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Scrivere_o_uccidere
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E-book210 pagine2 ore

Scrivere_o_uccidere

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Info su questo ebook

Nell'America immaginaria del noir classico, un critico cinematografico di successo viene incaricato di scrivere un reportage sui detective privati nella realtà. Si trova così a seguire un investigatore, dagli apparenti modi da "duro", durante una indagine riguardante il delitto di un collega del critico. L’ambiguo rapporto che si stabilisce tra l'uomo d'azione e l'intellettuale mondano è il filo conduttore della storia nella quale incontriamo quasi tutti i personaggi e le situazioni del poliziesco americano, tra cui una avvenente dark lady, vera e propria protagonista al femminile, e l’immancabile mistero della camera chiusa (che per l’occasione è un cinema). Questo romanzo è un omaggio, in parte ironico e nostalgico, al genere in questione e al cinema noir.
LinguaItaliano
Data di uscita14 mar 2022
ISBN9788868104764
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    Anteprima del libro

    Scrivere_o_uccidere - Vittorio Vandelli

    cover.jpg

    Vittorio Vandelli

    SCRIVERE O UCCIDERE

    Prima Edizione Ebook 2022 © Damster Edizioni, Modena

    ISBN: 9788868104764

    Immagine di copertina su licenza

    Adobestock.com

    Damster Edizioni è un marchio editoriale

    Edizioni del Loggione S.r.l.

    Via Piave, 60 - 41121 Modena

    http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it

    img1.jpg

    Vittorio Vandelli

    SCRIVERE O UCCIDERE

    Romanzo

    Indice

    CAST DEI PERSONAGGI

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    XX

    XXI

    XXIII

    XXIII

    XXV

    XXV

     XXVI

    XXVII

    XXVIII

    XXIX

    XXXI

    XXXII

    POSTFAZIONE DELL’AUTORE

    L’AUTORE

    "Sospetto che stiate vivendo la leggenda del private eye, che avevo sempre ritenuta mitica"

    Thomas Berger, Who is Teddy Villanova?

    "Comprai un pulp-magazine e lo lessi...

    Mi domandai perché diavolo stavo leggendo

    una porcheria simile quando avrei potuto tentare

    di ricordarmi I fratelli Karamazov.

    Non sapendo che cosa rispondermi,

    spensi la luce e mi addormentai."

    Raymond Chandler, The Pencil

    La trama nascosta è più forte di quella manifesta

    Eraclito

    CAST DEI PERSONAGGI

    Dlerchan  P.I. (investigatore privato) della Operative Agency

    Archie Seewrite Critico cinematografico e Giornalista del Morning Star

    Helen Grahal  Segretaria del Journal

    Ted Race  Cronista sportivo del Journal

    Archibald Handread Critico cinematografico e giornalista del Journal

    Mrs. Handread Madre di Archibald

    Cap. Groggy  Capitano di polizia della Omicidi

    Myrna Dowell Segretaria di Dlerchan e della Operative Agency

    Mr. Red  Responsabile della sezione culturale del Morning Star

    John Strongfellow Collaboratore della Operative Agency

    Naso Aquilino Collaboratrice domestica di Mrs. Handread

    Prof. Longman Critico cinematografico

    Robert Mitchum Attore

    Charlotte Rampling Attrice

    Un certo Vandelli Autore di romanzi polizieschi

    Van Dell  Pseudonimo del medesimo

    TEMPO

    Qualche decennio or sono.

    LUOGO

    Una metropoli, da qualche parte, negli Stati Uniti d’America.

    I

    Era un suono distante e impreciso, poi pian piano divenne sempre più acuto e ossessivo, come se un martello pneumatico stesse penetrando alle radici della terra in qualche posto sperduto del mondo. La sveglia stava trillando.

    Socchiusi gli occhi, vidi la luce che filtrava dalle tapparelle abbassate e con un gesto meccanico cercai tra i vari oggetti sparsi sul comodino. Trovai la sveglia, la spensi e mi rigirai dall’altra parte. Mi sentivo come un animale in letargo svegliato all’improvviso nel cuore dell’inverno. Mi sentivo come tutte le mattine che seguono le serate come quella del giorno precedente. Niente di eccezionale, ovviamente, solo un party che segue una prima. Solo drinks, discorsi inutili, sorrisi di circostanza, occhiate furtive alle bionde con lo spacco che siedono sempre, ci puoi scommettere, con le gambe tanto incrociate da suggerirti immaginari percorsi proibiti.

