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Dario "Il re dei re"
Dario "Il re dei re"
Dario "Il re dei re"
E-book218 pagine3 ore

Dario "Il re dei re"

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Info su questo ebook

Il romanzo adatta bene la realtà attuale e il grande tema dell'eterno scontro tra le forze divine e quelle malefiche, intrecciando la tradizione con i problemi più in vista della società contemporanea. Un ruolo fondamentale è l'amore dei due giovani, lui è legato alla protagonista da un grande disegno che ha origini lontane nella storia dell'umanità.
LinguaItaliano
Data di uscita24 mag 2016
ISBN9788892608108
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    Anteprima del libro

    Dario "Il re dei re" - Natale Stavolone

    L’INIZIO

    Capitolo primo

    La concezione

    Passano i millenni. L’arcangelo Michele guarda il mondo, chissà a cosa sta pensando. Dopo un paio di minuti spiega le ali e si dirige verso la terra: ha una meta ben precisa.

    A sua insaputa, di nascosto, a debita distanza, lo segue un discepolo di Lucifero che ha l’ordine di sorvegliare ogni suo spostamento. Michele si dirige in una città dell’Iran precisamente a Teheran. E’ un giorno come tanti, e, in una zona di quella città, una giovane coppia è in procinto di sposarsi. I due futuri sposi sono seduti di fronte a uno specchio con delle candele e il libro sacro islamico, il Corano. La sposa è italiana, si chiama Antonella e ha accettato di sposarsi secondo le leggi dell’Iran. L’unica condizione che pretende è il vestito bianco come da tradizione occidentale. La giovane è emozionata nell’indossare il vestito che ha sempre sognato da bambina, l’ha scelto con cura, di tulle e di seta con lungo strascico. Sui capelli soltanto delle piccole rose bianche e il lungo velo ad adornare il viso raggiante di felicità. Il mullah durante questa fase del rito, recita per tre volte una preghiera e poi domanda una volta allo sposo se vuole prendere in moglie la sua promessa. Dopo il suo consenso, la stessa cosa è domandata per tre volte alla donna, inserendo nella domanda tutte le condizioni stabilite in precedenza durante il matrimonio. Con l’assenso della sposa l’unione dei due è ufficiale e consacrata.

    << Auguri agli sposi! >> Urlano i parenti.

    << Grazie Antonella. >> Sussurra il giovane sottovoce alla sua sposa.

    << Grazie a te che sei entrato nella mia vita, ti amo immensamente. >>

    << Ti ringrazio soprattutto di avermi accettato anche se di religione diversa e di aver fatto tutto questo per me. >>

    << Ti ho sposato perché... hai detto che ti ho riempito la vita come tu hai riempito il mio cuore e mi hai fatto ricredere nell'amore... è un viaggio e insieme supereremo tutti gli ostacoli della vita. >>

    << Hai saputo accompagnarmi verso la luce in un momento buio... e grazie a te ora conosco davvero il significato della vita e dell'amore. >>

    << Bacio! Bacio! Bacio! >>

    I due novelli sposi si guardano teneramente e si scambiano un languido bacio. Il loro amore traspare. Dopo la cerimonia gli sposi con i parenti e amici vanno a festeggiare in un ristorante tipico iraniano con un abbondante banchetto e tanta musica. E’ tradizione che i genitori degli sposi durante il banchetto di nozze facciano i loro personali auguri. Il padre dello sposo si alza con il calice in mano, battendo una posata al calice, per farsi sentire.

    << Questo è il mio brindisi. Ce l’avete fatta, mano nella mano, passo dopo passo avete costruito insieme questa bellissima storia d’amore che oggi trova conferma nelle promesse reciproche che vi siete scambiati. Vi siamo vicini con il cuore e vi auguriamo di guardarvi ogni giorno negli occhi e scoprire l’uno nell’altra il senso della vostra vita insieme. I nostri più cari auguri in questo giorno così importante! Cedo la parola al padre della sposa, che freme anche lui per dire la sua. >>

    Con un po’ d’imbarazzo il padre di Antonella si alza e, alzando il bicchiere colmo di spumante dice:

    << Gli auguri per una vita insieme non sono mai abbastanza. La strada è lunga, ma voi non abbiate alcuna paura, basta prendersi per mano e camminare insieme. In questo giorno di felicità noi tutti vi auguriamo un matrimonio unico, speciale e duraturo. Garanzia del vostro amore eterno e della forza che vi lega. Un brindisi per i nostri sposi! >>

    << Evviva gli sposi! >> Come coro finale.

