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Arresta il Sistema
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E-book204 pagine3 ore

Arresta il Sistema

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“Arresta il Sistema” è il mio primo libro che, data la sua assurda e inverosimile Storia, non avrei mai pensato di dover raccontare.
Di cosa tratta?

Del sistema criminoso che consente a quasi tutte le grandi Firme della Moda, in questo caso Gucci, di poter ricavare guadagni sempre più rilevanti, provenienti dalla vendita delle loro Borse, sfruttando la manodopera dei cinesi per fabbricarle che, a loro volta, lavorano a cottimo e al nero e possono mettersi da parte bei soldoni da spedire in Cina ogni fine mese, evadendo così le tasse da riconoscere allo Stato italiano.

Perché l’ho scritto?
Qualcuno prima o poi doveva farlo.

Nei 2 anni passati a Scandicci con la mia "Mondo Libero", ho capito che il mio lavoro era arrivato al capolinea e che di questo Sistema facevano parte anche le Autorità che avrebbero dovuto tutelare la Sicurezza sul Lavoro, gli Operai e le Aziende Italiane regolari.

Tutti erano al corrente, dagli Artigiani ai Dipendenti fino alle Persone comuni, ma di fronte a questo schifo di Sistema l’Omertà ha avuto la meglio.

Io no.
Ho deciso di denunciarlo su Report. Non è stato il coraggio a farmelo fare, bensì la paura.

La paura di vedere il mio lavoro del tutto in mano a questo Sistema, che avrebbe cancellato per sempre ogni Azienda Italiana non disposta ad attuarlo.

Cosa ci ho guadagnato?
Nulla. Se avessi voluto guadagnare (e tanto) da poter sistemare me e la mia famiglia per sempre, avrei sfruttato i cinesi.

Cosa ci ho rimesso?
La cosa più importante per un Uomo: la Famiglia… il resto non conta…

Ma a volte, quando pensi di aver perso tutto, ti accorgi invece di aver vinto.
Ha vinto la tua Coscienza.
La tua dignità come Uomo.
Come Padre dinanzi a tutto

E ha vinto la tua Anima!
Perché non l’hai venduta di fronte a quello che io chiamo il Demonio… cioè il… dio... Denaro.

Buona lettura... Aroldo Guidotti
LinguaItaliano
Data di uscita15 apr 2021
ISBN9791220292849
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    Anteprima del libro

    Arresta il Sistema - Aroldo Guidotti

    Francesco.

    PROLOGO

    La mia storia è cominciata nel dicembre del 2012, quando mi sono trasferito a Scandicci (FI) per aprire la Mondolibero Sas.

    Ma torniamo un attimo indietro nel tempo.

    Nel 2008 ero titolare di un’azienda che produceva mobili e arredamenti. Avevo tre dipendenti e mi avvalevo anche della collaborazione di falegnami che, nelle loro botteghe, seguendo i miei progetti di design, realizzavano mobili grezzi che io, successivamente, nella mia azienda rifinivo con la verniciatura. Il lavoro sembrava andare molto bene, per cui, pensai di investire in un nuovo fabbricato di circa mille metri quadrati e di costituire una nuova società insieme a un mio amico, maestro nella lavorazione del legno, con il quale avrei dovuto sviluppare, anche grazie ai suoi contatti lavorativi, ancora di più il giro di affari. All’interno del nuovo fabbricato ricavai, inoltre, uno spazio di circa duecentocinquanta metri quadrati per la produzione di borse. Avrei potuto, così, mettere in pratica anche la mia vera professione di artigiano pellettiere.

    Iniziai, dunque, i lavori di ristrutturazione per realizzare bagni nuovi, pavimentazione nuova, controsoffitto, impianto elettrico e pareti in cartongesso per la divisione degli uffici, la mostra di cucine e il laboratorio di pelletteria.

