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Il libro maledetto
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E-book812 pagine10 ore

Il libro maledetto

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Info su questo ebook

Un grande thriller storico

Dall’autore del bestseller Il monastero

«Un’incantevole immersione in un’altra epoca.»

1517. Il giovane Thomas attraversa l’Europa rinascimentale, in fuga dal suo passato. Sono gli anni che seguono la scoperta dell’America e l’invenzione della stampa, un periodo di profondi cambiamenti che segna ormai la fine del Medioevo. La curiosità per il Nuovo Mondo, che Thomas ha accresciuto con numerose letture, lo conduce in Spagna, dove comincia a lavorare come mercante di libri. Con il compito di localizzare un volume avvolto da un’aura di mistero arriva a Siviglia, città che prospera grazie ai commerci con le Indie e che ospita, tra le sue mura, la più importante biblioteca dell’Occidente, creata dal figlio di Cristoforo Colombo e chiamata La Colombina. È proprio lì che Thomas fa una scoperta sconvolgente: qualcuno ha rubato il libro che sta cercando ed è disposto a qualunque cosa, anche uccidere, per fare in modo che nessuno lo trovi. In un’epoca in cui i libri permettono di scoprire nuovi mondi, abbattono anche i dogmi più sacri e cambiano il corso della Storia, la parola stampata può essere l’arma più pericolosa…

Ogni grande viaggio comincia con un libro

C’è stato un tempo in cui i libri potevano rivelare nuovi mondi, rovesciare i dogmi più sacri e cambiare il corso della storia.

Hanno scritto dei suoi romanzi:

«Per chi ama il Medioevo, questo libro è come una macchina del tempo.»
El Mundo

«Il miglior romanzo storico dell’anno.»
Novelas Històricas

«Un degno erede di I pilastri della Terra e La cattedrale del mare.»
La Vanguardia

«Luis Zueco ci porta in un viaggio attraverso mezza Europa sulle tracce di un libro scomparso. Librerie, biblioteche e il Nuovo Mondo sono le tappe di un romanzo che coinvolge il lettore fin dalle prime scene.»
Todo Literatura

«Luis Zueco dimostra ancora una volta che il romanzo è un genere florido, in grado di coniugare la riflessione e la conoscenza con una lettura agile e divertente, ricca di avventure e di svolte narrative.»
Cuarto Poder
LinguaItaliano
Data di uscita5 ott 2020
ISBN9788822744685
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    Anteprima del libro

    Il libro maledetto - Luis Zueco

    parte i

    L’IMPERO

    1

    L’alloro

    I libri hanno il loro orgoglio: una volta prestati, non tornano più indietro.

    Theodor Fontane

    Augusta, giugno 1516

    Il mondo è rinato dalle sue ceneri. Stiamo uscendo da un’epoca buia, da mille anni di penombra, ignoranza e sottomissione. La nuova era recupererà la grandezza dimenticata, gli uomini torneranno a essere eroi, a decidere del loro destino".

    Úrsula aveva sentito queste parole da bambina; ne era rimasta affascinata, anche se avrebbe tardato a comprenderne il significato. Sua madre aveva sempre insistito affinché imparasse a leggere perché, anche se c’era chi la considerava una cosa da uomini, una donna doveva essere istruita. Le aveva raccontato che quando lei era bambina i libri non esistevano, giacché i primi testi stampati avevano appena una decina di anni, e Úrsula faceva fatica a immaginare un mondo senza di essi.

    In passato venivano copiati a mano all’interno dei monasteri. Prima i libri erano talmente cari che solo i re e i grandi nobili potevano permetterseli. Per questo quei tempi antichi venivano chiamati l’Epoca buia, priva della luce diffusa dai libri.

    Sua madre era una bella donna, ancora giovane, dai capelli lisci e rossicci e con un collo sottile che ne esaltava la figura. Il suo nome era Eleonor, e non era tedesca ma francese. Úrsula sapeva che il regno di Francia era uno dei più grandi e potenti d’Europa e le faceva piacere essere per metà francese.

    Eleonor insisteva nel dire che una persona non appartiene al luogo dove nasce, ma a quello dove è amata. E lei era felice ad Augusta, dove aveva conosciuto il suo sposo, Federico Müller, un uomo ricco dedito all’attività mineraria e al commercio di bestiame, e dove aveva formato una famiglia, un focolare, in una casa nei pressi della cattedrale. Úrsula era la sua unica figlia e voleva plasmarla a proprio piacimento. A tredici anni le aveva regalato un anello d’oro, un dono che la piccola aveva apprezzato così tanto da non toglierselo più. Sua madre le aveva spiegato che una signorina doveva sfoggiare le proprie gioie: lei era già una donna e meritava di cominciare ad avere i propri gioielli.

    Quella sera andarono a far visita a una zia del padre, che era malata. Di ritorno si ritrovarono di fronte a una piazza inaspettatamente gremita, e sì che non era giornata di mercato.

    «Non posso crederci!», sua madre assunse un’espressione che Úrsula conosceva bene e che non lasciava presagire niente di buono.

    «Che succede, madre?»

    «Di nuovo quel maledetto gioco», e sospirò.

    Era da qualche anno che un gioco a squadre che prevedeva l’uso della palla era divenuto popolare soprattutto fra i giovani, ma anche fra gli adulti, i quali ne approfittavano per puntare scommesse di ogni genere. Di solito non si vedeva così tanta gente assembrata per una partita, ma quella sera c’era una buona ragione: i contendenti. A confrontarsi, infatti, c’erano le squadre dei figli delle famiglie più ricche di Augusta: i Fugger e i Welser.

    La squadra dei Welser era capitanata da Bartolomé, il figlio maggiore, chiamato come suo padre e famoso per la sua ambizione, e dal quale tutti si aspettavano che portasse avanti e ampliasse gli affari di famiglia. Bartolomé era tra i giovanotti più alti e corpulenti di tutta la città. Insieme a lui c’erano i fratelli minori, Lucas e Uldarico.

    I Welser sostenevano di discendere dal generale bizantino Belisario, uno dei più famosi militari della storia, che salvò buona parte dell’Impero Romano d’Occidente dalle grinfie degli invasori barbari.

    I rivali, sotto ogni punto di vista, erano i Fugger. Con essi, infatti, si contendevano il primato di famiglia più ricca, non solo di Augusta, ma di tutto il Sacro Romano Impero Germanico.

    Nell’ultimo anno nessuno era riuscito a battere i fratelli Welser. Quel gioco godeva di molta popolarità, nonostante fosse passato circa un decennio da quando il principe Felipe d’Asburgo, sposo di Giovanna di Castiglia, era morto partecipando a una partita.

    I contendenti presero posizione. Úrsula osservò impressionata la prestanza fisica di Bartolomé Welser. La partita ebbe inizio con il primo tocco da parte dei Fugger. Il primo punto fu molto combattuto, come se si fosse già al termine dell’incontro piuttosto che all’inizio. A un tratto Antón Fugger colpì la palla con tutte le sue forze, riuscendo ad anticipare l’avversario che lo marcava stretto, sorprendendo tutti.

    Ma fu solo un’illusione, perché i punti seguenti furono segnati da Bartolomé Welser, che si imponeva con la sua fisicità e imprimeva una potenza imparabile ai suoi tiri. I Welser segnavano un punto dopo l’altro, senza il minimo sforzo, mentre i due fratelli Fugger, pur essendo veloci e in grado di recuperare molti palloni, non erano altrettanto precisi nei tiri.

    Fu allora che il terzo giocatore della squadra dei Fugger alzò la palla con la mano sinistra, sorprendendo tutti e segnando un punto. I successivi tre punti furono messi a segno dalla squadra dei Fugger, tutti grazie ai lanci dello stesso giovane, meno potenti di quelli di Bartolomé Welser, ma segnati con grande abilità.

    «Madre, chi è quel ragazzo che gioca così bene?»

    «Non lo so, ma non è un Fugger, questo è sicuro».

    «È il figlio del cuoco dei Fugger!», gridarono dalla folla.

