Il Regno di Avalon
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Quando gli invasori spagnoli del Messico vennero a conoscenza che gli Aztechi provenivano da una terra nel mare chiamata “Aztlan”, si convinsero che questi fossero perciò i discendenti degli Atlantidei. Gli indigeni avevano, nelle loro, leggende, anche una strana figura chiamata “coxcox”, il Noè del cataclisma messicano che si salvò con la moglie grazie ad un imbarcazione costruita in legno di cipresso. Dipinti di questo racconto sono stati rinvenuti anche tra i Miztechi, gli Zapotechi, i Tlascoltechi e altre popolazioni limitrofe.
Ma la storia ed i miti si ripetono anche dal lato opposto dell’emisfero: i Celti che abitavano l’Irlanda ed il nord della Francia hanno, da sempre, affermato di essere i discendenti di un popolo scampato all’inabissamento di una terra che essi chiamavano Avalon.
Atalon di Avalon, che ha una inquietante assonanza con “Aztlan” probabilmente l’antica “Atlantide” già descritta da Platone.
Nelle vicende della fine di quell’ isola e della fuga di pochi scampati si innesta un altro evento che si svolge nei tempi attuali: la casuale scoperta di una piramide in fondo all’Oceano Atlantico, nella Fossa Tettonica di Puerto Rico a 8600 metri di profondità. La storia è affascinante perché ci fa vivere una ipotetica possibilità di rinascita del regno di Avalon attraverso gli occhi di un ricercatore impegnato e di una splendida collaboratrice che, curiosi per natura, possono sognare di avere utilizzato il loro impegno per documentare le loro ipotesi di ricerca.
Nel complesso il romanzo è di facile lettura, con ricche informazioni, fervida fantasia, che tiene legati dal principio alla fine per scoprire il seguito e soddisfare la piacevole curiosità che suscita.
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Anteprima del libro
Il Regno di Avalon - Learco Learchi d'Auria
Simonotto
Prefazione
Il Regno di Avalon è un romanzo che l’Autore ha intessuto su fantasia e storia, ricerca e informazioni, di notevole pregio culturale per la straordinaria capacità, che ha saputo mettere in campo utilizzando, per il calendario luni-solare, nomi di mesi e giorni della settimana, noti soltanto a studiosi di storia babilonese e ricercatori di opere e documenti antichissimi.
La storia è affascinante perché ci fa vivere una ipotetica possibilità di rinascita del regno di Avalon attraverso gli occhi di un ricercatore impegnato e di una splendida collaboratrice che, curiosi per natura, possono sognare di avere utilizzato il loro impegno per documentare le loro ipotesi di ricerca.
Piacevole è seguire la storia dei sopravvissuti, che protetti dalla Divinità, si dividono e creano insediamenti che ci fanno pensare a Ceppi da cui originano i popoli che, oggi, sono depositari di culture e riti che possono essere collegati alla antichissima Avalon.
Notevole è la ricchezza di riferimenti alla costruzione dell’arca e all’applicazione di tecniche meccaniche, alla costruzione del fossato di difesa del Campo e all’applicazione di principi di fisica per rendere affascinante lo scontro tra i potenti cattivi e i prescelti, fiduciosi delle indicazioni degli Dei.
Ma il tocco veramente magistrale si coglie nella celebrazione del principio morale della Fratellanza
, che in più parti del romanzo si tocca con mano ferma; una fratellanza, che si manifesta tra amici, nel campo dove viene allestita l’Arca, in quella che si realizza tra le barche che sostengono l’Arca, quella che si materializza nell’aiuto concreto che si scambiano i personaggi che condividono una sola fede: la voce della Dea che invita a partire.
In più punti del romanzo tangibile è la presenza della protezione degli Dei, a testimonianza della necessità che ha l’uomo di sentirsi proteggere nei momenti più difficili della vita e degli obiettivi, che si possono raggiungere con l’aiuto divino, anche se inizialmente l’impresa sembra impossibile.
Nel complesso un romanzo di facile lettura, di ricche informazioni, di fervida fantasia, che tiene legati dal principio alla fine per scoprire il seguito e soddisfare la piacevole curiosità che suscita.
Elisa Savarese
Presidente dell’Università Avalon
Sognare ad occhi aperti è tipico dei bimbi,
inseguire i sogni è cosa degli adulti.
