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L'amore è un'altra cosa
L'amore è un'altra cosa
L'amore è un'altra cosa
E-book238 pagine2 ore

L'amore è un'altra cosa

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Info su questo ebook

Andrea e Elisa, due destini incrociati, che a loro volta decidono di incrociarsi ad altri destini, perdendosi nel mondo e abbandonandosi a tutte le conseguenze dell'amore, in un romanzo di sentimenti e emozioni che regalerà al lettore nuovi punti di vista, totalmente inediti, sul rapporto tra uomini e donne. C'è un'energia selvaggia e sbrigliata, dentro a questo romanzo di Antonio R. Corvaglia. C'è una spontaneità, nello srotolare una storia di sentimenti e passioni e fughe e ritorni, che nel leggerlo non ho potuto fare a meno di aderire ai moti interiori di un protagonista il quale conduce la narrazione un po' per aforismi, un po' per pennellate decise che dicono di notti picaresche, di rock e velocità e repentini cambi di quella rotta sentimentale che forse unica è in grado di regalare alla nostra esistenza il colore e la gioia di esserci.
LinguaItaliano
Data di uscita4 set 2016
ISBN9788899315535
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    Anteprima del libro

    L'amore è un'altra cosa - Antonio Rocco Corvaglia

    Table of Contents

    Antonio R. CorvagliaL’amore è un’altra cosa

    Antonio R. Corvaglia LʼAMORE È UNʼALTRA COSA

    Uno - Maddalena

    Algoritmo I

    Due - Vittoria

    Tre - Silvia

    Algoritmo II

    Quattro - Chiara

    Cinque - Lunaconstella

    Algoritmo III

    Sei - Fiorella

    Sette - Monica

    Algoritmo IV

    Otto - Aurelie

    Nove - Sofia

    Algoritmo V

    Dieci - Sara

    Undici - Veronica

    Algoritmo VI

    Dodici - Gioia

    Tredici - Helenjìa

    Quattordici - Giovanna

    Algoritmo VII

    Quindici - Daria

    Sedici - Simona

    Algoritmo VIII

    Diciotto - Lara

    Algoritmo IX

    Diciannove - Ilaria

    Venti - Filo

    Ventuno - Arianna

    Ventidue - Celeste

    Ventitrè - Carla

    Ventiquattro - Ica

    Algoritmo X

    Venticinque - Serena

    Una mistica dell’abbandono.

    Ringraziamenti

    PROFILO BIOGRAFICO

    Antonio R. Corvaglia

    L’amore è un’altra cosa

    Musicaos Editore, Narrativa 8

    Musicaos Editore, 2016

    Progetto grafico

    Bookground

    Illustrazione di copertina

    Dada - http://www.studiodadaart.com/

    Ogni riferimento a fatti, cose, persone, è da ritenersi come puramente casuale.

    Musicaos Editore

    Via Arciprete Roberto Napoli, 82

    Neviano - Tel. 0836618232

    www.musicaos.org

    info@musicaos.it

    Isbn 978-88-99315-535

    Antonio R. Corvaglia

    LʼAMORE È UNʼALTRA COSA

    L’Amore è un’altra cosa


    Per quanto potente la fantasia,

    è la realtà che si fa beffe.

    Le storie, prima di venire alla luce,

    devono essere fecondate, avere una gestazione,

    una vita che non si vede, qualcosa di già deciso,

    compiuto, ma non ancora raccontato, non ascoltato.

    Rimanere sospese, nutrite dal nulla, macerate

    in un fare-non-fare da un apparente niente.

    Essere senza mostrarsi.

    Mentre conservano in sé il nostro originare invisibile,

    quel fondamento senza fondamento che noi,

    da sempre, siamo: l’Amore.


    a Michelangelo, Sebastiano

    ...e Daniela


    Innamoratevi, è tutto qui.


    Uno - Maddalena

    Tu sei nell’aria e io respiro. Farò scoppiare i polmoni.

    È cambiato tutto. Mentre eravamo impegnati a scegliere un nuovo taglio di capelli, il colore o come decorare le unghie; la macchina nuova, il pub, le scarpe, il caffè, gli amici.

    I sentimenti.

    Tutte le cose che ci dicevamo o che ci siamo tenute per noi e che ci piaceva fare così.

    Quelle a cui non abbiamo fatto più caso.

    I giorni qualunque.

    Hanno cambiato anche noi.

    Le insondabili ragioni per cui facciamo l’amore, ridiamo, piangiamo, ci incazziamo, odiamo, perdoniamo.

