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Tra Rothko e tre finestre
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Tra Rothko e tre finestre
E-book222 pagine2 ore

Tra Rothko e tre finestre

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Info su questo ebook

Tra Rothko e Tre Finestre (uscito per la prima volta con il sottotitolo Omicidio all'Art Gallery of Ontario) è prima di tutto un giallo, di quelli di buona fattura. Comincia con l'omicidio di Michele Carrieri, un insospettabile italiano, proprio mentre visita l'Art Gallery of Ontario.

Ma a Toronto, quando nei guai finiscono gli italo-canadesi il sergente Stevens non può non ricorrere all'aiuto dell'amico Luigi Sasta, direttore della Stampa Italica, quotidiano in lingua italiana ormai sull'orlo del fallimento: anche gli italiani si sono integrati, hanno un nuovo paese, una nuova cultura e, soprattutto, una nuova lingua. In parte è vero, in parte rimane quel sapore di casa lontana tra le pieghe del quale investiga il nostro cronista. Fino ad arrivare a Milano e a un paese cambiato, forse ancor più della comunità tricolore di Toronto. Prima prova narrativa di Corrado Paina, poeta italo-canadese con numerose pubblicazioni all'attivo, dimostra con un ritmo serrato e un'introspezione di gran fascino, quanto gli scrittori italiani di altri paesi siano in grado di avere qualcosa di importante da dire nel panorama della lingua e della narrativa italiana.
LinguaItaliano
Data di uscita23 mar 2015
ISBN9788898924448
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    Anteprima del libro

    Tra Rothko e tre finestre - Corrado Paina

    Corrado Paina

    Tra Rothko e tre finestre

    Tra Rothko e tre finestre:

    Omicidio all’Art Gallery of Ontario

    Corrado Paina

    Collana Oceania

    a cura di

    Michele Marziani

    Edizione Marzo 2015

    ISBN 9788898924448

    copyright © 2014 Antonio Tombolini Editore

    digital rights reserved

    Via Villa Costantina, 61,

    60025 Loreto Ancona

    Italy

    email: officina@simplicissimus.it

    www.officinamarziani.it

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    Immagine di copertina a cura di Marta D’Asaro


    Versione digitale realizzata con  BackTypo.com da Simplicissimus Book Farm srl


    ISBN: 9788898924448

    This ebook was created with BackTypo (http://backtypo.com)

    by Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    PARTE PRIMA

    5 giugno

    I

    II

    III

    IV

    6 giugno

    V

    VI

    PARTE SECONDA

    I

    II

    III

    IV

    7 giugno

    V

    VI

    11 giugno

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    PARTE TERZA

    I

    II

    PARTE QUARTA

    26 giugno

    I

    II

    III

    28 giugno

    IV

    V

    VI

    3 luglio

    VII

    PARTE PRIMA

    Quel mattino il vestibolo della banca aveva l’odore del giovane barbone brasiliano. Ci dormiva la notte e se ne usciva presto per evitare che la polizia lo arrestasse. Erano le sei del mattino e, come sempre, Luigi Sasta scendeva a College Street per prendersi un caffè e comprare un giornale italiano. Luigi entrò nella banca per prelevare del denaro in contante. L’odore del giovane brasiliano era quasi gradevole, familiare. Diverso da quello del vecchio portoghese ubriaco che parlava un po’ tutte le lingue e che un tempo era stato un professore, forse un’autorità accademica, magari istituzionale di un mondo lontano, straniero al Canada.

    Il portoghese era da un po’ che non si vedeva in giro. L’estate prima Luigi aveva convinto un poliziotto a non portarlo in guardina. Gli aveva spiegato che era innocuo, che il vecchio portoghese, della terra ferma e non delle Azzorre – e questo il barbone ci teneva a farlo sapere – entrava nei bar per chiedere qualche moneta e in cambio parlava qualche lingua o citava qualche frase importante che ancora la sua memoria riusciva ad afferrare nel caos liquido del suo passato.

    Magari qualche volta urlava, si faceva prendere dalla passione, si arrabbiava con gli immigrati dalle Azzorre che a migliaia vivevano nelle vie intorno a College Street. Secondo lui erano un branco di contadini analfabeti, spesso finiva col prendersela con loro, ma questi non reagivano mai violentemente, e chiamavano invece la polizia. Il vecchio portoghese grazie all’intervento di Luigi non era stato arrestato e il poliziotto non gli aveva fatto neppure la morale.

