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Milano - Varna: A/R.
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E-book233 pagine3 ore

Milano - Varna: A/R.

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Info su questo ebook

Questa è la quarta avventura in cui è protagonista Luca Bonelli, ex operaio di una piccola ditta di impianti elettrici di Milano, che ha ormai intrapreso una nuova occupazione. Deve cercare di capire che fine ha fatto il suo migliore amico poliziotto di cui non si sa più nulla da qualche tempo. Riuscirà a districarsi anche questa volta brillantemente dopo varie peripezie e coinvolgimenti sentimentali nei quali gli capita di trovarsi coinvolto abbastanza frequentemente.
LinguaItaliano
Data di uscita15 mar 2019
ISBN9788831608855
Milano - Varna: A/R.

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    Anteprima del libro

    Milano - Varna - Raffaele Galantucci

    633/1941.

    1

    Me ne stavo seduto alla scrivania nel locale che avevo trasformato in ufficio a casa mia. Guardando fuori dalla finestra vedevo le cime degli alberi del giardino della villa di fronte: sembrava si muovessero seguendo un silenzioso ritmo musicale, orchestrato da una fresca e discreta brezza che rendeva più vivibile quella giornata di fine agosto.

    Fino a qualche ora prima c’era un’afa insopportabile, da togliere il respiro, tant’è che mi ero chiuso in casa con l’aria condizionata accesa, pensando a qualcosa per far passare il tempo. Ero in attesa di una telefonata di Francesca. Mi aveva promesso che mi avrebbe chiamato per dirmi quando sarebbe arrivata a Milano. Lavorava a Londra per una multinazionale, ormai da più di un anno. Si era inserita molto bene e adesso aveva meno tempo per venire a trovarmi in Italia, rispetto a come faceva i primi tempi.

    Avevo aperto la finestra e mi ero accorto che si era levato quel venticello, che faceva muovere le cime degli alberi. Me lo stavo godendo dopo aver spento il condizionatore, cercando di non pensare a nulla.

    Dopo aver risolto il caso di Roberta Rosati, che sentivo ancora per telefono qualche volta e che ricordavo con molta nostalgia, specialmente quando mi trovavo da solo come in quel momento, avevo detto a Stefano, il mio ex datore di lavoro, che al momento non avevo intenzione di tornare nella sua azienda, però lo avrei avvisato quando mi sarei sentito pronto a farlo. Mi aveva risposto che malgrado gli dispiacesse della mia decisione, sarei stato sempre ben accetto se ci avessi ripensato. Ci eravamo lasciati comunque in buoni rapporti.

    Nel frattempo avevo risolto dei piccoli incarichi per persone che mi avevano contattato, su consiglio di Rosati - rimasto contento dei miei risultati - inoltre avevo collaborato ad alcuni casi dell’agenzia investigativa Ferrucci. Eravamo diventati ottimi amici col titolare e anche con i suoi dipendenti, perciò mi chiamavano spesso e volentieri per dar loro una mano.

    Francesca mi mancava parecchio, anche se ci sentivamo quasi tutte le sere, perciò avevo cominciato a seguire dei corsi di karate col maestro Matushita, che ormai si era stabilito in Italia. Erano già 5 mesi che li seguivo e a sentire lui, me la cavavo molto bene. Almeno così andando in palestra avevo modo di parlare con qualcuno. Con i miei ex colleghi ci sentivamo ogni tanto, solo per il tempo di una telefonata. L’unico amico che mi era rimasto: Roberto Di Gennaro era quasi sempre in giro per il mondo, dato il suo lavoro di agente nell’antiterrorismo.

