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È il destino che decide
È il destino che decide
È il destino che decide
E-book313 pagine3 ore

È il destino che decide

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Info su questo ebook

“È proprio vero che la vita è strana, indubbiamente nessuno sa cosa può riservargli il futuro. Quando pensi che vada tutto a meraviglia, capita qualcosa che te la stravolge completamente: è successo a me!”

Inizia così il nuovo romanzo di Raffaele Galantucci con protagonista Luca Bonelli: giovane operaio che lavora per una piccola ditta di impianti elettrici a Milano, che per motivi suoi, seppure malvolentieri, deciderà di cambiare lavoro. Naturalmente si troverà a dover risolvere un altro problema, ma questa volta volontariamente.
LinguaItaliano
Data di uscita9 mag 2017
ISBN9788892661332
È il destino che decide

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    Anteprima del libro

    È il destino che decide - Raffaele Galantucci

    633/1941.

    1

    E’ proprio vero che la vita è strana, indubbiamente nessuno sa cosa può riservargli il futuro. Quando pensi che vada tutto a meraviglia, capita qualcosa che te la stravolge completamente: è successo a me!

    Mi trovavo in una stanza del reparto di ortopedia dell’ospedale di Reggio Emilia, dove mi avevano trasportato con una ambulanza dopo l’incidente che era capitato, magari anche per colpa mia, sull’autostrada del sole. Ero immobilizzato con frattura multipla alla gamba sinistra, che era in trazione, ed altrettanti problemi al braccio dallo stesso lato.

    Fissavo con odio lo svolazzare noioso di una mosca, forse una delle poche ancora viva ( dato che eravamo in inverno ) e che si appoggiava sistematicamente sull’alluce scoperto dal gesso, procurandomi un fastidioso prurito. Riuscii a prendere una rivista dal comodino del mio vicino di letto e provai a lanciarla. Il tiro mi riuscì perché dopo un furioso ronzio di protesta, sparì dalla porta che dava sul corridoio della corsia.

    Non potevo muovermi perciò pensai che qualcun altro avrebbe raccolto la rivista da terra, guardai il mio vicino e vidi che dormiva tranquillo, era una cosa abbastanza normale dato che erano le quattro del mattino. Io da un po’ di tempo non ci riuscivo, più o meno da una decina di giorni, circa il tempo trascorso dall’incidente.

    Non potendo fare altro, cominciai a ripensare a quello che mi era successo, cercando di capire se avevo effettivamente sbagliato io con il mio comportamento.

    2

    Forse mi sto ripetendo, ma non riuscivo ad immaginare che era potuto accadere proprio a me. Ero contento della mia vita: un ottimo lavoro, l’amore di una ragazza meravigliosa e delle belle amicizie, compreso i colleghi con cui si andava perfettamente d’accordo. Andava tutto alla perfezione, ma forse quello che chiamiamo destino aveva deciso che si doveva cambiare.

    Tutto iniziò in un giorno di Novembre quando Stefano, il mio socio maggioritario e titolare della azienda in cui lavoro, bussò alla porta del mio ufficio.

    «Avanti» dissi senza distogliere lo sguardo dagli schemi elettrici che stavo esaminando. Quando alzai gli occhi vidi che era lui che mi osservava senza parlare, attraverso la porta appena socchiusa.

    «Dimmi» dissi facendogli cenno di entrare.

    «Hai tempo di andare nell’azienda, nostra cliente, nella zona della bergamasca produttrice di wurstel?»

    «Quando oggi?»

    «Si proprio oggi, dovresti trovarti sul posto per le 14, ci saranno due dei nostri per la solita manutenzione, ma abbiamo anche un problema su una grossa macchina automatica. Dovresti dargli un’occhiata: è il momento giusto dato che fermeranno la produzione» guardai il mio orologio: segnava le dieci.

    «Va bene, finisco quello che sto facendo, poi vado così cerco di organizzarmi.»

    «Ok, troverai Giovanni il responsabile del reparto, che ti spiegherà esattamente qual è il problema.»