    S’era allontanato lungo il marciapiede senza neppure ringraziare Luigi che comunque non si aspettava alcuna riconoscenza. Il vecchio si era poi fermato a guardare con occhi vacui e annacquati la neve che cadeva e il tram che sferragliante continuava la sua corsa nella tempesta.

    Siamo cambiati noi, è cambiata College Street, pensava Luigi. Solo pochi anni fa i mendicanti li lasciavano entrare dovunque. Facevano parte della comunità. Gli davamo qualche moneta e se ne andavano. La fauna di College Street è cambiata. Adesso è di plastica. Sono tutti belli, puliti e chi apre ristoranti e bar non è della zona e vuole solo fare soldi. Non hanno alcun rapporto con il quartiere, nessun obbligo verso la comunità. Pensano soltanto ai profitti.

    I clienti e gli esercenti che non conoscevano da sempre i barboni del quartiere e non li avevano visti invecchiare, si seccavano e chiamavano la polizia.

    Nelle fredde notti invernali sia il giovane brasiliano che il vecchio portoghese entravano nel foyer della banca seguendo il cliente che apriva il pesante portone con una carta bancomat ed educatamente aspettavano che uscisse prima di coricarsi.

    Così questi due figli del mare o delle verdi colline trovavano riparo dal freddo canadese. Si toglievano le scarpe e le posavano di fianco al loro giaciglio insieme a un bicchiere di plastica per le elemosine.

    Il vecchio portoghese ubriaco si gettava per terra e s’addormentava.

    A dire la verità negli ultimi anni la banca lasciava aperta la porta di notte.

    Luigi pensava con un sorriso che doveva essere stata una decisione degli impiegati pietosi.

    Il passante che aveva bisogno di contanti la mattina presto, entrava senza paura e faceva le sue operazioni mentre il vecchio russava gorgogliante come una fontana. Il giovane dormiva come un bambino. Il naso e la guancia schiacciati contro il cuscino d’occasione.

    Ogni tanto c’era anche un nero con un’enorme massa di capelli attorcigliati che parlava da solo finché crollava esausto. Anche di lui nessuno aveva paura a College Street. Il cliente entrava e lui continuava a bassa voce il suo rosario interminabile e intraducibile.

    Era solo verso le sei o poco dopo che Tony si addormentava nello scantinato del bar. La gente sapeva che lui si coricava perché a quell’ora due o tre ragazze uscivano dal bar. Quella era l’ora in cui gli avventori potevano entrare a prendere il caffè. Il vecchio barista alzava la saracinesca maledicendo Tony che se la faceva con quelle zoccole maledicendo pure la polvere che Tony preferiva loro.

    Le ragazze uscivano vocianti interrompendo il silenzio di College Street. Di solito fermavano un taxi o se ne andavano un po’ scalcagnate e provate dal sonno mentre le loro voci risuonavano lungo la via di bar e caffè chiusi. A quell’ora il tram aveva ripreso la sua corsa. I vecchi immigrati italiani che ancora si sentivano, ma sempre meno, padroni di College Street e che camminavano aspettando che il bar aprisse, si affrettavano per un caffè fatto come si deve.

    Non si erano mai abituati all’espresso di un bar portoghese, l’unico che rimaneva aperto ventiquattrore. Lì c’era il vecchio che era stato minatore in Belgio, quello invasato di padre Pio, e il pizzarolo in pensione che lavorava ancora part time perché la sua pizza era sempre la migliore. Lui andava in pizzeria verso le tre o le quattro del mattino, preparava l’impasto e tornava a College Street.

    I vecchi immigrati italiani si sedevano quasi intimiditi nel bar portoghese che alla mattina presto era affollato di manovali e piccoli costruttori silenziosi e bevevano un caffè aspettando che aprisse il bar italiano che anche di prima mattina serviva loro la grappa da una bottiglietta di succo di frutta vicino alla macchina del caffè.

    Era illegale ma la bottiglietta sembrava piena d’acqua. I tre vecchi immigrati dopo il caffè portoghese riprendevano a camminare avanti e indietro per College Street nel freddo canadese. Si vedeva il vapore uscire dalle loro bocche. Erano sempre impegnati in qualche discussione e s’immalinconivano quando, con occhi ancora da contadini diventati urbani per forza, vedevano le ragazze che uscivano dal bar di Tony.

    Le guardavano allontanarsi con passo precario, con voci schiamazzanti e impastate dalla droga. Le guardavano con gli occhi di chi ha girato il mondo, ma il mondo quei tre non l’avevano girato per nulla, l’avevano solo attraversato.

