza e si incamminarono nel corridoio. Raymond si fermò in cucina per dare un bacio a Paola e ne approfittò anche per una passata sui fianchi sinuosi e sui glutei. Lei fece finta di offendersi e si ritrasse di un passo, minacciandolo scherzosamente agitando l’indice della mano destra. Mozzava il fiato, con quell’aria di sdegno dipinto sul viso e il carnato leggermente olivastro, pelle da mangiare con gli occhi. Leroy fu meno fortunato, dato che la febbricitante Emily lo degnò a malapena di un saluto e se ne andò con la coda fra le gambe.

    Scesi nel vicolo, Raymond fece un cenno al gigante nero e si incamminò verso il porto. Stavolta fu l’africano a bloccarlo, mettendogli da dietro una mano sulla spalla, che venne comunque prontamente ritratta.

    Senti, Ray, mi chiedevo… non c’è proprio niente che si possa fare per ammorbidire Emily?

    Lo sguardo duro dell’uomo, innervosito per essere stato bloccato, si rasserenò di colpo e gli venne da ridere nel notare quel colosso di quasi due metri titubante e insicuro, messo al tappeto dai rifiuti di una ragazza esile, con curve e corporatura più da adolescente che da donna, ma dal viso decisamente carino per i suoi occhioni color nocciola e il nasino alla francese. A metterli insieme pareva di vedere il gigante e la bambina, lei era trentacinque centimetri più bassa e non raggiungeva la metà del suo peso. Sei proprio cotto, eh? Senti, ti chiamo quando le è passata la febbre, magari andiamo tutti e quattro a mangiare un kebab al negozio nuovo che hanno aperto vicino al Palazzo dell’Inquisitore, dove te lo riempiono di carne fino a scoppiare.

    Leroy annuì energicamente, contento per la proposta. Il capo gli batté con una mano sul petto muscoloso.

    Ma dammi retta, sarebbe meglio se questo tuo cuore cominciasse a palpitare per qualcun’altra. Oppure, se il tuo pisellone venisse fatalmente attratto da un’altra vagina. Non te la vuole proprio dare, devi fartene una ragione. E poi, sai che sareste una coppia davvero strana? Lei piccola e bianca come il latte, tu un armadio del colore del cioccolato fondente.

    Ma se nel cioccolato fondente ci metti il latte viene ancora più buono, disse Leroy convinto.

    Raymond rise e si arrese, pensando che non c’è peggior sordo di colui che non vuole stare a sentirti. I due si strinsero la mano destra all’altezza del petto, gonfiando i bicipiti in un simulato braccio di ferro per aria. Poi ciascuno prese la sua strada.

    Parte prima

    4 settembre – 15 ottobre 2167

    1

    Kristin Dahlberg, presidente della Titanlab Industries, la più potente multinazionale del sistema solare, guardò cupa l’ologramma che aveva di fronte. Lesse nuovamente i dati e cercò di imprimerseli nella memoria. L’immagine a grandezza naturale di Amish Subramani, uno dei biologi del laboratorio della TISS, la Titan International Space Station, le sorrideva cordiale ad un paio di metri di distanza. Singolare, pensò la donna, che tanti problemi potessero essere causati da un ometto in apparenza insignificante, un indiano simile nell’aspetto a milioni di suoi connazionali. Labbra sottili, capelli neri corti e lisci, due vivaci occhietti scuri infossati in un volto dagli zigomi sporgenti: con il suo camice bianco che ne metteva in risalto la carnagione mulatta, più che un ricercatore geniale pareva un anonimo infermiere, come se ne trovava a bizzeffe negli affollati ospedali della caotica Mumbai, luogo in cui era nato e aveva vissuto prima di trasferirsi su Titano.

    Proprio vero che l’abito non fa il monaco, rifletté Kristin intensificando la sua analisi sulla figura del biologo, per poi valutare con crescente attenzione le ricerche da lui effettuate.

    A voler essere onesti, la presidente della Titanlab avrebbe potuto estendere tale considerazione anche a se stessa, ma l’orgoglio non le avrebbe mai consentito una simile ammissione. Gli stupendi occhi verdi con riflessi dorati parevano uno scherzo della natura, come se un gioielliere si fosse divertito a sprecare due smeraldi inserendoli in una catena di vile metallo. Con il suo metro e sessantacinque di statura e il fisico sovrappeso di almeno dieci chili, i corti capelli biondi bordati di grigio a contornare un volto squadrato dalle fattezze mascoline, Dahlberg non si poteva certo dire il meglio che la Svezia potesse offrire quanto a femminilità. In compenso, però, era dotata di un’intelligenza acuta, di intuito e capacità di sintesi, tutte qualità necessarie per guidare la multinazionale di cui era a capo, unite ad una buona dose di quello che lei definiva indispensabile e sano pragmatismo, che un osservatore esterno avrebbe semplicemente chiamato pelo sullo stomaco.

    Disattivò il visore olografico e si alzò. Era stata fin troppo a valutare gli studi di Subramani, che poteva comprendere solo in parte. Ciò che più la interessava erano le implicazioni, così palesi da non richiedere un dottorato in biologia: al biologo andava messo il guinzaglio, molto più di quanto già fosse stato fatto.

    Uscì dal suo piccolo alloggio privato, un vero lusso per navi spaziali progettate per traversate così impegnative, e andò un po’ in giro per ispezionare l’operato degli inservienti di bordo. Anche la cucina, una vera cucina con personale al lavoro per preparare pasti freschi e invitanti ogni giorno, era una rarità in simili ambienti. Vi entrò e disse con tono ruvido di andarci piano con salse o spezie, perché le davano problemi di digestione.

    Come lei desidera, replicò il giovane cuoco, completamente calvo, squadrandola per qualche istante di troppo con i suoi duri occhi azzurri.

    Chiaro accento tedesco e fisico un po’ troppo tirato per essere un cuoco, pensò Dahlberg, scrutando attenta l’uomo.

    Venne improvvisamente raggiunta dal responsabile della sicurezza interna Kevin Harris, un afroamericano ben piantato dai corti capelli a spazzola, con petto, spalle e braccia gonfie come se ci avessero attaccato un compressore fino a cinque minuti prima. La presidente apprezzava molto i suoi modi, sempre efficienti e coincisi, sicuramente retaggio della precedente militanza nell’esercito, dal quale era stato congedato con disonore per una strage di civili compiuta dalla squadra speciale da lui guidata in una missione anti narcos in Messico. Nonostante la Delta Force non fosse composta da boy scout in gita domenicale, era un po’ troppo anche per i suoi standard.

    Signora, è appena arrivata una comunicazione da Craig Allen, catalogata come urgente.

    Kristin fece una smorfia e invitò Harris a precederla con un gesto della mano. Era irritata con se stessa per aver scelto quel cretino del vice comandante Craig Allen come

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