Tutta colpa del barbiere
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Tutta colpa del barbiere - Tiziano Arlotti
SANT’ERMETE
LE MIE RADICI
Sono nato a San Paolo, un pugno di case sparse sulla collina e sui calanchi nell’immediato entroterra di Rimini, con un belvedere unico, che permette di spaziare dalla montagna al mare, dalla Valconca alla bellissima insenatura di Gabicce, da San Marino al monte Carpegna, a San Giovanni in Galilea. Da qui è possibile vedere la stupenda riga blu
del mare che va da Pesaro a Nord.
A San Paolo ho abitato per dieci anni, prima di spostarmi qualche chilometro più in basso, a Casale di Sant’Ermete.
La campagna, i cicli delle stagioni, gli uomini e le donne che ho incontrato e con cui ho vissuto hanno lasciato un segno indelebile, mi hanno forgiato nel carattere e nelle passioni, nella capacità di osservazione: hanno alimentato ed irrobustito le mie radici.
Alla mia vallata, alle mie genti sono avvinghiato come un’edera.
Quando mi sono trovato in giro per l’Italia, incontrando un riminese, o comunque un romagnolo, la conversazione non poteva che essere in dialetto e tuttora amo parlarlo in casa e ovunque si presenti l’occasione.
Anche a scuola, nonostante le tozze
del maestro e i brutti voti che mi affibbiava per i miei sfromboloni
, continuavo a parlare il dialetto. Ricordo ancora che in prima elementare – dopo due mesi di aste – il maestro ci insegnava le lettere dell’alfabeto con disegni colorati appesi sul muro dell’aula: c’era la O col disegno dell’oca, la U col grappolo d’uva, la V col vaso dei fiori… Un giorno, con la lunga canna d’India che usava per segnare la lettera sulla quale ci avrebbe interrogato, mi indicò la I e nel disegno c’era un imbuto. Risposi perentorio: I di pidriùl!
. Mi beccai una cannata
in testa e dovetti stare dietro la lavagna per un paio d’ore.
Il mio dialetto è un incrocio di dialetti riminesi e della nostra vallata e ne sono orgoglioso perché, in fondo, i miei antenati paterni (gli Angùan) e materni (i Buraschìn) hanno vissuto da San Mauro a Poggio Berni, da Rimini a Santarcangelo, da Verucchio a Coriano, fino a Misano e San Clemente, da podere a podere, segnando questa terra del loro sudore.
Quando posso, scrivo qualche articolo, qualche pezzo sui miei ricordi, sul dialetto, sulle persone che la vita mi ha fatto incontrare: mi ritempra dalle fatiche quotidiane.
Ho quindi raccolto alcuni di questi scritti, in parte già pubblicati, altri inediti, senza alcuna pretesa particolare, se non quella di offrire al lettore uno spaccato di realtà che ho cercato di descrivere con disincanto, con ironia ed autoironia, con quella passione e schiettezza di cui noi romagnoli siamo capaci.
IL LAVORO DOMESTICO
Nella mia infanzia, ho avuto la fortuna di non conoscere la miseria, ma, essendo di origini umili e contadine, sono stato educato ad essere laborioso, a risparmiare e a non dissipare i soldi, a rispettare gli altri e a non essere invidioso e, soprattutto, ad accontentarmi di quanto potevo disporre.
La stessa fortuna non la ebbero i miei genitori che, invece, condivisero coi più le ristrettezze ed il duro lavoro dei campi che a volte non bastava neppure per sfamare le numerose famiglie.
Mi prestavo ad essere utile, aiutando mia madre nei lavori di casa e in quelli campestri e, anche se spesso malvolentieri, coniugavo i tempi di gioco con quelli di collaborazione domestica.
I miei fratelli Corrado e Rino, avendo rispettivamente dodici e nove anni più di me, avevano cominciato presto a lavorare a Rimini, mentre Giovannino frequentava ancora le medie al seminario di Covignano. D’estate tornava a casa col compito di aiutare mia madre ed io lo seguivo come un’ombra. I nostri compiti andavano dal tagliare l’erba per i conigli alla raccolta della legna da bruciare durante l’inverno, alla zappatura e alla raccolta dei fagioli, dei ceci, delle pannocchie di granoturco.
Il grano, ricordo che veniva tagliato a mano perché il campicello era molto