    Le tre ragazze erano come quelle che andavano a trovarli nelle baracche. In Svizzera? In Belgio? Sono forse le stesse che parlavano una lingua incomprensibile trenta, quarant’anni fa e che bazzicavano intorno ai cantieri o nei quartieri luminosi del centro di Toronto?

    «Potrebbe essere nostra figlia!».

    «Tua nipote» lo correggeva il pizzarolo.

    «Sono così giovani» diceva il minatore.

    «E quel vastaso ha lasciato la famiglia…la moglie e i figli…».

    Il vecchio che parlava sempre di padre Pio era calabrese e stranamente ciarliero rispetto agli altri anziani che tutto l’anno si trovavano al pomeriggio in un club sociale chiamato La Caravella. Parlava sempre un po’ più del dovuto, diceva sempre una parola di troppo su qualcuno del quartiere. Diceva che Tony era un mascalzone. E lo diceva anche con un po’ di disprezzo. Tony era disonorato. E forse qualcosa di più. Magari anche infame.

    Qualcuno diceva che una volta aveva raccontato qualcosa di troppo alla polizia e che la mafia l’aveva condannato a murarsi nello scantinato del bar dove sniffava la coca e riceveva ragazze mezze drogate che lui finiva di drogare del tutto.

    Storie di College Street, storie piccole, vere che non diventavano mai leggende. Chiacchiere da bar, storie minime di persone che si conoscevano tutte.

    Era un’altra College Street, pensava Luigi, con il calzolaio e i suoi amici che parlavano di rivoluzione. Nella bottega si trovavano ogni mattina alcuni vecchi che commentavano la Stampa Italica e facevano progetti sovversivi.

    Avevano cominciato da giovani quando erano arrivati e avevano mantenuto la tradizione. Il calzolaio gli aveva confidato che presto avrebbe chiuso il negozio perché l’affitto stava aumentando e poi il padrone di casa voleva dare il suo locale al ristorante di fianco che aveva bisogno di spazio.

    Luigi usciva sempre presto alla mattina, comprava un giornale, si prendeva un caffè, fumava un paio di sigarette Dumaurier, ascoltava per un po’ le chiacchiere da bar, ogni tanto partecipava e spesso veniva consultato. Poi salutava e tornava a casa per prepararsi per andare al lavoro. Cercava di svagarsi, di non pensare alla Stampa Italica, il quotidiano italiano di cui era direttore, agli articoli da continuare, alle inchieste, al suo rapporto con l’editore, alla mancanza cronica di soldi del giornale.

    Quel giorno di circa un anno prima, all’uscita dal giornalaio che vendeva il Corriere della Sera, il Corriere dello Sport, la Gazzetta, Oggi, Tex Willer e Diabolik aveva sentito un forte dolore al petto, accompagnato da un grande brivido e un estendersi di una sorta di blocco doloroso alle spalle, al collo e una paura maledetta di morire, di lasciarci la pelle.

    Aveva vacillato proprio all’uscita e i tre vecchietti lo avevano sorretto.

    L’avevano portato nel bar di fianco e invece del solito caffè gli avevano dato dell’acqua. Anche il giornalaio e sua moglie erano accorsi. Il vecchio emigrato venezuelano l’aveva caricato sulla sua Cadillac e l’aveva portato al pronto soccorso.

    Dopo un paio di giorni l’avevano dimesso. Elena, sua figlia, era venuta a prenderlo.

    Non era nulla, aveva detto Luigi per tranquillizzarla. Solo un malessere.

    L’età avanza, aveva spiegato allora, cercando di minimizzare.

    E allora lascia stare il lavoro e vai in pensione, aveva suggerito Elena. Facile a dirsi, pensò Luigi. Questo era accaduto un anno e mezzo prima.

    Il giorno del malore aveva fatto molto freddo e Luigi andava sostenendo che si era trattato di un colpo d’aria. Ma sapeva benissimo che era angina, diagnosticatagli da un medico dell’ospedale.

    E quell’angina maledetta era andata peggiorando.