    «Avete sentito, madre?»

    «Sì, figlia mia, oggi permettono a chiunque di mescolarsi con noi, che vergogna!».

    Úrsula non perdeva di vista neanche un movimento del giovane.

    Si chiamava Thomas Babel ed era mancino. Per quanto i suoi genitori lo avessero obbligato a utilizzare sempre la mano destra, lui non poteva fare a meno di ricorrere alla sinistra. Con la destra faceva tutto, scrivere, mangiare e colpire la palla, ma continuava comunque a conservare quella destrezza innata che nel gioco non poteva fare a meno di sfruttare. Forse per questo era un giocatore tanto abile, perché poteva colpire quel pallone di cuoio con entrambe le mani.

    Le due squadre andarono in pareggio, anche grazie al contributo dei fratelli Fugger. Pur minuti, erano tenaci e non davano niente per perduto; recuperavano palloni affinché Thomas potesse segnare più punti possibili.

    Dall’altra parte, Bartolomé era sostenuto dai suoi fratelli, i quali, sebbene meno abili e precisi di lui, colpivano la palla con una violenza inaudita, maledicendo i Fugger ogniqualvolta riuscivano a respingere i loro proiettili.

    Il risultato rimase fermo sulla parità; al punto decisivo, il più giovane dei Fugger, Antón, scivolò e, proprio quando stava per perdere la palla, come per miracolo sopraggiunse suo fratello Raimundo, che rotolò a terra, recuperandola con destrezza. Bartolomé Welser, sorpreso da tanta reattività, faticò a colpire la palla. Thomas ne approfittò, assestando il colpo definitivo e consegnando la vittoria alla squadra dei Fugger.

    Le grida furono assordanti, perché alla partita non presenziavano solo tutti i giovani di Augusta. Persone di ogni età e classe sociale si erano riunite attorno al campo, attratte dalla competizione, dall’emozione del gioco, inclusi gli illustri padri dei contendenti.

    La squadra dei Fugger ricevette come premio una corona d’alloro dorata, lo stesso trofeo che veniva consegnato ai vincitori nell’antica Grecia. I due fratelli si confrontarono e decisero di cederla al compagno Thomas, in quanto principale artefice della vittoria.

    Il pubblico applaudì il gesto, mentre, tra lo stupore di tutti, Thomas si diresse verso la folla e si fece strada fino a raggiungere una giovane, alla quale porse la corona d’alloro.

    Úrsula, arrossendo, la accettò davanti allo stupore di sua madre, che la prese per un braccio e la trascinò via.

    «Dammela immediatamente! Che cosa pensava di fare quello sfacciato?»

    «No, madre. È un regalo…», disse, nascondendola dietro la schiena.

    «Ho detto di darmela e non te lo ripeterò più!».

    La giovane sospirò, rassegnata, ma prima di consegnarle la corona, staccò una foglia di alloro da conservare.

    2

    La cena

    Thomas Babel aveva perso la madre a soli sei anni a causa di un parto prematuro. Né lei né la bambina che portava in grembo erano sopravvissute. L’unico ricordo che gli restava di lei era una medaglietta con impressa l’immagine della Vergine, dalla quale non si separava mai. I suoi nonni, così come gli zii, erano tutti morti molto tempo prima che lui nascesse, per via di un’epidemia di peste che scoppiò in quella zona, pertanto il padre era tutta la sua famiglia.

    Fin da quando era molto piccolo, l’uomo lo aveva abituato ad ascoltare i racconti che gli leggeva ogni notte. Seduto sul bordo del letto, scorreva ogni singola pagina di quei testi che chiedeva in prestito, come fosse un intimo rituale. Il tempo sembrava passare più lentamente e le storie che gli raccontava lo trasportavano in altri regni e in altre epoche.

    Marcus Babel, nativo di Augusta, era una persona molto ben voluta in città; lavorava come cuoco per l’influente famiglia Fugger, ricchi banchieri con attività commerciali in tutta la cristianità. Jacobo Fugger era il capo famiglia, e si vociferava che prestasse denaro a principi e re e che avesse avuto più influenza lui sull’elezione del papa rispetto agli stessi cardinali romani.

    L’amicizia che legava Marcus a Jacobo Fugger fornì a Thomas un regalo insperato. Il cuoco, infatti, avvalendosi dell’ottimo rapporto che li legava, richiese al banchiere di dare la possibilità a Thomas di ricevere la stessa educazione dei suoi due nipoti, Raimundo e Antón Fugger. Jacobo non aveva figli, i suoi fratelli erano tutti morti e si era fatto carico dei due ragazzi che, in fondo, erano i suoi unici eredi. Il primo era più grande di Thomas di tre anni, mentre il secondo era più piccolo di un anno. Fin da bambini avevano sempre giocato insieme nei giardini dell’enorme residenza dei Fugger, quindi per i tre giovani fu un’incredibile gioia poter condividere anche gli studi.

    Solo col passare degli anni Thomas sarebbe arrivato a comprendere il valore di quelle lezioni quotidiane che suo padre lo obbligava a seguire. Fu così che scoprì il latino, lingua che arrivò subito a padroneggiare, a differenza della matematica che invece gli richiedeva uno sforzo maggiore.

    Il loro maestro era Klopp, un monaco dalla capigliatura rada e brizzolata, in netto contrasto con la sua lunga e folta barba. Era un uomo snello e di notevole statura, ma incurvato dal peso degli anni, come se avesse un enorme macigno sulle spalle. Quando si tirava su grazie all’ausilio del suo bastone, tuttavia, appariva in tutta la sua imponente figura.

    «Thomas! Ti ho detto mille volte di stare più attento. La lettura esige concentrazione, non basta ripetere a voce alta le parole scritte».

    «Lo capisco, ma le parole mi scappano via dalla testa, non riesco a memorizzarle».

    «Santo Dio, quanta pazienza ci vuole con te. Devi comprendere ciò che leggi, lo capisci?», gli diceva, mentre i fratelli Fugger non la smettevano di ridere.

    «Leggo perfettamente, maestro».

    «Ma non cogli il senso delle frasi», lo rimproverava Klopp con tutta l’indulgenza di cui era capace. «Corri troppo, così non riesci a capire quello che stai leggendo».

    «Sì che ci riesco».

    «Non è possibile, nessuno può leggere e al tempo stesso comprendere se legge tanto in fretta. A cosa ti serve correre così?»

    «Non posso farci niente», si difese Thomas.

    «Nelle biblioteche dei monasteri ci sono dei monaci che si dedicano senza sosta alla copia dei manoscritti e nella maggior parte dei casi non sono neppure in grado di leggere, così non devono perdere tempo a cercare di capire ciò che devono copiare. Questo è proprio il contrario di quello che devi fare tu!».

    Thomas riprese a leggere, ma sempre allo stesso modo; lesse il testo tanto rapidamente da avere il tempo di guardare i Fugger con la coda dell’occhio. I due fratelli erano quasi uguali, e l’unica differenza tra loro erano quei quattro centimetri di altezza in più che distinguevano il fratello maggiore, Raimundo. Vestivano in maniera molto simile, avevano i capelli lunghi con la riga laterale, occhi scuri e una corporatura minuta, proprio come lo zio Jacobo. Antón era il più intelligente dei due, eccelleva in tutto ciò in cui Thomas era carente, in particolare nei calcoli. Fra tutte le discipline impartitegli da Klopp, ciò che più affascinava Thomas erano gli aneddoti sulla storia di Roma e dell’antica Grecia che gli raccontava durante le lezioni di latino e greco.

    In occasione della presentazione di un progetto per la creazione di una serie di asili in città, una sera di settembre fu organizzato uno splendido banchetto nel palazzo dei Fugger, al quale partecipò il fior fiore della società di Augusta, il governatore, ricchi commercianti, nobili, artisti e parte del consiglio comunale della città. I Fugger non solo erano molto vicini all’imperatore Massimiliano i, ma erano anche mecenati, e in quel periodo avevano accolto nella loro dimora un famoso pittore, Alberto Durero, delle cui opere si dicevano meraviglie.

