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Creations
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E-book245 pagine3 ore

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Info su questo ebook

L´Umanità ha rischiato l´estinzione per mano di chi l´aveva creata e ora si trova coinvolta in una guerra che non sente come propria. Tra Galassia e Terra si svolge un nuovo importante capitolo della storia Umana. Riusciranno gli Uomini ad essere finalmente liberi? O finiranno inesorabilmente per estinguersi in questa lotta più grande di loro?
LinguaItaliano
Data di uscita3 giu 2016
ISBN9786050450835
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    Anteprima del libro

    Creations - Demis Alberti

    18

    Creations

    Sotto il sangue degli Umani

    DEMIS ALBERTI

    CREATIONS

    SOTTO IL SANGUE DEGLI UMANI

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto

    dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. 

    Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari è del tutto casuale.

    1

    Era visibile ormai. Terra natale dei nonni di tutti gli occupanti di quella navicella. Terra mistica dagli innumerevoli racconti, dalle molteplici culture, rumori e colori abbandonati per sempre nel ricordo delle rare foto e filmati arrivati fino a Mundus. Foto. Mostravano un mondo completamente diverso dalla roccia e dai parchi protetti dalle capsule dove vivevano gli umani stessi. Mundus non era la Terra, in niente, non aveva spazi liberi dove divertirsi, cose da vedere, da scoprire, da esplorare. Era roccia. Fredda. E nient’altro.

    Tutti ebbero un sussulto quando si distinse dal nero infinito, un piccolo geoide azzurro. Persino Max fu visto a bocca aperta e lo sguardo fisso su quel misterioso passato.

    Mancava poco, ormai la terra sotto di loro era distinta. Max prese le redini dello stupore generale e attirò gli sguardi a sé occhi fissi a me e orecchie sincronizzate signorine, da ora non si scherza. Quando questo pezzo di latta si poserà sul suolo terrestre dovrete avere già casco con microfono e computer incorporato acceso, avere già armi cariche e spirito in pace. Ragazzi l’agitazione rende stupido un uomo, ricordatelo. Tutti preparati fra 5 minuti calpesteremo suolo terrestre. Aveva un sorrisino divertito, aspettava da tempo questo momento.

    Tutto tacque. Una serie di luci rosse sul lungo corridoio centrale che divideva i due settori in cui stavano i 150 tra soldati, comandanti medici e scienziati si accesero sul pavimento. I soldati si guardarono in giro preoccupati, agitati da quella snervante attesa. Steve si portò all’orecchio di Tom. Che ci sarà la fuori?. Tom tenne lo sguardo fermo, un rivolo di sudore gli gocciolava dalla tempia. Non lo so, devastazione? Morte? O niente di tutto ciò?.

    Del gas uscì dalla porta: si stava aprendo. Tutti gli occhi erano fissi sull’entrata che ormai, essendosi aperta del tutto, lasciava entrare un fascio intenso di luce. Nulla però si poteva vedere dell’esterno.

    Tom si era dimenticato del casco, era l’unico a non indossarlo. Lo prese da terra e lo indossò legando bene le stringhe sotto il mento. Il casco era bianco dello stesso materiale dell’armatura. Comprendeva tutta la testa tranne il naso e gli occhi, che però erano coperti dagli occhialini dell’elmetto che facevano anche, e soprattutto, da monitor per il micro computer incorporato. Accese quest´ultimo e subito dopo la radio. Era pronto per la grande missione.

    Ancora niente. Erano passati un paio di minuti ma nessuno era sceso e nessuno era salito. Ed è dopo un terzo minuto che la situazione si sbloccò. Dall’entrata della navicella apparve la testa del generale Max, visibilmente furibondo.

    Allora primedonne volete anche il tappeto rosso? Muovete il culo!

    Tutti di botto presero il mitra e, non proprio ordinatamente, uscirono. Tom e Steve erano tra gli ultimi. Appena varcarono la soglia furono accecati dalla luce. Pian piano i loro occhi si abituarono e videro quello che era quel giorno, la Terra.

    Il cielo era grigio, era nuvoloso ma non sarebbe piovuto, il clima mite. Era primavera si suppose. Gruppi di uccelli volavano nel cielo, erano neri, come l’umore della natura. La terra che circondava la periferia di quella che un tempo era stato detto fosse Parigi era rigogliosa. Una natura fondata sull’anarchia del disordine. Copriva tutto; le abitazioni abbandonate, semi-distrutte, le automobili e i camion; coprivano la fine di quel giorno che fermò il mondo ma continuava tutt’ora.