    5 giugno

    I

    Michele Carrieri non rimaneva mai in ufficio a mangiare durante la pausa pranzo e i suoi colleghi pensavano che fosse uno snob. Lui si scusava educatamente quando veniva invitato a uscire con loro per comprare un’insalata o una macedonia nella Grange, un angusto centro commerciale che prendeva il nome dalla vecchia sede del museo d’arte moderna, una residenza di campagna. Centinaia di impiegati si ammassavano nella Grange, che significa la stalla, e conseguentemente, affamati come armenti, succhiavano passati di verdura e maceravano frigide insalate. Si sedevano cicaleccianti sotto bassi soffitti da rifugio atomico dove i fili scoperti della corrente parevano, nel loro intersecarsi, una frenetica anguillaia. Michele, pensando che avrebbe dovuto passare altre quattro ore nel suo angolo d’ufficio, riteneva perlomeno squallido sedersi al tavolo dell’archivio, illuminato da luci al neon, in mezzo a scaffali ricolmi di annuari generali, vecchi dizionari commerciali e tariffari, ad ascoltare i colleghi parlare delle rate del mutuo, delle prossime vacanze su qualche spiaggia di Varadero e degli exploit dei figli in crescita. Alle dodici e trenta, l’ora della pausa, compressi in un ascensore, i dipendenti contavano in silenzio i piani con eccitazione studentesca, canticchiando a bassa voce un motivetto o riscoprendo nello specchio del vestibolo volti familiari e sembianze umane. Un collega di origine italiana si avvicinò a Michele domandandogli se avrebbe seguito i mondiali di calcio.

    Lui, abbozzato un sorriso, rispose con gelida cortesia che il calcio non gli piaceva. In parte si dispiacque per la sua risposta, ma gli parve quasi ipocrita che il loro unico momento di solidarietà paisána potesse essere reificato in un campionato di calcio, nel tifo per una squadra di un paese lontano. Possibile che non ci fosse altro che li unisse? Soltanto quella passione per l’Italia del calcio, del cappuccino, del Rinascimento, sognato, orgasmato, fottuto, sbranato da anglofoni infoiati di Grand Tour?

    L’aprirsi delle porte dell’ascensore offrì a Michele e al suo collega la salvezza della fuga. Il sole lo colpì in pieno volto. La city, il nucleo di grandi edifici che Robert Ford Gagen aveva chiamato i templi del commercio, risplendeva di luce. Colate d’oro fuso invelavano i grattacieli in vetro. Uffici, computer, impiegati e pratiche scomparivano dietro la grande onda del sole. I fiori delle aiuole sullo spartitraffico di University Avenue si schiudevano curiosi. Era terminato il lungo inverno, scomparso il vento che spingeva i passanti nell’abbraccio gelido dei palazzi e dei grattacieli delle grandi compagnie d’assicurazione. Michele giudicò innaturale la felicità di migliaia di impiegati corsi all’esterno di quei vitrei edifici per celebrare chissà quale festa durante l’ora d’aria.

    Secondo le previsioni della stazione radio della CBC, che Michele ricordava d’avere ascoltato bene quella mattina in bagno, si sarebbero superati i trenta gradi, con un tasso di umidità elevatissimo. Decise di indossare per l’ultima volta il vestito grigio fresco lana. Da alcuni giorni l’estate era esplosa senza intermezzo primaverile. Un’ondata di afa aveva sommerso la città. «Questa non è terra d’esseri umani, è terra d’animali» gli aveva detto un vecchio italiano. Una mattinata d’inverno, lui e il vecchio camminavano, provenendo da direzioni opposte, trascinandosi lungo il marciapiede di Little Italy e resistendo all’urto della bufera, coprendosi gli occhi e il volto con la sciarpa. Il vecchio, Michele non aveva mai capito come, lo riconobbe per italiano e senza fermarsi gli sbruffò quelle parole continuando il suo cammino per poi scomparire nel grigio turbine con la testa incassata nelle spalle. Ci voleva un fisico davvero di ferro per resistere a quelle escursioni termiche. Da un giorno all’altro si poteva passare da temperature invernali a estive. Ci si affezionava al tempo meteorologico, o meglio non ci si fidava di quello nuovo ed è per questo che Michele non aveva ancora riposto in armadio i vestiti pesanti. Si diresse verso il bar per il solito panino, ma si ricordò che non aveva contanti e ritornò sui suoi passi dirigendosi verso la banca di fianco all’ufficio. Attraversò Dundas Street costeggiando il monumento agli avieri caduti nei conflitti mondiali, un menhir in cemento terrigno e poroso dalle braccia protese che sembrava dare libertà a un uccello dalle sembianze di un velivolo. O forse quella statua esprimeva lo stupore del bambino che, guardando le piroette di un aeroplano, alza eccitato le braccia verso il cielo. Ai piedi di quel monumento proiettato nel cielo un mendicante era morto quell’inverno per il freddo. Passanti frettolosi, pensando alla fine di quel barbone, talvolta posavano un mazzetto di fiori. Michele si allentò la cravatta, poi diede gli ultimi spiccioli rimastigli a un ragazzo che, seduto sugli scalini della banca, si grattava e agitava

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