Il ricordo del 9: Romanzo
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Anteprima del libro
Il ricordo del 9 - Salvatore Lanno
Salvatore Lanno
Il ricordo del 9
romanzo
Le vicende e i personaggi raccontati nel libro sono di fantasia, frutto dell’elaborazione dell’Autore.
Ogni riferimento a persone esistenti e a fatti realmente accaduti è puramente casuale.
Copyright © MMXV
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www.6ermes.com
info@6ermes.it
via Quarto Negroni, 15
00040 Ariccia (RM)
(06) 9342171
isbn 978-88-6975-086-1
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’editore.
I edizione: dicembre 2015
A mia mamma e a mio papà
Chiesi a Dio di essere forte
per eseguire progetti grandiosi ed Egli mi rese debole
per conservarmi nell’umiltà.
Domandai a Dio che mi desse la salute
per realizzare grandi imprese
Egli mi ha dato il dolore per comprenderla meglio.
Gli domandai la ricchezza
per possedere tutto e mi ha lasciato povero
per non essere egoista.
Gli domandai il potere
perché gli uomini avessero bisogno di me
ed Egli mi ha dato l’umiliazione
perché io avessi bisogno di loro.
Domandai a Dio tutto per godere la vita
e mi ha lasciato la vita
perché io potessi essere contento di tutto.
Signore non ho ricevuto niente
di quello che chiedevo
ma mi hai dato tutto quello
di cui avevo bisogno
e quasi contro la mia volontà.
Le preghiere che non feci furono esaudite.
Sii lodato o mio Signore
fra tutti gli uomini nessuno possiede
più di quello che ho io!
Kirk Kilgour
Prologo
In un piccolo paese di collina, nel mese di settembre tutti sono in subbuglio per la vendemmia.
Le grandi distese di vigneti portano le persone nelle campagne a raccogliere l’uva fino all’ultimo grappolo. È per tutti una festa. Malgrado le giornate siano calde, le ore passano abbastanza in fretta e in armonia.
La mattina, quando ci si ritrova nel vigneto e si è in tanti, la giornata di solito si prospetta più divertente. Tanti ragazzi prima dell’inizio della scuola racimolano qualcosa andando a vendemmiare.
Ricordo un anno in cui eravamo una ventina e facevamo le sfide per chi raccoglieva più uva o chi finiva per primo il filare. Nell’ora di pranzo, quando mangiavamo tutti insieme, era un ridere continuo tra battute e barzellette. Ognuno si portava il pranzo a sacco, ma a volte si faceva la grigliata.
Dopo pranzo in un angolino cercavamo di chiudere gli occhi e riposarci un po’ prima di ricominciare. Quando finivamo la sera eravamo contenti di tornare a casa. Si lavorava anche il sabato e la domenica, si è sempre fatto e ancora oggi si fa così. Per questo dopo un mese e oltre di vendemmia, si arrivava a essere stanchissimi.
Prima di andare a lavorare per conto di terzi facevo la vendemmia nei vigneti di mio papà. Quando si è in famiglia è diverso, si fatica ancora di più, perché ci tieni a raccogliere tanto. D’altra parte, si lavora fino a quando c’è luce. Però durante la mattinata il panino non mancava mai, così come l’acqua fresca che dava una grande carica. A pranzo cucinava mia mamma quindi non era come pranzare a sacco e accampati alla buona. Per noi la vendemmia era veramente una festa. Lavorare da terzi era un’esperienza che permetteva di stare con gli altri.
Anche il 9 settembre 1999 (9/9/99) iniziai a vendemmiare...
Il ricordo del 9
Era uno di quei giorni di agosto. I miei fratelli e io, come sempre, giocavamo a calcio nel piazzale della casa in campagna. Le nostre giornate trascorrevano tra una caduta e l’altra, tra una sbucciatura e corse a piedi nudi sulla strada sterrata.
Si faceva finta di andare a caccia. Fieri raccoglievamo da terra i bozzoli delle cartucce lasciati nelle campagne dai cacciatori. Il miglior cacciatore tra noi era chi avvistava per primo un coniglio o una lepre. In quelle giornate si mangiava ciò che si trovava in giro per i campi: angurie, meloni, pesche, e il nostro mezzo di trasporto era un lungo bastone di canna che mettevamo tra le gambe con una corda attaccata alla punta. La sera, quando tornavamo a casa, eravamo stanchi morti e sudati fradici.
Dopo la doccia andavamo a rilassarci sull’altalena costruita da mio papà usando dei sedili molto resistenti del suo vecchio 750, dei tubi d’acciaio, usati per i ponteggi, e delle catene che sorreggevano tutto. Quell’altalena era indistruttibile, e noi la usavamo in un modo insolito. Due di noi si mettevano con i piedi sopra lo schienale dell’altalena aggrappati all’asse
centrale, facendola dondolare con forza; il terzo, posizionato ai margini del sedile, veniva scaraventato in avanti.
A turno si veniva lanciati e vinceva chi riusciva ad arrivare più lontano. In tutti i giochi che facevamo l’unica cosa che si vinceva – e qualcosa da vincere c’era sempre – era la gloria di dieci minuti, perché a noi interessava solo divertirci.
Ogni giorno provavamo a fare qualcosa di diverso: andare in bici, colpire delle bottiglie di plastica con i sassi, fare la gara con l’arco da noi costruito. Ma la cosa che ci piaceva fare di più era realizzare delle capanne di paglia con rametti e con quello che si trovava in giro.
Con le mie cugine giocavamo a fare dei pupazzi con la terra e immaginavamo di pranzare seduti al tavolo con l’acqua e finto cibo quasi fossimo una famiglia vera.
Avevamo anche un complesso musicale. Io suonavo la batteria, formata da tre secchi vuoti di pittura capovolti e