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Briciole di vita Autobiografia del pittore Carmine Moriniello con brani critici sulla sua arte.: A cura di Bianca Fasano
Briciole di vita Autobiografia del pittore Carmine Moriniello con brani critici sulla sua arte.: A cura di Bianca Fasano
Briciole di vita Autobiografia del pittore Carmine Moriniello con brani critici sulla sua arte.: A cura di Bianca Fasano
E-book157 pagine2 ore

Briciole di vita Autobiografia del pittore Carmine Moriniello con brani critici sulla sua arte.: A cura di Bianca Fasano

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Presentazione.

Questa autobiografia di mio zio, Carmine Moriniello, è andata in stampa molti anni fa (Tip. G. Calabrò, 1979 - 111 pagine), e sono stati davvero tanti i critici d’arte di ottima levatura che hanno parlato della sua arte ed io non mi sento di essere sullo stesso livello.
Non  intendo parlare della pittura del maestro Moriniello astrattamente, come potrebbe fare un critico d’arte in quanto non credo molto nella critica e credo, invece, molto, negli artisti stessi.
Carmine Moriniello era, davvero, “Principe, titolato in Spagna - Arma della Casta Molinos - repertorio de Blasones de la Comunidad Hispanica - lettera M - pag. 117 A. discendente diretto dei principi regnanti di Granada.” La nostra famiglia, da parte dei Moriniello, cui mi sento molto legata, proviene dai Molinos di Granada. Per intenderci, quei “mori pelle di luna” che vennero cacciati nel 1492 da Isabella di Castiglia e di Boabdil (Abù’ Abdallàh, 1452-1528), il sultano spodestato, che si salvò con la fuga e si rifugiò a Malaga presso il fratello Zaghal.
L'espulsione dei moriscos dalla penisola iberica, invece, fu ordinata dal re Filippo III e fu portata a termine nel giro di pochi anni, sia pure per gradi, tra il 1609 e il 1614.
Dopo di che vi fu la diaspora.
Tuttavia Moriniello non era grande per questo (ammesso che per titoli si possa esserlo), lo era in quanto grande pittore sociale, di fama mondiale, che nell’arco della sua vita, ricevette innumerevoli riconoscimenti, nazionali ed internazionali, che lo videro protagonista; fu premiato anche, nel 1965, dall’allora Presidente della Repubblica Italiana, Giuseppe Saragat con medaglia d’oro, per meriti artistici. Da ultimo, non solo cronologicamente e non per importanza, tra i vari riconoscimenti si vide assegnare quello internazionale alla Biennale di Venezia il 3 settembre 1983; di lui hanno tanto parlato e scritto, autorevoli scrittori e critici d’arte, tra i quali Domenico Rea.
Carmine Moriniello, come uomo, ebbe un grande dolore: innamoratosi a soli quattordici anni di una bella ragazza a nome Anna, che ne aveva soltanto dodici, trasformò in matrimonio quel lungo percorso d’amore e perse la sua donna alla nascita della loro figlioletta Elvira.
Poi venne ingoiato dalla guerra, assieme alla sua sofferenza.
Ebbe, dopo, il coraggio di vivere e dedicò all’arte tutta la sua vita, chiuso, più avanti, nel suo studio di Via Giacinto Gigante, ore, coi colori e le idee sociali che gli fluttuavano per la testa.
Il numero di opere da lui compiute e le occasioni in cui queste vennero mostrate al pubblico sono innumerevoli. Di certo quel suo chiudersi in uno studio, con il balcone serrato e l’immancabile sigaretta tra le labbra, bene non gli fece, giacché morì per un tumore ai polmoni. Ragione, questa, del mio disgusto per le sigarette, che mi fecero abbandonare il fumo da un giorno all’altro a quarant’anni, essendo anche io pittrice ed accusandole di avermi privato di mio zio. Di questo lo debbo ringraziare.
Buona lettura.
Bianca Fasano 
LinguaItaliano
Data di uscita6 set 2019
ISBN9788834181256
Briciole di vita Autobiografia del pittore Carmine Moriniello con brani critici sulla sua arte.: A cura di Bianca Fasano

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    Anteprima del libro

    Briciole di vita Autobiografia del pittore Carmine Moriniello con brani critici sulla sua arte. - Carmine Moriniello

    Autobiografia di Carmine Moriniello

    Il pittore solitario

    Presentazione dell'autore.