    «Chiederò di lui quando arrivo, c’è altro?»

    No nient’altro ci sentiamo al tuo ritorno. Ciao.»

    «Ti saluto» bofonchiai, ma senza essere contento come mi succedeva di solito, quando capitava di dovermi occupare di un nuovo problema da risolvere. Non riuscivo a spiegarmi il perché ma avevo una strana sensazione.

    Erano passate le 10,30 quando mi liberai, chiusi il mio ufficio e mi avviai fermandomi davanti a quello di Iris, bussai delicatamente alla porta socchiusa: "posso salutarti?» Chiesi.

    «Certo, anzi mi offendo se non lo fai. Hai bisogno?»

    «No grazie! Mi fa solo piacere, ciao.» Risposi mandandole un bacio con le dita.

    «Luca tutto bene? Ti sento un po’ strano!» disse lei dalla sua scrivania.

    «Credo di si» risposi e mi allontanai senza aggiungere altro.

    Scesi a piano terra salutai Enrico il nostro disegnatore – magazziniere, con un cenno del capo ed uscii in cortile. Salii sul Qubo, che l’azienda ci dava in dotazione, e mi avviai per andare a prendere l’autostrada per Bergamo. Come al solito la tangenziale era intasata e si procedeva a passo d’uomo, così persi tempo e quando arrivai all’autogrill nelle vicinanze di Agrate erano ormai le 12,10 passate.

    Mi fermai per un panino, birra ed un caffè, poi ripartii ed alle 13,15 fermavo l’auto nel parcheggio nel cortile dell’azienda.

    Scendendo dal Qubo incrociai proprio Giovanni che mi veniva incontro con la mano tesa. Ci salutammo ed intanto che mi spiegava quale fosse il problema, ci avviammo per andare sul posto.

    «Ciao Luca!» mi apostrofarono Angelo ed il suo aiutante, appena entrammo nel laboratorio

    «quando vuoi noi siamo pronti per cominciare.»

    «Ok possiamo farlo subito!» Risposi.

    Facemmo fermare la lavorazione e per circa un’ora e mezza cercammo il guasto. Infine trovammo che la causa era dovuta ad un congegno, posto a circa 4 metri di altezza sulla struttura del macchinario. I miei due colleghi cercarono una scala adatta e la posizionarono.

    Pensai che fosse logico che salissi io e così cominciai l’ascesa, arrivato in cima mi apprestai a smontare l’apparecchiatura. Sentii un crac ed all’improvviso cominciai a precipitare velocemente verso terra: la struttura della scala aveva ceduto.

    3

    Aprii gli occhi e mi guardai intorno non riuscivo a capire dove mi trovassi. Quando finalmente riuscii a mettere a fuoco la vista notai in fondo al letto Stefano che parlava con altre due persone.

    «Come ti senti?» Domandò il mio capo .

    «Non te lo so dire esattamente. Piuttosto mi sai spiegare cosa è successo?» Gli chiesi.

    «Da quello che mi hanno detto, so che la scala ha ceduto strutturalmente ed è crollata con te sopra.»

    «Dove siamo?»

    «Nel reparto di ortopedia dell’ospedale di Bergamo, purtroppo ti è capitata una brutta frattura alla gamba sinistra, ti hanno operato ed è andato tutto bene però dovrai stare ingessato per una quarantina di giorni. Stai tranquillo appena ti dimettono verrò a prenderti io.»

    «Qualcuno ha avvisato Elena?»

    «No, adesso vado a Milano e glielo comunico personalmente, credo che sia meglio così.»

    «Grazie!»

    «Figurati, non preoccuparti ci penso io. Ora vado, fammi sapere se ti serve qualcosa ciao.»

    Non risposi ma feci solo un cenno col capo. Mentre si allontanava guardai l’orologio: segnava le 20 ormai. Pensai che fosse meglio se avvisavo direttamente io la mia compagna, senza aspettare che Stefano arrivasse a Milano, pensai inoltre che si sarebbe spaventata di meno a sentire cosa era successo, sentendolo direttamente dalla mia voce.