    Non avevo più sentito neanche Rita, la sua ragazza, che se l’era presa con me quando la sua amica Elena mi aveva lasciato, dopo l’incidente in cui eravamo rimasti coinvolti. Ogni tanto mi ricordavo con rimpianto dei bei momenti che avevamo passato insieme, io ed Elena, ma non riuscivo a perdonarla completamente per come mi aveva trattato. Se ne era andata senza rimorsi, lasciandomi da solo in ospedale a Reggio Emilia con un braccio e una gamba rotti. Dopo molto tempo mi aveva mandato un messaggio chiedendomi come stavo, e dicendo che le sarebbe piaciuto rivedermi. Non avevo risposto neanche a un secondo messaggio simile al primo. Anche se la pensavo ancora, al momento stavo bene con Francesca. Mi venne da chiedermi se Elena fosse rimasta a Rimini oppure fosse tornata a Milano, nella stessa azienda dove lavorava quando stavamo insieme. Comunque non aveva molta importanza, forse era meglio così non sapere e non vederla, altrimenti avrei potuto avere una ricaduta.

    Avevo provato a chiamare Roberto diverse volte, negli ultimi tempi, ma non aveva mai risposto, magari non poteva farlo. Senz’altro mi avrebbe telefonato lui appena avrebbe visto le mie chiamate. Mi riscossi dai miei pensieri e guardai l’orologio digitale sulla scrivania, segnava 31 gradi e le 17,50, pensai fosse inutile aspettare ancora la telefonata di Francesca, se non mi avesse trovato, avrebbe richiamato più tardi. Pensai di andare in palestra a seguire un’ulteriore lezione di karate con il mio maestro giapponese, e poi fare un po’ di esercizi per tenermi in forma, anche se ero sicuro di esserlo già. Stavo proprio bene fisicamente, un po’ meno moralmente.

    Mi alzai deciso, chiusi la finestra e andai in ripostiglio, preparai il borsone con tutto quello che mi serviva, compreso due pacchetti di cracker, mi avviai verso la porta che collega direttamente l’appartamento con il box quando sentii: Capo pattuglia chiama Corvo rispondimi Corvo… la suoneria del mio cellulare.

    Mollai il borsone sul primo dei cinque gradini della scala che scende nel box, pensando fosse Francesca che finalmente mi chiamava. Sperai nella buona notizia che sarebbe arrivata a Milano per sabato, cioè fra un paio di giorni. Pescai il telefonino dalla tasca dei jeans e guardai speranzoso lo schermo: numero sconosciuto! Restai titubante per un attimo, rispondo o no?, di solito erano dei rompiscatole che cercavano di vendere qualcosa, però decisi di rispondere, poteva essere magari qualcuno che chiamava per un lavoro.

    Premetti l’icona con la cornetta verde: «Pronto?»

    «Pronto Luca?» mi sembrava una voce di donna conosciuta, ma al momento non riuscivo ad associarla a nessuna delle mie conoscenze.

    «Sì, desidera?»

    «Non mi riconosci? Sono Rita!»

    «Qual buon vento, come mai mi chiami dopo tanto tempo? Come stai?»

    «Abbastanza bene e tu?»

    «Anch’io, ma dimmi un po’ hai cambiato numero?»

    «Ho dovuto, mi hanno scippato la borsa e così ho cambiato telefono e sim.»

    «Mi dispiace! Ma dimmi cosa posso fare per te.» Risposi stando un po’ sulle mie «e Roberto come sta? Non riesco a contattarlo.»

    «Lo so che ti sembrerà strano sentirmi, forse con te non mi sono comportata proprio da amica, ma è proprio di lui che ti voglio parlare.»

    «È successo qualcosa oppure vi siete lasciati?»

    «No, non lo farei mai!»

    «Sono contento per voi, ma dimmi allora cosa è successo.»

    «Non posso dirtelo per telefono, preferisco parlartene a voce, se tu hai tempo.»

    «Quando?»

    «Quando vuoi, ma sarebbe meglio prima possibile.»

    «Mi fai preoccupare, accennami almeno qualcosa!»

    «No te ne parlerò quando ci vediamo.» Guardai l’orologio erano già passate le 18, pensai che potevo anche perdere la lezione di karate, avrei potuto recuperarla in un altro momento.

    «Stavo uscendo, ma se è così importante come dici, vediamoci subito» risposi cercando di dare un tono di indifferenza alla mia voce.

    «Sono a casa adesso, penso che mi ci vorrà almeno un’ora per arrivare da te» disse lei.

    «Va bene vieni pure ti aspetto. Posso rimandare a domani quello che dovevo fare.»

