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I tre volti dell'umanità - La danza del tempo
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I tre volti dell'umanità - La danza del tempo
E-book259 pagine3 ore

I tre volti dell'umanità - La danza del tempo

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Info su questo ebook

Chi l'avrebbe mai detto che il centro della galassia, un giorno, potesse arrivare a distruggere il pianeta Terra? Nessuno. E in effetti nemmeno Isis Rah, Quetzal e Huang Dì, tre alieni venuti dallo spazio, precisamente da Betelgeuse, non ne erano al corrente. Lo sviluppo dell'umanità era accresciuto proprio grazie a loro e alla loro infallibile tecnologia. Le loro menti superiori erano state in grado di gestire l'umanità intera e a portarla a uno stato di assoluto splendore. Tuttavia, la loro vita si era fusa assieme a quella dei loro "figli"; uomini e donne che vivevano ignari di chi avevano affianco. Isis era diventata proprietaria delle grandi piramidi Egizie; Quetzal, uomo dallo spiccato amore verso la natura, era riuscito a gestire la piramide di Quetzalcóatl, e Huang Dì, proprietario della Robotic Studios, possedeva, per modo di dire, la grande piramide di Xi'an. Queste tre strutture, viste dall'alto, creavano come i loro stessi siti archeologici, la cintura di Orione.

Una grande sfera dal colore viola appare sulle loro teste; ignari della sua provenienza e della sua pericolosità si ritrovano - grazie al cristallo di Cesio - per decidere come muoversi e come agire nei confronti di quella nuova entità. Solo dopo qualche giorno, comunque, vengono a sapere che quella macchia non è altro che il centro della galassia, un buco nero, che inghiottirà nelle prossime ore il pianeta con tutti i suoi abitanti.

I tre, dunque, sono costretti a scappare; ritrovano la loro astronave, e partono alla volta del loro pianeta di origine: Betelgeuse. Il viaggio è lungo e faticoso, e si trovano ad avere a che fare con un pianeta all'apparenza morto. Una grande sfera, comandata dal maggiore O'Brian, viene avvistata nella sua orbita; questi cercano di eliminarli, ma l'astronave dei tre alieni ha la meglio.

In seguito capiscono che gli umani erano al corrente dei movimenti del centro della galassia e, senza dire nulla al popolo terrestre, erano riusciti a occupare il pianeta vicino. Isis, Quetzal e Huang si trovano dunque ad avere a che fare con alieni - sul pianeta Betelgeuse gli umani erano definiti così -, intenzionati a eliminare il popolo di Y Egiptian.

I tre amici, a questo punto, non possono fare altro che agire e riprendersi Betelgeuse con la forza, rendendo gli umani innocui e trattando con loro per trovare una soluzione ai loro problemi.
LinguaItaliano
Data di uscita15 nov 2016
ISBN9788867825684
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    Anteprima del libro

    I tre volti dell'umanità - La danza del tempo - Francesco D.Bianco

    casuale.

    Ringraziamenti

    Un grazie particolare va, come sempre, a tutte le persone che mi sono state vicine; e a quelle lontane che, nonostante la distanza, mi hanno sostenuto giorno e notte.

    Ringrazio Letizia e Lucrezia per la meravigliosa cover realizzata; la loro freschezza e infinita passione per il disegno hanno reso in un’immagine il mio universo di parole. La loro voglia di fare arte, per me, è un esempio da seguire.

    Ringrazio Luca per la messa in opera della cover, per la sua pazienza e per il suo tempo dedicatomi e Roberto per il meraviglioso lavoro di web-manager.

    Un grazie significativo va anche a Testo Errante, nelle persone di Ornella ed Elena, per le correzioni e l'editing.

    Grazie di cuore anche a voi lettori, mia fonte di ispirazione e crescita professionale.

    E in ultimo, ma non meno importante, grazie alla mia compagna Adele, con la quale sto affrontando un nuovo capitolo della mia vita: lei è la mia forza, la mia roccia in un mare di dubbi.

    Prologo

    «Si allacci le cinture di sicurezza», gracchiò una voce proveniente dalla radio dell'astronave. Il maggiore Brian McCoy sospirò ed eseguì alla lettera le procedure di sicurezza, poi osservò il quadrante davanti a lui: l'astronave sarebbe partita entro due minuti. Il conto alla rovescia già iniziato scandiva minaccioso i secondi. Il suo corpo era tutto un fremito, forse perché, quella partenza, avrebbe per sempre cambiato la sua vita.