    Dopo essermi messo in cerca di buoni contatti per quanto riguardava le borse, conobbi il responsabile di produzione di una grande firma, con sede a Piancastagnaio, il quale venne a visitare la mia azienda. Gli mostrai il laboratorio e gli chiesi se da settembre potevamo cominciare una collaborazione. Lui mi rispose che, se io per settembre fossi stato pronto, avremmo potuto iniziare il rapporto di lavoro. Ciò significava provvedere preventivamente all’allestimento dei macchinari necessari e all’assunzione di almeno dieci o quindici dipendenti che rappresentavano il minimo di personale richiesto.

    La sua richiesta fu per me confortante e, con una stretta di mano, ci salutammo, rimandando tutto alla fine di agosto.

    Questa vicenda, però, mi fece ritrovare ‘con il culo per terra’. Il mio amico falegname si era ritirato dal progetto di lavorare insieme, l’attività di falegnameria aveva avuto un drastico calo e diversi clienti non avevano pagato i lavori da me eseguiti.

    L’accordo che avevo con la firma di Piancastagnaio era saltato: il responsabile mi aveva comunicato che, in quel momento, non avevano abbastanza ordini. Ma io, in realtà, avevo scoperto che stavano fornendo il lavoro ai primi cinesi giunti a Piancastagnaio. A quel punto, l’investimento nel nuovo fabbricato si era rilevato per me un vero fallimento.

    Era l’aprile del 2009, la Free World era ormai chiusa da quattro mesi e io mi stavo riprendendo da un periodo di esaurimento nervoso.

    Alla mia compagna Alessandra feci aprire una partita IVA che mi consentisse di emettere fatture e mi misi, così, a confezionare fodere di Gucci per un’azienda di Aprilia (LT), al piano terra della mia casa di Santa Fiora (GR), dove vivevo con Alessandra e i nostri figli Francesco e Manuel, rispettivamente di tre e quattordici anni. Trovavo questo impiego molto deprimente, ma dovevo farlo per ricominciare a riprendere fiducia in me stesso e per infondere la stessa fiducia anche nella mia compagna. Avendo sempre gestito aziende importanti e dato lavoro a tante persone, non avrei mai pensato di trovarmi in quella situazione.

    A dicembre del 2009, il consorzio Ampell di Piancastagnaio mi propose un lavoro come dipendente che mi permise di smettere di confezionare fodere. Rimasi alle dipendenze del consorzio fino a ottobre del 2010, quando decisi di licenziarmi perché avevo capito che l’Ampell avrebbe chiuso da un momento all’altro. E il fallimento, infatti, arrivò poco dopo.

    A quel punto richiesi la disoccupazione che mi venne accordata a ottocento euro al mese.

    Alessandra lavorava part-time e, aggiungendo al suo stipendio solo la mia disoccupazione, faticavamo ad arrivare a fine mese. Senza l’aiuto dei suoi genitori, non ce l’avremmo mai fatta.

    Vista la situazione, decisi di interrompere il pagamento del mutuo della casa, anche per fare rivalsa contro il Monte dei Paschi di Siena che non mi aveva sostenuto nel momento di difficoltà attraversato con la Free World. Per tremilacinquecento euro, infatti, aveva permesso al leasing di portarmi via tutti i macchinari già pagati, per un totale di ottantamila euro e, tutto questo, nonostante avessi un bel po’ di soldi investiti su dei fondi che la banca stessa mi aveva proposto.

    Fui costretto a vendere la mia Mercedes per recuperare qualche soldo e mi misi a svolgere dei lavori, arrangiandomi un po’ qua e un po’ là. Dentro di me però cresceva, giorno dopo giorno, il desiderio di rimettermi in gioco: pensavo di riaprire una nuova azienda ma, questa volta, non sull’Amiata, bensì a Firenze, dove mi ero recato per qualche giorno in cerca di chissà quale opportunità lavorativa.

    Una mattina, in un bar di Scandicci, incontrai Orlando, un mio amico rivenditore di macchinari per pelletteria e, alla sua domanda su cosa ci facessi a Firenze, io risposi: Vorrei aprirci un’azienda.