    «Grazie Luca sei un amico, non sapevo a chi rivolgermi. Arriviamo prima possibile, ciao» tolse la comunicazione prima che potessi replicare qualcosa, restai col telefono ormai muto fra le mani domandandomi: perché arriviamo? Feci spallucce e non avendo altro da fare andai in cucina a prepararmi un caffè. Quando la caffettiera da tre tazze cominciò a gorgogliare spensi il gas, lo versai in una tazza un po’ più grande del normale, misi lo zucchero, un goccio di latte e corressi il tutto con un po’ di Fundador. Andai a gustarlo seduto alla mia scrivania, sempre chiedendomi il motivo di quel arriviamo immaginando che non potesse essere Roberto per ovvie ragioni. Non mi restava che aspettare per saperlo.

    2

    In attesa che arrivasse Rita sistemai le fatture di alcuni clienti che, per pagarmi il lavoro svolto per loro, me le chiedevano ormai da un po’ di tempo, perciò colsi l’occasione per farlo. Le stampai dal PC e le infilai nelle buste pronte da spedire il giorno seguente, le lasciai in bella vista sulla scrivania per ricordarmi di farlo subito la mattina dopo.

    Guardai l’orologio davanti a me e vidi che mancavano 8 minuti alle 19, senz’altro stava arrivando. Nel frattempo il venticello che aveva rinfrescato un poco l’aria si era fermato, ed era tornato il caldo afoso. Mi alzai, chiusi la finestra e riaccesi il condizionatore, andai in soggiorno e lo accesi anche lì. Finalmente mi sedetti in poltrona, in attesa. Stavo pensando di accendere il televisore, visto che Rita tardava, ma in quel momento suonò il citofono.

    «Sì?» chiesi.

    «Sono io.»

    «Vieni» risposi premendo il pulsante di apertura. Lasciai la porta chiusa e aspettai che suonasse il campanello dell’ingresso, lo fece poco dopo e aprii.

    Era appunto passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ci eravamo visti, mi ero dimenticato che anche lei fosse così bella. Potevo capire perché Roberto se ne era innamorato, appena l’aveva vista. Notai però immediatamente che era preoccupata per qualcosa.

    «Ciao mi fa piacere rivederti, come stai?» Mi scostai per lasciarla passare, entrò ed io chiusi la porta. Non sapevo come comportarmi perciò restai un po’ freddo. Fu lei che mi abbracciò e mi baciò. Naturalmente contraccambiai.

    «Roberto?» le chiesi

    «Proprio di lui ti devo parlare.»

    «Vieni andiamo in soggiorno» dissi facendomi da parte per lasciarla passare.

    «No aspetta un momento, non sei curioso di sapere con chi sono venuta?»

    «Dovrei?» risposi con un’altra domanda.

    «Credo di sì!» La guardai per un attimo poi mi voltai verso la porta e la riaprii. Non vidi nessuno, sporsi la testa fuori dallo stipite. Addossata alla parete alla destra dell’ingresso c’era Elena! Voltò la testa verso di me e mi sorrise.

    Avevo sempre pensato di essere in grado di nascondere le mie emozioni: non era vero. Era ancora più bella di come la ricordavo, tanto che restai senza parola per diversi secondi prima di riuscire a balbettare.

    «Non vuoi entrare?» glielo chiesi guardandole il viso, notai che non era rimasto nessun segno, dovuto all’incidente che avevamo avuto a Reggio Emilia.

    «Non ti dispiace?» Rispose toccandosi la guancia. Si era accorta che l’avevo fissata e continuò «si, non si vede più nulla di quella ferita, con una piccola plastica è andata a posto.»

    «Sono felice per te, entra sono contento di rivederti» mi sorrise, anche se mi parve un po’ forzato, entrò e io le precedetti entrambe nel soggiorno, facendo segno di accomodarsi sul divano o sulle poltrone.

    «Vi posso offrire qualcosa?»

    «Grazie sì, qualcosa di fresco» rispose Rita.

    Mi diressi in cucina, presi alcune bibite in lattina che avevo nel frigo, le posai su un vassoio insieme a tre bicchieri e tornai in soggiorno. Posai il tutto sul tavolino: «cosa preferite?»

