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Una strada stretta in salita
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E-book264 pagine3 ore

Una strada stretta in salita

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Info su questo ebook

La vicenda si svolge a metà degli anni novanta. Marco Artesani, quarantasei anni, è il direttore tecnico della Thermo-Diamont, azienda leader europea nel campo dei forni industriali ma soprattutto all’avanguardia di un nuovo e in un certo senso rivoluzionario rapporto tra imprenditore e operaio, basato su migliori condizioni di lavoro, con forme assistenziali sino ad allora sconosciute, derivanti dalle esperienze di collaborazione con Adriano Olivetti. Quando per ragioni di età il titolare decide di ritirarsi, la Thermo-Diamont viene assorbita da una multinazionale e nello staff dei suoi funzionari Marco ritrova il suo vecchio amico col quale nel ‘68, ai tempi dell’università, condivise le idee e le lotte del Movimento Studentesco. Lavorare con lui accende il suo entusiasmo ma, amaramente, scopre che l’amico di un tempo, è ora un’altra persona. Il suo ruolo, nell’organigramma della multinazionale, è quello del tagliateste. Inevitabile lo scontro tra i due in seguito al quale Marco rimane senza lavoro alla soglia dei cinquant’anni. Sprofonda per lungo tempo in una depressione totale fino al giorno in cui l’infermiera di una sua amica, dalla sfuggente personalità, gli parla del progetto al quale ha aderito con la neonata struttura sanitaria di Emergency. Marco rimane ammirato dalla determinazione di quella ragazza. Quell’incontro segnerà una svolta nella sua vita...

Luciano Negro, con una scrittura lieve e diretta, molto più prossima al dialogo tra amici che alla narrazione, coinvolge il lettore nella quotidianità drammaticamente attuale del lavoro governato da logiche di profitto incuranti dei valori sociali e civili e delle conseguenze per le persone ma offre, nel contempo e magistralmente, la visione della possibilità di riscatto da esse nei luoghi di esercizio di un'umanità solidale, di consapevolezza dell'utilità del proprio lavoro, di estensione al prossimo dei sacrifici genitoriali ricevuti. Una lettura che sorprende ed arricchisce il comune senso civile...
LinguaItaliano
Data di uscita1 mar 2016
ISBN9788893326278
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    Una strada stretta in salita - Luciano Negro

    EMERGENCY

    UNA STRADA STRETTA IN SALITA

    1

    In quel pomeriggio di giugno, il temporale era stato improvviso e violento, ma di breve durata e una volta smesso di piovere, rispuntò nel cielo un sole ancora caldo, che asciugando il cortile e le aiuole fiorite di fronte all’ingresso dello stabilimento della Thermo-Diamont, sprigionava un frammisto odore di fiori e asfalto bagnato, un odore lieve, gradevole, che dava una piacevole sensazione di fresco e sembrava materializzarsi salendo dal terreno in piccole spirali di vapore. Al suono della sirena delle diciassette e trenta che annunciava il termine dell’orario di lavoro, gli operai, al pianterreno della fabbrica, dopo essersi recati negli spogliatoi per togliersi gli indumenti di lavoro e metterli ognuno nel proprio armadietto, si avviarono verso l’uscita, mescolandosi agli impiegati che scendevano dalle scale dei loro uffici al primo piano della palazzina. In molti, quel giovedì sera, andavano di fretta perché non volevano perdersi la partita d’esordio della nazionale italiana di calcio ai campionati del mondo di U.S.A. '94.

    Marco Artesani invece si era attardato nel proprio ufficio: doveva finire di preparare la documentazione necessaria da sottoporre a Carlo Tonucci, un cliente di Pesaro che il giorno dopo avrebbe visitato. Terminato di riordinare i vari documenti li mise in una valigetta ventiquattrore, poi uscì dal suo ufficio e prima di avviarsi verso l’uscita, entrò senza bussare nell’ufficio del dottor Brandi.

    «Buona sera dottore…io vado» disse.

    «Ah!…Marco, ciao» rispose sollevando lo sguardo dal foglio che stava leggendo guardandolo al di sopra degli occhiali calati sul naso.

    «Domani vai a Pesaro?»

    «Sì, parto verso le sei direttamente da casa mia, in modo da essere là a metà mattina».

    «Perciò domani non torni in fabbrica?»

    «No, penso di tornare domani sera molto tardi… ci vediamo lunedì e le faccio un resoconto di come è andata»

    «Non era per quello… so già che andrà tutto bene, ma ho bisogno di parlarti di una cosa… e poi vorrei presentarti una persona. Potresti venire sabato mattina?»

