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Charleston di fuoco
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E-book158 pagine2 ore

Charleston di fuoco

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Info su questo ebook

1924. Michelle è una 24enne di Parigi che si è appena trasferita a New York con la famiglia. Il suo grande sogno è quello di diventare una giornalista, ma la strada verso il successo è lunga e tortuosa. In attesa di essere notata da qualche giornale, accetta un lavoro come cameriera in una tavola calda, dove incontra Milo, un quarantenne uomo d'affari. Tra i due si instaurerà un rapporto quasi morboso il tutto a suon di charleston, incontri segreti e promesse. Ma cosa nasconde Milo? E Michelle è la ragazza che dice di essere?
LinguaItaliano
Data di uscita11 giu 2016
ISBN9786050455595
Charleston di fuoco

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    Anteprima del libro

    Charleston di fuoco - Alice Bianco

    EPILOGO

    Capitolo 1

    1924

    ‘Non è possibile’ pensai, dopo l'ennesimo rifiuto durante un colloquio per entrare nella redazione di un giornale.

    Le mie credenziali erano ineccepibili eppure, a New York, non sembrava esserci un quotidiano a cui potessi interessare.

    Faceva ancora molto freddo nella primavera del 1924, il boom economico aveva reso più facile trovare lavoro per tutti. Tranne che per me, Michelle.

    Da qualche mese mi ero trasferita con la famiglia da Parigi; qui mio padre avrebbe avuto più successo come economista. Ed io ero altrettanto felice all’idea; avrei potuto realizzare il sogno di diventare giornalista nella Grande Mela.

    Quando i miei genitori mi avevano comunicato la notizia del nostro imminente spostamento, non avevo perso tempo ed avevo chiesto ai miei professori universitari, che mi avevano sostenuta fino ad allora, di scrivere alcune lettere di raccomandazione. La fortuna era sempre stata dalla mia parte, mio padre aveva potuto pagarmi gli studi, cosa non frequente per le donne dell’epoca, ma non era stato facile farsi un nome, nemmeno nell'ambiente scolastico. Mi ero ritrovata a dover sudare sette camice per farmi notare, ma alla fine ero riuscita, prima a diventare direttrice del giornale al liceo, e poi, a raggiungere un posto prestigioso nel Liberté Universitaire Journal. Possibile, invece, che in questa metropoli, fossi solamente una come tante?

    Mi strinsi nel cappotto e mi feci largo tra la folla di persone che tornavano a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Attraversai laMaiden Lane e mi fermai a guardare il mio riflesso nella vetrina di un caffè.

    Sarò costretta a lavorare come cameriera in un posto come questo. Ero decisa a diventare indipendente e, dopo l'ennesimo rifiuto di quel giorno, avevo rimesso i piedi ben piantati per terra. Non volevo tornare a casa con, ancora una volta, un pugno di mosche. Decisi così di oltrepassare la soglia del locale.

    Il posto era caldo ed accogliente. Dal gran numero di persone presenti, immaginai che si mangiasse bene. Mi sedetti al primo tavolo disponibile e ordinai un caffè caldo, poi mi distrassi guardando fuori dalla vetrina. New York era una città cosmopolita che, in quei primi anni del '900, aveva dato dimostrazione di poter essere una delle maggiori potenze mondiali. Sul marciapiede di fronte, la gente iniziava ad assieparsi davanti ad un cinema, dove le foto delle più grandi star del momento facevano la loro comparsa sui cartelloni pubblicitari. Quella città mi piaceva e, in mezzo a tutte quelle persone, mi sentivo sempre protetta, come se nulla di male potesse accadermi.

    «Ecco a lei, signorina. Il suo caffè»

    Un aroma caldo e avvolgente mi risvegliò dai pensieri.

    «Mi scusi, avete per caso bisogno di un'altra cameriera?»

    La giovane ragazza mi sorrise e disse che avrei dovuto rivolgermi alla proprietaria.

    «Dove la posso trovare?» chiesi titubante

    «Non si disturbi, le dirò che la sta cercando»

    La ringraziai, ero colpita dalla sua gentilezza e tornai a concentrami su quel caffè così forte e cremoso. Qualche minuto dopo, una donna sulla cinquantina con un grembiule, si avvicinò al tavolo.