    Porca miseria!, esclamò lui, ho una cosa che fa al caso tuo. Ho un cliente che sta cercando di cedere la sua attività proprio qui a Scandicci. Ha un laboratorio super attrezzato di seicento metri quadrati. Lo so perché le macchine gliele ho fornite io. Il proprietario si chiama Alberto Risi e so per certo che per ventimila euro cede tutto. Se vuoi, ti do il suo numero di telefono e lo puoi chiamare tranquillamente, perché lui stesso mi ha dato l’incarico di trovargli un acquirente.

    La mia nuova avventura iniziò con l’appuntamento con il signor Alberto Risi il quale, arrivato con la sua Volvo Station Wagon marrone, si presentò vestito in modo elegantissimo, con la valigetta, gli occhiali e la barba bianca curata al massimo. Aveva un aspetto giovanile e molto disinvolto, gli davo più o meno una sessantina d’anni. Con una stretta di mano ci presentammo e ci mettemmo al tavolo di un bar per cominciare la nostra trattativa. Alberto esordì con la sua proposta: Aroldo ti confermo che, per ventimila euro, cedo tutto, macchinari, impianto elettrico, aria condizionata, banchi di lavoro e quant’altro. Puoi saldarmi tutto in quattro o cinque mesi, in modo da non metterti pressione. Ho deciso di disfarmene a malincuore dopo aver perso tutti i miei clienti per colpa dei cinesi e del responsabile italiano che avevo alle mie dipendenze. Mi hanno rovinato tutte le borse della griffe per la quale ero entrato a lavorare direttamente.

    Dopo averlo ascoltato, gli risposi che la sua era una buona proposta ma che, prima di dargli una risposta, avrei voluto visionare l’azienda e, qualora mi fosse piaciuta, mi sarei preso qualche giorno per una risposta definitiva.

    E così, con la sua auto, giungemmo in via Castel Pulci 106/c, posteggiammo la macchina e ci trovammo davanti all’Aurora S.r.l. che era un edificio davvero enorme.

    Salite le scale, un lungo corridoio ci condusse all’entrata e mi resi conto di quanto fosse grande il laboratorio. Rimasi colpito dalla spettacolare vetrata lungo tutta la parete e soprattutto dal bellissimo panorama delle colline circostanti. Diedi uno sguardo ai macchinari e, in generale, a tutto l’ambiente che trovai un po’ squallido, sporco, trasandato, con i banchi di lavoro macchiati di mastice, il pavimento lurido e tanti mozziconi schiacciati. I bagni erano un vero disastro e pensai che, in un ambiente del genere, solo i cinesi potevano lavorarci. Ovviamente ad Alberto non dissi niente della mia pessima impressione, perché vedevo delle potenzialità e già immaginavo quel posto sistemato a modo mio.

    Poi lui mi chiese: Allora Aroldo, cosa te ne pare? È un po’ in disordine, lo so, i cinesi purtroppo lavorano così. Ma ti garantisco che i macchinari sono tutti in buono stato e a norma di legge, le cucitrici sono praticamente nuove, c’è l’aria condizionata dappertutto, senza la quale d’estate non si riuscirebbe a lavorare. L’impianto elettrico è nuovo e ho la conformità. Ti lascerei anche l’arredamento del mio ufficio. Con grande rammarico sono costretto a chiudere la mia Aurora ma, se la prendi tu, sono contento. Mi sembri una brava persona e questo me lo ha confermato anche Orlando.

    Io lo ascoltai e gli risposi: Grazie per il tuo apprezzamento nei miei confronti. Ti chiedo solo qualche giorno di tempo, devo procurarmi prima il lavoro e poi almeno quattro, cinque persone qualificate da assumere per poter iniziare una piccola produzione.

    Certo Aroldo, prenditi il tempo necessario e appena puoi ci aggiorniamo.

    Dopo aver definito la trattativa, Alberto mi accompagnò alla mia macchina e, prima di andar via, mi disse: Ti consegno le chiavi dell’Aurora, casomai ti servissero. Io rimasi sorpreso dal suo gesto, lo ringraziai, lo salutai e a quel punto tornai indietro in azienda.