    L'astronave era piccola e scomoda. Di fianco a lui, al posto di guida, l'ufficiale O'brian verificò che ogni cosa fosse al suo posto. Settò i motori, controllò i serbatoi, gli scudi protettivi e quelli termici.

    Nel frattempo, i secondi a disposizione diminuivano. O'brian si allacciò la cintura e attese che dalla torre di controllo gli dessero il via. L'aria puzzava di paura. Effettivamente, in quella vecchia astronave, aleggiava uno strano fetore, un odore di angoscia mischiato a un fugace congedo manifestato dalle espressioni di McCoy. Sì, perché il maggiore McCoy stava lasciando il pianeta Terra per una missione speciale. Un incarico, che lo avrebbe allontanato per sempre dalle sue abitudini e dalla sua vita quotidiana.

    La voce gracchiante risuonò nell'ambiente. Ora mancava davvero poco.

    «Meno dieci secondi alla partenza», disse con voce atona. «Meno nove. Otto. Sette. Sei. Cinque. Quattro. Tre. Due». Improvvisamente, i motori si attivarono e la navicella si alzò dal suolo. Il cielo fuori era terso, alcune nuvole macchiavano di bianco quell'immenso tappeto azzurro. Sotto di loro, la pista si allargava a perdita d'occhio verso l'orizzonte. Le vetrate della torre di controllo scintillavano alla luce del sole. Tuttavia, il mondo era chiaramente indifferente a quell'evento.

    McCoy guardò la terra che velocemente si allontanava da lui, fino a divenire una piccola macchia senza senso, poi l'astronave si fermò di colpo, e la voce atona della radio diede il consenso per utilizzare la massima velocità. McCoy s'irrigidì, fissò negli occhi O'brian, e disse: «Devi proprio farlo?». Ma ormai era tardi, l'Ufficiale attivò i sistemi di propulsione e l'astronave schizzò verso l'alto a una velocità folle.

    Superarono la velocità del suono, l'azzurro del cielo divenne sempre più scuro, fosco. Lingue di fuoco avvolsero in un secondo momento il cristallo visivo: sembrava di essere a un passo da quella potente sfera chiamata sole. Il nero dell'universo arrivò puntuale a ricoprire i loro occhi. Le stelle erano diventate dei punti fissi da scrutare. La Terra, ora, si era trasformata in una meravigliosa sfera lucente.

    McCoy non sapeva dove fosse diretto. Si guardò intorno con aria persa, accomodandosi sul sedile di fianco a O'brian. Anche l'Ufficiale sembrò più rilassato, attivò i comandi automatici e poggiò la schiena sul sedile.

    «Va tutto bene Maggiore?», chiese voltandosi a guardarlo. Il Maggiore annuì. Non doveva far trapelare la sua paura e rimanere rigido e duro agli occhi di tutti, come la roccia.

    «Gradisce qualcosa da bere? Del whisky magari? La aiuterebbe a scaricare la tensione», continuò il pilota, alzandosi di punto in bianco.

    «Grazie mille. Va bene del whisky», rispose McCoy. Poi continuò, con un tono autoritario: «Dove siamo diretti Ufficiale?».

    O'brian si voltò verso di lui con il bicchiere stracolmo. «Dietro la luna, Maggiore. Non le hanno detto nulla giù sulla Terra?».

    «Assolutamente no».

    «Beh, forse perché è una missione segreta e volevano assicurarsi fino all'ultimo che lei fosse dei nostri», rispose O'brian. Porse il bicchiere al Maggiore e si sedette di fianco a lui. «Fra poco, comunque, saremo arrivati. Vede quella luce laggiù, dietro alla luna? Ecco, noi siamo diretti lì», disse indicando un punto indefinito nello spazio.

    Non servirono altre spiegazioni perché, poco dopo, davanti ai loro occhi, si presentò una visione davvero singolare. Gli sguardi si riempirono di stupore. L'immensità di quell'oggetto faceva apparire tutto così piccolo e insignificante. McCoy trattenne il fiato. La sua bocca si aprì per lo stupore. Era lì che avrebbe vissuto per il resto dei suoi giorni? Da lì sarebbe partito il nuovo progetto Sfera?

    C'era solo un modo per scoprirlo: vivere.