    «Grazie facciamo noi» risposero quasi all’unisono. Elena si alzò prese una lattina di tè alla pesca, la versò in un bicchiere e me lo porse: «Ti piace sempre vero?». Assentii senza rispondere, ma guardandola ripensai, con rimpianto, ai bei momenti passati insieme. Maledizione, imprecai con me stesso, mi resi conto che l’amavo ancora! Però riuscii a restare impassibile, o almeno così mi parve.

    «Grazie sì, vedo che ti ricordi» risposi finalmente distogliendo lo sguardo. Aspettai che si versassero le loro bibite poi mi rivolsi a Rita: «Allora cosa posso fare per te?».

    «È quasi un mese» cominciò dopo aver bevuto un lungo sorso di aranciata, e fissando il bicchiere che si era appannato per la bibita gelata «che non so più nulla di Roberto. Tu sai com’è il suo lavoro, non può dire nulla o quasi di quello che fa. Ero abbastanza tranquilla perché è già successo altre volte, perciò non mi preoccupavo più di tanto, anche se comunque resto sempre un po’ in ansia.»

    «E invece?» l’apostrofai guardandola dritto negli occhi.

    «Oggi ho ricevuto un sms da un numero che non conosco» prese il cellulare e lesse: «Lei non mi conosce, ma io ho un messaggio da parte di Roberto. Non posso darglielo per telefono ho bisogno di vederla, è importante! L’aspetto questa sera per le 23, vicino alla costruzione della Triennale nel parco Sempione. La riconoscerò io, ho una sua foto! Non ne parli con nessuno, a stasera.» L’aveva letto tutto d’un fiato e infine mi guardò «cosa ne pensi?»

    «Fammi vedere» risposi allungando la mano per prendere il telefonino. Me lo passò e rilessi con attenzione il messaggio scritto in un italiano approssimativo. Non sapevo cosa risponderle, si poteva pensare che potesse essere un prostituta, visto la zona dove aveva fissato l’appuntamento. Poteva essere una cosa seria, dal momento che aveva il numero di cellulare di Rita e anche una sua foto. Ma poi perché Roberto avrebbe incaricato una prostituta di contattarla? Per quale motivo non aveva chiamato lui? Cominciai a pensare che, forse, si trovava davvero in qualche guaio.

    «Cosa pensi di fare?» chiesi guardando le ragazze alternativamente, ma rivolgendomi a Rita.

    «Speravo che mi potessi consigliare tu! Elena ha pensato a te sapendo che siete molto amici. Per lo meno per avere un tuo parere.»

    «Non hai pensato di rivolgerti al suo capo?»

    «A parte che neanche lo conosco, non hai letto di non parlarne con nessuno? Per questo ci eri sembrato il più adatto con cui parlarne.»

    «Vuoi che venga con te stasera»

    «Ci speravo che me lo proponessi. Pensavamo di andare noi due, ma francamente non ci fidiamo ad andare da sole.» La guardai per un attimo poi mi rivolsi a Elena: «E tu come mai pensavi di accompagnarla, domani non hai impegni di lavoro? Senz’altro farete tardi visto l’orario dell’appuntamento.» Glielo chiesi più che altro per sapere se stava ancora a Milano.

    «Non potevo lasciarla andare da sola, anche se sicuramente non sarei stata di grande aiuto, in caso di bisogno. Per questo ho pensato a te quando lei me l’ha detto. E poi il lavoro l’ho lasciato. Mi sono fermata a Rimini e faccio la segretaria per un amico di mio padre. Ho preso un paio di settimane e sono venuta a Milano per farle un po’ di compagnia.» Rispose indicando l’amica. Non riuscii a spiegarmi perché, ma mi sentii sollevato, sentendole dire quelle cose. Ero proprio un imbecille, che cosa mi stavo immaginando? Sarebbe stato da stupidi pensare di rimettermi con lei, dopo quello che mi aveva fatto. E poi c’era Francesca e non potevo deluderla, non se lo meritava. Lanciai un’occhiata a Rita e poi tornai a fissare Elena: per la miseria era proprio bella! Così mi decisi, forse lo facevo per lei e probabilmente in seguito me ne sarei pentito, ma pensai anche che Roberto mi aveva aiutato quando ne avevo avuto bisogno.