    Stavo per riaddormentarmi quando mi venne in mente che non avrei passato un’altra giornata a scrivere o a visionare pellicole inedite. Probabilmente non sarei passato nemmeno al mio giornale, il Morning Star, ma promisi a me stesso che avrei chiamato Helen al Journal appena possibile. Non c’era donna nel nostro ambiente che fosse più ambita come segretaria, impiegata o per qualsiasi altro lavoro che permettesse di ammirarla otto ore al giorno, dal lunedì al venerdì.

    Aprii di nuovo gli occhi, vidi che erano le sette e quarantacinque, mi stirai per bene e mi misi faticosamente a sedere sul letto, deciso a non arrivare in ritardo all’insolito appuntamento che avevo quella mattina, se mai fossi stato capace di un’impresa simile.

    Alzai le tapparelle, aprii la finestra e gettai uno sguardo sulla parte della città che potevo scorgere dal dodicesimo piano. Era una giornata incerta, il sole splendeva in uno squarcio di cielo sereno, ma, dall’altra parte, pesanti nuvoloni formavano una cappa immobile sopra i grattacieli. Eccola lì, la città, che procedeva ancora ad un ritmo lento come un treno in partenza, pronta ad accelerare improvvisamente per poi rallentare di nuovo a notte fonda, ma senza mai fermarsi. Era impossibile pensare che una metropoli come questa potesse dormire, anche per un solo minuto.

    Lasciai la finestra aperta, andai in cucina a preparare il caffè chiedendomi quando mi sarei deciso a risistemare tutti gli oggetti fuori posto sparsi per l’appartamento. Avrei fatto inorridire mia moglie, se ne avessi avuta una. Ritornai in cucina lavato, pettinato e rasato con cura nel momento in cui il caffè cominciava a scendere. Ne bevvi una tazza bollente e iniziai a sentirmi un po’ meglio. Rinvigorito dal caffè, indossai velocemente il completo grigio con giacca a tre bottoni: un vestito, pensai, adatto ai miei impegni di quel giorno, abbastanza elegante ma allo stesso tempo sportivo, in modo che i miei attributi fisici non apparissero troppo in primo piano, ma non fossero nemmeno sminuiti da un abito classico, come quello che indossano i politici davanti alle telecamere. Mi annodai la cravatta con cura dinanzi allo specchio del soggiorno, diedi una spolveratina con la mano assicurandomi che tutto fosse in ordine e osservai il mio volto.

    Lo osservai con attenzione, come tutte le mattine prima di uscire. E come tutte le mattine non lo trovai affatto male. Era già da un po’ di tempo che avevo messo da parte l’illusione di essere affascinante come Clark Gable mentre bacia Vivian Scarlet Leigh in primo piano, ma d’altra parte non credevo nemmeno di essere un semplice volto tra la folla, se capite cosa voglio dire. Era ancora abbastanza giovane e attraente, con uno sguardo penetrante e intelligente - primissimo piano sugli occhi - pensai. Non nego che la fortuna mi abbia dato una mano, ma è stato proprio sfruttando queste doti che sono riuscito ad arrivare dove sono ora. Conduco una vita che mi soddisfa, ho un lavoro che mi piace, frequento persone di un certo livello sociale che spesso critico ma che in fondo ammiro. E per ultimo, anche se non meno importante, sono un vero tombeur de femmes, e questa volta sono certo che capite cosa voglio dire. Come saprete, godo anche di una certa notorietà: mi chiamo Archie Seewrite, e se non mi avete mai sentito nominare non siete dei veri appassionati di cinema. Vi possono anche essere sfuggite le mie recensioni, ma il mio ultimo libro, Hollywood Muore?, lo conoscete senz’altro. Mi rendo conto che in tutto questo non c’è niente di eccezionale; la storia della mia vita non sarebbe certo una buona sceneggiatura per un film di successo, ma le avventure affascinanti le vedo quasi tutti i giorni nel buio di una sala, e questo mi basta.

    Tornai in cucina, bevvi un’altra tazza di caffè e decisi di far colazione fuori. Afferrai il soprabito leggero e uscii. Non avevo tempo da perdere: avevo appuntamento con un detective privato.