    Erano andate via anche le altre due persone, che erano dipendenti dell’azienda, si erano allontanate insieme a Stefano. Mi guardai intorno in cerca del mio cellulare ma non lo trovai nemmeno nel cassetto del comodino. Riuscii a prendere il pulsante e a premerlo per chiamare l’infermiera, Arrivò quasi subito: «Le serve qualcosa?» Chiese restando sulla porta.

    «Si, ha per caso visto il mio telefonino?»

    «No, ma penso che si trovi nell’armadietto, guardo subito!» Lo aprì frugò all’interno per un attimo poi si girò verso me mostrandolo «eccolo era in una tasca, serve altro?»

    «No grazie!» Risposi, si avvicinò al letto me lo porse e con un sorriso si allontanò.

    Cercai nella rubrica e strisciai sul nome di Elena, Dopo diversi squilli rispose: «Amore sei già a casa? Sto arrivando, sono per strada!»

    «No cara stasera non rientro.»

    «Perché?» Fece subito allarmata.

    «Non spaventarti, sono all’ospedale di Bergamo, ho avuto un incidente sul lavoro ed ho una gamba rotta.»

    «Vengo subito lì!»

    «Non serve mi hanno già operato ed ingessato, perciò è inutile per stasera, se vuoi puoi venire domani.»

    «Ti serve qualcosa?»

    «No grazie ci ha già pensato Stefano, anzi ha detto che sarebbe passato da casa per avvisarti personalmente.»

    «Va bene, allora ciao amore ci vediamo domani, Buonanotte.»

    «Guarda che se hai problemi col lavoro, non ti preoccupare io mi arrangio.»

    «Non ci penso nemmeno, a domani baci.»

    «Baci» risposi mestamente.

    Dopo quello che era successo tempo indietro, aveva trovato lavoro presso lo studio di un gruppo di avvocati, come segretaria. Erano sei mesi che lavorava da loro e non aveva ancora il posto fisso, le avevo detto di non preoccuparsi perché immaginavo che potesse avere qualche problema a chiedere dei permessi. Però mi fece piacere sentire che sarebbe venuta a trovarmi.

    Appoggiai il cellulare sul comodino mentre pensavo alla strana sensazione che avevo avuto la mattina: era giusta. Pazienza doveva andare così!

    Forse fu a causa dell’anestesia che mi addormentai quasi subito, ma passai una notte agitata. Dormivo ancora quando venne a svegliarmi l’infermiera di turno che portava la colazione a tutti, guardai l’ora: erano appena le sette. Mangiai volentieri perché era dalle 12 circa del giorno precedente, che non toccavo cibo. Dopo un po’ un’altra infermiera venne con termometro e pillole varie. Alle 9,30 arrivò un dottore che dopo aver controllato la mia cartella, appesa alla testiera del mio letto, chiese come mi sentissi.

    «Onestamente stavo meglio prima di cadere, ma tutto sommato pensavo peggio» risposi.

    «Le hanno detto che deve stare fermo almeno 5 giorni, poi vedremo di mandarla a casa.»

    «Vedrò di rassegnarmi, visto che non si può fare diversamente» ribattei.

    «Bene, se sentisse dolore chieda un analgesico all’infermiera, lo lascerò detto uscendo, per ora la saluto.»

    «Certo, grazie dottore arrivederci.»

    Finalmente se ne andò, riuscii a prendere il telefonino e lo accesi. Immediatamente arrivarono messaggi di varie telefonate perse, controllai il registro e vidi che erano tutte di Elena. La chiamai.

    «Ciao amore, volevo solo sapere se devo portarti qualcosa per cambiarti ed intanto sentire come stai.»

    «Sto meglio ma il dottore dice che non mi lascerà uscire prima di 5 giorni, comunque portami qualcosa perché mi hanno dovuto tagliare i jeans e …. grazie di tutto!»