Cos’è un adulto, se non un bimbo cresciuto?
Sognare l’impossibile è utopia ma non lo è
inseguire un mito ché talvolta è la più bella
avventura che possa capitare.
È questo il motivo per il quale dedico
queste pagine fantasiose a tutti coloro
che, nell’avventura della vita, tentano
di realizzare il loro sogno di utopia.
(Learco Learchi d’Auria)
N.d.R:
I personaggi del presente romanzo ed anche l’autore, tal quale si descrive, sono stati ideati dalla fantasia. Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti sono puramente casuali.
Prologo
L’idea di un romanzo ambientato nella mitica Atlantide era venuta al suo editore, leggendo le bozze del precedente lavoro. L’abbinamento con il Regno di Avalon, l’aveva mandato, letteralmente in visibilio. Non per nulla la casa editrice si chiama EVA
, acronimo di "Editrice Virtuale Avalon.
«Mio caro Learco, avete avuto una bella idea. Devo dirvi che mi è piaciuta!» aveva detto la Preside dell’Università, dalla quale dipende la casa editrice. Era responsabile della docenza e della casa editrice che si era rivolta con quel suo modo manieroso - tipico dei partenopei veraci
- dandogli del voi
ed aveva proposto: «... potreste scrivere un bel racconto ambientato sul Regno di Avalon, nei suoi ultimi giorni, prima d’essere inghiottito dal mare.» Learco sapeva che quello di Atlantide è un mito che ha tolto il sonno a più di un ricercatore. Tutto parte da un brano del filosofo Platone tratto dai Dialoghi
di Timeo e Crizia, scritti nel IV secolo a.C., che così recita:
Al di là di quello stretto di mare chiamato le colonne d'Ercole, si trovava allora un'isola più grande della Libia e dell'Asia messe insieme, e da essa si poteva passare ad altre isole, e da queste isole alla terraferma di fronte (...). In quell'isola chiamata Atlantide v' era un regno che dominava non solo tutta l'isola, ma anche molte altre isole nonché alcune regioni del continente al di là: il suo potere si spingeva, inoltre, al di qua delle colonne d'Ercole; includendo la Libia, l'Egitto e altre regioni dell'Europa fino alla Tirrenia
.
Il brano viene riferito da Crizia, parente di Platone e si rifà ad un episodio avvenuto nel 590 a.C. durante la visita del legislatore Solone a Sais, capitale amministrativa dell'Egitto. Il tentativo di Solone di impressionare i sacerdoti di Iside con le antiche tradizioni greche fallisce in quanto gli Egizi erano a conoscenza di un popolo vissuto molto tempo prima, sul quale possedevano molta documentazione scritta e la cui civiltà era stata distrutta, migliaia di anni prima, da un cataclisma. Viene fatta anche un'ampia descrizione del territorio sul quale questo popolo, gli Atlantidei, viveva, e cioè un'isola grande più o meno 540 x 360 Km, circondata su tre lati da montagne e aperta a sud sul mare. Al centro dell'isola si trovava una pianura con una montagna nel mezzo. Inoltre la pianura era irrigata artificialmente e, quindi, molto fertile. La capitale di Atlantide sorge nel meridione ed è circondata da mura che hanno una circonferenza di 71 Km c.a., seguite da altre cerchia di acqua e terra a difendere la città vera e propria che aveva un diametro di 5 Km circa. Il clima era temperato, in quanto tra gli animali presenti vi erano gli elefanti.
Una leggenda diffusa tra i Celti sosteneva che una parte della Gran Bretagna si estendeva a sua volta oltre l’Oceano Atlantico. I Celti stessi che abitavano l'Irlanda ed il nord della Francia, sostenevano di venire da una terra sommersa nell’Oceano Atlantico, la mitica Avalon
. D'altra parte l'eminente geologo inglese Starkie Gardner afferma che nel periodo eocenico le isole britanniche facevano parte di una grande isola o meglio di un continente che si estendeva nell’Atlantico.