    L’area era deserta, nessuno animale stava in zona; solo grandi cornacchie nere gracchiavano e volavano a cerchio sopra i 150, incuriosite da quelle cose che non avevano mai visto.

    Erano atterrati su una prateria, anche se al tempo si trattava di un tranquillo sobborgo della capitale francese. Davanti al plotone di umani si stagliavano a distanza abitazioni distrutte e ricoperte dalla natura, mezzi di trasporto e la strada che ancora si era mantenuta da un certo punto in poi. Ai lati della prateria invece solo alberi e rocce, molte in realtà erano detriti di case o pezzi di metallo e ferro.

    Tom guardava meravigliato quel mondo che tante volte aveva immaginato, visto nella fotografie o sui libri di storia, sentito raccontare…un mondo che lo affascinava e che lo attraeva ma lo rattristava anche. Pensava al momento dell’attacco, le persone che gridavano e scappavano senza scampo alla morte che le attirava a se come una lampada attira gli insetti, ai morti che erano sotto di lui in quel momento, sepolti dagli innumerevoli anni ormai passati. Scosse la testa. Doveva cercare di pensare ad altro. Tutt’intorno i soldati si guardavano e ridevano facendo notare ai loro amici cose che avevano visto sui libri come un fiore, un camion ma anche una banalissima insegna stradale ormai illeggibile. Certi si erano semplicemente fermati ad osservare, come Tom, ed a immaginare quel mondo nel suo periodo precedente la distruzione, se non durante. Scosse nuovamente la testa. Era successo ancora, si era ipnotizzato ad osservare i suoi compagni e il paesaggio da contorno. Sembrava troppo strano. E lo era. Fece una decina di metri distaccandosi dai commilitoni, e si inginocchiò togliendosi il guanto rinforzato; passò la mano sopra l’erba. Era fresca e bagnata. La osservò bene, era morbida al tatto e piacevole da accarezzare. di sicuro -pensò- è molto meglio della roccia. Avrebbe voluto vivere lì per sempre, tutto era così diverso e bello a confronto di dove era nato. Un paradiso. Non dovette passare molto tempo, però, prima che il giovane cambiasse idea.

    Si riscosse, il generale Max stava chiamando a sé il plotone. Tutti i soldati si misero ordinatamente a semi-cerchio davanti a Max. Con la solita aria severa iniziò il discorso. Ci divideremo in due gruppi, che chiameremo Oro e Argento. Qui è tarda mattinata il che vuol dire che entro mezzogiorno punto i culi della squadra Oro sulla collina a est della nostra posizione attuale. Con un dito indicò alla sua sinistra un’altura di massimo 150 metri con sulla sommità un vecchio monastero di età medievale miracolosamente sopravvissuto. Continuò e sempre a mezzogiorno voglio la squadra Argento nel centro storico di Parigi, a venti km da qui. Prima del calar del Sole sarà prefissato il ritrovo di entrambe le squadre in questo preciso punto, davanti alle navicelle. Qui costruiremo un piccolo campo dove passeremo il resto del giorno aiutando gli scienziati a raccogliere campioni e a studiare l’area e la notte in attesa del giorno seguente per continuare le ricerche. Alla navicella resteranno i quattro piloti e lo staff dei dieci scienziati, mentre ogni squadra godrà di tre medici. Ora: io guiderò la squadra Oro insieme al capitano McFillan, composta da sessant'otto soldati e ci dirigeremo verso il monastero sulla collina mentre la squadra Argento sarà guidata dal comandante Cassius e dal capitano Thop - i due si fecero avanti prendendo la propria metà di soldati e medici e dando loro indicazioni. Tra i componenti della squadra Oro c’erano anche Tom e Steve compiaciuti di non doversi separare . Una colonna di coppie di soldati marciava verso la collina. Una colonna di soldati che silenziosamente marciava verso l’alto. Il generale Max si girò un istante guardando tutta la processione, che si interruppe e lo fissò in silenzio; Benvenuti sulla Terra disse infine accendendosi un sigaro con aria soddisfatta.