    Era stato Jacobo Fugger il Vecchio a gettare le basi delle attività di famiglia, mentre il suo successore, il più giovane Jacobo, era riuscito a dare loro nuovi impulsi e a diversificarle, diventando nel giro di pochi anni il banchiere e commerciante più ricco e conosciuto del Sacro Impero, ottenendo il monopolio nel mercato del rame in Europa. Tra i clienti delle sue banche c’erano figure appartenenti all’alta nobiltà, le case reali europee e la Chiesa cattolica. Jacobo Fugger finanziava le guerre e le cerimonie d’incoronazione di reali, facendo sì che i propri affari crescessero rapidamente e guadagnando, attraverso le sovvenzioni, una notevole influenza politica.

    Thomas aveva aiutato suo padre a stilare il menù per l’evento. La residenza dei Fugger era completamente circondata da un’alta cinta muraria con due garitte, dalle quali fuoriuscivano i pezzi di artiglieria puntati verso l’ingresso principale. Antón Fugger aveva raccontato a Thomas che l’edificio era stato costruito all’epoca di Carlo Magno, quando c’era un unico e solo regno cristiano. Le pareti del palazzo erano decorate con arazzi ed enormi opere d’arte che rappresentavano scene del mondo antico, con divinità, ninfe ed eroi, dalle quali Thomas restava sempre affascinato. Erano immagini che contrastavano nettamente con quelle che aveva sempre visto nelle chiese; erano più vive e suggestive. I personaggi erano rappresentati in quasi tutta la loro nudità, e poi c’erano sanguinose battaglie, animali terrificanti, strane creature… Sembravano appartenere a un altro mondo, più appassionante di quello che conosceva.

    Durante eventi di quel genere, a Thomas piaceva osservare l’arrivo dei vari ospiti da una piccola stanza vetrata che si trovava proprio dietro l’atrio e nella quale nessuno era solito entrare. I giovani Fugger gliel’avevano mostrata tempo addietro e quella sera, mentre giungevano gli ospiti, ne approfittarono per lanciarsi occhiate e fare smorfie buffe per far divertire Thomas.

    Fu allora che la vide arrivare.

    Si chiamava Úrsula e le aveva dedicato la vittoria sul campo da gioco. Pensò che solo una ragazza bella come lei meritava la sua corona d’alloro dorato. Thomas la conosceva da sempre, fin da quando era una buffa bambina che si arrampicava sugli alberi, cosa che aveva sempre terrorizzato la madre. Ora che aveva quindici anni, era diventata una ragazza bellissima; ora non correva più, ma si muoveva in modo elegante e sicuro, come sospesa sui suoi piccoli piedi.

    Dal suo nascondiglio, notò con stupore che Antón Fugger si stava dirigendo verso di lei. Thomas sentì il sangue ribollire nelle vene. Lo considerava un amico, eppure non poté fare a meno di provare una gelosia incontrollabile, ancor più perché non poteva uscire da quella stanza e parlare con lei. Ma proprio quando era sul punto di perdere il controllo, vide che Antón la accompagnava in direzione del suo nascondiglio. Con fare disinvolto, il suo amico sussurrò qualcosa nell’orecchio della giovane, che si incamminò da sola verso la stanza vetrata, con grande sorpresa di Thomas.

    Úrsula girò con delicatezza la piccola maniglia della porta, lasciandola leggermente socchiusa. Si voltò di spalle, guardando in direzione dell’ingresso, e rimase appoggiata allo stipite della porta, senza entrare, in modo da non sparire dalla vista dei suoi genitori.

    «Ci sei?», chiese.

    Thomas vide che Antón gesticolava in lontananza, mentre Úrsula aspettava una risposta.

    «Antón mi ha detto che avevi qualcosa di importante da dirmi», insistette la ragazza.

    La situazione era strana, parlavano dandosi le spalle, divisi da una porta semiaperta.

    «Perché hai dato proprio a me la corona d’alloro?»

    «Perché l’alloro merita di averlo solo una donna bella e speciale come te», disse lui, con decisione.

    Úrsula arrossì.

    «Una volta ho letto una cosa sulle divinità greche››, continuò Thomas. ‹‹Sai che avevano un dio dell’amore, Eros?»

    «Questa non è una cosa molto cristiana».

    «Sì, ma lascia lo stesso che te ne parli. Eros ebbe una disputa con un’altra divinità, Apollo, per via della sua superbia, e ideò un piano per vendicarsi. Scoccò contro di lui una freccia d’oro che aveva il potere di far innamorare perdutamente chi ne veniva colpito».

    «Continua, ti ascolto».

    «Poi scagliò contro la ninfa Dafne una freccia di piombo, che creava l’effetto contrario, l’amore non corrisposto. Così, quando Apollo vide Dafne, se ne innamorò perdutamente, ma Dafne lo rifuggì fino a quando, esausta, chiese aiuto alla sua divinità protettrice, Artemide, che la trasformò in un albero di alloro».

    «Quanto erano tragiche queste divinità greche», sorrise Úrsula, «e poi cos’è accaduto?»

    «Apollo raggiunse Dafne proprio nel momento in cui era cominciata la sua trasformazione: il suo corpo si ricoprì di una dura corteccia, i piedi divennero radici che affondarono nella terra e i suoi capelli si riempirono di foglie».

    «Che tristezza…».

    Non aveva mai sentito nessuno esprimersi in quel modo. Fu catturata da quella storia, dalle emozioni che le stava scatenando.

    «Allora», proseguì Thomas, «Apollo abbracciò l’albero, scoppiò a piangere e disse: Poiché non puoi essere la mia amata, sarai il mio albero prediletto e le tue foglie, sempreverdi, incoroneranno il capo dei vincenti…».

    I due giovani rimasero in silenzio per pochi secondi, riflettendo sulla storia.

    «Úrsula!», sua madre sopraggiunse all’improvviso, in modo furtivo e, afferrandola per un braccio, bisbigliò: «Cosa ci fai qui da sola? Che penserà la gente? Andiamo, piccola, questa festa è la tua grande occasione. Tutti i figli celibi delle famiglie più ricche di Augusta sono qui stasera, quindi approfitta della bellezza che ti ho dato, che per quello che ti frulla in testa la colpa è solo di tuo padre».

    «Avete ragione, madre, è possibile che il mio futuro marito sia molto vicino», disse a voce alta.

    «Certo, figlia! Magari susciterai l’interesse di qualcuno».

    «Credo di sì, ed è più vicino di quanto possiate immaginare».

    «Volesse il cielo!». Eleonor spingeva sua figlia verso il centro della sala, aggiustandole i capelli e i laccetti del vestito. «Non sai quanto ho pregato perché tu possa trovare un buon partito. Figlia mia, lasciati ammirare in tutta la tua bellezza».

    Thomas la osservava attraverso il vetro; poi lei si voltò a guardarlo, si portò la mano al collo e, con fare disinvolto, gli mostrò una catenina d’oro alla quale era appesa una foglia, la foglia d’alloro dorato che aveva strappato dalla corona che Thomas le aveva regalato. Mentre tornava in cucina, il cuore di Thomas ebbe un sussulto, colpito dalle frecce dell’amore e dell’allegria di Eros.

    Il viavai all’interno della cucina era incredibile; la persona che quel giorno lavorò di più fu il padre di Thomas, che preparò un banchetto di tutto rispetto. Marcus Babel voleva deliziare gli invitati con i suoi piatti migliori, così ricorse a vari aiutanti, che si dedicarono a preparare dolci e stufati, e anche Thomas diede una mano. In questo modo, il cuoco ebbe tutto il tempo per potersi dedicare alla preparazione dei piatti principali, a base di cacciagione, usando il suo ingrediente segreto, una delle spezie più care ed esotiche tra quelle che commerciavano i Fugger, la noce moscata.

    La conservava in una cassetta di bronzo chiusa a chiave. Thomas era sempre stato affascinato da quella spezia esotica, fin da bambino.

