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Delitto alla fiera
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E-book240 pagine2 ore

Delitto alla fiera

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Info su questo ebook

È l'anno 1978 e Sandro Acinas, un trentenne geologo italo-spagnolo il cui lavoro lo ha portato in Messico, poco dopo essere giunto a destinazione si trova coinvolto in un omicidio misterioso, avvenuto durante un combattimento di galli, nell'arena della Fiera di San Marcos, ad Aguascalientes.
Insieme con l’amico "Chuy" e con l'aiuto di un anziano studioso svizzero decide di indagare per scoprire chi abbia ucciso quell'uomo e il perché della sua morte. L'indagine lo porterà in giro per il centro del Messico e nel sud del Texas.
Seguito e minacciato dalle ombre delle divinità azteche dell'inframondo e seguendo le tracce lasciate da un indigeno huichol, visto sul luogo del delitto, Sandro arriverà fino al regno del sacro peyote, nel cuore del centro spirituale di quella tribù indigena, scoprendo le ragioni di quella morte misteriosa.
L'obiettivo del libro è quello di proporre al lettore qualcosa di diverso dai soliti schemi letterari, cioè un genere che gli permetta di "viaggiare" in Paesi forse a lui noti, ma in luoghi decisamente poco comuni, per conoscere meglio i suoi abitanti e le loro tradizioni. Il filo conduttore dell'indagine diventa allora la strada che lo porterà a scoprire nuove e affascinanti realtà.
LinguaItaliano
Data di uscita15 mag 2016
ISBN9788869822766
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    Anteprima del libro

    Delitto alla fiera - Roberto Spandre

    Roberto Spandre

    Delitto alla fiera

    Cavinato Editore International

    © Copyright 2016 Cavinato Editore International

    ISBN: 978-88-6982-276-6

    I edizione 2016

    Tutti i diritti letterari e artistici sono riservati. I diritti di traduzione, di mem-orizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi

    © Cavinato Editore International

    Vicolo dell’Inganno, 8 - 25122 Brescia - Italy

    Q +39 030 2053593

    Fax +39 030 2053493

    cavinatoeditore@hotmail.com

    info@cavinatoeditore.com

    www.cavinatoeditore.com

    Immagine in copertina realizzata da Giuseppe Viello

    Impaginazione a cura di Simone Pifferi

    Indice

    INTRODUZIONE

    CAPITOLO I

    CAPITOLO II

    CAPITOLO III

    CAPITOLO IV

    CAPITOLO V

    CAPITOLO VI

    Melaka nokni, cualih tlakentli

    (Un buon amico è come un buon rifugio)

    Antico proverbio Huichol

    INTRODUZIONE

    Se un messicano ti chiama con il diminutivo del tuo nome, puoi stare assolutamente sicuro di due cose: o è un tuo amico o vuole chiederti qualcosa.

    Il Messico è un paese meraviglioso ma è colmo di disuguaglianze sociali. Le disparità economiche tra la classe alta e quella bassa sono abissali ed è per questo che si possono trovare profonde differenze comportamentali e di abitudini, ma vi è una cosa che accomuna tutto il popolo: la bandiera e la Patria. Ecco il vero catalizzatore che, per lo meno in una cosa, rende uguali tra loro tutti i messicani.

    Il messicano ha sempre portato sulle spalle un pesante fardello, il senso di inferiorità. Octavio Paz lo attribuisce a un altro sentimento, la solitudine. Una solitudine che nasce fin dall'adolescenza e che il messicano tenta di ignorare ricorrendo all'uso delle maschere, visi estranei a sé stesso e con i quali si presenta davanti alla gente.

    Il messicano non reclama nulla, non protesta e non reagisce, non ha l'abitudine di lamentarsi per le cose quotidiane. L'enorme livello di corruzione dei politici, l'aumento delle tasse, la negligenza negli ospedali, le interminabili file agli sportelli delle banche e la violenza che soffrono ogni giorno per le strade, sono quasi ignorate. I messicani scendono in piazza solo in circostanze eccezionali, allora sì che fanno davvero sul serio.