    «Certo, se è necessario» disse Marco senza esitazione, anche se quella richiesta rovinava il suo programma per il fine settimana al lago con Daniela.

    «Sì, è una cosa importante» disse il dottor Brandi.

    «Va bene, ci vediamo sabato mattina» confermò Marco.

    «Allora siamo d’accordo… ciao… e buon viaggio per domani… e buon lavoro!»

    «Ci vediamo…» concluse Marco mentre usciva dall’ufficio salutando con un cenno della mano.

    Discese le scale in fretta pensando alla richiesta di presentarsi al lavoro sabato mattina appena fattagli dal suo capo.

    «Porca miseria questa non ci voleva» borbottò sottovoce.

    Aveva promesso a Daniela per il fine settimana due giorni speciali sul lago e tutto era già programmato: sarebbero andati a Como in treno, da lì avrebbero preso il battello per Bellagio; non quello diretto e veloce, bensì quello che fa tappa ad ogni porticciolo, così avrebbero potuto godere della bellezza di ogni scorcio del lago. Avrebbero alloggiato per quella notte in un alberghetto dove erano già stati un paio d’anni prima. Avrebbero cenato in quel… avrebbero, avrebbero… quante cose avrebbero fatto! E adesso questa storia di andare al lavoro sabato mattina. Sapeva già come sarebbe andata a finire: la persona che il suo capo deve presentagli arriva verso le undici, si tira mezzogiorno, la discussione va per le lunghe e diventa inevitabile andare a pranzo tutti assieme… e così addio fine settimana al lago… chissà come la prende Daniela…

    «Ma il lavoro è lavoro… Daniela capirà…» disse con un tono di voce come se dovesse convincere qualcuno.

    Oltrepassò la porta di ingresso e si avviò verso la sua auto parcheggiata in fondo al cortile della fabbrica. Il sole aveva ormai asciugato quasi completamente l’asfalto e restava solo qualche pozzanghera vicino ai cordoli delle aiuole. Mise la valigetta nel portabagagli, salì in macchina e mentre usciva dal cancello salutò con un cenno il custode nella sua guardiola.

    Anche se era contrariato per quella inaspettata richiesta del suo capo, mentre guidava tornando verso casa, cercò di pensare alla giornata dell’indomani. Non era propriamente il suo lavoro quello di visitare i clienti, lui era addetto alla progettazione, e seguiva anche il corso della produzione, si può dire che, al di fuori della parte amministrativa, si occupava e sovrintendeva qualsiasi attività della fabbrica: era il vero braccio destro e uomo di fiducia del titolare, il dottor Brandi, ed in alcuni casi teneva anche un contatto diretto con i clienti, soprattutto quelli più importanti. Tonucci era uno di questi e a Marco piaceva quando doveva recarsi da lui. Lo conosceva da parecchio tempo, era un cliente affezionato da quasi una dozzina d’anni e si può dire che tra loro si era stabilito non solo un rapporto di lavoro, ma anche di amicizia.

    Pensò al viaggio, alla partenza con il fresco del primo mattino, al tragitto in autostrada guidando tranquillo, rilassato, ascoltando la sua musica preferita: musica classica che avrebbe scelto tra i molti CD che teneva sempre in macchina. Per lui era piacevole anche la sosta a metà strada, in una stazione di servizio dalle parti di Modena, per bere un caffè, fumare una sigaretta e sgranchirsi un po’ le gambe. Poi una volta arrivato a destinazione sapeva che sarebbe stato accolto da Tonucci e tutto il suo staff con gentilezza e cordialità. Il lavoro da svolgere non era impegnativo: la Thermo-Diamont l’azienda in cui Marco lavorava, si occupava di consulenza, assistenza, progettazione e produzione di forni industriali per qualsiasi applicazione e al Tonucci era stata fornita qualche tempo prima, una grossa attrezzatura per un valore di parecchi milioni, ora si trattava, su richiesta del cliente, di aggiungere alcuni accessori per ottimizzare la produttività e lui aveva già individuato la soluzione migliore. Avrebbero sistemato la faccenda in un paio d’ore. Poi Carlo, ormai erano talmente in confidenza che si chiamavano per nome dandosi del tu, lo avrebbe portato in un piccolo ristorante sul mare, vicino al porto, dove si mangiava del pesce squisito. Più che una giornata di lavoro gli sembrava di andare incontro ad una giornata di vacanza!

    «Magari dico a Daniela di venire con me domani… sarebbe bello…» disse ad alta voce mentre guidava.