    Scrivendo l'autobiografia ho ripercorso come in sogno tutta la mia vita entrandovi come da una porta aperta all'improvviso, non so da chi e da cosa.

    É stata una esperienza meravigliosa! Ho ritrovato mia mamma giovane, sono stato accanto a lei, ho avvertito il suo calore, l'ho vista sorridermi, preoccuparsi per me, accompagnarmi a scuola. Mi sono tornati alla mente, come per un lungo viaggio attraverso il tempo, ricordi ed immagini di persone care e di persone divenute tali per la nostalgia dell'età trascorsa che addolcisce i fatti, le cose e le persone di epoche ormai lontane.

    Mio padre che torna dall'ufficio stanco, con la sua inseparabile paglietta e il giornale nella tasca della giacca, il volto di nonna Maria e di nonna Anna, la portiera del palazzo, Il Cantiniere (che chiamavamo piscione), il salumiere, Il pescivendolo, il pasticcere, il mio gatto, i mobili di casa, il folklore squisitamente partenopeo della sanità, la chiesa di San Vincenzo col suo Campanile, il ponte della sanità, il padrone di casa, zio Lucio, zio Alessandro, zio Umberto con zia Maddalena e le cugine Sisina, Clara e Wanda, zio Attilio con zia Silvia, Mario, Maria, Ciretta, zio Aristide, i miei carruoccioli, l'automobilina di stagno dono di mia madre nel giorno della Befana e la statuetta di cioccolata di Alessandro, il colore delle pareti di casa, le scale con la scritta viva Nino, mio cugino Alessandro Patierno, che mi dava la sveglia al mattino nei giorni di festa ed ancora tante altre immagini di cose, di avvenimenti, che si accavallano nella memoria e spingono e pigiano, pigiano per venire fuori. C'è la nitida, c’è l’oscura, la piacevole, l’amara, ci sono l’amore, l’odio, il dolore, la guerra, la pace, la miseria, la fame, ma al di sopra di tutto c'è nostalgia, quella cara compagna che a una certa età ti prende per mano da un momento all'altro e ti fa compagnia, ora rallegrandoci, ora velando tutto con un po' di malinconia. Nostalgia del tempo vissuto, delle cose andate via per sempre e che il tentativo di riportarle al presente illumina non di luce vivida, ma di luce calda, calma, oserei dire serena. Si accettino queste Briciole di vita, col pensiero che chi le ha scritte l'ha fatto con modestia, senza alcuna presunzione. Se vi annoierò perdonatemi, se i mie ricordi vi faranno sorridere, pensare, riflettere, o almeno esimervi dal dire:

    -ma che vo’ stu scucciatore - ne sarò lieto.

    Parte prima.

    Non sarebbe mia intenzione dare inizio a queste mie memorie declinando le generalità come si usa per stipulare un contratto, incassare un assegno o pagare una multa, ma mi vedo costretto a ciò dovendo scrivere un autobiografia. Nacqui il 16 luglio del 1914 da Cesare Moriniello e da Michelina Pisani, in via Santa Maria avvocata 37, Napoli, sezione Vicaria, il posto più napoletano di Napoli.

    Il nonno paterno, Stanislao, era presidente di sezione di corte d'appello, il nonno materno, Giuseppe pisani, cancelliere di pretura. Le due nonne erano sorelle.

    Mio padre, applicato al provveditorato agli studi di Napoli, all'inizio della carriera percepiva un modestissimo stipendio. La mia cara mamma, di indole modesta e per vicissitudini di vita molto economa, riusciva con duri sacrifici,a superare le ristrettezze economiche. applicato era una qualifica di gruppo C della classe impiegatizia, non una malattia come potrebbe sembrare dalla parola e non significa neppure schiavo oppure oppresso.