    Una lieve nebbia copriva i soldati del plotone Oro sulla collina. Stavano tutti con gli occhi fissi sull’entrata; erano disposti sulla facciata anteriore del monastero tra le pieghe del terreno, dietro gli alberi e tra i cespugli; il loro cuore batteva, l’indice nervosamente appoggiato al grilletto. Max e McFillan erano spalle al muro ognuno su un lato dell’entrata, ogni tanto davano un’occhiata al di là del portone aperto per vedere se i loro uomini facevano ritorno. Avevano inviato quattro soldati in esplorazione e di questi si potevano vedere i fasci delle loro torce andare e venire dal tetto miserabilmente crollato da anni.

    Steve e Tom erano appostati dietro un albero dove iniziava la foresta. Nessuno parlava, solo i respiri dei soldati erano udibili e la tensione ormai era palpabile nell’aria. Le luci si spensero e una parete interna del monastero cadde. I soldati fuori alzarono i fucili e si nascosero meglio, si guardavano in torno tra di loro preoccupati. Per circa un minuto non si sentì più nulla, né luci si accesero. Il nervosismo dei soldati ormai stava toccando il suo picco; Max fece un gesto con la mano per calmare i suoi uomini. Ad un certo punto molte pareti del monastero cedettero come seguendo un percorso, i soldati si allarmarono e balzarono in piedi chiedendosi che stesse accadendo, poi fu di nuovo silenzio. Ora solo dei ciottoli dei vecchi muri cadevano e rotolavano a terra sulle altre macerie, quello era il solo rumore udibile. Dopo una snervante attesa un soldato uscì dal monastero; gli mancavano entrambe le braccia, cadde sulle ginocchia e provò a parlare ma gli mancava il fiato, tutti stettero fermi e lo guardarono sbigottiti. Alla fine riuscì a pronunciare parola: scappate disse. Non appena ebbe finito la frase fu investito e da un enorme verme con la bocca gigantesca saltato fuori dal monastero distruggendone definitivamente l’entrata. Il verme strisciava a una velocità impressionante mangiando chiunque trovava sul suo cammino. Tra i soldati fu il caos. Steve e Tom erano ancora vicini mentre scappavano dal terribile mostro che aveva cambiato la sua direzione puntando verso di loro. Correvano senza capire bene dove stessero andando, saltavano radici spesse, massi, urtavano contro la vegetazione circostante. Intorno a loro vedevano soldati correre a perdifiato, certi cadevano, certi altri venivano divorati dal mostro. Ad un certo punto si sentì un’esplosione e successivamente un grugnito orribile. Il rumore della bestia si arrestò; Steve e Tom si fermarono dietro un grosso albero, come loro altri soldati, videro il gigantesco verme alzarsi come in piedi, la testa ricoperta da peli neri e rossi arrivava tranquillamente alle fronde degli alberi più alti, poi venne giù in picchiata e con al bocca aperta in tutta la sua grandezza affondò nel terreno scomparendoci; sulla rada erba boschiva vi erano tracce di quello che doveva essere il sangue dell’animale. Dietro un albero particolarmente grande stava su un ginocchio il comandante Max, lanciarazzi fumante in spalla, al suo fianco McFillan con i lunghi capelli neri appiccicati sul viso sudato, la faccia sconvolta e gli occhi sbarrati si teneva con un braccio ad un ramo, stanco.

    Si radunarono tutti fuori dal bosco e scesero ai piedi della collina: in 17 persero la vita, tra cui un medico. Max si affrettò a riordinare la squadra; ordinò di rimettersi in coppia ai soldati che avevano perso il compagno e infine decise che sarebbero ritornati al campo base per riprogrammare la giornata seguente con più calma. Si misero in cammino. Dopo un paio d’ore arrivarono al campo base, ma quel che trovarono, o meglio quello che non trovarono, li preoccupò.