    «Le dico di non andare al lavoro, di darsi malata e di venire con me…» fece una pausa, poi, ancora ad alta voce «…ma figurati… Daniela non lo farà mai…»

    Daniela, infatti, non avrebbe mai acconsentito ad una richiesta del genere, lei era una donna in carriera con un posto di responsabilità in una importante azienda di import-export. Aveva trentaquattro anni, dodici meno di Marco ed era bellissima. Si erano conosciuti circa dieci anni prima, quando per festeggiare la sua laurea in economia e commercio, lei aveva invitato alcuni amici, i quali avevano portato a loro volta altri amici e tra questi c’era Marco.

    Fu amore immediato e travolgente, ma nonostante ciò decisero di non sposarsi, scelsero di vivere ognuno a casa propria e solo nei fine settimana lei si trasferiva a casa di Marco a passare due giorni sotto lo stesso tetto. Successivamente lei trovò impiego in una ditta di import-export ed in breve tempo cominciò ad avere mansioni sempre di maggiore importanza e responsabilità, mentre Marco si può dire che da sempre, aveva un ruolo fondamentale alla Thermo-Diamont.

    Questa situazione, di non essere sposati e di vivere assieme solo nei fine settimana o durante le feste e le vacanze, garantiva ad entrambi di vivere liberamente ognuno la propria vita e non intaccò minimamente il loro rapporto. Anche Marco era un bell’uomo, di aspetto attraente e insieme formarono per parecchi anni una bella coppia perfettamente affiatata. Con il tempo però era subentrata una certa abitudine e routine. Ultimamente poi, sempre più spesso, gli impegni di lavoro si sovrapponevano alla loro vita sentimentale e adesso Marco pensava che forse la decisione di non vivere insieme, non era stata la migliore.

    Anche il fatto di non avere avuto un figlio, sul quale riversare attenzioni ed affetto, in modo da rinsaldare di riflesso il loro amore e che li avrebbe messi nella condizione di vivere insieme, condividendo tutti i piccoli aspetti della convivenza quotidiana, probabilmente aveva contribuito a creare il progressivo raffreddamento del loro rapporto. Ma su questo Daniela era stata categorica, per i primi anni di figli non se ne parlava nemmeno e, senza quasi che se ne accorgessero, il tempo era scivolato via. Adesso, lui quarantasei anni, lei trentaquattro, con le loro vite ormai incanalate a quel modo, con abitudini e comportamenti fortemente radicati, forse era tardi per avere un figlio. Per questo motivo, Marco da qualche tempo aveva cercato di ravvivare il loro legame riproponendo situazioni nelle quali erano stati felici, anche se spesso, all’ultimo momento succedeva sempre qualcosa che buttava all’aria i loro piani ed aveva anche la sensazione che Daniela ultimamente accettasse con un po’ di freddezza queste sue iniziative.

    Questa volta però, aveva accettato con piacere, forse anche lei ne aveva bisogno e Marco ne era contento. E adesso invece…

    Pensando a queste cose arrivò in via Vallazze, quasi all’incrocio con via Lulli, dove abitava in un appartamento di una di quelle palazzine dall’aspetto anonimo ed insignificante, mentre nella loro parte interna, invisibili dalla strada, celavano, seppur piccoli, splendidi giardini, dei quali usufruivano gli inquilini che abitavano al pianoterra come Marco.

    Parcheggiò l’auto, ma prima di rincasare decise di fare visita a Marta e Renzo che abitavano nella palazzina adiacente, con il giardino che confinava con il suo.

    2

    Marco era nato nella stessa casa dove ancora adesso abitava e, per quanto tornasse indietro con i ricordi di quando era bambino, rammentava che sue vicine di casa fossero sempre state le famiglie di Marta e di Renzo. Per essere precisi l’immediata vicina di casa era la famiglia di Marta, il cui giardino confinava con il suo, mentre i genitori di Renzo, già abbastanza anziani – dopo averlo tanto desiderato riuscirono ad avere un figlio in età avanzata, quando ormai non ci speravano più – abitavano nella palazzina successiva ed il loro giardino confinava con quello di Marta. Le tre famiglie si conoscevano, si frequentavano ed erano molto amiche. Marco aveva dieci anni meno degli altri due ragazzi. Da bambino era perdutamente innamorato di Marta. Uno di quegli innocenti innamoramenti infantili che spesso i bambini provano per le persone più adulte o per la loro maestra. E Marta a vent’anni era una splendida ragazza dai capelli neri e gli occhi scuri e intensi, non molto alta, ma con un corpo perfetto e un viso dolcissimo. Era affezionata a Marco, spesso lo accudiva, gli faceva fare i compiti o lo faceva giocare e quando lui le diceva che da grande voleva sposarla, lei bonariamente lo prendeva in giro dicendogli:

