Leader felici. Vivere e gestire persone felici al lavoro
Di Laura Conte
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Info su questo ebook
La felicità è un modo di essere al mondo: non è assenza di tensione, ansia o frustrazione, ma è la capacità di vivere e sentire quello che accade dentro e fuori di sé senza bloccare il normale fluire delle proprie energie motivazionali.
Perseguire gli obiettivi di performance è il motivo per cui si avvia un percorso di coaching, e questo è possibile riflettendo sul proprio modo di agire. Nel libro non ci sono ricette magiche ma sono narrati i processi di funzionamento con cui ogni persona entra in relazione con il mondo.
Durante le sessioni di coaching si possono costruire sentieri di consapevolezza che aprono le porte per il potenziamento delle capacità creative, relazionali e gestionali. Inoltre l’approccio umanistico fenomenologico cui si ispira il modello di coaching coinvolge la dimensione motivazionale del coachee in modo tale da ampliare il benessere psicologico individuale e di gruppo.
Il libro si apre con l’esplorazione del viaggio verso la felicità, per poi approfondire alcune modalità di funzionamento con cui l’essere umano blocca il dispiegarsi delle sue risorse energetiche e motivazionali ed infine una metafora psicologica suggerisce gli ingredienti del benessere psicologico personale che occorre “manutenere” costantemente per non avvilupparsi in condizioni di malessere.
Molte ricerche dimostrano che le organizzazioni che affrontano con maggiore successo i continui cambiamenti tecnologici ed economici sono quelle con collaboratori soddisfatti e un “clima interno” positivo e partecipativo.
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Anteprima del libro
Leader felici. Vivere e gestire persone felici al lavoro - Laura Conte
Laura Conte
Leader felici
Vivere e gestire persone felici al lavoro
Copyright © 2016
PM edizioni
via Garibaldi, 3
17019 Varazze (SV)
www.pmedizioni.it
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore.
ISBN 978-88-99565-24-4
Prima edizione: settembre 2016
A mio marito
Indice
Frontespizio
Colophon
Dedica
1. Benessere e felicità al lavoro si può
1.1 Le persone e la felicità
1.2 Viaggio verso la felicità: Krono e Kairòs
1.3 Leadership e relazioni di attaccamento
1.4 Felicità, coaching e obiettivi
2. Una questione di confini
2.1 Incontro con l’altro, contatto con l’ambiente
2.2 Felicità e adattamento creativo nella relazione con l’ambiente
2.3 Il ciclo dell’esperienza, soddisfacimento dei propri bisogni e situazioni inconcluse
2.4 Leadership e consapevolezza di sé
2.5 Il confine relazionale o confine del contatto
2.6 Confluenza: stile di relazione senza confini
2.7 Proiezione: stile relazione oltre confine
2.8 Retroflessione: stile relazionale al di qua
del confine
2.9 Deflessione: stile relazionale senza incontro emotivo con l’altro
2.10 Introiezione: blocco della consapevolezza dei propri bisogni e delle emozioni personali
2.11 Desensibilizzazione: blocco della consapevolezza delle sensazioni del corpo
2.12 Egotismo o mentalizzazione: blocco della consapevolezza del divenire del qui ed ora
2.13 Stili di leadership e potere
3. Leader felici
3.1 Benessere del sé: la felicità a 5 punte
4. Conclusione
5. Bibliografia
1. Benessere e felicità al lavoro si può
L’importante non è ciò che si è fatto di me, ma ciò che io stesso faccio di ciò che si è fatto di me.
J. P. Sartre
1.1 Le persone e la felicità
Qualunque strumento di gestione del personale, qualsiasi modello organizzativo genera efficacia solo se chi ne è preposto a capo è una persona consapevole di sé, guidata da alti valori umani, ispirata dalla ricerca del vero sé, temprata dalle difficoltà. In altre parole una persona felice!
La felicità coinvolge da sempre le riflessioni degli esseri umani. Poeti, filosofi, scrittorie semplici persone sono alla ricerca della felicità. Per essere felici occorre una dimensione emotiva, come il sentirsi di buon umore, ma anche l’aspetto cognitivo è importante. Il considerarsi soddisfatti della propria vita, sentirsi appagati del proprio mondo relazionale e professionale sono valutazioni importanti per un possibile traghettarsi verso la felicità. La felicità caratterizza la vita di coloro che sono contenti, appagati, tranquilli, sereni e in uno stato di pienezza sentito come gioia, piacere.