    Mi trovavo solo dentro l’immenso laboratorio e, con l’immaginazione, lo vedevo già attivo, con gli operai che lavoravano e i carrelli e gli stendini pieni di borse. Dovevo trovare a tutti i costi una soluzione per poter realizzare il mio sogno e, mentre pensavo a quale potesse essere, mi balenò in testa un’idea geniale: ‘Aroldo, sei forte. Chiama il tuo amico Lucy e coinvolgilo in quest’avventura’.

    Lucy era un ragazzo cinese di trentacinque anni, con il quale avevo lavorato per alcuni mesi in una pelletteria di Piancastagnaio, dove lui si era trasferito con la moglie Moya per esigenze di lavoro, visto che a Firenze, città in cui viveva da più di venti anni, non trovava più un impiego stabile. Dopo aver instaurato con Lucy e sua moglie una sincera amicizia, mi ero occupato anche della pratica per la ricongiunzione familiare con le loro due gemelline di tre anni che, purtroppo, avevano dovuto lasciare in Cina con i nonni materni. Per questo dovetti provvedere a trovare loro una casa in affitto con le caratteristiche necessarie per poter fare la richiesta che, grazie all’aiuto di una mia amica commercialista, fu accolta e andò a buon fine.

    Nel breve periodo in cui avevo lavorato con lui e la moglie, avevo potuto constatare la loro bravura nella lavorazione delle borse e, soprattutto, la grandissima capacità di Lucy nel cucirle. Oltre a questo, mi fidavo ciecamente di lui per la sua serietà e onestà e, dentro di me, a quel punto sapevo che era l’unica possibilità per poter prendere l’azienda di Alberto.

    Mi rimisi in viaggio verso casa e, una volta arrivato, fui accolto come sempre da mio figlio Francesco e da Spinky, il mio cagnolino meticcio bianco e nero che mi fece le solite feste. Precedentemente, al telefono, avevo già anticipato qualcosa ad Alessandra ma, una volta a casa, la misi al corrente del mio progetto e soprattutto della mia idea di coinvolgere Lucy che anche lei conosceva.

    Aroldo, è una tua decisione, esordì Alessandra, io ne sono contenta, anche se devi stare fuori cinque giorni a settimana, ma forse è l’unico modo per ricrearti un tuo lavoro. Io farò solo un po’ più fatica a gestire Manuel e Francesco. Le sue parole mi confortarono e mi diedero la spinta per mettermi all’opera.

    Il giorno dopo, aspettai che Lucy e Moya finissero di lavorare e li raggiunsi a casa loro, a Bagnolo, una frazione di Santa Fiora. Suonai alla porta e fui accolto da Lucy:

    Ciao Aroldo, che sorpresa! Dai vieni, entra!

    Una volta in casa, salutai le bambine che stavano giocando a terra, sedute sul tappeto della sala, e mi diressi in cucina dove Moya stava cucinando. Ci sedemmo al tavolo, in modo che anche lei potesse sentire quello che avevo da dire. Spiegai loro tutto il mio progetto e Lucy, dopo avermi ascoltato, rimase molto entusiasta e mi pose solo una domanda: Ma se ci trasferiamo di nuovo a Firenze, dove andiamo ad abitare con tutta la famiglia?

    A questa domanda, che non mi aveva colto di sorpresa, risposi disinvolto:

    Vieni tu da solo con me a Scandicci. Alloggeremo per un po’ nel laboratorio. Porterò due letti a scomparsa che non daranno nell’occhio in caso di qualche ispezione. Cominceremo a lavorare e, dopo aver organizzato per bene l’azienda, prenderai una casa a Lastra a Signa, che dista dal lavoro solo tre chilometri e dove i prezzi degli affitti sono molto più bassi che a Scandicci. Nel frattempo Moya resterà qui con le bambine: al mattino le accompagnerà a scuola e potrà andare a lavorare come sta facendo adesso. Tra un paio di mesi, se tutto procederà per il verso giusto, e sono sicuro di sì, potrà raggiungerti e, dopo che avrete sistemato le piccole alla scuola di Lastra a Signa, anche lei potrà venire a lavorare con noi.