    «Non dirlo neanche per scherzo, ci vediamo nel pomeriggio, baci.»

    «Ti aspetto ciao» riattaccammo.

    Probabilmente mi avevano dato un sonnifero perché mi addormentai subito dopo il pranzo. Quando sentii qualcuno che mi baciava in fronte aprii gli occhi e vidi il bel viso della mia compagna che mi sorrideva.

    Volle sapere come fosse successo, le spiegai tutto per filo e per segno e quando finii vidi che aveva cambiato espressione e si era rabbuiata in volto.

    «Cosa ti prende?» Le chiesi.

    «Luca è un po’ di tempo che volevo dirtelo, ma penso che il tuo mestiere è abbastanza pericoloso, non puoi trovarne un altro più tranquillo?»

    «Non vedo perché dovrei. A parte il fatto che mi piace e che sono diversi anni che lo faccio, non saprei cosa altro fare, anche perché ora ho una bella posizione ed inoltre guadagno bene.»

    «Lo so, ma vedi io non voglio stare in pensiero da quando esci di casa la mattina fino a quando torni la sera, come è già successo, mi piacerebbe stare più tranquilla.»

    «Ma lo sapevi già quando ci siamo messi insieme.»

    «Hai ragione, ma non pensavo che fosse così» lo disse dando un’occhiata al suo orologio. Guardai anch’io il mio segnava le 17. La guardai negli occhi: «Non saprei cosa dirti così sui due piedi, devo pensarci.»

    «Pensaci! Ed ora vado, non vorrei trovarmi nel mezzo del traffico in autostrada.»

    «Certo e non preoccuparti di tornare, quando sarà il momento verrò Stefano a prendermi, Ci vedremo a casa, ciao.»

    Mi indicò il pacco con le cose che mi aveva portato, mentre accennava di si con la testa. Mi diede un bacio in fronte e con un ciao che sentii appena ed un cenno della mano si girò ed uscì dalla stanza. Onestamente ci rimasi male ma probabilmente non conoscevo a fondo le donne, specialmente la mia!

    4

    Non la sentii e neanche la vidi in quei giorni. Io non la chiamai, e quando il dottore mi disse che mi avrebbe mandato a casa chiamai Stefano e lo avvisai. Fu ben felice di venirmi a prendere e quando arrivò ero seduto in corridoio, con le stampelle accanto e la gamba tesa, ma in fondo stavo abbastanza bene. Mi aiutò a salire sulla Bmw e durante il viaggio parlammo di diverse cose. Arrivati a casa mia mi diede una mano a salire, lo invitai a prendere un caffè ma rifiutò perché disse che aveva un impegno, ci salutammo e gli strinsi la mano poi se ne andò dicendomi di avvisarlo, per qualsiasi cosa avessi bisogno.

    Mi sedetti su una poltrona in sala ed appoggiai la gamba sul tavolino per tenerla diritta. Guardai l’orologio sulla parete di fronte: segnava le 18,15. Elena solitamente rientrava per le 19, mi misi tranquillo ad aspettarla ed intanto pensavo a quello che mi aveva detto, non riuscivo a decidere cosa dirle. Non potevo cambiare la mia vita in un attimo.

    Le lancette dell’orologio scandivano ritmicamente il passare inesorabile del tempo: le 20, le 22,30 e finalmente sentii girare la chiave nella serratura ed entrò. Era bella ed elegante! Non proferii parola, aspettai che si accorgesse che ero tornato a casa. Finalmente mi vide e mi fissò sbalordita.

    «Luca! Sei a casa?»

    «Come vedi! Ti dispiace? Potevi almeno farti sentire i giorni scorsi per informarti come stavo.»

    «Potevi anche chiamarmi tu visto che non avevi altro da fare. Comunque è un periodo che abbiamo molto lavoro da sbrigare, vedi anche tu a che ora arrivo a casa.»