    «Devi essere parsimonioso, figlio. La noce moscata vale oro. Viene prodotta in un solo posto al mondo che è molto distante da qui».

    Marcus usava una piccola bilancia per pesare con estrema precisione la minima quantità di noce moscata.

    «Dove, padre?»

    «Nelle isole delle Spezie, un luogo remoto dove crescono anche il chiodo di garofano e altre spezie preziose. Ma la noce moscata la troverai soltanto lì».

    Quando Thomas ascoltava quelle storie, volava con la fantasia, sognava di viaggiare fino a quelle isole e trovare lui stesso quei prodotti tanto straordinari.

    «Ha un involucro chiamato macis ed è anch’esso una spezia come il suo seme; una volta essiccata, si separa dal resto del frutto. Quindi la noce moscata è l’unico frutto che dà due spezie differenti, e perfino gli olii che si estraggono dal suo tronco vengono usati in cucina».

    Thomas si perdeva in quell’universo.

    «E dove si trovano queste isole delle Spezie?»

    «Troppo lontano, Thomas, dall’altro capo del mondo. Bisogna attraversare Francia e Spagna fino a raggiungere il regno del Portogallo. Da lì imbarcarsi verso sud, fino alla Guinea, costeggiare l’Africa e proseguire fino all’India. Continuare a navigare verso est, proseguire ancora verso oriente superando la Cina, fino a Cipango, e da lì scendere ancora più giù, fino a raggiungere il posto più remoto dell’oceano. Lì si trovano le isole delle Spezie, il luogo più aromatico e delizioso al mondo».

    «E chi porta fino a qui le spezie da tanto lontano?»

    «I portoghesi, le spezie sono il loro tesoro. I Fugger le acquistano per poi commerciarle e guadagnare molto denaro. Figlio mio, le spezie hanno il potere di trasformare il semplice atto del mangiare nel più grande dei piaceri, convertendo un gesto quotidiano in un pasto di lusso alla portata di pochi».

    «Siete mai stato lì, padre?»

    «Magari…».

    «E conoscete qualcuno che abbia viaggiato fino alle isole delle Spezie?», insistette Thomas.

    «Non credo che alcun tedesco sia mai stato in quelle terre».

    «Io sarò il primo!».

    «Sicuramente», disse, spostandogli una ciocca della folta capigliatura con le dita della mano. «Potrai viaggiare anche fino al Nuovo Mondo, Thomas, perché a breve arriveranno nuove spezie da lì».

    «Il Nuovo Mondo… e dove si trova?»

    «Lo hanno scoperto gli spagnoli, a ponente, e don Jacobo Fugger mi ha informato di essere talmente interessato alla cosa da aver ottenuto un permesso per aprire un punto di smercio e poter commerciare con le nuove spezie».

    Mentre parlava con Thomas, Marcus teneva sotto controllo la cucina, e vide che uno dei suoi aiutanti stava maneggiando una stupenda carne di manzo che lui stesso aveva preparato.

    «Che fai? Quel piatto è già pronto, così lo rovini!».

    «Perdonatemi», disse a testa bassa l’aiutante, un uomo basso ma corpulento. «Mi è stato detto di ripassare la carne…».

    «Chi ti ha detto di farlo?», chiese Marcus, irritato. «In questa cucina sono io a dare gli ordini. Tutto quello che si prepara, assolutamente tutto, è sotto la mia responsabilità, chiaro?»

    «Mi spiace, non succederà più…», si scusò.

    «Sparisci dalla mia vista, pulisci quelle pentole e non toccare più le mie pietanze».

    «Certamente, come ordinate voi», rispose ubbidiente.

    «Questo è l’aspetto peggiore quando si lavora a un banchetto di alto livello, si ha bisogno di molti aiutanti ai quali, però, manca esperienza…», si lamentò Marcus, mentre controllava il resto delle pietanze di carne.

    Quando cominciarono a lavorare ai dolci, Thomas abbandonò la cucina, ancora intento a pensare alla storia delle isole delle Spezie.

    Voleva viaggiare fino a lì, voleva conoscere l’angolo più remoto del mondo in cui nascevano i migliori prodotti creati da Dio. Ci avrebbe portato anche Úrsula e avrebbero vissuto insieme, godendo di quelle meraviglie. Sarebbero stati come in paradiso.

    Al banchetto, le deliziose pietanze preparate da Marcus si susseguivano per la gioia dei commensali. I Fugger approfittarono dell’occasione per annunciare una notizia, tra lo stupore generale. Il papa, Leone x, aveva assegnato a loro la vendita delle indulgenze per finanziare la costruzione della Basilica di San Pietro a Roma. A essa stavano lavorando i più grandi maestri, tra cui Leonardo da Vinci.

    La rivelazione suscitò un grande mormorio. Úrsula capì che si trattava di una buona notizia, anche se ci furono alcuni commenti negativi rispetto all’esagerata maestosità di quella costruzione e al fatto che il tempio primitivo fosse stato distrutto senza alcun riguardo.

    Ci fu anche chi criticò il papa per aver commercializzato le indulgenze e per il fatto che la cosa non avrebbe portato a nulla di buono.

    Altri, infine, commentarono che con l’affare delle indulgenze i Fugger avrebbero ottenuto talmente tanti fondi da poter continuare a comprare beni e affittarli ad Augusta, tanto che presto o tardi l’intera città sarebbe stata di loro proprietà.

    Furono serviti i dolci, di varietà e gusti sublimi, e gli invitati ne furono deliziati. La musica risuonò più forte e anche le risate aumentarono di volume, accompagnate da un buon vino di Sassonia.

    Intanto Thomas stava passeggiando in giardino; gli sarebbe piaciuto poter partecipare al banchetto, ma non gli era permesso, lui era solo il figlio del cuoco. Il giovane lo accettava, orgoglioso di suo padre e certo che le spezie avrebbero convertito il pasto in un piacere.

    All’improvviso calò uno strano silenzio. Thomas fu grato per quel momento di tranquillità; a volte quelle cene si trasformavano in feste troppo rumorose e a lui non piaceva il trambusto. Gli schiamazzi dei mercati e delle strade cittadine gli procuravano il mal di testa, ma tutto quel silenzio non era normale e Thomas si allarmò. Rientrò in cucina ma la trovò deserta, e quello era ancora più strano.

    Si diresse verso la stanza vetrata e lì assistette a una scena che gli avrebbe cambiato per sempre la vita.

    La festa si era interrotta. La maggior parte degli invitati era in piedi, alcuni piangevano mentre altri avevano un’espressione arrabbiata e indignata. Delle persone stavano indicando un’estremità della sala. Cominciò a esserci un gran trambusto, mentre dalla porta principale giunsero di corsa alcune guardie.

    A terra, trattenuto da vari uomini, c’era suo padre.

    Le guardie afferrarono Marcus per le braccia e lo sollevarono da terra in malo modo. Thomas non sapeva cosa fare, mentre osservava con stupore e angoscia l’uomo che veniva trascinato verso l’uscita.

    Il giovane tornò in cucina, uscì di nuovo in giardino aggirando l’edificio e si posizionò dietro un angolo da dove poter osservare l’ingresso principale. Fu proprio allora che vide suo padre venire gettato a terra sotto gli occhi dei Fugger, dei Welser, del governatore della città e di mezza dozzina di uomini facoltosi.

    Jacobo Fugger cercava di calmare Bartolomé Welser figlio e i suoi fratelli, Lucas e Uldarico, che proferivano insulti e minacce contro l’uomo e il suo cuoco.

    Thomas provò a immaginare cosa potesse essere accaduto da quando aveva lasciato la cucina mentre suo padre era tutto preso dai piatti del banchetto, oltre che impegnato a confrontarsi con i maldestri aiutanti, ma non riusciva davvero a immaginarlo.

    Proprio in quel momento cominciò a piovere.

    Sentì come degli scricchiolii alle sue spalle e strinse i pugni, voltandosi.

    «Thomas», disse una voce conosciuta, «grazie a Dio sei tu».

    «Úrsula!».