    1

    Lo sfondo delle piramidi richiamò lo sguardo di Isis Rah. Per un attimo rimase senza fiato, con gli occhi fissi sulle punte di quelle tre imponenti strutture fatte di pietra e di sabbia. Tutt'attorno, la vasta città si slanciava, rischiarata dai raggi del caldo sole, fino all'infinito. A guardarla così, dalla somma del grattacielo più alto d'Egitto, la grande metropoli sembrava quasi finta. Eppure, in un tempo molto lontano, quella terra era stata occupata solo da semplice sabbia dorata, che finiva per scontrarsi con il sole al calare della sera. Era passato molto tempo da allora. Forse troppo. Ma alla fine, dopo migliaia di anni di storia e di evoluzioni, di guerre e di disastri naturali, l'Egitto sembrava aver ritrovato la pace. Le immense e desolate distese di sabbia erano state sostituite da alti grattacieli e molteplici case futuristiche dalle forme più disparate. I loro tetti, fatti quasi interamente di cristallo, dipingevano la città di un fresco colore azzurro, che contrastava con l'arido caldo di agosto.

    In quel frammento di storia, le auto si erano trasformate in scatole volanti colme di energia pulita, che vagavano qua e là attraverso la città. Il petrolio, oramai, era diventato un ricordo lontano centinaia di anni, sembrava che in un lasso di tempo apparentemente breve - mille anni non erano niente per la vecchia sfera azzurra - la situazione si fosse totalmente ribaltata. Il pianeta era passato da troppo inquinato e sull'orlo del baratro a un ecosistema equilibrato, caratterizzato da una società pacifica e rispettosa della natura. Probabilmente, l'evoluzione e l'intelligenza artificiale, erano serviti a indirizzare sulla retta via quel mondo ormai anziano. L'egoismo era stato eliminato, l'odio messo da parte e i popoli si erano riuniti per vivere in pace.

    Fra i tanti palazzi di vetro e le svariate auto che occupavano i cieli d'Egitto, sorgevano le tre imponenti piramidi ricoperte da una sottile ma resistente struttura fatta di lastre trasparenti, costruita all'inizio dell'anno tremila per evitare che, i grandi blocchi di granito, si sgretolassero al sole e alle sempre più incessanti nevicate invernali.

    Sembra impossibile, ma dopo l'inversione dell'asse terrestre avvenuta nel 2020, il clima della terra si era letteralmente sfasato. In pratica, l'Egitto, in inverno, veniva ricoperto da un candido manto bianco, mentre il clima nel nord Europa diveniva sempre più mite. La natura si era dovuta riadattare a esso, e quindi, nelle zone tropicali erano apparse, poco a poco, piante resistenti al freddo e animali imbottiti di pelo, mentre il bollente nord, aveva dovuto fare i conti con le continue migrazioni degli animali provenienti dall'equatore e con gli innumerevoli stormi di uccelli migrati dall'Africa. Tuttavia, l'estate in Egitto era rimasta immutata, mentre in Europa le strade e le case ribollivano come una pentola a pressione.

    L'infuocato sole di quella giornata innaffiava ogni superfice, il cielo, azzurro e cristallino, si rifletteva sulle superfici a specchio di alcune case. Da quella dell'ufficio di Isis Rah si potevano ammirare le tre piramidi, che facevano da sfondo alla grande Sfinge, anch'essa protetta da una fitta copertura di vetro auto-regolabile, in grado di oscurarsi quando i raggi del sole erano più caldi e deleteri.

    Ormai, quelle protezioni facevano parte della normalità, erano stati studiati diversi modi per salvaguardare i tre grandi monumenti. C'è chi avrebbe fatto gonfiare un enorme bolla di energia elettromagnetica sopra la città; chi invece avrebbe voluto trasformare le piramidi in suite per gente di un certo calibro; chi, addirittura, pensava di riportarle a una distesa di sabbia rovente, recuperando quindi spazio per edificare altri grattacieli; ma tutte quelle idee, nate solo per egoismo, non avrebbero risolto il problema. Così, dopo decenni di studi, il governo aveva deciso di stanziare dei fondi per salvaguardare ogni costruzione figlia di quell'antica terra. Erano state donate ingenti somme di denaro per l’edificazione della nuova città, per gli scavi archeologici, per le attrezzature e, infine, per un nuovo e grandissimo museo in grado di ospitare più di trentamila reperti.