    «Mi stava cercando?» disse, con una strana dolcezza. Annuii e la signora, senza chiedermi il permesso, si accomodò davanti a me.

    «Ho sentito che le piacerebbe lavorare qui. Posso permettermi di chiederle come mai?»

    All’inizio pensai di mentire con una frase del tipo: Ho sempre sognato di lavorare in un tipico caffè americano, ma poi decisi di dirle la verità.

    «Insomma, è un lavoro di ripiego per una ragazzina con i sogni troppi grandi rispetto alla dura realtà»

    Il tono di quella donna aveva perso tutta la sua dolcezza per diventare tagliente e aspro.

    «Voglio solo sbarcare il lunario, non mi sembra un crimine!» ribattei con un'insolita sicurezza, che nemmeno io sapevo di possedere.

    «Come tutte qui! Calmati ragazza! Hai carattere però. Pensavo fossi il solito pulcino smarrito, ma a quanto pare mi sbagliavo. Potrei metterti in prova per una settimana e poi vedremo. Cominci domani alle 7.30, puntuale. Passa da Minnie prima di andartene, ti darà la tua divisa.»

    Non mi lasciò controbattere, si alzò e se ne andò, così come era arrivata.

    Mi presi qualche minuto per finire il caffè e osservare meglio quel luogo che sarebbe diventato così familiare, anche se, speravo, solo per poco tempo. Dovevo risparmiare per pagarmi un corso di giornalismo che mi desse la possibilità di diventare l'una su un milione che le redazioni cercavano. Avrei fatto di tutto per riuscirci, di questo ne ero certa.

    Memorizzai la disposizione dei tavoli ed indugiai sulle facce delle persone che li occupavano, magari qualcuno di loro poteva essere un cliente abituale; diedi ad ognuno dei soprannomi, per ricordarmeli meglio. Quando Marshmallow, un uomo grosso e flaccido, si alzò per uscire, decisi che era giunto anche per me il momento di andare.

    Mi avvicinai al bancone e indovinai chi era Minnie, una donna sui trentacinque anni, robusta e con una massa di capelli rossi che le ricadevano sulle spalle.

    «Ecco la tua divisa. Domani ti consegneremo la tabella dei turni. Benvenuta al Sunny's Cafè» disse in maniera automatica, come se avesse ripetuto quella frase un milione di volte. Ringraziai educatamente ed uscii.

    Finalmente potevo dire a mia madre che avevo trovato un lavoro, anche se non certo quello che speravo.

    Capitolo 2

    «Sono tornata!»

    Nessuno rispose, probabilmente mamma era ancora fuori a visitare la città. E’ una persona così fuori dall’ordinario! Le piace conoscere le persone, inserirsi in qualsiasi tipo di circolo, andare a cene e a feste, mentre io ho preso da mio padre

    Sono riservata, mi piace stare in mezzo alla gente, ma non per forza stringere amicizia con chiunque. Entrai nella mia camera al piano superiore, il sole del pomeriggio entrava dalla finestra a riscaldare la mia scrivania. Accarezzai la mia amata macchina da scrivere, consapevole che avrei dovuto abbandonarla per un po’.

    «Magari potrei usarti per scrivere i menù al locale» pensai a voce alta.

    Mi distesi sul letto ad osservare i pochi ritagli di giornale che avevo deciso di appendere. Uno troneggiava su tutti: quello dell’attrice Theda Bara. Una persona così misteriosa e con così tanti lati da scoprire, mi incuriosiva e mi portava sempre a pensare quanto di noi stessi davvero conosciamo.

    Mi alzai e aprii il cassetto vicino al letto. Tirai fuori un paio di fogli dove erano scritti alcuni appunti per l’articolo del secolo che stavo preparando. Parlava proprio della psiche e dei lati oscuri che anche i divi di Hollywood possono nascondere. Sono sempre stata interessata alla mente e a quello che poteva creare, agli antri bui e a quelli alla luce del sole, che tutti possono vedere. Chissà, magari quello che ci ha raccontato Stevenson nei suoi libri non è poi così lontano dalla realtà!