    «Zitto, che ci scoprono».

    «Che sta succedendo? Perché mio padre è lì? Cos’ha…?»

    «Silenzio», gli tappò la bocca con entrambe le mani, «fai silenzio e ascolta, d’accordo?».

    Thomas annuì.

    «Sei in pericolo, tuo padre è stato accusato di aver cercato di uccidere i Welser».

    Thomas non credeva alle proprie orecchie.

    «Il patriarca dei Welser si è sentito male una volta concluso il banchetto e un medico che era tra gli invitati gli ha riscontrato dei sintomi da avvelenamento», disse Úrsula, prima di togliergli le mani dalla bocca.

    «Ma non è possibile… accusano mio padre?»

    «Hanno dato la carne che era nel piatto di Welser a un cane, che subito dopo averla mangiata ha avuto gli stessi sintomi. Sono andati diretti in cucina e uno degli aiutanti li ha informati che tuo padre aveva un cofanetto pieno di veleno e che era stato lui a condire i piatti di carne».

    «No! Sono spezie, non veleni. Perché mio padre dovrebbe avvelenare il signor Welser? Per quale motivo? Mio padre è innocente!».

    «Lo so, di sicuro è una trappola, ma se è stato accusato tu non puoi farci niente. Non hai idea del potere che hanno i Welser e i Fugger, potrebbero decidere chi sarà il prossimo imperatore, o il prossimo papa, quindi immagina cosa possono fare a un semplice cuoco…».

    In quel momento si udì un grido ed entrambi si voltarono verso la folla. Uno degli invitati aveva in mano una lunga corda, la sollevò in alto in modo che tutti potessero vederla e prese Marcus per i capelli. Due uomini armati afferrarono suo padre per le braccia, mentre l’altro si occupò di far passare la corda tra i rami di un albero all’entrata del palazzo.

    Avrebbero impiccato suo padre. Le due guardie lo sollevarono e lo sostennero per alcuni istanti. Fu Bartolomé Welser figlio a dare l’ordine.

    «Lasciatelo! Che muoia impiccato!».

    «No!», Thomas non riuscì a dire altro, perché Úrsula gli tappò di nuovo la bocca e insieme caddero a terra.

    Il ragazzo tentò di liberarsi, ma lei glielo impedì.

    3

    L’anello

    Fin da piccola, Úrsula era stata educata da sua madre a essere una perfetta sposa cristiana. L’aveva sempre spinta a opporsi all’idea che gli uomini avevano delle donne, ovvero che fossero volubili, fragili, pettegole, vanitose e dai dubbi appetiti sessuali.

    «Devi essere un esempio di integrità, figlia mia. Non devi mai farti vedere da sola con un uomo e non devi mai guardarlo direttamente negli occhi».

    «Sì, madre».

    «Úrsula, ascolta quello che ti dico, devi essere obbediente, modesta, silenziosa e compassionevole e, cosa più essenziale, casta».

    «E anche intelligente?»

    «No, ma sveglia e istruita. Gli uomini rifuggono le donne intelligenti, ma non devi essere neppure ingenua. Non devono pensare di poterti ingannare, altrimenti lo faranno, credimi», le disse sua madre per metterla in guardia.

    Quella sera Úrsula stava disobbedendo a quasi tutti i suoi consigli. Già da parecchio aveva preso coscienza del fatto che non sarebbe stata in grado di soddisfare le aspettative di sua madre; presto o tardi, l’avrebbe diseredata.

    Entrando nel palazzo, quando Antón Fugger le aveva detto che Thomas la stava osservando dalla stanza a vetri, non aveva avuto la minima esitazione. Non aveva mai smesso di pensare a lui dal giorno della partita. Si sentiva fortemente attratta da quel giovane dai capelli folti e neri che la fissava senza dire nulla, riflessivo e misterioso, e desiderava rivedere i suoi occhi verdi.

    Era ancora emozionata per la breve conversazione che avevano avuto attraverso la porta, così, quando era stato gridato il nome del cuoco, era uscita di corsa in cerca di Thomas. Se avessero preso anche lui, avrebbero potuto fargli qualsiasi cosa.

    «Io stavo aiutando mio padre in cucina, so che non ha fatto nulla», ribadì Thomas.

    «Non lo capisci? Se eri in cucina con lui, verranno a cercare anche te».

    «Come dici? No, no, Úrsula, mio padre è innocente, e lo sono anch’io… Sono impazziti?»

    «Se siete innocenti o meno non importa! Credo che siate solo due pedine che fanno parte di un piano più grande. Non tutti gli invitati sono entusiasti dei progressi dei Fugger, hanno molti nemici e sono molto invidiati in città».

    «Come fai a sapere tutte queste cose, Úrsula?»

    «Ho imparato ad ascoltare, una delle poche cose buone che mi ha insegnato mia madre… Lei dice che bisogna lasciare che la gente parli, perché prima o poi finirà per dire più di quanto dovrebbe».

    «Hanno usato mio padre per tendere una trappola ai Fugger, danneggiando la sua reputazione e attaccando i Welser, è così?»

    «Credo di sì, Thomas». Úrsula appoggiò le mani sulle spalle del ragazzo. «Sei in pericolo, devi scappare!».

    «Solo se verrai con me».

    «Venire con te? E dove?». La giovane non si aspettava una proposta simile.

    «Lontano, in un’altra città, in un altro regno, ovunque».

    «Ma come faccio ad andarmene? La mia famiglia vive qui e io…».

    Allora Thomas le prese la mano con dolcezza.

    «Sai cosa provo per te. Se vieni via con me, prometto di proteggerti e renderti felice».

    Úrsula sognava già da tanto di essere portata via da Augusta, dalla quotidianità e da tutta quell’ipocrisia, e se a chiederglielo erano quegli occhi tanto espressivi, non doveva neanche pensarci due volte. Annuì e sorrise.

    «Ora dobbiamo decidere come scappare senza essere visti», sussurrò Thomas.

    «Credo di sapere come fare», lo sorprese Úrsula. «Vicino al fiume c’è una taverna, ne ho sentito parlare da mio padre, dicono sia frequentata da viaggiatori e forestieri».

    «E a cosa ci serve?»

    «Possiamo pagare un viandante straniero affinché ci aiuti a lasciare la città e ci porti con lui lontano da qui».

    «Come lo paghiamo?»

    «Con questo», e lentamente si sfilò l’anello dal mignolo, quello che le aveva regalato sua madre.

    «No, Úrsula, non con quello».

    «È d’oro, può aiutarci a scappare e non ha alcun valore per me», mentì.

    «Non lo so…».

    «Tieni, prendilo, ma avrò bisogno di altri vestiti, questi sono troppo ingombranti». La giovane pareva avere le idee ben chiare.

    «Sì». Thomas sembrò lasciarsi contagiare dalla risolutezza della ragazza. «La servitù si è cambiata prima del banchetto. Avranno lasciato i loro abiti di ricambio in una stanza che dà sul retro, e da lì potremo uscire in giardino e poi raggiungere il fiume».

    «Allora andiamo, prima che ci scoprano».

    Nella stanza attigua alla cucina, Thomas prese i vestiti della taglia più piccola che riuscì a trovare ma che a Úrsula andavano comunque troppo grandi. Ma a lei non importava, e indossò un mantello con cappuccio. Nessuno poteva riconoscerla, né tantomeno sapere se fosse un uomo o una donna. Riuscirono a uscire e a raggiungere il fiume come avevano pianificato, ma la taverna fu più difficile da trovare, per via della pioggia incessante e della quasi totale oscurità. Un lieve rumore li aiutò a orientarsi.

    Si sentivano voci smorzate. La porta del locale era chiusa, ma all’interno c’era una luce e, vista l’ora, poteva trattarsi solo di una taverna. Thomas bussò due volte e la porta si aprì. Apparve una donna mora, dai lunghi capelli neri e sciolti, vestita con abiti molto leggeri. Il giovane non aveva mai visto una donna di quell’aspetto e rimase a guardarla imbambolato. Úrsula gli pestò un piede, facendolo reagire, poi gli diede una spintarella ed entrarono.