    Max si recò al centro dei sacchi di sabbia, messi appena erano arrivati, e vi trovò la troupe di scienziati morti. Tutti i soldati si avvicinarono visibilmente scossi e agitati. McFillan si fermò al fianco di Max e gli sussurrò all’orecchio che significa comandante? per tutta risposta Max chiamò a sé i due medici. Ditemi di cosa sono morti. Dopo una manciata di minuti i medici con le mani sporche di sangue mostrarono al generale dei proiettili. McFillan, appassionato e grande esperto d’armi si avvicinò ai due e controllò meglio i reperti mortali. Dopo una veloce ma attenta analisi si rivolse al suo superiore sputando la sentenza. Sono proiettili di inizio ventunesimo secolo comandante. Fece una pausa per aumentare la gravità dell’affermazione. Di un secolo fa. Max rimase fermo, ipnotizzato; occhi aperti non siamo soli, disporsi entro il perimetro di sacchi di sabbia in formazione difensiva. disse alla fine. Per una decina di minuti tutti rimasero fermi e vigili all’interno della piccola postazione difensiva. Max era al centro, con lo sguardo perso nei i boschi lontani alla ricerca di una minaccia. Si riscosse solo quando dal cielo vide tornare il velivolo che li aveva portati sul pianeta e che era fuggito a seguito dell’attacco. Si affacciò dal portellone laterale un pilota che tenendosi l’elmetto con una mano gridò: signore ci spiace della fuga ma siamo stati attaccati, non siamo riusciti a salvare gli scienziati! Signor.. attenzione via!- chiuse immediatamente il portellone e il velivolo subito cambiò rotta virando in extremis ed evitando un razzo di pochissimo. Il velivolo si allontanava verso sud. Intanto i soldati a terra caddero sotto una pioggia di proiettili. Non sempre penetravano le corazze, ma in molti erano già morti a terra. I soldati sparavano alla cieca, contro figure nere nascoste nell’ombra; molti cominciavano a scappare finchè Max non diede un ordine disperato ma definitivo: ritirata. Le linee si ruppero, poco a poco tutti i soldati si ritirarono col loro generale, scappavano da un nemico sconosciuto che li aveva colti alla sprovvista. Steve e Tom, che stavano in prima fila, decisero di ritirarsi anche loro essendo ormai l’ultima fila che ancora sparava; si alzarono e iniziarono a correre, Tom si girò un momento e subito prese il braccio del compagno fermandolo fermi tutti! gridò, cercava di trattenere i soldati a lui vicini indicando col dito il cielo; una decina di bombe da mortaio stava disegnando una parabola e sarebbero cadute a neanche trenta metri da loro; si fermarono senza sapere cosa fare. Le bombe caddero investendo gli ultimi soldati che non avevano voluto, o che non avevano sentito l’avvertimento di Tom, dividendo così definitivamente il resto della squadra a loro ormai perduti in mano al nemico. Si girarono e rimasero di sasso; una trentina di uomini vestiti malamente puntavano verso di loro fucili vecchi e mal ridotti. presi" disse ridendo il più vecchio.

    In 9 caddero prigionieri, tra questi Tom e Steve. Erano stati bendati e da circa 10 minuti camminavano legati l’uno all’altro, non una mosca volava. Un ragazzo legato davanti a Tom gli farfugliò, sperando di non essere udito, ci riverranno a prendere? prima ancora che Tom potesse pensare a una risposta dal fianco destro della colonna arrivò una risposta di un uomo; no. Si ricadde nel silenzio.

    Alla fine furono tolte le bende a tutti. Si trovavano in una stanza circolare fatta di pietra; erano in fila indiana nel mezzo di questa stanza, attorno a loro gli uomini che li avevano catturati.

    benvenuti, umani disse in fine un uomo di mezza età, con una barba incolta ormai grigia e sporca e una cicatrice sulla guancia, probabilmente lo stesso che aveva risposto al soldato durante la marcia.

    dovremmo chiamarli anche terrestri magari, eh? fece eco un altro uomo, dalla voce stridula, magro e dal fare un po’ eccitato

    Taci. Sono solo umani.

    perché cosa siete voi? ribattè rabbioso un soldato prigioniero.

    noi non siamo come voi! urlò l’uomo con la cicatrice

    siamo esseri umani proprio come voi veniamo da Mundus, possiamo aiutarvi! urlò tutto d’un fiato un altro soldato sperando di segnare un punto a proprio favore

    aiutarci? Già si... questa me la segno, forse ai figli dei miei figli potrà servire

    Il soldato di rimando lo guardò senza capire e mentre cercava di raccogliere i pensieri e formulare una risposta lo stesso barbuto che gli aveva risposto ordinò di legarli tutti in una cella.

    Vennero sbattuti tutti e nove in una cella fatta di pietra, era molto fredda; durante il percorso dalla stanza circolare alla prigione Tom si rese conto che erano sotto terra.