Un’altra leggenda narra che in mezzo all’oceano Atlantico è situata un’isola chiamata Avalon, dove dimorano le anime dei morti. Si racconta che nell’isola regni l’eterna primavera e attorno ad essa il mare sia perennemente calmo. Foreste lussureggianti solcate da lenti fiumi la ricoprono per vasto tratto e in questo luogo di delizie, dove non esiste il dolore, ma regna l’uguaglianza, s’aggirano le anime dei trapassati. Vi abita un solo essere vivente ed è il mitico re Artù, che quando l’ora verrà, lascerà l’isola per tornare in Bretagna a sollevare il suo popolo e vendicarsi dei suoi nemici. Ancor’oggi si crede, in Bretagna, che le anime dei morti s’involino una volta all’anno verso l’isola per stringersi al re e testimoniargli la loro fedeltà e la zona da cui son destinati a partire è la Baia dei Trapassati, dove vivono i più ardimentosi pescatori del mondo. Una volta all’anno, il giorno dei morti, tutti i pescatori del borgo se ne stanno rinchiusi nelle proprie case aspettando la chiamata del predestinato per il viaggio, finché ad una porta qualcuno batte tre colpi. Il prescelto scende alla spiaggia, spinge la barca in acqua e comincia a remare, tanto sa che non gli accadrà nulla di male. Il vogatore non vede nessuno ma la barca si fa sempre più pesante e si cominciano a sentire voci, sussurri e sospiri. Egli non smette di remare, mentre il cielo s’imbianca. Poi d’un tratto la barca ridiventa leggera, le voci e i gemiti cessano ed un canto sembra giungere da lontano. Mentre il sole si disegna all’orizzonte, l’isola appare splendente sul mare. La barca allora scivola via leggera per poi fermarsi, mentre un nastro luminoso si leva da essa. Sono le anime dei trapassati che raggiungono Avalon verso la pace eterna e il vogatore saluta gli spiriti dei suoi padri e volge indietro la prua per tornare al mondo dei vivi.
Scrivere di continenti e civiltà scomparse, non era nei programmi di Learco, ma a furia di sentirselo chiedere anche da altri, finì con l’accettare, ma volle chiarire che ci avrebbe, solamente, provato: quello, non era il suo genere. Quando s’imbarcò sull’aereo che da Napoli doveva riportarlo in Brasile, a São Paulo, aveva messo nella sacca da viaggio otto chili di libri che trattavano dell’argomento.
Continente Atlantideo, Regno di Avalon - Città di Atalon – Giorno di Ninurta, 17 Addaru 8498 a.C. - La terra trema sotto i piedi
La terra tremò ancora: era la settima volta in quella giornata. Elyarko, della Casata degli Elyarky, come del resto gli altri abitanti della Città di Atalon, aveva fatto abitudine a quei sommovimenti.
«È certo che se il Consiglio dei Trentatré non deciderà nulla, si dovrà provvedere, ognuno, per proprio conto.» si disse il giovane pescatore. Il Consiglio dei Trentatré
era composto dalle persone più anziane e, per questo, considerate le più sagge. In effetti non è detto che alla senilità corrisponda la saggezza che ci si attende. Talvolta all’esperienza di vita vissuta si accompagna un certo torpore di mente. Erano, ormai, quattro anni che la terra tremava, sistematicamente più volte, sia di giorno sia di notte. Gli uomini di scienza avevano, chiaramente, espresso la loro opinione.
I piedestalli sui quali poggiava, come un fungo, il Continente Atlantideo, erano stati erosi dal tempo e dalle correnti marine. La conclusione suonò come una sentenza: presto si sarebbero sbriciolati e, con ciò, anche il Regno di Avalon sarebbe stato sommerso scendendo in fondo all’Oceano. Solo qualche isola sparsa sarebbe potuta restare, ma non era cosa certa.
Un uomo, adepto della Dea delle Tre Lune Incrociate, di nome Ziusudra, aiutato dai figli e dai generi, strava costruendo un’enorme barcone. I vicini di casa lo dileggiavano per la frequenza, bigotta, con la quale faceva sacrifici rituali nel tempio della Sacra Piramide dedicato alla Dea.