    Era uno spazio molto angusto, cupo, con gente seduta attorno a tavoli rettangolari che beveva boccali di birra e giocava a carte e a dadi.

    «E ora che facciamo?», sussurrò Thomas.

    «Vai al bancone e chiedi se c’è qualcuno di passaggio che possa trasportare due passeggeri».

    Úrsula lo seguì, cercando di non attirare l’attenzione di nessuno. Thomas parlò col proprietario, il quale non sembrò apprezzare le domande.

    «Qui si viene per mangiare e soprattutto per bere, ragazzo», disse con la bocca piena.

    «Allora dateci una caraffa di vino».

    «La puoi pagare?», chiese, guardandolo con diffidenza, «qui non ci fidiamo di nessuno».

    Úrsula lasciò una moneta sul bancone.

    «Così va meglio», e gli diede da bere.

    «E dell’altra cosa, che potete dirci?», proseguì Thomas.

    «Quello», e indicò con la testa un tizio dai capelli rossi, lunghi e spettinati che stava mangiando un cosciotto d’agnello, «non so come si chiama».

    «Credi sia una buona idea?», chiese Thomas alla ragazza.

    «Mantieni la calma, digli solo che vogliamo andare verso sud, a Venezia o Milano».

    «E perché?»

    «Dammi retta e ricorda che abbiamo solo l’anello».

    Si avvicinarono al tavolo mentre il tizio dai capelli rossi stava dando un gran morso alla carne. Vedendoli, alzò lo sguardo per poi riabbassarlo senza prestargli la minima attenzione.

    «Signore, vorremmo parlarvi», disse Thomas, con tono più deciso possibile.

    L’uomo continuò a mangiare. I due giovani si guardarono, e lei gli fece cenno di insistere.

    «Scusate, potremmo sederci e parlare di una cosa importante?».

    Allora l’uomo deglutì, afferrò il boccale di vino per berne un bel sorso e fece un sonoro rutto, per poi darsi un forte colpo sul petto e tornare a ruttare, in modo meno improvviso ma più pronunciato.

    «Una carne buonissima, peccato che due impertinenti non me la lascino gustare in pace».

    «Ci è stato detto che sarebbe disposto a trasportare due passeggeri verso sud», intervenne Úrsula, cercando di alterare la voce.

    «È possibile».

    «Fino a Venezia o Milano?»

    «Possibile, ma costoso».

    «Stanotte», proseguì Thomas.

    «Difficile e molto costoso».

    «Quanto?»

    «Almeno sei monete».

    «Ma è una fortuna», sbottò Thomas.

    «Allora lasciatemi cenare tranquillo e andate a cercare qualcun altro. Buona fortuna!», e tornò ad afferrare il cosciotto d’agnello per dargli un altro morso.

    «Un momento, possiamo sicuramente trovare un accordo… Come vi posso chiamare, signore?», Úrsula riprese a negoziare.

    L’uomo poggiò la carne nel piatto, si pulì la bocca con la mano e poi la sbatté sul tavolo.

    «Già avete sentito qual è il prezzo, o lo accettate o mi lasciate mangiare tranquillo, altrimenti avremo un problema, a voi la scelta!».

    «Abbiamo questo, guardate». Thomas tirò fuori l’anello.

    Il forestiero lo osservò attentamente.

    «Non è sufficiente».

    «Come no?», Úrsula perse la pazienza e parlò senza alterare la voce. «È più che sufficiente», ribatté.

    In un attimo, l’uomo tirò fuori un pugnale da sotto il tavolo e glielo puntò alla gola. Úrsula mantenne la calma e lo guardò con aria di sfida.

    «Tu sei una donna, ora capisco», e scoppiò in una risata. «Ma tu guarda che imbecilli».

    Úrsula aveva prestato attenzione al modo in cui si esprimeva quell’uomo e credeva di sapere come ingraziarselo.

    «Abbassate il pugnale», gli disse, «non avrete certo paura di una donna, no?»

    «La tua ragazza ha più fegato di te, nullità», e abbassò l’arma. «Chiamami Conrad, piccola».

    «Lasciaci soli, Thomas».

    «Ma…».

    «Per favore», disse, facendogli l’occhiolino, «so quello che faccio».

    Thomas accettò a denti stretti, si alzò e si diresse verso un punto del locale pieno di botti di vino. Da lì osservò Úrsula che parlava con il forestiero e notò che l’espressione dell’uomo era cambiata completamente e mostrava un certo interesse. Scambiarono qualche battuta, fino a quando la giovane non pronunciò alcune parole che sembrarono scatenare una reazione diversa in Conrad, il quale fece cenno di sì con la testa.

    Úrsula si alzò, si diresse verso Thomas, gli fece un segnale affinché la seguisse e insieme uscirono dalla taverna. Lei continuò a camminare, costeggiando l’edificio fino a raggiungere la parte posteriore, dove si trovava il fiume.

    «Cosa è successo?»

    «Ha accettato», rispose lei.

    «Come ci sei riuscita?»

    «Ora non importa, ascoltami bene. Bisogna fuggire il prima possibile. Quel tizio ha sentito dire che sono già alla ricerca di un ragazzo e che stanno offrendo una ricompensa».

    «Maledizione!».

    In quell’istante udirono un nitrito, e un carro nero trainato da due cavalli apparve dietro l’angolo più vicino. Conrad schioccò le dita per fare segno a entrambi di montare su.

    «Andiamo!». Úrsula corse verso il carro senza esitare. «Io mi metterò dietro. Se dovessero fermarci, una donna sarebbe più facile da identificare, quindi mi nasconderò in mezzo al carico, sono la più magra e posso nascondermi meglio. Tu stai davanti con lui, ma non rispondere ad alcuna domanda. Sei uno straniero, ricordalo!».

    «E per pagarlo?»

    «Dagli l’anello solo quando saremo abbastanza lontani da qui, non prima. Capito?»

    «Forte e chiaro».

    «Allora andiamo». Úrsula raggiunse la parte posteriore del carro, mentre lui si accomodò davanti con l’uomo dai capelli rossi che puzzava di vino.

    Il carro si muoveva con difficoltà tra le strette vie di Augusta. Raggiunsero la porta della città, che era chiusa e sorvegliata da due guardie. Thomas temette il peggio, ma il carro proseguì. Conrad tirò fuori qualcosa e lo consegnò a una delle guardie.

    Quest’ultima annuì e sollevò il braccio. La porta si aprì e uscirono da Augusta.

    «Tutto ha un prezzo, alcuni possono pagarlo e altri no», mormorò Conrad.

    «Non io, io non ce l’ho».

    «Questo perché nessuno ha ancora provato a comprarti», rispose l’uomo, mentre si lasciavano alle spalle la città.

    4

    Il lago di Como

    L’alba li sorprese da dietro il bosco, sulla strada per la Baviera, fangosa per via della pioggia. I cavalli erano esausti dopo aver viaggiato tutta la notte.

    «Devi pagarmi, ragazzo. Siamo abbastanza lontani dalla città».

    «Lasciate prima che Úrsula esca fuori».

    «Lei sta bene lì dietro, ci siamo già allontanati a sufficienza». Gli indicò il paesaggio. «Pagami».

    «Dove stiamo andando?»

    «A Milano, ho un amico lì che potrà aiutarti», rispose Conrad.

    «Come faccio a sapere che non ci tradirete una volta che vi avrò consegnato l’anello?»

    «Non essere stupido, se avessi voluto derubarti lo avrei già fatto», disse con una risata sarcastica.

    «Preferisco aspettare di fermarci e che Úrsula sia presente».

    «Non penso di fermarmi, è troppo pericoloso. Dobbiamo proseguire, ma se non mi dai quell’anello giuro che ti butto giù da questo carro all’istante e ti arroto».

    Thomas strinse i pugni, sbuffò e cercò di ragionare con calma. Infilò la mano tra i vestiti, tirò fuori l’anello e lo consegnò al tizio.