    Avrei dovuto laurearmi in psicologia? No, con il giornalismo ho la possibilità di entrare in contatto con le persone senza coinvolgimenti, e studiarle. Cercare collegamenti del perché una tale persona commette, ad esempio, un omicidio oppure un atto di qualsiasi tipo. Scrivendo articoli posso creare una sequenza cronologica molto importante e chissà, magari un giorno potrei unirli e farne un libro.

    Rilessi i miei appunti, oggi non avevo niente di nuovo da aggiungere e chissà per quanto tempo non lo avrei fatto. Guardai sconsolata il grembiule che il giorno dopo avrei dovuto indossare e rimisi al proprio posto i fogli.

    ____________

    «Michelle ci sei?»

    L’inconfondibile voce di mia madre dal piano terra mi fece scendere dal letto per raggiungerla.

    «Ciao, mia cara. Com’è andata la giornata?»

    «Non come speravo» ammisi «ma per ora lavorerò al Sunny Cafè per mettermi da parte qualcosa…»

    «Non sprecare il tuo talento con…»

    «Mamma! E’ una mia decisione, vedremo come andranno le cose… »

    Iniziai a gironzolare per la cucina, mi piaceva dare una mano in casa.

    Erano ormai le otto di sera, mio padre sarebbe tornato a momenti ed iniziai a pelare le patate, lavoro che per altro mi piaceva molto perché mi permetteva di

    rilassarmi e riflettere. Il coltello che tagliava pezzetto per pezzetto, scandiva i miei pensieri, mi isolavo e dopo quella simil litigata con mia madre, ne avevo proprio bisogno.

    Cominciai ad apparecchiare la tavola in attesa che arrivasse colui che da sempre mi trattava come una principessa, un padre che mi aveva incoraggiato sin dall'inizio ad intraprendere la carriera che sognavo, un uomo che ai più poteva apparire un po' burbero, duro, ma che in verità aveva un cuore d'oro. Si dedicava anima e corpo a ciò che sapeva fare meglio, comprare e vendere titoli bancari, azioni, tutti quei numeri, soldi volatili che la gente affidava a mio padre, un intermediario fra coloro che volevano arricchirsi e che spesso finivano per ritrovarsi in brache di tela!

    Non ne capivo poi molto di economia, ma sapevo che mio padre, uomo onesto, manteneva sì la sua integrità, ma non sapeva fare a meno di rischiare, di provare a fare delle mosse azzardate per poter accontentare i clienti ed aumentare la sua autostima.

    Era proprio da lui che prendevo ispirazione, lo ammiravo, cercavo di assomigliargli, ma non era così facile. Rischiare negli affari era un po' come rischiare nella vita e le responsabilità che dipendevano dalle scelte, erano quella sorta di ostacolo, costruttivo certo,

    che prima o poi porta tutti a scavalcare quel confine fra adolescenza ed età adulta.

    Il mondo si aspettava grandi cose da me, così come i miei genitori. Non volevo deluderli, anche se sapevo che i miei obiettivi, in una situazione economica così florida per l'industria, ma di certo ancor difficile per l'editoria e per gli aspiranti giornalisti, avrebbero tardato a realizzarsi.

    L'unica cosa che mi restava da fare era rimboccarmi le maniche e l'apparente malumore che mi aveva assalito quella mattina entrando in quel Cafè, dopo aver accettato il lavoro, essere tornata a casa e averci pensato e ripensato fino ad allora, mi aveva spinto a vedere il lato positivo di tutto ciò.

    Avrei imparato a relazionarmi di più con gli altri, la timidezza che subentrava a contatto con una persona nuova, avrebbe presto lasciato il posto ad un sorriso e ad una sicurezza sempre maggiore, caratteristica che mi sarebbe stata utile per poter intraprendere il tipo di carriera che volevo: diventare una giornalista a tutto tondo, intervistare, fare scoop e scrivere di notizie sensazionali, di cronaca e di inchiesta.

    Quel Cafè sarebbe stata la mia palestra.

    Avevo già avuto modo di notare le facce dei clienti che popolavano quella tavola calda, ognuno di loro celava una storia, aneddoti e un passato fatto di gioie e dolori come tutti.

    Avrei potuto rapportarmi con

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