    «Ah!… se tu avessi dieci anni di più… ti sposerei subito e non perderei la testa per quel mascalzone di Renzo…»

    Renzo era alto, bello, con un fisico atletico, i lineamenti del viso che ricordavano Marlon Brando da giovane, uno spirito guascone e simpatico, un po’ scapestrato e si può dire che è sempre stato fidanzato con Marta, ma era una testa matta che non disdegnava avventure e scappatelle e poiché era un bel ragazzo le occasioni di certo non gli mancavano, fino a quando Marta decise che era ora di tirare le briglie e di porre fine alle sue scorribande. Erano la più bella, allegra e spensierata coppia di tutto il quartiere attorno a piazza Aspromonte.

    Nonostante Renzo gli avesse soffiato la ragazza, Marco da bambino non provava gelosia nei suoi confronti anzi, per lui aveva una smisurata ammirazione, poiché giocava a calcio nelle file della Pro Sesto e tutte le domeniche quando giocava nel vicino campo di Sesto San Giovanni si faceva accompagnare da suo padre a vedere la partita, tanto che ormai era diventato una specie di mascotte portafortuna di tutta la squadra e di Renzo in modo particolare, il quale giocava nel ruolo di portiere ed apparteneva a quella categoria di portieri spericolati e spettacolari con notevoli qualità tecniche ed atletiche che lasciavano intuire interessanti prospettive di successo. A diciotto anni fu selezionato per fare un provino nell’Inter, ma da quella testa matta che era, la sera prima del provino andò a ballare fino alle tre di notte, la mattina successiva non si svegliò in tempo, il provino saltò e la cosa finì lì.

    All’età di ventiquattro anni Marta e Renzo si sposarono. Decisero di stabilirsi a casa di Renzo, il quale rimasto orfano del padre da circa quattro anni, non se la sentiva di andarsene di casa e lasciare da sola la vecchia madre. In pratica però, era come se vivessero in un unico grande appartamento, insieme anche ai genitori di Marta. Le due abitazioni erano adiacenti, divise solo da una parete nella quale avevano provveduto ad aprire una porta, senza curarsi troppo di chiedere alcun tipo di permesso – erano certi che prima o poi sarebbe sopraggiunta una qualche forma di condono edilizio e sarebbero riusciti in un modo o nell’altro a sistemare la questione – e la fantasia di Marta, unita alla capacità di ristrutturazione di suo padre, geometra nel campo edilizio, riuscì a creare per ognuno dei tre gruppi famigliari, che andavano a vivere sotto lo stesso tetto, uno spazio proprio, in cui nessuno, nel limite del possibile, andava ad interferire con gli altri e con un unico grande e splendido giardino al quale, sia i genitori di Marta sia la madre di Renzo, dedicavano il loro tempo libero per tenerlo sempre perfettamente in ordine. Quando con il passare degli anni, essi invecchiarono e poi ad uno ad uno morirono, Renzo, nel frattempo diventato un uomo maturo, sempre più appassionato di giardinaggio, continuò la loro opera e quando anche i genitori di Marco, prima il padre e poi la madre se ne andarono, si prese l’incombenza – ma lo faceva volentieri – di tenere in ordine anche il suo giardino, poiché Marco in quelle cose era completamente negato.

    Marta e Renzo ebbero un figlio che chiamarono Luigi il quale ereditò lo spirito libero e scapestrato del padre, così a diciotto anni se ne andò di casa perché voleva vedere e girare il mondo. Dopo un paio d’anni di vagabondaggi, intervallati da rapidi ritorni a casa e altrettante rapide ripartenze, durante un viaggio in Canada, conobbe e s’innamorò di una ragazza di Ottawa, allora trovò un posto di lavoro come barista in un pub. Dopo qualche tempo aprì un piccolo ristorante per conto suo e si sposò.

    I suoi genitori volarono in Canada per il matrimonio e poterono costatare che aveva sposato una brava ragazza, che il lavoro nel ristorante era ben avviato, e ne furono contenti, ma dentro di loro sapevano di aver perso un figlio. Infatti, poco per volta i contatti si diradarono e ormai da più di dieci anni non si faceva più vedere.

    Marta con l’avanzare dell’età divenne ancora più bella; a cinquant’anni – ma ne dimostrava almeno dieci di meno – il corpo leggermente snellito ed il viso che aveva assunto lineamenti più intensi e marcati, le davano un fascino estremamente sensuale. E fu attorno a quell’età che avvertì i primi dolori e crampi alle gambe, ma non ci fece troppo caso addebitandoli a un po’ di stanchezza. Dopo qualche mese, persistendo quei disturbi si decise a sottoporsi a degli esami. La diagnosi fu terribile: soffriva di una rara forma gravemente degenerativa del morbo di Parkison. Una malattia progressiva e devastante che nel giro di poco più di tre anni la costrinse su una sedia a rotelle.