Secondo Argyle (1987), «la felicità è rappresentata da un senso generale di appagamento complessivo che può essere scomposto in aree specifiche quali ad esempio il matrimonio, il lavoro, il tempo libero, i rapporti sociali, l’autorealizzazione e la salute».
«La felicità è legata al numero e all’intensità delle emozioni positive che la persona sperimenta. In questo caso la felicità è definibile come l’emozione che segue il soddisfacimento di un bisogno o la realizzazione di un desiderio e in essa, accanto all’esperienza del piacere, compare anche una certa dose di sorpresa» (D’Urso e Trentin, 1992).
D’Urso e Trentin negli anni ’90 hanno definito un vero e proprio manuale della felicità
, elencando una serie di azioni e atteggiamenti che facilitano la felicità.
Tra gli atteggiamenti troviamo non attribuire interamente a noi stessi la responsabilità degli eventi spiacevoli che ci capitano
; stare in compagnia di persone felici
; fare esercizio fisico e non confrontare la nostra condizione (salute, bellezza, ricchezza ecc.) con quella degli altri
; individuare quello che ci piace nel nostro lavoro e valorizzarlo
; curare il corpo e l’abbigliamento
; riconoscere i legami tra cattivo umore e cattivo stato di salute
(spesso il malessere fisico, più che altri fattori oggettivi, determina un cattivo umore); imparare a dimensionare le nostre aspettative alle capacità e alle opportunità medie della situazione
; aiutare le persone a cui piace essere aiutate
. Inoltre è importante non trarre conclusioni generali dagli insuccessi, svolgere le attività che ci fanno stare di buon umore. Insomma un vero e proprio elenco di cose da fare con cura e attenzione, al fine creare uno stato di benessere personale.
Quello che ci dice la ricerca svolta da D’Urso, Trentin è che l’assenza o la carenza di uno o più di questi elementi in effetti potrebbe essere indice di lacune nel vissuto di felicità della persona.
Uno dei primi psicologi che si è occupato di benessere e felicità e che ha lasciato un’importante eredità circa gli studi motivazionali è lo psicologo statunitense Abraham Maslow. Maslow ha individuato una scala di bisogni, soddisfatti i quali, l’essere umano sperimenta livelli di benessere ed emozioni come la felicità. Secondo Maslow tutti gli esseri umani tendono a soddisfare una gerarchia di bisogni di base, da questa impostazione deriva la famosa piramide di Maslow (Fig. 1).
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Alla base della gerarchia vi sono i bisogni primari (cibo, sonno e sesso, per esempio); poi vi sono quelli si sicurezza, poi l’amore e le relazioni sociali, poi la stima e, infine, al culmine della piramide, c’è l’ auto-realizzazione
.
In uno studio condotto da ricercatori della University of Illinois¹ si dimostra che la gerarchia dei bisogni di Maslow è davvero universale e il soddisfacimento dei bisogni è correlato con uno stato di benessere.
Confrontando i dati provenienti da 123 Paesi del mondo, i ricercatori hanno così scoperto che la realizzazione di una serie di bisogni, come quelli definiti da Maslow, sembrano essere davvero universali e importanti per la felicità individuale.
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L’ordine in cui essi devono essere soddisfatti invece ha poca attinenza con la soddisfazione di vita e con il benessere percepito. Inoltre il soddisfacimento di bisogni differenti producono differenti tipi di benessere.
Cosa succede quando siamo felici?
Alcuni autori (Maslow, 1968; Privette, 1983) raccontano che le sensazioni esperite con più frequenza dalle persone che si trovano in uno stato di felicità o di gioia sono quelle di sentire con maggiore intensità le sensazioni corporee positive e con minore intensità la fatica fisica, di sperimentare uno stato di maggiore attenzione e apertura verso gli stimoli sensoriali provenienti dall’ambiente, di sentirsi maggiormente consapevoli delle proprie capacità.
Le persone felici si sentono più spontanee e creative, riferiscono una sensazione di benessere in relazione a se stesse (come senso di soddisfacimento dei propri bisogni) e alle persone vicine (persone con cui vivono rapporti ricchi e creativi) e infine descrivono il mondo circostante in termini più significativi e colorati.
Chi è felice sorride spesso, propone una flessibilità emotiva intensa passando da stati d’animo negativi a positivi con maggiore frequenza. Il sorriso è accompagnato da uno sguardo luminoso e aperto, è la manifestazione comportamentale più rappresentativa, inconfondibile e universalmente riconosciuta della felicità e della gioia.