Ultimamente, gli davano, anche, del pazzo perché egli s’era messo in testa di alloggiare, su quell’enorme involucro galleggiante, una coppia di animali d’ogni specie esistente su quel continente, per salvarli dalle acque che, diceva, avrebbero invaso tutto dal cielo e dal mare. Chi più, chi meno, un po’ tutti avevano la nascosta idea di imbarcarsi per andare alla ricerca di nuovi lidi sui quali approdare, mettendosi in salvo. Si erano già costituiti dei gruppi, in base ai legami familiari, ed ognuno aveva una propria idea della direzione da prendere. Mentre Elyarko rifletteva sul fatto che la corporazione dei pescatori avevano fatto lega a sé, una voce, allarmante, s’udì provenire dalla strada.
«Le case del villaggio dei pastori, fuori Porta Ovest, sono crollate... accorrete ché ci sono dei morti ed anche dei feriti!» Si sentiva il vociare, disordinato, delle persone ed un rumore di selciato, velocemente, pestato, per quel vai e vieni.
«Quanti sono... che cosa occorre?» qualcuno chiese, accorato.
«Son più di trenta i morti, ma il doppio ed anche più, sono i feriti. Servono delle vanghe per scavare tra le macerie. Servono braccia ed anche il cerusico» rispose, di rimando, un’altra voce. Anche in quel giorno, come già in altri, la Dea dalle Lune Incrociate, si presentava, puntuale, a chiedere il suo tributo di vite umane. Era una Selene a tre facce identificata, nel comportamento, alle tre Moire o alle tre Parche. I mortali, spesso, si rivolgevano ad essa con i titoli di parecchie dee.
«Loro ti chiamano Ecate, dea dai molti nomi: Mene, Artemide lanciatrice di dardi, Persefone, Signora dei cervi, Luce nel buio, Dea dai tre suoni, Dea dalle tre teste, Selene dalle tre voci, Dea dal triplo volto, Dea dal triplo collo, Dea delle tre vie, che tiene, la fiamma perpetua in tre contenitori, tu che offri la tripla via, e che regni sulla tripla decade... » recitò, mentalmente, Elyarko rammentando i versi trovati su un antico papiro, giunto per mare, dentro una fiasca di zucca secca cucita in un piccolo otre. La descrizione della Dea delle Tre Lune Incrociate
proseguiva: «...madre degli Dei, degli uomini, della natura, madre di tutte le cose, origine tu sei ed anche la fine. Tu sola regni su tutto. Tutte le cose che provengono da te, e che agiscono in te, giungono alla loro fine.» Il pensiero di Elyarko non si era soffermato sulla preghiera soltanto.
«Bisogna porre fine a questa indecisione che uccide!» si disse, pensando di andare a parlare con Ziusudra: «... probabilmente, non è pazzo come si dice che sia» concluse.
Continente Atlantideo, Regno di Avalon - Città di Atalon – Giorno di Shamash, 18 Addaru 8498 a.C. - Elyarko e Ziusudra
Quando Elyarko giunse a casa di Ziusudra, la moglie gli indicò il luogo dove poteva trovare l’uomo che, con i figli ed i generi, stava approntando la sua gigantesca imbarcazione. L’ossatura era già stata montata. Delle larghe tavole di legno erano state applicate alle ordinate che poi sarebbero state calafatate con stoppa e bitume di pietra
. Era una bella barca: molto alta, panciuta e capiente. Ziusudra dirigeva i lavori consultando i piani costruttivi da lui stesso disegnati.
«Salve Ziù!» disse Elyarko, salutando l’amico e chiamandolo, cordialmente, con il nomignolo datogli, sin da piccolo.
«Oh... Ely, amico mio! Qual buon vento ti mena?» rispose con altrettanta cordialità, chiamandolo, anch’egli, con il soprannome.
«Ho sentito raccontare del tuo barcone e dell’intenzione di riempirlo di animali. Sono venuto a curiosare un po’» disse Elyarko guardando verso il cantiere.
«È più di un barcone: passerà alla storia come l’Arca di Ziù
» rispose l’amico mentre, ridendo, gli porgeva l’otre con la vinella fatta dalla spremitura dei raspi e delle bucce d’uva, tenuto in fresco nell’acqua salata.
«Arca! Perché la chiami così?» Chiese Elyarko, meravigliato dell’appellativo dato alla grande barca.
«Perché nelle arche si custodiscono le cose preziose. Cosa c’è di più prezioso della vita delle creature di questa terra? In esse c’è il futuro dell’umanità» rispose, convinto.
«Ha molti ponti, all’interno. Verrà un’opera monumentale... ma perché metterci dentro tutti quegli animali?» Chiese, curioso, Elyarko.