    I nostri nomi, i ricordi e ogni loro frammento che ci illudono di poter disporre ancora delle persone care; di chi abbiamo amato o da cui siamo stati amati; degli amici che non sentiamo più da una vita, eppure continuiamo a chiamarli ancora amici.

    Che confusione che abbiamo con i sentimenti. È un casino. Ma non possiamo farne a meno.

    Elisa è sulla veranda, appoggiata alla bella ringhiera in ferro battuto. Guarda il cielo, lo scruta, poi abbassa il capo a raccogliere qualcosa dal pavimento. Si rialza e, come ad opporre una piacevole resistenza, si lascia spettinare dal vento di tramontana, seppure caldo, che scende dal canale verso l’insenatura e il mare.

    Gli occhi grandi e gonfi di una notte insonne, come spesso le accade, sono irradiati da una rete di capillari rossi che a guardarli darebbero fuoco per riflesso anche ai tuoi.

    Tre linee di rughe, che ormai non vuole più nascondere, sono giocate allegramente da grandi labbra e risate dirompenti e contagiose.

    Dai tornanti che vengono giù dal paese, due vecchietti camminano tenendosi per mano e ogni tanto si fermano a raccogliere ciuffi di asparagi selvatici ai bordi della strada che la pioggia tenue e delicata del giorno prima ha reso più teneri.

    Passa un’auto sulla litoranea in letargo, mentre una corriera ad una radura, tira fuori dalla sua pancia turisti fuori stagione, che la luce corpuscolare e calda di queste terre lontane di Puglia, avvolgerà rendendoli amabilmente incapaci di liberarsene.

    Ombra dorme ancora, perduta nei suoi primi sogni d’amore, mentre Spina, sveglia da poco, insegue a piedi nudi Mordicchio, lo spitz che la zia Agnese le ha regalato per il suo decimo compleanno.

    Ehi Andrea, aspettami, si fa sentire da lontano Elisa, scendo anch’io, andiamo a prendere il caffè al Boschetto da Rosario e i pasticciotti alla cremanutella per la colazione delle ragazze.

    Il vento di tramontana aveva spazzato via con le foglie anche le sue parole, ma le era bastato un attimo per sorprendermi da dietro e stringermi ai fianchi, a solleticarmi e distrarmi con la sua inconfondibile risata.

    Non perderti nelle tue psicotiche osservazioni del nulla mi aveva sussurrato da dietro, sulla guancia, quando hai visto un cielo così, e questo mare, non devi farti troppe domande. È bello anche in questa stagione, proprio perché è tutto quello che c’è adesso. Ed è tutto qui, proprio qui.

    Quel suo impeto, quella sua grande voglia di giocare, di ridare vita anche alle cose morte, come le ripetevo spesso, era un’arma potentissima, capace di frantumare il mio monolite, di cambiare l’ordine logico degli eventi.

    Un afrodisiaco per quanti le capitavano a tiro.

    Risalimmo la scalinata uno accanto all’altra, in silenzio, come a voler preservare quei luoghi dalle nostre inquietudini.

    Avevamo fatto la strada che da Punta Correnti porta al bosco dove c’è un piccolo bar in legno posto sul finire della morbida discesa per Castro Marina, ristoro abituale di cicloamatori, podisti e passeggiatori della domenica.

    Rosario, il gestore, capelli brizzolati e grandi baffi neri, si prendeva cura quotidianamente non solo di quella foresta di lecci e querce ma anche di una popolazione nomade e multicolore di gatti che in quell’area avevano preso dimora o che casualmente capitavano lì nel loro vagabondare.

    Si lamentava, i toni sempre gentili, per l’assenza dell’am-ministrazione comunale alla quale spettava la manutenzione e la tutela di quei posti tanto belli quanto abbandonati a se stessi: Mi hanno promesso, quelli del comune, un contributo per quanto già faccio da me. È da più di un anno che continuano a dire di sì ma, se fosse stato per loro, qui sarebbe andato tutto in malora. Neanche un rastrello hanno mandato.

    Hai visto i Balcani stamattina? aveva detto Elisa con un filo di voce dopo il primo sorso di caffè.

    Sì, belli e con le cime bianche della prima neve risposi.

    Le prime luci dell’aurora, quella mattina, avevano filtrato tra le tendine della grande stanza che dava ad est sull’insenatura e io, continuamente affascinato da quella maestosa e misteriosa presenza di là dal Canale d’Otranto, ero stato, come un automa, richiamato fuori, sulla terrazza.

    Restavo momenti infiniti ad ammirarli, sempre sorpreso dal loro improvviso apparire e dileguarsi, tanto da risultare noioso ogni qualvolta che in macchina lo ricordavo alle ragazze.