    «Una meraviglia», disse l’uomo, ammirando il gioiello quando finalmente lo ebbe tra le mani. «Non meriti quella donna, ti assicuro che non la meriti».

    Proseguirono il viaggio. Thomas aveva voglia di vedere Úrsula. La poverina doveva essere stanca di restare nascosta nella parte posteriore del carro, ma era certo che per lei sarebbe stato pericoloso uscire allo scoperto. Verso mezzogiorno giunsero nei pressi di un ruscello, dove poterono abbeverare i cavalli e riposare un po’. Thomas saltò giù e si diresse subito verso la parte posteriore del carro.

    «Úrsula, puoi uscire».

    «Ragazzo, c’è una cosa che devi sapere». Conrad si posizionò di fronte a lui.

    «Che succede?», chiese Thomas, rimuovendo il telo che copriva il carico.

    «Ha insistito lei, ti ho già detto che non la meriti».

    «Di cosa stai parlando?»

    «So che avevi molta fretta di scappare, quindi dovete aver combinato qualcosa di grosso, o perlomeno tu. Gliel’ho spiegato e lei ha capito», disse, grattandosi la testa, «mi ha supplicato di portarti via dalla città».

    «Io non ho fatto niente! Úrsula, ora puoi uscire fuori, siamo in salvo. Úrsula!», gridò Thomas, smuovendo il carico, disperato.

    «Non è salita sul carro. Mi dispiace, ragazzo».

    «Come?». Furioso, Thomas si diresse verso l’uomo, che tirò fuori il pugnale per fermarlo.

    «Attento, è affilato».

    «Dov’è Úrsula? Che cosa le avete fatto?»

    «Suppongo che sia tornata a casa sua, dove cercherà di convincere i genitori che l’hai sequestrata e le hai rubato l’anello, o almeno è quello che farei io. Se riuscirà a convincerli che l’hai portata via con la forza, potrà continuare la sua vita senza avere problemi».

    «Non ci capisco più niente».

    «Ma cos’hai in quella testa? Non avrei mai potuto caricarvi entrambi, sarebbe stato troppo rischioso. Potevo portare con me solo uno di voi due. Mi ha promesso quell’anello se ti avessi portato fino a Venezia o a Milano».

    «Devo tornare da lei!».

    «Mi ha avvertito che lo avresti detto, ma se lo farai verrai catturato e la metterai in una posizione scomoda. Siete due ragazzini, dove pensavate di andare? La tua ragazza ha fatto la cosa migliore per entrambi, ti ha salvato ed è tornata dalla sua famiglia. Così potrà ricordarti per il resto della sua vita come il grande amore che non ha potuto vivere, e non è da tutti, credimi».

    «Tornerò ad Augusta, altroché».

    «Te lo ripeto, se torni indietro farai una grande sciocchezza e lei ti odierà per sempre. Sei giovane, troverai un’altra donna. Ora voglio riposare un po’, tu fai quello che vuoi».

    Thomas era talmente triste che si addentrò nel bosco senza rendersi conto di dove stava andando. Raggiunse l’altra sponda del fiume, afferrò la prima pietra che trovò e la lanciò con furia nell’acqua. Poi prese un grosso ramo secco e lo sollevò con tutte le sue forze, scaricando la sua ira e ricadendo a terra per lo sforzo e la rabbia.

    Poi scoppiò a piangere.

    Conrad ricordava a malapena il proprio nome, se lo era scordato a forza di non usarlo. Tutti lo chiamavano il Rosso per il colore dei suoi capelli e, siccome non aveva neppure una fissa dimora, nessuno arrivava a conoscerlo abbastanza a fondo da arrivare a chiederglielo. Conrad commerciava principalmente stoffe, ma non disdegnava di trasportare neppure vino, libri o candele. Aveva da poco trasportato un carico notevole di olio, e anche merci pericolose, come le reliquie di un santo.

    Il problema era che stava diventando vecchio e quando si ubriacava, cosa che accadeva spesso, il giorno seguente non ricordava più nulla. Col passare degli anni aveva meno forze e si sentiva sempre più solo. Prima la solitudine non gli era mai pesata, al contrario, l’aveva sempre ricercata. Ma quando ci si comincia a rendere conto di aver già vissuto metà della propria vita, le prospettive cambiano. Anche per questo era rimasto molto impressionato dalla piccola Úrsula. Quanto carattere e quanta bellezza.

    Già da un po’ stava pensando di ritirarsi, smettere di viaggiare e stabilirsi in una piccola città, vicino al mare o a un lago e trascorrere lì la vecchiaia. Non voleva più vivere qua e là, sempre in solitudine. Voleva un letto, il suo letto, e perché no, anche una donna. Magari una vedova avrebbe potuto fargli compagnia, ma per quello aveva bisogno di più denaro, che rappresentava sempre un problema.

    Legò di nuovo i cavalli e montò sul carro. Lo vide apparire proprio quando stava per ripartire, tutto demoralizzato. Senza proferire parola, Thomas saltò su e gli si sedette accanto.

    Il Rosso diede un colpo di redini ai cavalli e il carro si rimise in marcia.

    Viaggiarono senza intoppi fino al calar della sera, si fermarono vicino a un eremo, mangiarono del pane che avevano con loro e si addormentarono accanto al fuoco. All’alba proseguirono verso sud. Il percorso non era semplice, avanzarono lungo verdi vallate, tra montagne di pini e faggi, cercando di restare lontani da villaggi e casali per non correre il rischio di incontrare qualcuno ed essere scoperti.

    Thomas non disse una parola, e al suo compagno di viaggio la cosa non sembrava dispiacere.

    Conrad si mostrava sicuro e deciso; si capiva che era abituato a guidare il suo carro senza dare nell’occhio, con la schiena dritta e un’aria allegra e disinvolta.

    Era la prima volta che Thomas usciva da Augusta; aveva sognato spesso di farlo, ma le circostanze avevano voluto che accadesse in un momento di pena e dolore. Quando pensava all’ingiustizia commessa nei confronti del padre, sentiva il sangue ribollirgli nelle vene, e in quel momento dovette stringere forte i pugni per non scoppiare a piangere.

    Ciononostante, non poteva fare a meno di provare una certa emozione nell’ammirare quei paesaggi sconosciuti, ma quella sensazione svaniva come una foschia non appena ripensava a Úrsula. Lo aveva abbandonato e al tempo stesso salvato. Provava una tristezza immensa, cosa ne sarebbe stato di lei ad Augusta?

    Non poteva lasciarla lì, si era sacrificata per lui e doveva tornare a riprenderla, ma se lo avesse fatto in quel frangente, cosa avrebbe ottenuto? Per ora, era condannato a scappare.

    E suo padre? Aveva abbandonato anche lui…

    Vide la realtà per quella che era, e gli tornarono alla mente gli ultimi momenti, le grida dei Welser, la corda al collo del padre… Thomas sapeva che, se fosse tornato ad Augusta, avrebbe fatto la stessa fine. Doveva restare in vita, per suo padre.

    «Smettila di pensare a quella ragazza o ti scoppierà la testa», disse il Rosso, schiarendosi la voce.

    «E voi che ne sapete…».

    «Allora sei ancora in grado di parlare! Avevo perso le speranze».

    «Non fatevi illusioni».

    «Ragazzo, fa’ attenzione», lo avvertì. «Sappi che potrei buttarti giù dal carro in un istante, quindi occhio».

    Trascorsero la notte in una radura nel bosco e ripartirono non appena fece giorno. Conrad aveva portato con sé poche provviste, il necessario per evitare di doversi fermare se non per dar da mangiare e da bere ai cavalli.

    «Ci stiamo avvicinando alle Alpi, le supereremo verso Venezia per poi girare in direzione di Milano».

    «Non sarebbe meglio attraversare le montagne?», chiese Thomas.

    «Assolutamente no! Potrebbero assaltarci dovunque. È più sicuro viaggiare in territorio veneziano. Sono molto attenti a mantenere buoni rapporti con ogni regno e religione».