    Lucy sembrava convinto e chiese a Moya cosa ne pensasse. Lei, con il suo modo sempre molto gentile, gli rispose: Per me va bene. Sai che ti ho sempre manifestato il mio desiderio di tornare a Firenze. Qui non c’è niente per le bambine e poi sai che stimo Aroldo. Sono sicura che con lui ci troveremo bene. Ha dimostrato con il suo aiuto quanto tiene a noi, senza chiederci nulla in cambio.

    Lucy era felicissimo e non vedeva l’ora di iniziare.

    Ascoltami, spiegai io a Lucy, sabato che non vai a lavorare facciamo un salto a Scandicci e ti mostro l’azienda. Così per strada parliamo di come dobbiamo organizzare tutto.

    Detto questo, li salutai e tornai a casa dove la mia famiglia al completo mi aspettava per cenare insieme.

    Alessandra, ascoltato l’esito positivo del mio colloquio con Lucy e la moglie, fu molto contenta e mi manifestò il suo pensiero positivo: Speriamo bene Aroldo. Non è la prima volta che ricominci da capo, dovrai sacrificarti molto, ma penso che ce la farai anche questa volta. Io, staccata la spina dal lavoro, mi accomodai sul divano con Francesco a guardare il nostro cartone animato preferito, ‘Leone il cane fifone’.

    La mattina seguente accompagnai Francesco a scuola e subito dopo tornai a casa. Alessandra si stava preparando per andare a lavorare e Manuel dormiva ancora.

    Mi misi al computer per trovare persone qualificate nel settore della pelletteria e in cerca di occupazione. Consultato il sito ‘Cerco Lavoro’, riguardante il comprensorio di Firenze, mi appuntai dei nominativi e dei contatti di alcuni iscritti che, secondo me, avevano i requisiti professionali che stavo cercando. Erano una quindicina, tutti residenti a Scandicci e Lastra a Signa e, trovati i loro indirizzi email sui curriculum, li contattai, descrivendo loro in sintesi il mio progetto e chiedendo di rispondermi in caso di interesse. Dopo circa due ore di ricerca, ero soddisfatto del lavoro svolto e dovevo solo aspettare di essere contattato.

    Durante la giornata, a tutti gli interessati che mi telefonarono, diedi appuntamento per l’indomani, sabato alle ore 14, in via Castel Pulci 106/c, dove avrei svolto il colloquio di lavoro.

    Era il 10 dicembre e, se avessi avuto la disponibilità di almeno quattro o cinque delle persone che mi avevano contattato, avrei potuto cominciare a contattare qualche cliente per il quale realizzare borse e, in realtà, avevo già in mente qualcuno.

    Nel pomeriggio, dopo che Alessandra era ritornata a casa, io andai a prendere Francesco a scuola per portarlo a giocare al parco. Mentre guardavo mio figlio correre con i suoi amici, approfittai per telefonare ad Alberto e aggiornarlo sui miei movimenti: Ciao Alberto, io domani sarò di nuovo a Scandicci e avrò dei colloqui di lavoro per quanto riguarda le assunzioni nella tua azienda. Vedrai, se tutto fila come spero, entro metà gennaio la mia Mondolibero, che è il nome che voglio dare alla mia azienda, sarà operativa. E lui, con un tono di voce molto sollevato, mi rispose:

    "Bene Aroldo, sono contento che ti stai muovendo. Sai, persone che non ti posso dire, ma che ti conoscono di fama, mi hanno parlato molto bene di come lavori. Evidentemente, anche a Firenze conoscono la tua storia passata come pellettiere. Bello il nome Mondolibero, l’hai ripreso dal tuo nome d’arte. Bravo! Mi dispiace di non esserci domani ma, come ogni

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