    Fu il rumore di urla e di passi a svegliare i prigionieri, che si affacciarono tra le sbarre della cella per dare un’occhiata: molti uomini mal equipaggiati correvano da destra a sinistra urlando e trepidando, salivano le scale al fondo del corridoio e scomparivano. Di lì passo anche l’uomo con la cicatrice accompagnato dall’altro uomo, quello magro e isterico. Prese parola lo smilzo ci stanno attaccando quindi rimanete qui belli e buoni d’accordo?- sghignazzò un poco poi tossì e si riprese; tu resterai qui con loro ordinò l’altro.

    cosa? Assolutamente no mi oppongo

    resterai qui con loro, noi andiamo su a dargli una lezione, intesi?

    fermi saranno venuti per salvarci non uccideteli, lasciateci parlare con loro, dannazione! urlò Steve

    L’uomo con la cicatrice lo guardò un secondo poi sbottò zitto, ragazzino e corse anche lui per le scale.

    fermalo subito si rifece sentire Steve

    buoni ragazzi, è molto complicato quindi state zitti l’uomo si sedette su uno sgabello in legno affianco alla cella e si mise a pulire il fucile con un vecchio e sporco straccio.

    Passarono le ore e nessuno era ancora tornato. Lo smilzo stava ancora li a trafficare col suo fucile. I prigionieri erano stremati dall’attesa, non sapevano che fare, e se li avessero abbandonati? Sarebbero morti in quel buco? Chi erano questi uomini? Questi solo alcuni dei tanti interrogativi.

    Steve non ce la faceva più, voleva risposte e le voleva ora. Si alzo da terra e si avvicinò alle sbarre.

    dimmi che cazzo succede, ora l’uomo si girò con un sorriso quasi stupito, mise con calma a terra il fucile e si mise comodo sulla sedia girandosi del tutto anche col corpo; quindi prese la parola ti ricordo che sei prigioniero giovane, e io ho all’occorrenza un fucile carico, e pulito oltretutto, afferri il concetto?. Steve deglutì ma non tolse lo sguardo dal vecchio smilzo;

    vi parlerò ancora un po’, e poi forse vi ucciderò, o forse no, mmh non so ancora bene che farò dopo.

    Lo smilzo stava per continuare il suo discorso quando dalla botola da cui erano usciti tutti i misteriosi guerriglieri cadde rotolando rumorosamente un vecchio e sgualcito elmo. L’uomo si mise in piedi e puntò l’arma in direzione dell’elmo, per poi spostarla verso le scale. La tensione era palpabile e l’aguzzino ancora ben non sapeva che fare, era immobilizzato e spaurito. Passò più di qualche lunghissimo secondo quando si sentirono dei passi scendere i gradini e la figura dell’uomo con la cicatrice stanarsi di fronte a loro.

    Abbassa pure l’arma Cedric era stanco ed affaticato, i lunghi capelli grigi gli cadevano sulle spalle, la barba era leggermente bruciata sotto il mento. Non aveva l’elmo. Con fatica si sedette sulla sedia di legno dalla quale l’uomo, che scoprirono chiamarsi Cedric, si era alzato. Il vecchio li guardò dritti negli occhi uno ad uno poi rivolgendosi al collega commilitone disse: vai di sopra abbiamo un paio di feriti, il solito branco di lupi. L’uomo obbedì e sparì su per le scale.

    L’uomo barbuto, che doveva essere il capo della congrega, li guardò curioso ma diffidente poi, dopo un attimo di esitazione, prese parola: sono tutto orecchi. Dopo un attimo di esitazione Steve prese la parola veniamo da Mundus, o meglio dalla Asia, una nave situata in questa galassia. Cerchiamo qualcosa, qui sulla terra, ma non sappiamo di cosa si tratti.

    L’uomo si incuriosì e staccò la schiena dalla sedia portandosi i gomiti sulle gambe e le mani appoggiate sotto il mento.

    già lo immaginavo, d’altronde gli uomini che vi comandano hanno saputo, ancora quando vivevano con noi, cosa stava succedendo. fece una pausa quasi disgustato, poi continuò ma quindi non sapete ancora tutto, interessante.

    Chi sei tu? osò chiedere quasi impaurito Steve. L’uomo sgranò gli occhi poi riposò la schiena alla sedia e guardò un punto non ben definito davanti a sé. Si decise di raccontare la sua storia. Mi chiamo Henry, ma questo credo importi poco, è molto più importante di chi io sia figlio. Ho capito chi siete e non pensavo vi avrei mai visti davvero si fermò un attimo a fissarli poi si rese conto

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