    «E perché? Temono una guerra?»

    «Le guerre vengono fatte per arricchire chi è già ricco e ammazzare i poveri, per questo piacciono tanto ai re. Mettitelo in quella zucca vuota», disse. «Il commercio è la maggiore fonte di ricchezza, fa sì che un semplice uomo riesca a prosperare nella vita, ma le fortune maggiori si ottengono correndo dei rischi, viaggiando lontano, attraversando il mare o percorrendo la via della Seta».

    «O viaggiando fino alle isole delle Spezie».

    «Per caso sai dove si trovano?»

    «Sì, in capo al mondo. È la terra più bella che esista, l’unico luogo dove crescono piante straordinarie».

    «È lì che vuoi andare?»

    «Io voglio solo salvare Úrsula», rispose lui, rassegnato.

    «Che pollo che sei. Io non credo in molte cose. Non credo nel destino o che il nostro futuro sia già scritto, ma credo nei segni», disse l’uomo con sincerità.

    «Che intendete dire?»

    «Riceviamo dei segni che ci indicano la strada che dobbiamo percorrere. Per esempio, quando siete entrati nella taverna e vi siete seduti di fronte a me, quello era un segno».

    «Sì, ma non avete salvato Úrsula!».

    «Ma una cosa è seguire i segni e un’altra perdere la ragione. Ti ho già detto che non avrei potuto portare via da Augusta entrambi senza correre alcun rischio, ci avrebbero scoperto. Se hanno davvero impiccato tuo padre, tu avresti potuto fare la stessa fine».

    «Perché dite così? Non so se siano arrivati a giustiziarlo, magari non sono andati fino in fondo… cosa sapete voi di mio padre?»

    «Vorrei tanto sapere cosa ci abbia visto in te quella splendida fanciulla…», disse Conrad, sospirando e scuotendo la testa. «Tuo padre è stato ammazzato quella notte. La tua ragazza non te lo ha detto perché non voleva che scoppiassi a piangere come un bambino, altrimenti non saresti mai andato via. Ecco, ora lo sai e possiamo anche smettere di parlare. Mi è venuto il mal di testa a forza di ascoltare le tue lamentele. Fai l’uomo e vai avanti».

    Non si parlarono per parecchio tempo. Thomas aveva fissa in testa l’immagine del padre con la corda al collo e un dolore lancinante nel petto per l’incertezza sulla sorte di Úrsula.

    Il paesaggio rimase immutato fino al terzo giorno, quando le gigantesche montagne che formavano le Alpi apparvero in tutta la loro maestosità. Non le attraversarono, ma le costeggiarono come aveva detto Conrad. Attraversarono un sentiero che li condusse in un territorio più caldo, e superarono vari fiumi, fino a raggiungere una collina dalla quale poterono scorgere una piazza popolata.

    «Le città come quella sono pericolose, lì si trovano gli uomini peggiori: banditi, assassini, spioni, tutti in cerca di nuove vittime come noi».

    «Non entriamo, dunque».

    «Neanche a parlarne», replicò bruscamente il Rosso. «Gli uomini non dovrebbero vivere ammassati in posti simili, smettono di comportarsi come tali e tornano a essere animali».

    Proseguirono.

    Thomas si stava rendendo conto che ogni giorno che passava il ricordo di suo padre diventava sempre più confuso. Solo pochi giorni prima si trovava con lui in quella cucina, mentre adesso il suo corpo era ancora appeso a quell’albero, inerte, come esempio di cattiva condotta. Aveva accettato la morte del padre con troppa facilità e questo lo inquietava. Si sentiva un cattivo figlio perché non lo piangeva, perché era capace di dimenticarlo con tanta rapidità.

    Che cosa gli stava succedendo? Com’era possibile?

    Úrsula occupava quasi tutti i suoi pensieri. Come aveva detto Conrad, suo padre era morto e ormai non poteva fare più nulla per lui, mentre si sentiva ancora responsabile per Úrsula, eppure stava fuggendo da lei come un codardo.

    Proseguirono per altri tre giorni, dormendo nei boschi, lontano dalle città. Il viaggio cominciò a farsi più monotono e insulso. Attraversarono una gola tortuosa e proseguirono su una strada selciata dalla quale Thomas riuscì a scorgere numerose colonne di fumo che salivano da dietro una lunga muraglia. Avanzarono, facendosi largo tra un grande viavai di viaggiatori e commercianti; si trattava di una città ben fortificata, con uomini armati dovunque e cannoni di dimensioni spaventose.

    «Questa è Milano, ma noi proseguiremo più a est, verso una cittadina fortificata che è a mezza giornata di viaggio da qui. L’inverno è ormai vicino e lì saremo al sicuro».

    Il Rosso indirizzò i cavalli verso un percorso secondario, poco trafficato, che correva parallelo a un fiume dalle acque tranquille.

    Thomas era sempre preso dai suoi turbamenti, tanto da osservare a malapena il percorso. Non notò neppure l’enorme mulino che incontrarono lungo il cammino, un’opera fantastica, alta quanto dieci o dodici uomini, con una ruota ancora più alta che si muoveva spinta dall’alveo deviato del fiume. Proseguirono poi lungo un sentiero acciottolato, tra due file di olmi.

    «Vedi quella torre? Serve a vigilare un’uscita della città, appartiene a un discendente dei normanni».

    Thomas accantonò la sua apatia e guardò l’orizzonte. Avevano raggiunto un villaggio appollaiato sopra una collina, circondata da vigneti e campi di ulivi.

    «È questa la nostra destinazione?»

    «Sì, questa è Bellagio», rispose Conrad in modo sbrigativo.

    Thomas si concentrò sulla parte inferiore della torre, una solida difesa in muratura. Sopra era di legno e mattoni, con una parte sporgente che sosteneva il muro, alla base della quale c’erano dei vistosi modiglioni.

    Dall’alto, la guardia intimò l’altolà al carro.

    «Chi siete?»

    «Di’ al tuo signore che sono l’uomo che gli ha salvato la vita durante la battaglia di Montecassino».

    Subito dopo si aprì un portone, da dietro il quale apparve un grosso individuo dall’aspetto bonario.

    «Vergine Santa, tu non muori mai!».

    «Non manca molto», rispose il Rosso con un sorriso, «ma l’erba cattiva non muore mai. Ho portato il carico e anche qualcos’altro. Avvicinati, ragazzo», e fece segno a Thomas di fare un passo avanti.

    «Un po’ troppo giovane, mi pare…».

    «Ambrosio, ti sarà utile, te lo assicuro».

    «Dobbiamo fare attenzione, il clima è un po’ incerto da queste parti. Non so se è da questo che fuggi…».

    «A cosa ti riferisci, Ambrosio?»

    «A Milano già risuonano le armi, i re di Spagna e Francia sono di nuovo ai ferri corti. Lo sai che entrambi mirano al trono imperiale e sono disposti a combattere fino allo stremo. Milano è una piazza strategica».

    «Pensavo che il re francese mirasse al Regno di Napoli».

    «Infatti, è così, ma è occupato dagli spagnoli. Anche il re di Spagna mira al Ducato di Milano e a parte della Borgogna».

    «Che, al momento, sono sotto il dominio francese; risulta sempre più difficile muoversi all’interno della cristianità», enfatizzò Conrad.

    Entrarono nella torre, che era austera e primitiva; riportava alla mente tempi antichi. Ambrosio era un uomo affabile, con modi più gentili rispetto a Conrad. Sembrava non essere sposato, ma aveva due giovani inservienti e poteva contare su vari uomini armati e altri giovanotti al proprio servizio.

    A Thomas non piaceva il modo in cui lo guardava, come se gli avesse messo una taglia sulla testa.

    Quella notte dormì in una stanza piccola e umida, e il giorno seguente sperò di poter restare da solo con Conrad per potergli parlare a quattrocchi.

    «Credo che dovrei andarmene. Che ci faccio qui?»

    «E dove vorresti andare? Non penserai di tornare ad Augusta dopo che quella ragazza si è sacrificata per te?».

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