    «Vedo» risposi e visto che lei neanche si avvicinava per salutarmi, mi alzai a fatica raccolsi le stampelle e mi avviai verso la stanza da letto senza aggiungere altro.

    Riuscii a spogliarmi a fatica e mi coricai. Sentivo lo scrosciare dell’acqua nella doccia, dopo un bel po’ la sentii entrare nella stanza ed infilarsi nei letto al suo posto, mi si strinse contro con un amore detto in modo strano. Feci finta di essere addormentato, con un grande sforzo di volontà, e non risposi. Probabilmente ci restò male perché dopo un po’ si staccò e si girò dall’altra parte con un sospiro. Comunque dormii poco e male sia per l’ingessatura che per i pensieri che mi giravano nella testa. Riuscii ad addormentarmi che era quasi mattino e quando mi svegliai ero solo.

    La nostra relazione si stava logorando decisamente, parlavamo poco e lei tornava sempre tardi la sera con la scusa che avevano molto da fare. Stefano mi aveva portato del lavoro da sbrigare a casa e passavo così le mie giornate. Ammetto di essere un po’ permaloso ma non volevo essere io il primo a cedere, tanto più che lei in fondo era ospite a casa mia.

    Arrivò il momento di togliere il gesso, ed il mio socio mi fece accompagnare all’ospedale di Bergamo da Enrico il nostro disegnatore. Tutto filò liscio e vidi che potevo muovermi abbastanza bene, anche se il dottore si raccomandò di non sforzarlo troppo.

    Ricominciai ad andare in ditta a fare del lavoro d’ufficio mentre io ed Elena parlavamo sempre meno. Se nonché mancavano cinque giorni a Natale quando, come per caso, mi disse: «Luca per queste feste vorrei andare dai miei a Rimini, lavoro fino a domani sera e dopodomani parto.»

    «Vengo anch’io» risposi "li vedrò volentieri.»

    «Se ci tieni vieni pure però andiamo con la mia auto.» Con quello che guadagnava si era comperata una Fiat Punto usata.

    «No andiamo con la Megane è più comoda.» Alzò le spalle e non mi rispose.

    Il giorno destinato, quando ci alzammo, vedemmo che durante la notte aveva nevicato bene ed ancora continuava. Caricammo le nostre cose e partimmo sempre parlando poco fra noi. Prendemmo l’autostrada del Sole ed all’incirca prima di Reggio Emilia, ero in fase di sorpasso di una lunga fila di grossi tir, quando uno di loro senza nessuna segnalazione uscì dalla fila. Istintivamente toccai i freni, l’auto slittò e finimmo contro il mezzo.

    Quando mi svegliai ero in un letto d’ospedale con il chirurgo che mi aveva operato che mi guardava.

    «Dove mi trovo?» Gli chiesi dopo essermi guardato intorno.

    «All’ospedale di Reggio Emilia, come si sente signor Bonelli?»

    «Me lo dica lei! E la signorina che era con me?»

    «A lei è andata meglio: qualche piccola escoriazione ed una spalla slogata, purtroppo anche un brutta ferita su una guancia, a cui però si potrà rimediare con una buona operazione di plastica facciale, alla fine non si vedrà nemmeno. Per lei è andata un po’ peggio, era appena guarito da una frattura sulla gamba sinistra, vero? Purtroppo si è rotta la stessa gamba in altri due punti. Abbiamo dovuto sistemarla ed ho paura che le resterà più corta di un paio di centimetri. Per fortuna il braccio è meno grave. Mi dispiace ma abbiamo fatto il possibile.»

    «Che giorno è oggi?» Gli chiesi.

    «La vigilia, è qui dall’altro ieri.»

    «Grazie di tutto dottore.»

    «Di niente» mi fece un sorriso e se ne andò.

    Non mi sentivo per nulla bene, può darsi che la ragione fosse anche per la doppia anestesia che mi avevano dovuto praticare in poco tempo, alla fine mi addormentai. Quando mi svegliai era pomeriggio: c’erano Stefano, due colleghi ed anche mio cognato. Non vidi la persona per me più importante. Sperai che fosse perché anche lei era immobilizzata in un letto.