    «Va bene vengo con voi, sperando di fare la cosa giusta» risposi dopo aver riflettuto ancora per un attimo.

    3

    «Cosa ne dite, vi va una pizza in attesa che arrivi l’ora?» chiesi alle ragazze guardando l’orologio. Mancavano ormai 10 minuti alle 20.

    «Qui da te?» chiese Rita.

    «Certo, possiamo ordinarle alla pizzeria dove vado qualche volta, fanno consegne anche a domicilio. Nel giro di mezz’ora possiamo averle qui.»

    «Per me va bene» disse Rita guardando l’amica.

    «Anche per me va bene, sempre che non ti disturbi» rispose rivolgendosi a me.

    «Affatto, provvedo subito. Le solite?»

    «Sì» risposero in coro.

    Chiamai la pizzeria dal telefono fisso e ordinai anche della birra scura, perché mi ricordavo che a Elena piaceva, insieme a della birra bionda e a un paio di bottiglie di vino bianco frizzante. Quando tornai,vidi che avevano già apparecchiato in cucina.

    «Avete trovato tutto?»

    «Sì» rispose Elena «ho visto che non hai cambiato nulla, hai mantenuto tutto come prima.

    «Hai ragione» le risposi «credo di essere stato un po’ masochista» mi guardò senza dire nulla.

    Dopo circa una ventina di minuti suonarono al citofono. Pagai lasciando una discreta mancia al ragazzo, portai tutto in cucina e cominciammo a cenare. Chiacchierammo senza accennare a ciò che ci aspettava, pensando che fosse meglio, forse per scaramanzia.

    Mentre preparavo i caffè, le ragazze sparecchiarono. Guardando la mia ex di sottecchi, mi parve di notare un velo di malinconia sul suo viso, forse anche lei si ricordava di quando stavamo insieme, magari con qualche rimpianto. Magari!

    Versai il caffè nelle tazzine e le posai sul tavolo. Mi sedetti, senza dire niente. Quando sciacquai le tazze l’orologio sulla parete segnava le 22,15.

    «Penso che sia ora di avviarci, è meglio arrivare un po’ prima non si sa mai. Sarà meglio che andiamo con la mia auto, la tua puoi lasciarla qui» dissi rivolgendomi a Rita.

    «D’accordo.» Scendemmo nel box, salimmo sulla Hyunday e ci avviammo, dopo aver chiuso la serranda col telecomando.

    Mancavano 15 minuti quando fermai l’auto a un centinaio di metri dalla Triennale. Non c’era in giro molta gente, anche se nel parco la temperatura era decisamente più accettabile, rispetto al resto della città. Magari le persone stavano più volentieri a casa, con l’aria condizionata accesa.

    «Elena forse è meglio che tu ci aspetti qui in macchina, non vorrei che chi si deve mettere in contatto con noi, ci ripensi vedendo troppe persone.»

    «Per essere sincera non è che mi senta molto tranquilla a restare qui da sola.»

    «Hai ragione, ma ti puoi chiudere in auto. Cercheremo di fare il prima possibile.»

    «Ok vi aspetterò qui» io e Rita scendemmo dopo averle consegnato le chiavi della Hyunday, e mentre ci allontanavamo nella semioscurità sentii lo scatto delle serrature. Mi sentii più tranquillo e presi Rita sottobraccio. Era proprio una delle zone della città in cui proliferava la prostituzione: diverse ragazze, anche di colore, spuntavano da dietro le piante, lasciando la sicurezza della penombra nella speranza di trovare qualche cliente.

    Superammo l’edificio della Triennale e dopo una ventina di metri, una bella ragazza dai capelli biondi, con una minigonna alquanto vertiginosa, uscì da dietro un grosso albero. Aveva in mano uno smartphone che guardava con attenzione. Mi fermai pensando che potesse essere lei, la persona che ci doveva contattare, e che stesse osservando la foto di Rita, ricevuta da Roberto. Andavamo adagio

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