    Questo comportamento è strettamente legato al principio per cui se un altro non fa o dice nulla, perché lo devo fare io. L'esempio più chiaro si trova nelle aule di scuola, di qualunque ordine e grado; quando il professore domanda agli alunni se hanno capito tutto e se ci siano delle domande, è rarissimo che qualcuno alzi la mano dicendo che ha dei dubbi.

    Il silenzio diventa quindi l'arma migliore: è meglio rimanere in silenzio ed essere riservati, piuttosto di domandare ed essere osservati che, tradotto nella vita quotidiana, significa: dimostrare sempre di avere benessere e prosperità, anche se ci manca poi il cibo per sfamarsi. Il messicano possiede un'infinità di sfaccettature che lo rendono pressoché unico, nell'insieme degli abitanti dell'America latina. Sono sommamente educati e molto formali nel saluto e nei commiati, ma ti guardano con profondo disprezzo se non li corrispondi.

    Qualunque cosa serve loro come pretesto per organizzare una festa. Le feste messicane coinvolgono tutti e tutta la famiglia ma attenzione, se l'ora d'inizio fissata sono le 4PM uno si può tranquillamente presentare alle 5PM, sperando sempre di non essere il primo. È da qui che l'acronimo PM (post meridiem) in Messico prende il significato di Puntualidad Mexicana.

    Anche nella vita quotidiana sono particolari. Se una segretaria o una domestica vi dice ahorita o al ratito viene il padrone, preparatevi a una attesa non inferiore ai 40'-60', se invece vi dicono ahoritita, allora è meglio andarsene. Ciò vuol dire che più è applicato il diminutivo alla parola, maggiore sarà l'attesa.

    Per concludere questa veloce carrellata sui messicani, voglio lasciare al lettore una frase, letta su un taxi, che racchiude in sè tutto il loro spirito, e che recita:

    Dios està conmigo, si no vuelvo soy yo que estoy con El

    (Dio è con me, se non ritorno sono io che sto con Lui)

    "A mia moglie Alessandra

    complice e sostenitrice di questa mia avventura letteraria"

    CAPITOLO I

    In fondo era una situazione che conosceva. Era di fronte a tante persone, certo: ma quante volte si era trovato a parlare in pubblico, in fondo? Era in un luogo ignoto, è vero: ma uguale a se stesso come lo sono tutte le sale di attesa, dal dentista all'avvocato. Solo il fatto di essere nudo lo disturbava un po'. E avere una pistola in mano non migliorava esattamente la situazione.

    Sandro si svegliò tutto sudato e di soprassalto, come gli succedeva ormai da alcuni giorni. Era sempre lo stesso sogno, o incubo, forse era la definizione migliore: si vedeva in un luogo sconosciuto, una stanza tutta bianca, senza finestre e illuminata da potenti lampade al quarzo, lui era seduto su una sedia, circondato da donne sconosciute, tutte nude come lui e sedute anche loro, con una pistola in mano.

    Ne aveva parlato anche con Miguel Angel, il suo amico strizzacervelli, il quale, dopo averlo ascoltato, non molto seriamente, diciamolo, gli disse che leggeva troppi gialli e pensava troppo alle donne.

    «Mah, passerà», disse, alzandosi con una certa fatica dal letto.

    Abitava da circa due anni a Madrid, in pieno quartiere di Salamanca. Vi era arrivato pochi mesi dopo essersi laureato, con una borsa di studio del Ministero degli Affari Esteri italiano e dopo aver rinunciato a un posto di geologo all'ENI. Erano i primi del 1976 e Franco, El Caudillo, era morto da pochi mesi. La sua decisione di partire, rifiutando un impiego così ambito come era considerato quello, causò non poche discussioni in casa. Per fortuna, alla fine, prevalse l'anima iberica del signor Acinas, suo padre, e così Sandro poté finalmente partire, senza lasciare troppi traumi.