    Pareva assurdo, ma dopo centinaia di anni, quella terra, era ancora in grado di regalare gioie e soddisfazioni agli archeologi. A pensarci bene, sembrava quasi che lo spirito di quella valle incantata, intendesse mantenere attiva la curiosità delle persone. Sembrava quasi volesse attirare a sé ogni mente assuefatta di storia e ogni studioso assetato di sapere.

    Il riflesso azzurro delle vetrate fece socchiudere, per un attimo, gli occhi di Isis. Arricciò il naso, mise una mano davanti alla fronte e osservò, ancora per qualche secondo, le punte di quelle meravigliose piramidi di fuoco. Poi si voltò verso l'interno del suo lussuoso ufficio: un'enorme scrivania di luminoso cristallo troneggiava in mezzo al locale, mentre una libreria di vetro, occupava gran parte della parete laterale. Due poltrone fluttuanti, invece, galleggiavano a mezz'aria davanti alla scrivania piena zeppa di monitor e fogli scarabocchiati; questa, costituita da due lastre sovrapposte di cristallo satinato, s'illuminò inaspettatamente e iniziò a pulsare come se fosse viva.

    Isis sospirò, afferrò la sua inseparabile tazza di caffè bollente aromatizzato e fece qualche passo nella stanza. Si sentiva stanca, con una nota di malumore nell'animo. Sicuramente, in quel momento avrebbe preferito vagare per la città alla ricerca di qualche antico manufatto, oppure, cosa più probabile, passare la giornata all'interno della grande piramide. Eh sì, Isis Rah adorava trascorrere le ore all'interno di quelle spesse mura: quando era là dentro, fra le ombre e i rumori sommessi, si sentiva a casa sua, in una casa dove il tempo e lo spazio erano inesistenti.

    Tuttavia, non amava il suo lavoro, anche se era di grande importanza e le fruttava un sacco di soldi, Isis, da vera archeologa quale era, avrebbe preferito lavorare negli scavi assieme agli studiosi, fra i piccoli ritrovamenti e il caldo dell'Egitto. Invece, era costretta a stare seduta su una sedia fluttuante, attorniata da milioni di stupide cartacce da firmare e inviare al governo Egiziano. Di rado usciva. A volte ispezionava di persona i siti archeologici, scrutando e controllando ogni cosa con la massima cura. Quelli, erano gli unici momenti in cui si sentiva al proprio posto.

    Comunque, l’incarico di Isis Rah consisteva nel salvaguardare tutte le strutture antiche che poggiavano sul suolo Egiziano. Le Piramidi, la Sfinge, le enormi e desolate città rinvenute nei dintorni, le tombe dei defunti Re, ogni cosa che avesse più di cinquecento anni era sotto la sua responsabilità. Inoltre, gestiva il secondo più grande museo d'Egitto ed era lì, fra le statue di pietra e i reperti più antichi, che passava la maggior parte delle sue giornate. Il suo rispettabile ufficio, tuttavia, era disposto all'ultimo piano del grattacielo più alto d'Egitto, sopra il museo, che ogni giorno ospitava turisti avidi di storia.

    Improvvisamente l'olo-telefono squillò. Isis trasalì e, infastidita, interruppe il sottile filamento dei suoi pensieri.

    «Sì?», rispose svogliatamente. In mezzo alla stanza apparve un volto giovane e snello. L'ologramma, dapprima poco definito, si consolidò davanti agli occhi della ragazza.

    «Chiedo scusa signorina Rah...», disse la sua segretaria. Le iridi azzurre, vispe come quelle di un bambino, scintillarono fra gli innumerevoli raggi di sole che rischiaravano l'ufficio di Isis. «Volevo solo ricordarle l'appuntamento con il Ministro della cultura, si ricorda? La aspetta all'entrata della Piramide di Chefren alle tredici pomeridiane».

    «Giusto, me ne ero completamente dimenticata! Ero convinta che oggi fossi libera da ogni impegno», dichiarò Isis Rah, sorridendo.

    La segretaria, fredda e impassibile come un cubetto di ghiaccio, ammiccò e svanì nel nulla, lasciando la ragazza perplessa e in preda al nervosismo.

    Diavolo! Anche oggi, per l'ennesima volta, salta il mio benedetto giro al mercato degli oggetti antichi, pensò. Si sedette sulla sua poltrona fluttuante e affondò la schiena nella soffice pelle nera. Restò immobile per un attimo, chiudendo gli occhi e cercando di non pensare a nulla. Respirò a fondo, sciolse la sua criniera di capelli neri e meditò un istante sul da farsi.

