24 Racconti
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24 Racconti - Alessandro Baruffi
24 RACCONTI
Copyright © 2008
by Alessandro Baruffi
Tutti i diritti letterari di quest’opera sono di esclusiva proprietà dell’autore.
All rights reserved. This book or any portion thereof may not be reproduced or used in any manner whatsoever without the express written permission of the publisher except for the use of brief quotations in a book review or scholarly journal.
First Printing: 2011
ISBN 978-1-312-85399-7
Publisher: Lulu Press
Author’s website: www.baruffi.me
Note Biografiche sull’Autore:
Alessandro Baruffi, nasce a Sondrio il 12 ottobre 1973; trascorre i suoi anni giovanili nella solatia e amena Tresivio, fra le Alpi dei Reti. Laureato in Economia presso l’Università Statale di Milano, vive e lavora a Londra, Amsterdam, Barcelona e negli Stati Uniti d’America, a New York, Princeton e Philadelphia.
Indice (Table of Contents)
Le notti di S.
Il balcone
Il debito
Sera in Borgo Ticino
Poichè siamo come puledri
Indiani
Kensington Garden
L’Eden
Davanti a una tela di Rembrandt
Il carceriere
Una formula
Un sogno
Il campionato
L’isola
Nel nome del padre
La canicola
Tram, linea due
Sere d’ inverno
Alla luna
Settembre
Il postulante
In attesa
Arrivo di A., breve introduzione, fantasmi si prendono gioco di A. dalla Piazza del Duomo, nonsenso
Beatrix Park
Mio nonno diceva sempre: la vita è sorprendentemente breve. Ora, nel ricordo, essa si contrae a tal punto che, per esempio, mi riesce impossibile comprendere come un uomo possa decidere di cavalcare fino al villaggio vicino, senza temere che - a prescindere dalle fatalità sfortunate - il solo tempo di una vita comune e felice possa essere, per una tale cavalcata, di gran lunga insufficiente.
J. Kafka, Il villaggio vicino
Le notti di S.
Mio padre e mia madre ostinatamente incanutivano e io, per parte mia, me ne andavo in quei tempi in giro per i gretti locali di S. nella notte randagia e una greve tristezza, feroce come una fiera, selvaggia mi mordeva.
Sorbivo il vino amaro e vi intingevo quel grumo informe di idee, sensi, vibrar di nervi che per pigra consuetudine siam soliti chiamare anima.
La luce—lume di lampadine, lampadari, neon o fiamma di candelabro—dall’alto, dal basso, dal centro, di lato, indolente irradiava sedie, sgabelli, panche, poi banconi, tavolini e tavolacci, attorno a cui un’umanità deteriore, pigra, inerte, rigurgitata dal pingue ventre della più volgare provincia, lanciava lazzi e rumorosi schiamazzi, come il canto di preghiera levato a una qualche grassa e ignobile dea della stupidità.
La vita assumeva in quelle notti lontane le tronfie sembianze di una flaccida, enorme matrona, con le mammelle, avvizzite e mollicce, a far mostra della propria gretta rotondità, sotto vesti lise che, adornate di patacche e lustrini, solo trasudavano l’acre, lascivo odore di sporco vecchio di bordello.
Solitamente mi ero a quelle tarde ore già bevuto i soldi che mio padre mi aveva dato e me ne stavo lì, straniato e inebetito, con tutti i miei versi non scritti, le parole non dette, e quelle inascoltate. Cercavo le mot juste, la lucente anguilla che sempre sfuggiva alle mie mani inesperte e pur si lasciava intravvedere, beffarda, fra i sassi di ruscello, nell’acqua più limpida. L’anguillesca parola che, con mio conforto, sapevo non sarebbe comunque stata mai compresa, certo non per di là, non in quelle buche oscure in cui al più si poteva annidare qualche scagliosa e perfida serpe.
Non ti cerco
—mi dicevo—non ti cerco ove non sei, Diotima, cui tutte le passioni altro non sono che...non ci paiono che...
Confusamente ebbro, rammentavo fra me e me: "Qu’est-ce que sont les évenéments du monde? Un peu de bruit autour de notre âme."
Di lì a poco mi sarei trascinato nel letto greve, rincuorandomi alla sola possibilità che la luce di una qualche alba potesse ravviare il tuo—il nostro—tiepido, lindo giacigio, ben ripagandomi delle mia dolorosa, inspiegabile, inutile veglia.
Tresivio, dicembre 1995
Il balcone
Correva l’umida estate, l’inizio di un luglio che si annunciava torrido, nell’anno in cui completavo i miei studi universitari. Abitavamo allora, mia sorella ed io, nei dintorni della stazione centrale, in via P.
Mi pareva in quel tempo che la mia non fosse vita, ma la parvenza inafferrabile di una vita, la camicia trasparente e squamosa di una serpe, la silenziosa scia di un battelluccio nella notte scura.
Per sfuggire all’insopportabile calura, quella notte me ne andai sul balcone che dava sul retro: là sotto era un po’ di verde, qualche albero fra cui