    Il suo posto di lavoro era all'Università Autonoma, un campus modernissimo che occupava un ampio spazio ai margini della strada che univa Madrid a Colmenar Viejo. Sandro si trovava bene a Madrid, parlava lo spagnolo fin da bambino ed era stato infinite volte dai nonni in Spagna, quindi non dovette superare quel periodo di adattamento, obbligatorio e inevitabile, per tutti coloro che si recano in un paese straniero.

    Francisco Franco Bahamonde, anzi, se vogliamo essere rigorosi, Francisco Paulino Hermenegildo Teódulo Franco y Bahamonde, el Caudillo, era morto da poco più di due anni, e la tensione politica e sociale, tra la destra e la sinistra, era giunta al massimo nel mese di gennaio di quell'anno, con la matanza de Atocha, quando un gruppo di estrema destra franchista, accompagnato da neofasciti italiani, entrò negli uffici di Comi-siones Obreras e uccise cinque avvocati, ferendo altre quattro persone.

    A Madrid in quei tempi si respirava un'aria incerta sul futuro del Paese, anche le elezioni generali del mese di giugno, che proclamarono Adolfo Suarez capo del governo, non riuscirono ad allentare la tensione.

    Camminare per la strada, se vestito in un certo modo, poteva essere rischioso. Qualunque tipo di barba e un eskimo - tanto in uso in quegli anni dai giovani di sinistra - erano un vero richiamo per le bande di estremisti di destra, soprattutto quelli della Falange Española e di Fuerza Nuova che, come branchi di iene, passavano il loro tempo a caccia di comunistas solo per il piacere di massacrarli di botte. I tentativi di indurre questi violenti alla ragione furono innumerevoli, lo stesso Re Juan Carlos si fece crescere la barba, tanto che, ironicamente, fu chiamato Juan Carlos de Barbón.

    Anche Sandro era inciampato alcune volte in questi cani sciolti. Vicino a casa sua, nel quartiere Salamanca, c'era la birreria Santa Barbara, famosa per essere uno dei loro quartieri generali; lui, più di una volta, aveva dovuto allungare il passo o mettersi a correre, per non cadere nelle loro grinfie. Sandro si chiedeva spesso come mai l'estrema destra, in tutti i paesi, si radunasse sempre nelle birrerie.

    Era settembre avanzato e a Madrid sembrava di essere ancora in piena estate, con meno caldo forse, ma con lo stesso cielo di un azzurro quasi impossibile che illuminava tutto, fino al tardo pomeriggio. Ciò si doveva al fatto, che nel 1942, Franco decise di introdurre un'ora legale per tutta la durata dell'anno, per tanto il giorno si protraeva ben oltre le venti.

    Sandro uscì dall'appartamento della calle General Pardiñas che erano poco più delle otto e, come faceva tutti i giorni della settimana, esclusa la domenica, si fermò al bar dell'angolo per fare colazione.

    «Buenos dias Sandro», lo salutò cordialmente, come ogni mattina, José il barista, «café con leche y churros¹ ?», gli chiese mentre collocava piattino e cucchiaino sul bancone, davanti a lui.

    «Buon giorno José, no...questa mattina mi va una tostada di pane con burro e marmellata», gli rispose Sandro mentre apriva il quotidiano El Pais, ancora odorante di stampa fresca.

    El Pais era il nuovo giornale di Madrid, fu il primo esempio di una stampa laica nel periodo della transizione spagnola. Fondato nel 1976, aveva dovuto aspettare la morte del dittatore, avvenuta nel novembre precedente, per poter iniziare a stampare le sue pagine.

    «Ci sono novità o buone notizie?», gli chiese José, mentre stava servendo un cliente appena entrato.