    Avevo circa 4 anni, da poco tempo era morto nonno Stanislao, quando mio padre si trasferì con la famiglia in via sanità 13. Andammo ad abitare nella casa di nonna Maria Fusco Pisani, anche lei vedova da poco tempo e di suo figlio Alessandro, cancelliere capo del tribunale. Nei mesi estivi trascorreva le vacanze con noi zio Lucio [1] , altro fratello di mia madre, poliglotta: parlava e scriveva ben 7 lingue di cui aveva conseguito la debita abilitazione; residente a tripoli, alto funzionario del Ministero delle colonie.

    Aspettavamo con ansia la festa di San Vincenzo detta Il monacone [2], festa piena di colore locale. i negozi si riempivano di ogni specie di cibarie, le bancarelle esponevano le mercanzie illuminate di molte lampade ed arricchite con fogli di carta colorata e vistosi e variopinti cartelli. La Sanità [3] si riempiva di gente proveniente da ogni zona di Napoli, ansiosa di divertirsi. Per noi ragazzi la festa iniziava dai preparativi per le luminarie, per l'allestimento del palco, dove avrebbe suonato la banda musicale e per la tavola dei poveri. Il giorno della festa molta gente attendeva anche ora intere per mangiare un piatto di pasta, un pezzetto di carne e per bere un bicchiere di vino. Questa scena pietosa mi rattristava: non riuscivo a rendermi conto dell'esistenza di tanta umanità affamata e lacera.

    Anche io non ero ricco e certamente i miei primi anni furono particolarmente difficili in quanto mio padre, come applicato, guadagnava troppo poco e a rendere più critica la situazione economica degli impiegati statali ( tra cui mio padre), il governo di allora decurtò dal 10 al 20% gli stipendi; mia madre era molto preoccupata di questo e si adoperava in mille modi per far quadrare il modesto bilancio familiare. Certamente non soffrivamo la fame, né l’abbiamo mai sofferta nella famiglia; tuttavia i tempi erano un po' duri per tutti (in particolar modo per la classe impiegatizia cui apparteneva mio padre), per cui mangiavamo cibi semplici ma sostanziosi e crescevamo robusti e forti, tutti in buona salute. Ad aggravare la condizione in cui si viveva c'era il fatto che per le nostre condizioni sociali dovevamo, agli occhi della gente, mantenere un certo decoro morale e materiale, per cui, anche nella sofferenza, eravamo soli con noi stessi. Da bambino ho sempre sofferto in silenzio a causa della lezione del decoro esterno, sapendo ben celare il dolore interno, non l'ho mai dimenticato ed anche oggi molte volte rido, anche se il mio animo piange; spesso mi mostro allegro, benché sono triste. Il pezzente che non doveva salvare alcuna faccia, non aveva i problemi che avevamo noi allora, egli trovava sempre il modo di arrangiarsi, persino meglio di chi, come noi, spesso per sostenere gli occhi del popolo si trovava le mani legate, costretto a fare una certa cosa ed a mantenere un determinato atteggiamento, per conservare il prestigio.

    Un giorno i miei genitori mi condussero al C.I.M ( Consorzio Industriale Manufatti), per comprarmi un abitino nuovo. La gioia per l'acquisto dell'abito svanì immediatamente, anzi, subii un trauma psichico, allorché la mamma mi disse: -" Ti raccomando il vestito nuovo, perché sullo stipendio di tuo padre verrà detratta una rata mensile fino al completo pagamento." - Ebbi la sensazione che il mio vestitino e quel negozio fossero una specie di tortura per il mio povero papà. Abitualmente mia madre cuciva i miei vestitini con la stoffa comprata in negozio, e il pensiero che lo stipendio di mio padre sarebbe stato decurtato per me, mi faceva sentire colpevole, perciò l’abitino mi diventò odioso e a vederlo, invece di gioire, mi rattristavo.