    Forse, dopo il giro d'ispezione nelle piramidi riuscirò a ritagliarmi qualche oretta per me, considerò sorridendo e pregustando già il tour fra gli scaltri mercanti di pergamene e i carretti pieni di frutta fresca. Sicuramente l'ispezione le avrebbe portato via un po' di tempo, ma non troppo. Alla fine doveva solo fare un giro di controllo fra le piramidi e gli infiniti affreschi che infestavano ogni parte d'Egitto, proseguendo per una visita alla Sfinge e un giro nel museo; cioè, nel suo museo, quello distribuito sui tanti piani dell'alto grattacielo. Se si fosse data una mossa, il tempo gli sarebbe bastato per fare tutto.

    Che tristezza perdere tutto questo tempo prezioso, rifletté. Aprì gli occhi e ingoiò con foga quel poco di caffè freddo che rimaneva nella tazza. Così facendo, Isis, si rese conto di aver affogato nel caffè gli ultimi raggi di felicità che, con fatica, erano riusciti fino a quel momento a sostenere il suo sorriso. Amareggiata, si alzò e si diresse verso l'uscita, lasciandosi alle spalle quel meraviglioso e vivo paesaggio futuristico.

    Una boccata d'aria era quello che ci voleva per smaltire la sbornia di pensieri. Uscire dal suo grande ufficio, scappare dalla pila di fogli accatastata sulla scrivania e scrollarsi di dosso quella maledetta aria condizionata, era tutto ciò che desiderava in quel momento. Isis Rah preferiva decisamente il caldo secco dell'estate.

    Dopo essere scesa dalla punta del grattacielo, attraversò l'atrio del museo e uscì dalla porta principale. Fuori, la città si era appena svegliata. Il grande corso centrale, detto anche la via degli Dei, conduceva verso sud, e andava a finire dritto all'entrata della Piramide di Cheope. Isis fu investita da una tiepida aria, e dallo stridio di un carretto di frutta che, fluttuante, veniva trasportato a piedi dal suo proprietario. Una fila di palme costeggiava la strada fino a fondersi con il giallo delle piramidi e con l'azzurro del cielo.

    Il grande marciapiede di fronte a lei cominciava a essere gremito di gente che si dirigeva alle proprie postazioni di lavoro. Quasi tutte le persone, comunque, erano vestite eleganti: i pantaloni neri, aderenti e lucidi come uno specchio, andavano per la maggiore. I più ricchi e alla moda usavano camicie bianche con un finissimo colletto a punta, accostato a una cintura autoregolabile completa di proiettore olografico.

    Era difficile trovare, in quel luogo, gente vestita malamente o senza lavoro. La via degli Dei era un agglomerato di persone di un certo rango, appartenenti a famiglie benestanti e con un lavoro di livello. Tutto si concentrava in quella strada dal nome azzeccato, se si considerava il portafoglio di quelle persone, gli Dei, alcuni così definiti perché proprietari di innumerevoli immobili di lusso. Anche Isis rientrava in quella definizione, il suo conto in banca superava i sei zeri, sebbene fosse stata sempre attenta a non darlo a vedere.

    I negozi iniziavano ad aprire le serrande, a schiudere le porte e mostrare i loro tesori. Le auto avevano affollato da poco il grande corso, si potevano già sentire i suoni dei clacson e le urla dei conducenti che, infervorati, si accanivano contro chissà quale ingombro.

    Isis passeggiò tranquillamente verso le lontane piramidi. Un dolce profumo di brioches appena sfornate fluttuava nell'aria. La ragazza respirò a fondo quella squisitezza e, con il sorriso sulle labbra, si diresse verso l'entrata di un sontuoso bar. Una grossa insegna, posta sopra la porta di acciaio lucido, diceva: Al mattino, ricordati di aprire gli occhi!

    «Come se non l'avessi mai fatto...», mormorò fra sé Isis Rah.

    Spinse la porta ed entrò.

    L'interno del locale era fatto interamente di vetro opaco, che rendeva l'ambiente delicato ma allo stesso tempo elegante ed esclusivo. Alcune vetrine, poste lungo un muro di mattoni di vetro colorato, esponevano, con vanto, delle pergamene risalenti all’epoca di Tutankhamon.