    II

    Dopo colazione cominciai a sentirmi decisamente meglio. Mi ero fermato da Ciro, un italoamericano che gestisce il bar Napoli all’incrocio con la Lexington e avevo ora in bocca il piacevole gusto di quel caffè che solo lui sa preparare. Tempo fa avevo avuto una storia con una ragazza italoamericana, assatanata come una tigre, gelosa come una iena ma capace anche lei di fare un caffè che avrebbe risvegliato un morto stecchito dalla Magnum 44 di Dirty Harry.

    Risalii in macchina e mi avviai senza correre troppo verso East Side Street, cercando di evitare le strade principali per non rimanere imbottigliato nel traffico tumultuoso del mattino. Percorsi velocemente i quartieri residenziali immersi nel verde, attraversati da quelle stradine tranquille circondate da giardini e villette e villette e giardini, tutte insopportabilmente uguali. Svoltai a sinistra, verso il grande traffico, scivolai come un’anguilla nella corrente e mi unii al branco rassegnato e inscatolato in rotta verso downtown, il cuore artificiale, opprimente, geometrico e minaccioso della città. È a quest’ora, pensai, che essa comincia ad accelerare vertiginosamente e, anche se si trasforma in un inferno, è a quest’ora che mi accorgo di amare questa città, specialmente quando un raggio di sole filtra a fatica da un cielo pesante mettendone a nudo il volto spietato, come in questo momento.

    East Side Street non era molto distante dal centro ed era una delle strade più antiche. Aggrappati ai lati della strada gli edifici, un tempo lussuosi, rivelavano tutti i loro anni e la carenza di manutenzione. Un tempo quelle case eleganti erano state le dimore delle famiglie benestanti ma ora erano per lo più occupate da uffici di agenzie discretamente squattrinate che non potevano permettersi affitti da West End. Qualche abitazione privata però era rimasta: probabilmente i proprietari non avevano i soldi necessari per trasferirsi in un quartiere più signorile o erano legati affettivamente alle loro abitazioni.

    Parcheggiai la macchina dopo il primo isolato e proseguii a piedi. Poco più avanti, tra le varie placche d’ottone collocate un po’ alla rinfusa sugli stipiti di un portone di legno massiccio, lessi: OPERATIVE AGENCY - INVESTIGATIONS. Attraversai l’atrio e presi l’ascensore. Il campanello non era proprio in ottimo stato ma funzionava e dopo qualche attimo la porta venne aperta da una donna sulla trentina, discretamente alta e discretamente insignificante, con capelli biondo scuri e grandi occhiali da vista.

    «Il dott. Seewrite? Si accomodi, prego» disse senza attendere la mia risposta. «Vedo se Mr. Dlerchan può riceverla subito.» La sua voce era soffice ma non particolarmente stimolante. Me la immaginai mentre mi rimboccava le coperte alla sera perché non prendessi freddo durante la notte.

    Mi sedetti in una poltrona e mi guardai intorno. L’aspetto esteriore non era entusiasmante. Dalle apparenze L’Agenzia Operative non navigava nell’oro: le pareti erano leggermente ingiallite e larghe macchie di umidità davano al soffitto l’aspetto di una enorme carta geografica di un pianeta sconosciuto, il parquet era graffiato e sconnesso, i mobili avevano visto almeno un paio di altri proprietari e altrettanti traslochi prima di trovare l’eterno riposo in questo ufficio. Mi immaginavo gli sforzi prolungati della segretaria per rendere l’ambiente il più accogliente e pulito possibile. Sembrava proprio l’anticamera di uno di quegli uffici dei detective da noir. Non avevo mai avuto a che fare con alcun detective - pubblico o privato - prima d’ora, per fortuna, e le mie uniche impressioni su individui del genere erano quelle ricevute dallo schermo. Ma, come sapete e come ho più volte avuto modo di spiegare, anche in un recente saggio apparso su un cahier francese, l’eroe cinematografico è un espediente letterario, così diverso da noi anche quando ci sembra tanto simile: quello che stavo per incontrare era invece un uomo in carne e ossa e quindi... smisi di pensare per chiedermi perché mi venissero in mente questi pensieri - forse una ragione c’era, dopotutto - e nell’indecisione osservai le gambe della bionda che stavano tornando verso di me.

    «Mr. Dlerchan la attende, Mr. Seewrite.»

    Dlerchan. Strano nome, pensai mentre mi alzavo. Ha un che di famigliare comunque, pensai bussando alla porta con la scritta DLERCHAN, PRIVATE DETECTIVE in lettere nere sul vetro smerigliato.