    Tutti si divertono fino a tarda sera. Viene anche annunciato il giorno in cui i novelli sposi accoglieranno in casa amici e parenti per ricevere i regali.

    I giovani sposi, che non sanno di essere controllati dall’arcangelo Michele, esausti dopo il lungo giorno di festeggiamenti, si concedono il meritato riposo.

    E’ notte alta, Michele osserva la casa dei due giovani, il suo spirito penetra le mura e si trova nella loro camera. La sua aria non è minacciosa. Si avvicina a lei con un leggero sorriso, pone la sua mano verso il suo ventre prendendo in quell’istante una decisione. Dalla sua mano, infatti, esce una luce bianca che si concentra; il tutto dura pochissimi istanti, e in quei pochi momenti, vi è nuova vita in lei. Prima di andare, Michele accarezza il viso della donna; in quell’attimo esatto scompare. Lì fuori c’è il demone a spiare, vede uscire Michele che si dissolve nell’alto del cielo. L’essere, di gran premura, va a riferire tutto a Lucifero, al quale pensa che interessi il legame di Michele con quella coppia sulla terra. Al racconto del proprio seguace, Lucifero lo incarica di non perdere di vista quella famiglia.

    Ho visto cose cui non mi credereste mai, cose che non vorrei aver mai visto. E ora non sono più un ragazzo comune, non è più il mondo normale. Cominciamo dall’inizio, sono come un qualsiasi altro ragazzo, ho una famiglia, andavo a scuola e non credevo all’uomo nero, ma poi il mondo si risvegliò in un incubo. E’ possibile che sia tutto vero? Le favole, i mostri, e come se fosse tutto un sogno!

    Cammino in un ampio salone freddo e desolato, con le luci soffuse, vedo camminare un ragazzo; sembra smarrito, ha il passo titubante, perché non capisce dove si trova. Pian piano focalizzo e capisco che sono io e mi trovo dentro a un Museo Egizio. Non c’è nessuno, mentre giro un po’ impaurito, vedo un forte bagliore, sono terrorizzato, ma la mia curiosità supera la paura, così decido di capire meglio quale sia la natura di quella luce intensa, ma, il fascio luminoso è già scomparso! All’improvviso, sento un leggerissimo rumore provenire da dietro di me, di scatto mi volto, il sangue mi si gela nelle vene! Una mummia mi viene incontro…

    Salto dal letto, urlando, in preda alla paura e bagnato di sudore!

    << No! >>

    << Va tutto bene, tesoro, va tutto bene, sono io la nonna, va tutto bene, dai, coraggio, non preoccuparti sono qui. >>

    << E’ tutto apposto. >> Accarezzandomi.

    Dopo essermi calmato, mi riaddormento tranquillo senza pensare ad altro.

    La donna che mi ha tranquillizzato, è la mia nonna materna, si chiama Stefania, ha un carattere allegro e scherzoso ed è ancora in gamba come quando era giovane. Lei con me è sempre affettuosa, le voglio tantissimo bene, al collo porta sempre un ciondolo in oro a forma di cuore con dentro le foto della figlia amatissima e del genero.

    Non si trucca mai (almeno io non l'ho mai vista), il ricordo più forte della mia infanzia è legato a mia nonna, il profumo intenso e forte che emanavano le lenzuola quando andavo a dormire perché lei mette sempre le saponette nei cassetti, così tutta la biancheria è profumata. Adoro bere il tè con lei, con i biscotti che acquista dal fornaio, le voglio molto bene e sono molto legato a lei.