    Dai, non ripetere sempre le stesse cose, mi rispondevano, sul punto di innervosirsi.

    Questi cavolo di Balcani, che un giorno si vedono, un altro no e tu continui a cercarli anche quando c’è foschia e il cielo è grigio.

    Erano la mia anima segreta, il mio talismano, e li avrei aspettati all’orizzonte tutte le mattine.

    Tutti i giorni.

    Lo erano sempre stati, fin da ragazzo, quando mia nonna dalla terrazza di casa, la più alta del paese, mi chiamava: Dai Andrea, sali, che si vedono le montagne d’Albania.

    Non riuscivo a spiegare che cosa provassi allora a correre su per le scale ripide di pietra leccese per quello spettacolo di cielo e di vento.

    E di colori.

    Il cuore andava in frantumi nella corsa ma alla loro vista si ricomponeva. Poi ripartiva il tumulto mentre gli occhi impazzivano per cercare lontano, diventando sempre più rapidi e acuti, per non farsi sfuggire nulla.

    Chissà cosa erano state per mia nonna e per la sua generazione quelle montagne, ripetevo spesso a me stesso.

    Me lo domando ancora.

    Elisa mi aveva accarezzato la mano appoggiando poi la sua sul tavolino accanto alla tazzina del caffè. Non voleva irrompere nel silenzio di quell’improvviso lampo di ricordi sulla mia fanciullezza. I suoi grandi occhi sembravano inumidirsi, ma fece subito in modo che non mi accorgessi di nulla: Andiamo, Andrea, le ragazze vorranno fare colazione e noi abbiamo un paio di chilometri da fare a piedi.

    Ci incamminammo per la strada che costeggia gli uliveti di Montelacquaro, uno spuntone di roccia e macchia mediterranea: dalla sua cima lo sguardo si getta magnificamente sullo strapiombo della Grotta Romanelli e sulla spianata di Porto Miggiano, con la sua Torre rivolta testardamente ancora ad Oriente.

    È una domenica di fine novembre, insolitamente limpida e con un vento tiepido di tramontana al posto dello scirocco che nei mesi autunnali avvolge fatalmente questa parte di penisola con le sue umide brume.

    Hai parlato con il fabbro per il restauro del cancello?, disse distrattamente Elisa.

    Sono andato a cercarlo un paio di volte all’officina replicai subito, senza mai trovarlo. L’ho incrociato, qualche giorno fa, sul suo fuoristrada, mentre risaliva dall’insenatura con un barcone sul carrello. Lo portava in garage per la manutenzione invernale e io l’ho inseguito fino a raggiungerlo e urlagli: i fiori non hanno più colore e sono quasi marci ormai.

    Elisa le ripeteva spesso queste parole.

    Un modo per nascondere, e nascondersi, una stizza mista a delusione.

    Non credeva, non voleva credere, all’insensibilità proprio di colui che, con grande maestria, aveva realizzato ciò che per lei rappresentava una vera e propria opera d’arte.

    All’ingresso della tenuta della sua casa al mare, con un viale costeggiato di pini e una molteplice varietà di piante mediterranee, dagli aranci ai carrubi, ai fichi e i mandorli, ma soprattutto tanti fiori che dall’interno seguivano le mura di cinta e che, con enormi sacrifici aveva acquistato per il piacere di sentirsi parte con la terra, con i lavori di cura e di piantumazione. Aveva fatto realizzare un cancello in ferro battuto sul quale erano incastonate, come perle, delle sagome di fiori colorati che lo rendevano unico nel suo genere. Era così felice e orgogliosa, che non perdeva mai l’occasione di mostrarlo ad amiche e amici, non riuscendo a contenere quel piacere per lei così intimo.

    I nostri passi si facevano sempre più lesti accompagnati da un roteare di pensieri che, senza alcun nesso apparente, ci tenevano accanto insieme distraendoci però l’uno dall’altro, occupati, come spesso ci accadeva nelle nostre passeggiate, di lasciarli turbinare ognuno per sé.

    Andrea, disse Elisa arrestandosi di colpo, voglio andare via. Ho bisogno di liberarmi, di lasciar essere questo caos che mi sconvolge profondamente anche nei periodi in cui mi sento soddisfatta e rasserenata da una quiete che ogni volta si rivela sempre più solo apparente.

    Non mi sorprendevano più di tanto le sue periodiche dichiarazioni di guerra.

    Ma questa volta c’era qualcosa di diverso in quelle parole e io avevo paura di scoprirlo.

    Ero io il suo tarlo a tempo?

    Non volevo credere che potessi essere

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