    Marco suonò al campanello dell’abitazione dei suoi vicini. Venne ad aprire un’infermiera la quale prestava la sua opera nel reparto di medicina interna generale dell’ospedale di Niguarda. Era una amica di famiglia di Renzo, aveva circa trent’anni, i capelli colore della paglia tirati all’indietro raccolti in una piccola coda all’altezza della nuca, gli occhi di un azzurro slavato dietro ad un paio di occhialini dalle lenti rotonde, le davano un aspetto abbastanza insignificante; quando non era di turno all’ospedale veniva volontariamente a dare una mano ad accudire Marta.

    «Buon giorno signor Marco» disse aprendo la porta.

    «Buon giorno Elvira» rispose entrando in casa «…e Marta come sta?»

    «Oggi è stata una brutta giornata… non ha voluto mangiare niente ed era nervosa e agitata, poi dopo il temporale Renzo l’ha portata in giardino con lui e si è calmata»

    Marco seguì l’infermiera diretta verso il giardino attraversando la grande sala dove c’era il televisore acceso che trasmetteva la partita di calcio della nazionale.

    Renzo, inginocchiato, stava potando i rami di un cespuglio e con parole pacate illustrava alla moglie, seduta in carrozzella vicino a lui, quello che stava facendo, ma lei sembrava non ascoltarlo, aveva lo sguardo assente, perso nel vuoto.

    Marco le si avvicinò, si accovacciò vicino alla carrozzella.

    «Ciao Marta, come stai?» disse carezzandole le mani un po’ deformi.

    Lei non rispose, rimase con lo sguardo fisso nel vuoto. Ormai da qualche tempo assumeva quell’atteggiamento e sembrava non riconoscere più le persone. Era magrissima, gli occhi infossati e inespressivi, i lineamenti del viso, un tempo bellissimi e dolci, erano tirati come in una smorfia. Quella che fino a tre anni prima era una splendida donna, la malattia aveva drammaticamente trasformato in una tragica maschera segnata dalla sofferenza.

    Marco andò verso Renzo gli batté una mano sulla spalla.

    «Ciao Renzo, come va?» disse indicando con il capo Marta.

    «Come vuoi che vada…» disse «…ormai è così… oggi non ha voluto mangiare niente e poi era nervosa…»

    «Me l’ha detto Elvira…»

    «C’è di buono…» proseguì Renzo, che nonostante la gravissima situazione, aveva conservato uno spirito abbastanza sereno e aperto, capace di cogliere scampoli di ottimismo anche da piccoli segnali «…che quando la porto qui con me, in giardino, e mi metto a lavorare attorno ai fiori, ai cespugli… parlandole e spiegandole quello che sto facendo… ecco, allora si calma… e anche se non riesco a capire se comprende quello che le dico, mi sembra più tranquilla, più rilassata… meno male che il temporale è durato poco… così ho potuto portarla fuori»

    Renzo era completamente cambiato: se da giovane era un incorreggibile donnaiolo e uno scanzonato, simpatico mascalzone, da quando si sposò con Marta divenne una persona sempre più matura, equilibrata e, anche se invecchiando aveva mantenuto un certo fascino, tanto da suscitare ancora non poche attenzioni da parte dell’altro sesso, aveva definitivamente abbandonato le avventure e le scappatelle di una volta.

    Aveva cominciato a lavorare giovanissimo perché non gli piaceva studiare e i suoi genitori – di vecchio stampo – a tal proposito erano stati chiarissimi: «se non vuoi studiare, vai subito a bottega». Così, a quattordici anni, appena terminata la scuola dell’obbligo, si ritrovò a fare l’apprendista tornitore in una piccola officina meccanica, per passare, dopo qualche anno, nel reparto manutenzione alla Pirelli, nello stabilimento della Bicocca, dove rimase per il resto della sua vita lavorativa e, avendo cominciato a lavorare molto giovane, andò in pensione a soli cinquantatrè anni ancora nel pieno delle forze. Cominciò allora a progettare i viaggi da fare insieme a Marta nei posti in cui aveva sempre sognato di andare. Poi ci sarebbero state le visite al figlio in un paese lontano, ma non troppo spesso, così… per non impicciare. Loro avevano provato a vivere in casa con i genitori e anche se

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