    Mi chiamo Kamram, nome che nella mia lingua significa fortunato, ho quattordici anni e sono nato in Iran a Teheran; la mia altezza è media, ho la carnagione ambrata tipica del mio paese e occhi e capelli scuri. Mio padre si chiamava Amin Rezaian, aveva trentacinque anni, ma ne dimostrava di meno, non era molto alto, aveva una corporatura robusta perché in passato aveva fatto molto sport come il calcio, e tanta palestra; aveva un carattere abbastanza socievole ed era sempre pronto allo scherzo, anche se alcune volte con me era troppo severo e brontolone; era un ingegnere iraniano e si occupava di pozzi petroliferi. Mia madre era italiana, si chiamava Antonella Palermo, aveva 31 anni, anche se ne dimostrava di meno, era una donna abbastanza alta, aveva i capelli rossi e corti, ma il suo vero colore era il nero, aveva gli occhi castani e le labbra carnose ed era molto magra, il modo di vestire era molto casual, nel senso che prediligeva i jeans, scarponi da montagna, era molto difficile vederla indossare abiti più eleganti; era una persona paziente, gentile, altruista e molto buona anche se era molto meglio non farla arrabbiare perché se no rischiavo di finire in punizione. Non avevamo una dimora fissa, perché il lavoro che svolgeva mio padre ci portava un po’ ovunque per il mondo.

    Una sera mio padre tornato da lavoro.

    << Ciao Antonella. >>

    << Ciao amore. >>

    << Senti, domani sera saremo invitati a una cena di lavoro, e sono tutti con le rispettive famiglie. >>

    << E il bambino? >>

    << Lo portiamo con noi. >>

    << Mi scoccia lasciarlo a una baby sitter. >>

    Durante la notte, mentre tutti dormono, una losca figura entra in casa, si dirige nella mia stanza. Arrivata dinanzi al mio lettino, estrae un pugnale e cerca di uccidermi, ma, intorno a me, si crea una barriera di una forte energia, che scaraventa l’essere lontano da me, ferendolo gravemente e mettendolo in fuga.

    L’indomani sera, un paio di ore prima di andare alla cena di lavoro, avviene qualcosa che fa che sì che io non vada con i miei genitori; scoppio, infatti, in un pianto a dirotto e continuo! Sembra che una mano superiore e potente, guidi il mio destino!

    << Che gli è preso, fino a poco fa era tranquillo. >>

    << Lo sai come sono i bambini, sicuramente saranno i denti o qualche colichetta, febbre non ne ha. >>

    << Non possiamo portarlo con noi. >>

    << Io non voglio lasciarlo a un’estranea. >>

    << Amore, lo so, conosco una signora di fiducia, lo assisterà lei sin quando non torniamo, la riunione di stasera è importante per me. >>

    Così sono costretti a lasciarmi con una baby sitter.

    << Signora mi raccomanda, questo è il numero di telefono del luogo, dove ci troviamo mio marito e, io, non esiti a chiamarci per qualsiasi problema, eventualmente arriviamo subito. >>

    << Il piccolo ha mangiato e sta dormendo, andate tranquille, ci penso io. >>

    Si avviano col pensiero a me, il posto si trova un po’ distante da casa, così prendono una strada a percorrenza veloce; la serata era bellissima, il cielo pieno di stelle che illuminavano la strada. Mentre erano intenti a parlare e ad ascoltare la radio come sottofondo.

    << Da un bel po’ che non uscivamo da soli. >>

    << Anche se non sembra, nostro figlio da cinque anni ci ha reso la vita completamente diversa. >>

    << Chissà cosa aveva per piangere in quel modo. >>

    << Forse qualche colichetta o i denti. >>

    << Ricordi una delle ultime volte quando siamo usciti da soli? >>

    << Come faccio a non dimenticare. >>

    << Quei due nostri amici, avevano preso una sbornia, ricordi? >>

    << E uno di loro voleva fare lo scherzo all’altro spingendolo in piscina, senza farlo apposta, lui si è spostato, facendolo cadere in acqua! Ahahah. >>

    << Accortosi del suo amico che chiedeva aiuto, perché non sapeva nuotare, lui si butta in piscina per aiutarlo. >>

    << Non sapeva nuotare neanche lui! Ahahah. >>

    << Meno male che c’erano persone e li hanno aiutati a tirarli fuori. >>

    << Che hai, ti vedo preoccupata, vuoi chiamare casa, per sapere come sta Kam? >>

    << Si vede, vero? >>

    << Dai chiama, sicuramente è tranquillo che dorme. >>

    << No dai, non voglio far vedere che sono esagerata, chissà cosa penserà la signora. >>

    Mentre erano intenti a parlare del più e del meno, accadde un imprevisto.