«Sì, sarà molto grande. Vi troveranno alloggio sia gli animali, sia gli uomini: tutti quelli che vorranno imbarcarsi» spiegò Ziusudra con un mal celato moto d’orgoglio.
«Com’è che ti è venuta quest’idea?» volle sapere, ancora più curioso di prima.
«L’idea non è stata la mia, ma quella della Dea» nell’udire queste parole, Elyarko restò attonito.
«La Dea delle Tre Lune ti ha parlato?» Chiese, incredulo.
«Sì... mi è apparsa in sogno indicandomi la via» disse, ancora, Ziusudra.
«Come e quando? Raccontami tutto, Ziù!» Elyarko esortò l’amico.
«A dire il vero le apparizioni sono state tre: tutte in sogno. Ogni volta la Dea aveva un volto differente, dei tre che ne ha...» iniziò a raccontare e poi proseguì: «...la prima volta fu per ordinarmi di costruire l’Arca. La seconda, per spiegare come doveva essere fatta. La terza, in fine, per indicarmi la rotta da seguire.»
«E gli animali che cosa c’entrano?»
«Anche quello è stato un ordine della Dea... mi ha, anche, preannunziato le piogge che cadranno prima che l’intero Continente Atlantideo sprofondi in fondo al mare.»
«Quando dovrebbe avvenire il disastro?»
«Con la luna crescente! Il mare si gonfierà e si apriranno le cateratte del cielo. Tutto si compirà, come ha specificato la Dea, in un singolo giorno ed una notte di disgrazia
. Prima di allora dovrò essere lontano per evitare il risucchio del gorgo.»
«Sarà un gorgo ad ingoiare la nostra, natia, Atalon ed il Regno di Avalon?»
«Non esattamente! Sarà il Continente Atlantideo a creare il gorgo, sprofondando. Tutto ciò che vi sarà attorno lo seguirà in fondo al baratro. L’onda di riflusso spingerà lontano chi si troverà, sufficientemente, al largo» concluse Ziusudra, riprendendo le carte dei disegni in mano per procedere nel lavoro interrotto.
Elyarko ritornò verso casa sua, camminando pensieroso. Se quello che la Dea aveva predetto a Ziusudra fosse stato vero, non c’era tempo da perdere. Vera che fosse, o meno, la visione dell’amico, Elyarko aveva deciso di organizzare la partenza, per sé e per la propria famiglia. Prima di farlo aveva, tuttavia, intenzione di fare un tentativo con il Gran Maestro del Consiglio dei Trentatré. Se non fosse stato creduto, avrebbe chiesto commiato.
Continente Atlantideo – Regno di Avalon, Città di Atalon - Palazzo del Governo – Giorno di Sin, 19 Addaru 8498 a.C. - Elyarko ed il Gran Maestro Ekenato
Dopo essere stato passato al vaglio di molti segretari, Elyarko venne ammesso alla presenza di Ekenato, il Gran Maestro del Consiglio dei Trentatré.
«Mi si dice che avresti importanti cose da riferirmi... dunque, parla!» L’apostrofò il vecchio seduto sul suo scranno rivestito di pelle.
«Sì, Onorevole Gran Maestro, è così» rispose Elyarko che dopo riferì quanto appreso da Ziusudra.
«Dunque, Ziusudra sta perseverando nel suo folle progetto!» Esclamò il Gran Maestro, un poco stizzito per quel che avevano udito le proprie orecchie.
«Sì, ma c’è di mezzo la Dea e...» non poté finire il proprio discorso ché venne, subito, zittito da un cenno della mano di Ekenato. Il Gran Maestro del Consiglio dei Trentatré s’alzò, fece il giro della scrivania e, preso sottobraccio Elyarko, cominciò un lungo discorso. La cosa avveniva passeggiando, su e giù, lungo la grande stanza delle udienze.
«Si dice che il Dio Shamash conceda agli uomini la sapienza attraverso la divinazione
. Il Dio si serve come intermediario sia del suono sia della freccia. Il suono allude alla parola e la freccia allude all’occhiata mediante la quale il Dio trasmette la sapienza direttamente. Per questo la parola dell’oracolo - che dice e non dice - ha bisogno di un interprete qualificato.