    Una voce robusta dall’altra parte disse «Avanti!»

    Entrai e rimasi estremamente sorpreso!

    III

    Il telefono squillò.

    Accesi la luce, guardai la sveglia - erano le 7.30, non certo la mia ora preferita - e sollevai la cornetta:

    «Pronto.»

    «Buongiorno, sono Myrna» disse una voce un po’ gracchiante dall’altra parte del cavo. Non dissi niente. «Volevo essere sicura che si svegliasse per tempo. Ha un appuntamento alle nove e inoltre le è stato affidato un nuovo caso. Forse le ho telefonato un po’ troppo presto, ma così potrà prepararsi con comodo. Io sono già in ufficio, ho anche già innaffiato i fiori sul davanzale e...»

    Sbadigliai, mi stirai e mi sedetti sul letto mentre il fiume incessante di parole continuava ad uscire dalla cornetta.

    «Grazie, fa sempre piacere sentire la sua voce appena svegli.» Riattaccai.

    Nel bagno mi lavai la faccia con acqua gelata, feci le solite operazioni per assumere un aspetto appena civile e poi entrai in quella specie di cucina, se una suddivisione in stanze ha senso nel mio appartamento. Stavo bevendo un pessimo caffè nero quando il telefono squillò di nuovo. Lo lasciai suonare. Mi stavano già per affidare un caso nuovo e non volevo che qualcun altro si intromettesse nella mia vita con qualche sciocco problema. Ero sicuro che qualche telefonata importante, qualcosa che avrebbe potuto cambiare la mia esistenza, non sarebbe mai arrivata: tanto valeva lasciarlo suonare.

    Feci colazione senza troppa fretta, bevvi dell’altro caffè e accesi una sigaretta. Con un movimento lento gettai il fiammifero nel portacenere ricolmo e aspirai avidamente una lunga boccata soffiando poi lentamente il fumo verso l’alto. Rigirai la sigaretta nel portacenere, la appoggiai alle labbra e mi alzai. Mi vestii con il completo del giorno precedente che aveva bisogno di una stiratura urgente e mi chiesi quando mi sarei deciso a smettere questi abiti fuori moda. Mentre mi annodavo la cravatta guardai il mio volto nello specchio e non mi piacque per niente, era un viso stanco e ogni giorno pareva invecchiare un po’. Decisi di non pensarci: afferrai l’impermeabile delle mille avventure, mi buttai in testa il cappello, lo spinsi all’indietro e uscii.

    IV

    Diedi un’occhiata priva di interesse ai quotidiani disposti con ordine nell’edicola all’angolo della strada, salutai con un cenno della mano il giornalaio il quale come ogni mattina continuava a ripeterne i titoli a voce troppo alta.

    Entrai nella mia automobile. Dopo aver sofferto a lungo il motore si avviò. Diedi un’occhiata, ancor più priva di interesse della precedente, a quel vecchio rudere del mio palazzo e mi avviai velocemente lasciandomi alle spalle un quartiere interessante solo per uno studioso di antropologia postindustriale.

    Era una mattinata grigia e il cielo era quasi completamente coperto da minacciosi nuvoloni sebbene non lontano, dall’altra parte della città, si vedessero i raggi del sole scendere obliqui da grandi squarci di cielo sereno. Mi lasciai scorrere la città davanti: nel suo insieme infondeva un’immagine di apparente tranquillità mascherando, come le vecchie signore, il proprio stato di vorticoso affanno che diventava evidente osservandone i particolari. A prima vista sembrava un susseguirsi di scene quotidiane, da cartolina illustrata, ma sapevo che dietro a quella illusoria normalità si nascondevano gli incubi e le angosce che permettevano alla nostra categoria di non morire di fame.

    Quando varcai la soglia dell’Agenzia Operative, Myrna Dowell sfoderò il suo miglior sorriso da segretaria efficiente.

    «Buongiorno, Mr. Dlerchan», indossava un vestitino leggero comperato il sabato pomeriggio ai grandi magazzini.

    «Buongiorno, Myrna» dissi senza particolare calore. Entrai nel mio ufficio e Myrna mi seguì. Mi sedetti alla scrivania, tirai fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca laterale della giacca e me ne feci scivolare una tra le labbra. Myrna era pronta a mostrarmi il dossier del caso di cui mi sarei dovuto occupare e a ricordarmi che per tutto il giorno avrei probabilmente avuto tra i piedi quel

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