    «Aumenta il prezzo del pane e del trasporto urbano... ah… una buona cosa è che i pensionati sono stati esentati dal pagare il biglietto e possono entrare gratis nei centri culturali… a noi manca ancora parecchio...», gli rispose Sandro. Poi bevve l'ultimo sorso del cafè con leche, lasciò sul banco le pesetas per la colazione e si avviò verso la macchina, per recarsi al lavoro.

    La sua fiammante Renault 5 color beige lo aspettava, parcheggiata, quasi all'angolo con la calle Hermosilla.

    L'Universidad Autonoma di Madrid era a una ventina di chilometri, per fortuna la parte urbana era solo fino a la Plaza de Toros de las Ventas, sulla calle de Alcalà, di lì Sandro, percorrendo la circumvallazione M30, arrivò spedito fino al campus.

    Era una giornata speciale: il direttore del dipartimento di Geologia e Geochimica, Julio Rodriguez, ex ministro del governo di Carrero Blanco, assassinato qualche anno prima, aveva annunciato che quel giorno avrebbero ricevuto la visita del rettore della UNAM (Universidad Nacional Auonoma de Mexico), il dott. Guillermo Soberòn.

    La UNAM stava portando avanti una politica di sviluppo delle università chiamate di provincia, ovvero quelle che avevano sede fuori dal Distretto Federale, con il fine di decentralizzare gli studenti che in quella università avevano già superato i trecentomila di numero.

    Sandro parcheggiò l'auto negli stalli verdi, quelli riservati al suo dipartimento, ed entrò nell'edificio raggiungendo la stanza che condivideva con un collega, al primo piano.

    «Buon giorno Javier», disse Sandro al suo coinquilino, quando entrò nella stanza.

    «Hola Sandro...c'è mancato un pelo che tu incontrassi il capo».

    «Ah! E' venuto qui?», gli rispose.

    «Si è passato per ricordarci della riunione con il rettore e i suoi mariachis… ha visto il poster che hai attaccato l'altro ieri...».

    «Quello con il testo dell'Internazionale? o l'altro con Allende?», gli rispose Sandro già seduto comodamente alla sua scrivania.

    «Il primo… l'ha guardato e ha detto di dirti che, se vuoi, anche lui ti può cantare qualcosa.... ».

    «Beh... il Cara al sol (inno della Falange spagnola) lo saprà certamente molto bene », gli rispose ridendo Sandro.

    «A che ora è l'incontro ?».

    «Fra mezz'ora in aula magna, se ci andiamo ora abbiamo anche il tempo per fermarci al bar, a prendere un caffè prima che inizino», gli rispose il suo collega e amico. E così fecero.

    La riunione durò circa due ore, tra la relazione del Rettore e le domande del pubblico presente.

    «Che ne pensi?», gli chiese Javier, una volta finito l'incontro, «ultimamente alla UNAM ci sono state molte turbolenze - oltre a quella terribile delle olimpiadi del '70 - come nello scorso mese di luglio, che se le son date di santa ragione, nel campus della città universitaria».

    «Si, è vero, la situazione non è delle più tranquille, penso comunque che valga la pena tentare. E' una grande esperienza e lo stipendio… se è vero quello che ha detto, è proprio interessante. Io ci provo… poi si vedrà», disse Sandro, pensando alla misera borsa di studio che gli dava il Ministero italiano.

    Tornati in ufficio si mise a scrivere la domanda e a preparare un ridiculum-vitae, come lo chiamava lui, che potesse essere di interesse e accattivante per i messicani. Aveva intenzione di consegnarlo al Rettore, prima che ripartisse per il suo giro.

    «Alea jacta est!… il dado è stato gettato», disse fra sé quando, un'ora dopo, lasciava i fogli nelle mani del segretario del Rettore.

    Erano passati poco più di sei mesi dal giorno dell'incontro quando, una mattina, verso la fine di marzo, trovò nella sua cassetta delle lettere una busta con il logo della UNAM.

    Sandro la prese, rigirandola varie volte, e la

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