    Se ne andarono tutti ad una certa ora, arrivò l’infermiera con flebo ed altro, sistemò il tutto e se ne andò. Mi riaddormentai.

    Era Natale quando mi svegliai, avevo immaginato di passarlo in modo diverso. Chiusi gli occhi, anche per non piangere, ad un certo momento mi sentii osservato: li aprii, Elena era li di fianco al letto ma mi accorsi che mi guardava con astio.

    «Sei contento di quello che hai fatto?»

    «Cosa vuoi dire? Hai visto anche tu come è successo!»

    «Si ma se avessi guidato io forse non sarebbe capitato. Grazie al tuo carattere troppo permaloso, non hai voluto ammettere di avere problemi alla gamba e quindi i tuoi riflessi non erano i soliti. Ora hai distrutto la tua auto ed inoltre siamo rovinati tutti e due. Guardami!» Si tolse il cerotto che le copriva la guancia sinistra e mi mostrò la ferita.

    «Mi dispiace, ma il dottore ha parlato di fare una plastica ….»

    «Sarà e comunque non ti voglio più vedere, è venuto mio padre a prendermi. Appena potrò porterò via le mie cose da casa tua. Ti auguro buona fortuna!» Si voltò ed uscì dalla stanza senza degnarmi più di uno sguardo.

    Può anche darsi che avesse ragione ma sono convinto, ancora adesso, che non meritavo tutto quello che mi stava accadendo, Mi era crollato tutto il mondo addosso.

    5

    Era arrivata l’Epifania, Il giorno precedente il primario del reparto ortopedia mi aveva detto che mi avrebbe mandato a casa al più presto. Mi aveva chiesto: «C’è qualche persona che possa darle una mano quando la manderemo a casa?»

    «Qualcuno lo trovo» risposi poco convinto, comunque mi sarei arrangiato, dovevo entrare nell’ordine di idee che ormai ero solo. Lui accennò di si con la testa e se ne andò.

    Stavo sfogliando con la mano sana una rivista, che mi aveva procurato una infermiera, quando avvertii la presenza di qualcuno che guardava all’interno della stanza stando sulla porta.

    Alzai gli occhi e con immenso piacere vidi Roberto Di Gennaro, il mio amico poliziotto, che mi guardava sorridendo. Era solo, gli feci segno di entrare, era l’unico che si era degnato di venirmi a trovare, anche se era un giorno di festa. Non lo vedevo da un po’, dato che era disperso da qualche parte del mondo, per il suo lavoro nell’antiterrorismo. Neanche Rita, la sua compagna, si era più fatta vedere o sentire: chissà cosa le aveva raccontato la sua amica Elena.

    «Maledizione Luca! Cosa diavolo mi combini? Sono rientrato da poco ed ho saputo tutte queste novità, come stai?»

    «Fisicamente rotto e moralmente a pezzi!»

    «Cosa è successo esattamente? Vorrei sentire anche la tua versione.»

    «Cosa ti hanno raccontato?»

    «Che sei cambiato e non sei più quello di una volta.»

    «Può darsi, ma se hai voglia di sentire, prima prendi una sedia e accomodati perché è una cosa un po’ lunga.»

    «Ok sono curioso» fece accomodandosi dopo aver preso una sedia vicino al tavolo posizionato lungo la parete di fronte. Cominciai dall’inizio e raccontai per filo e per segno tutto l’accaduto. Quando smisi di parlare controllò l’ora sul suo orologio poi mi guardò: «Coincide quasi tutto con quello che mi hanno detto, anche se c’è qualcosa che non mi convince nel comportamento di Elena e ….»

    «Anche a me, ma è andata così, pazienza!» Lo interruppi «piuttosto tu con Rita tutto ok?»

    «Si non mi lamento per ora, e comunque lei difende la sua amica nei tuoi confronti.»

    «Posso anche capirla!»

    «Senti

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