    Nonna Maria conosceva la mia sensibilità, mi confortava mi aiutava e ad ogni minima contrarietà mi rifugiavo tra le sue braccia affettuose. Serbo un preciso ricordo del giorno della sua morte; si staccò un quadro da una parete della sua camera da letto. Esistono poteri soprannaturali di cui l'uomo ha, ogni tanto, una fuggevole visione, con la caduta del quadro, la nonna ci avvertì del suo decesso, infatti, udendo il tonfo, entrammo nella camera da letto della nonna e ne costatammo la morte.

    Ricordo il quaderno dei conti di mia madre; in pagine successive inseriva il denaro occorrente per questo e per quel pagamento. Nella prima pagina segnava i soldi per il fitto di casa in cui padrone si chiamava Bellomunno, il quale era un sacerdote che forse superava il metro e ottanta in altezza.

    Mi addolorava molto nel vedere la mia cara mamma, così piccina e indifesa, porgere con le sue manine il denaro a quel prete che, a suo confronto, mi appariva un ricattatore, un nemico, oserei dire un ladro. La seconda pagina conteneva la somma per il pagamento della luce elettrica, la terza quella per il pagamento dei carboni e così via. Mi sembra di rivederla, come in sogno, sempre indaffarata in cucina, alle prese con i panni da lavare, da asciugare, da rammentare e da stirare, accanto al fornello a carbone che ravvivava continuamente col ventaglio di paglia. Conosceva il cucito da perfetta sarta, ricamava, cucinava da perfetta cuoca, preparava pietanze deliziose, che mia sorella Gelsomina, anche lei brava cuoca, ricorda ancora con nostalgia del palato. Quando era ancora buio, molto prima che si svegliassero gli altri, andava in cucina, silenziosamente e dopo poco l'aroma del caffè si spandeva per la casa. Qualche volta a tavola non gradivo il cibo che mia madre aveva preparato per noi è spontaneamente dicevo: - "Non mi piace, c'è altro?"- alzando gli occhi vedevo il suo volto impallidirsi; purtroppo non aveva altro da darci. La mia domanda innocente e spontanea per l'età che avevo si perdeva in un silenzio agghiacciante, la guardavo negli occhi, cercavo con lo sguardo di scusarmi rendendomi conto di averle procurato un dispiacere, di averle riacceso nell'animo le preoccupazioni di sempre e buttavo giù alcuni Bocconi per vederla rasserenata,facendo di tutto per farmi perdonare. Spesso non ero il solo a lamentarmi; anche i miei fratelli lasciavano il cibo ed allora la buona mamma, per accontentarci, spendeva più di quanto fosse possibile o si adoperava a preparare, con la sua arte di cuoca, cibi più gustosi. Infatti, era bravissima a preparare timballi, frittate miste, arancini di riso e altre specialità semplici nel contenuto, ma gustosissime. Tuttavia il suo menù, per quanto si adoperasse, era ben ristretto; infatti, i cibi abituali erano: melanzane a funghetto, verdure di vario tipo, frittate, uovo in carrozza ed altre pietanze semplici e modeste. La colazione per la scuola consisteva, appunto, in una di queste pietanze e si usava il pane del giorno precedente. A scuola, nel sentire l'odore della merenda del compagno di banco, fatta di pane fresco e mortadella, non riuscivo a consumare la mia, che restava quasi sempre abbandonata sotto il banco. Gli anni del dopoguerra ( prima guerra mondiale), erano duri e difficili per tutti. le La vita è piena di incognite preoccupazioni ma non tali da giustificare le atrocità e le violenze che seguirono all’armistizio e che arrecarono danni e rovine.

    Un giorno mi domandarono: - "Che cosa fai di bello a scuola? Quanto fa tre più tre?'' - Non risposi; avevo ben altro da pensare. Orgoglioso fino all'impossibile mi infastidiva sentirmi trattato da bambino. Avevo circa sette anni quando una signora amica di famiglia mi domandò: - ''Credi in Dio?'' - Risposi : - ''No"-

    Per punizione mi pose faccia al muro. La risposta così secca e perentoria aveva la sua origine da una scena orribile che avevo osservato poco prima dal balcone di casa. Un fascista aveva accoltellato alle spalle un uomo che, caduto in terra

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