La gioia e la felicità sono emozioni e come tali sono contagiose. Più precisamente con il termine contagio emotivo ci si riferisce a tutte quelle forme di condivisione emotiva immediata ed automatica, caratterizzate da assenza di mediazione cognitiva, vale a dire a quelle reazioni automatiche agli stimoli espressivi manifestati da un’altra persona per cui l’emozione è condivisa in modo diretto, non vicario (Bonino, 1998).
A livello neurofisiologico le persone che provano emozioni o stati d’animo positivi, come gioia, felicità, senso di pienezza, fiducia in sé e amore di sé, presentano un’attivazione generale dell’organismo che si manifesta con un’accelerazione della frequenza cardiaca, un aumento del tono muscolare e della conduttanza cutanea e infine una certa profondità della respirazione. Quindi lo stato energetico è vivace.
In sintesi un team leader in grado di mantenere la sua visione positiva della vita, di sentirsi sereno con se stesso anche in momenti di tensione ambientale, genera intorno a sé altrettante condizioni di benessere.
Daniel Goleman, Richard E. Boyatzis e Annie McKee (Goleman, Boyatzis, McKee, 2005) affermano che: «Alla fine di un trimestre, i fattori che concorrono a caratterizzare le aziende più floride sono necessariamente complessi: le nostre analisi suggeriscono tuttavia che l’atmosfera — lo stato d’animo generale dei dipendenti — possa incidere nella misura del 20–30% sulle prestazioni». Gli autori quindi continuano nella ricerca di quelli che sono i fattori che condizionano il clima di lavoro nel gruppo «[...] se l’atmosfera di un’azienda concorre a determinare le prestazioni, quali sono, a monte, i fattori che a loro volta determinano l’atmosfera? La percezione che i dipendenti hanno del clima aziendale dipende per il 50-70% circa dalle azioni di un’unica persona: il leader. Più di chiunque altro, il capo crea le condizioni che influenzano direttamente, nei singoli individui, la capacità di lavorare al meglio. In poche parole, lo stato emotivo di un leader e le sue azioni agiscono sull’umore dei collaboratori, influenzandone così le prestazioni. L’abilità di un leader nel gestire il proprio stato d’animo e quello altrui non è più quindi una questione privata, ma diventa un fattore essenziale per il successo di un’azienda».
Le emozioni sono contagiose
. Soprattutto quelle emanate dal leader del gruppo. «Il motivo per cui l’atteggiamento di un leader — non soltanto ciò che fa, ma come lo fa — ha una così grande importanza risiede nell’architettura stessa del cervello umano: in altre parole, in quella che gli scienziati hanno cominciato a definire la natura a circuito aperto
del sistema limbico, la sede dei nostri centri emozionali. Un sistema a circuito chiuso, come quello circolatorio, è autoregolato; ciò che accade nel sistema circolatorio di chi ci sta accanto non ha quindi il benché minimo impatto sul nostro. La regolamentazione di un sistema limbico aperto, invece, dipende in larga misura da influssi esterni. In altre parole, la nostra stabilità emotiva dipende dalle nostre relazioni con gli altri. Dal punto di vista evolutivo, il sistema limbico a circuito aperto ha rappresentato un tratto vincente, perché attiva i meccanismi di mutuo soccorso emozionale che spingono, per esempio, una madre a tranquillizzare il proprio neonato che piange o la sentinella di un gruppo di primati a lanciare l’allarme non appena percepisca una minaccia. A dispetto delle apparenze, il principio del circuito aperto conserva la propria validità anche nella nostra civiltà avanzata. [...] La continua interazione dei circuiti limbici aperti tra i membri di un gruppo crea una sorta di mix emozionale a cui ognuno aggiunge il proprio aroma. Ma è sempre il leader a dare il tocco finale. Il motivo sta in quella che è una realtà immutabile del mondo del lavoro: gli occhi di tutti sono puntati sul capo. Anche quando il leader non è direttamente in relazione — come nel caso del direttore generale separato dalla maggior parte dei collaboratori dalla catena gerarchica — con le sue emozioni contagia lo stato d’animo dei collaboratori più diretti, in questo modo si attiva un
effetto a cascata" che si propaga risuonando sul clima emotivo di tutta l’azienda.» (Goleman, Boyatzis, McKee, 2005).
Questo è spiegabile perché da un punto di vista antropologico il leader, da sempre, è vissuto come guida emotiva del gruppo soprattutto in situazioni di pericolo o in caso di grandi imprese.
Tutta questa dissertazione non vuole eliminare il senso di responsabilità dei collaboratori come fonte di benessere o malessere nel gruppo. Spesso manager