    << Che cosa c’è lì in fondo alla strada? >>

    << Sembra una persona. >>

    << Perché non si sposta, sta fermo lì. >>

    Mio padre usò gli abbaglianti per vedere meglio e ancora non si rendevano conto di che cosa fosse, fino a quando quella figura si diresse verso di loro provocando la perdita del controllo del mezzo e l’uscita di strada, facendoli schiantare contro un albero, dove morirono entrambi, come se quella figura fosse lì ad aspettarli e come se qualcuno avesse voluto che io non andassi con loro.

    Amira mia nonna paterna, dopo varie peripezie, decise di affidarmi ai nonni materni che vivevano in Italia; dei miei nonni paterni non ricordo molto, ero troppo piccolo.

    Cresco a Roma; il mio quartiere è Centocelle, un po’ in periferia, zona molto abitata anche da molti stranieri. Abito in un appartamento al quarto piano, la casa non è grandissima ma ho la mia camera, il pavimento è di piastrelle rosse lucide, con pareti ricoperte da una tappezzeria sino al soffitto color avorio, con una fascia più scura in basso. In una parete vi è una porta che dà nel corridoio e nella parete, di fronte vi sono la finestra a vetri e le persiane per fare buio. La finestra dà sul parco, dove i miei nonni molte volte mi portavano. In una parete si trova il mio letto e vicino a esso una libreria a scaffali aperti, con i libri di scuola e altri con argomenti vari, a tal punto, che dopo un paio di anni, mio nonno fu costretto a mettere altre mensole per sistemare tutti gli altri libri che negli anni andavano comprando o mi regalavano. Luigi, mio nonno, 66 anni, ha una corporatura robusta e un’altezza media; sulla fronte rugosa e spaziosa, si accentuano le sue sopracciglia folte, di un colore indefinibile che va dal nero al grigio scuro, i suoi occhi sono marroni: ma non di un marrone qualunque, di un marrone profondo che esprime sincerità, voglia di vivere e stare insieme, ha la barba corta, e, infine, ad abbellire il suo viso ci sono le orecchie lisce che diventano rosse non appena assaggia un po’ di vino; ora è in pensione, da giovane ha svolto molti lavori, e nemmeno io saprei elencarli tutti. Nella parete di fronte si trova un armadio, dove ripongo i vestiti e la biancheria.

    Davanti alla finestra ho un tavolino con un cassetto sul quale sono collocati i libri che uso i quaderni e il computer. Sulle pareti vi sono delle riproduzioni a colori di quadri. E’ la camera dove passo molte ore a studiare e giocare.

    Capitolo secondo

    La gita

    Come ogni mattina mia nonna cerca di svegliarmi, si dirige verso la mia stanza bussa e con voce alta:

    << E’ tardi! Devi andare a scuola! >>

    E si allontana verso la cucina, dopo qualche minuto ritorna, apre la porta:

    << Kam! Svegliati, è tardi! >>

    Rispondo con un grugnito senza aprire gli occhi, la nonna si avvicina a me smuovendo il letto.

    << Forza alzati, quando è che impari ad andare a letto presto? Lo sai che l’indomani devi andare a scuola, ti metti sempre con quel PC e perdi la cognizione del tempo, dai alzati! >>

    Mi siedo sul letto con gli occhi stropicciati dal sonno.

    << Che ore sono? >>

    La nonna, andandosene verso la cucina, urla:

    << E’ tardissimo muoviti! >>

    Come un automa mi alzo e mi dirigo verso il bagno, dopo qualche minuto esco ritorno nella mia stanza, mi vesto in fretta e furia, raccolgo i libri buttandoli dentro lo zaino pronto a uscire, e come sempre la nonna mi ferma per darmi qualche euro per la colazione, le

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