    Eccomi a casa, pensò per un attimo Isis che sospirò a suo agio.

    Il pavimento nero a specchio e il soffitto bianco perlato rappresentavano i due opposti, come il cielo e la terra, il caldo e il freddo, la luce e il buio. L'eterna battaglia. Quel luogo aveva qualcosa di mistico, di surreale.

    Le luci erano soffuse e nell'aria aleggiava un intenso profumo di brioches e di caffe appena macinato. Isis Rah rabbrividì e, avvicinandosi al bancone, salutò il barista.

    «Buongiorno Karim».

    «Buongiorno mia dolce Isis», rispose lui, con un raggiante sorriso. Portava un elegante vestito lucido gessato e una camicia bianca stropicciata.

    Karim, un suo vecchio amico, era un ragazzo alto, dai folti capelli neri, con un sorriso disarmante e un carattere bonario. Isis lo aveva sempre visto allegro, e mai triste o malinconico. Forse, la sua poteva sembrare una maschera, ma a Isis piaceva così, raggiante e lezioso.

    «Come stai Karim? Ti vedo in gran forma!», constatò, mentre cercava di convincersi a prendere un morbidissimo croissant alla crema.

    «Non c'è male piccola Isis! Il Dio Ra, oggi, ci ha donato una splendida giornata! Cosa si può volere di più?».

    Magari un po' di libertà..., pensò la ragazza addentando la Brioches. Poco dopo, Karim, posò davanti al suo naso una fumante tazza di caffè arabico. Il barista conosceva a memoria le abitudini della ragazza e sapeva benissimo che, a quell'ora del mattino, prendeva sempre un croissant alla crema e una tazza di caffe amaro bollente. Era sua abitudine mangiare in silenzio, piantonandosi davanti alla tv olografica ad ascoltare, con interesse, le notizie del giorno.

    Isis prese il telecomando, si avvicinò alla olo-tv e alzò il volume. Una stupida pubblicità informava che un nuovo tipo di simulacro era stato messo in vendita nelle migliori agenzie. Questi nuovi umani senza rotelle, come li definiva Karim, potevano aiutare gli anziani e i malati. Facevano pulizie, mantenevano la casa in ordine e, addirittura, svolgevano i lavori di manutenzione sulle auto e su tutti i dispositivi elettronici. Incredibile!

    Comunque sia, quei trabiccoli, non erano ancora perfetti e, molte volte, andavano in tilt causando più rogne che altro.

    La fastidiosa sigla del telegiornale risuonò nel bar come le unghie sulla lavagna. Isis si sistemò sulla sedia e, con la tazza fumante fra le mani, attese le notizie.

    «...terremoto in America del nord. Centinaia i morti e i dispersi fra le rovine delle città...», dichiarò il giornalista. Sullo sfondo, nel frattempo, scorrevano le immagini agghiaccianti di quell'assurdo disastro ambientale.

    Le sue pupille si dilatarono. Esitante, continuò ad ascoltare il notiziario, mentre il cronista schiacciava un pulsante sul foglio e regolava il suo occhio elettronico toccandosi leggermente la palpebra. Le notizie continuarono.

    «...la sonda spaziale Americana, sparata nello spazio a febbraio dell'anno scorso, ha intercettato e inviato sul pianeta terra fotografie sconcertanti riguardo la Via Lattea. Pare che, secondo i primi studi, il nostro pianeta sia in una posizione molto vicina al nucleo nero della galassia, e che stia ricevendo, già da tempo, le sue innumerevoli radiazioni. Notizie false? Lo scopriremo nei prossimi giorni. Passiamo ora alle...», continuò il giornalista. Le immagini sullo sfondo cambiarono radicalmente, sostituendo le foto della sonda con quelle di un omicidio.

    «Com'è possibile?», esclamò Isis, girandosi verso il suo amico. «Insomma, l'America o qualsiasi altra nazione, avrebbe dovuto già vederlo da tempo. A volte, riescono a intercettare l'arrivo di una cometa un anno prima del suo effettivo passaggio!».

    «Tu credi veramente a quelle cose?», rispose prontamente Karim senza alzare lo sguardo, mentre stava lucidando il luminoso bancone del bar.

    «Perché non dovrei crederci? Passo le mattine qui, davanti all'olo-tv, giusto per tenermi sempre informata su tutto ciò che accade

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